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Francesco VERDERAMI


Le critiche di Chirac? Una grave ingerenza

 

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Msr. Chirac e Sig. Prodi


Corriere della Sera

Politica - Parla Martino

Le critiche di Chirac? Una grave ingerenza

(Roma, Feb 17 2005 12:00AM)

Il ministro: collaborazione tra i governi, ma forse al presidente francese dà fastidio il rapporto stretto Berlusconi-Bush

D’istinto, Antonio Martino vorrebbe derubricare la polemica che sta coinvolgendo Jacques Chirac dopo la visita parigina di Romano Prodi, per quelle dichiarazioni attribuite al presidente della Repubblica francese secondo cui l’Italia conterebbe meno in Europa da quando c’è Silvio Berlusconi a palazzo Chigi. Il ministro della Difesa è stato titolare della Farnesina nel ’94, e sa che non c’è nulla di più urticante nelle relazioni diplomatiche tra due Paesi di questi incidenti. Così inizialmente tende a scaricare sul leader del centrosinistra la responsabilità del caso, «potrebbe darsi - sostiene Martino - che questa sia una sua gaffe, l’ennesima, che gli darebbe diritto ad entrare nel guinness dei primati. Non dimentico le perle di Prodi, che chiese invano ad Aznar di tenersi "mano nella mano" per ritardare l’avvio dell’Euro, che promise di far vedere "i sorci verdi alla Francia" e di "battere ai tempi supplementari la Germania". Perciò non scarto l’ipotesi che si sia inventato tutto. E anche se fosse una sua invenzione, sarebbe una gaffe, perché un esponente politico non si fa ricevere nelle cancellerie internazionali per parlar male del proprio Paese». Ma se non fosse una «gaffe» di Prodi? «L’ambasciata di Francia in Italia ha subito precisato che Parigi lavora "in piena sintonia" con il governo italiano. E io credo che Chirac sia estraneo alla vicenda. Certo, se si fosse lasciato andare a quelle considerazioni, allora sarebbe un fatto grave: significherebbe che le opinioni personali del presidente della Repubblica francese sull’esecutivo italiano vengono offerte al capo dell’opposizione italiana per una questione di politica interna. Si tratterebbe di un’ingerenza inammissibile. In ogni caso, dire che l’Italia conta meno a livello internazionale è falso. Sull’atlantismo non abbiamo mai avuto un così buon rapporto con gli Stati Uniti. Sul fronte medio-orientale abbiamo straordinarie relazioni con i Paesi arabi e il legame con Israele non ha eguali rispetto al passato. Quanto al fronte europeo, abbiamo messo in discussione l’idea che nell’Ue possano esistere Paesi più uguali degli altri, e che possano decidere anche per gli altri». Sarà così, ciò non toglie che le frasi riferite a Chirac gettano ombre sui rapporti tra Roma e Parigi. «Il fatto che non abbia smentito, non va inteso necessariamente come una conferma di quanto gli è stato attribuito. Siccome in questo caso siamo al livello del pettegolezzo, e siccome un capo di Stato non può scendere a certi livelli, il presidente della Repubblica francese potrebbe aver deciso di ignorare le affermazioni in libertà che Prodi ha reso pubbliche». Ma ignorando non si alimenta il dubbio? «Quando ero ministro degli Esteri, alla vigilia di un vertice italo-francese un organo di stampa attribuì all’Eliseo valutazioni negative sull’"antieuropeismo di Martino". Il presidente Mitterrand non solo mi fece immediatamente sapere in via riservata di non aver mai espresso quelle riserve sul mio conto, ma al pranzo del giorno dopo ci tenne che fossi seduto alla sua destra. Fu cordialissimo, disse di aver conosciuto mio padre... Cito l’episodio per spiegare che - probabilmente - in via riservata quelle parole sono già state smentite. Non lo si fa pubblicamente perché una smentita è sempre una notizia data due volte». Sta dicendo che c’è stata una telefonata tra Chirac e Berlusconi? «Non lo so. Ma credo che, se non l’ha già fatto, il presidente francese farà una telefonata all’"amico Silvio" per dirgli che sono solo pettegolezzi da cortile». Non le sembra eccessivo parlare di amicizia tra i due? «Che tra Berlusconi e Chirac ci siano stati momenti di difficoltà è noto, ma i rapporti di collaborazione tra i governi sono elevati. Solo per citare un caso che compete al mio ministero, abbiamo dato vita alla Gendarmeria europea, idea nata durante il semestre italiano di presidenza dell’Ue, e di cui la Francia si è fatta promotrice: si tratta di una delle maggiori iniziative di difesa europea». La collaborazione tra governi è una cosa, i rapporti tra il presidente francese e il premier italiano un’altra. «Ci sono delle differenze, com’è normale tra due leader. Entrambi stanno al centro della scena e amano starci. Non c’è dubbio che la crisi irachena abbia segnato una fase difficile nelle loro relazioni. Sulla guerra Chirac è stato perentorio, ai limiti della rottura con gli Usa, mentre Berlusconi è convinto che il rapporto euro-atlantico sia essenziale, e costituisca un sistema di valori: quello dell’Occidente. Allora si disse che l’Europa era entrata in crisi, ma non è affatto detto che se alcuni Paesi assumono un’impostazione, gli altri debbano adeguarsi: quello sarebbe servilismo non europeismo. Comunque la fase sta mutando. Al di là delle differenti opinioni sull’intervento militare, c’è la consapevolezza che il successo dell’Iraq è nell’interesse dell’intera comunità internazionale». Può darsi che quella vicenda abbia allargato il solco tra Chirac e Berlusconi? «Il fatto è che Francia e Italia sono due Paesi molto simili, e proprio per questo differenti, perché le diversità sono più marcate quando c’è una base comune. Del resto, le liti più furibonde sono fra parenti. E la Francia è una nostra amata cugina, ipersensibile. Ma negli incontri bilaterali c’è sempre grande cordialità tra i due. Fino a che punto quella cordialità sia sentita, non lo so. Conobbi Chirac quando era ancora sindaco di Parigi. Fece un discorso di un’eleganza straordinaria e pensai che sarebbe stato per la Francia l’uomo politico del futuro. Mentirei se dicessi che le promesse le ha mantenute tutte, anche se parliamo di una personalità di grande spessore. Chissà, forse tra il presidente francese e il premier italiano c’è una certa competitività, e il fatto che Berlusconi vanti un rapporto stretto con Bush dà fastidio». Così come l’asse franco-tedesco dà fastidio a Berlusconi. «Quell’asse in passato era basato sulla condivisione anche di un modello economico: il modello Renano. Oggi però quel modello è in crisi, come lo stesso asse franco-tedesco è in crisi e in fase di revisione. Non è più il monolite del ’94, quando le personalità di Kohl e Mitterrand davano a quel rapporto una robustezza che non ha più. Non a caso le ultime riunioni sono state allargate anche agli inglesi». Concludendo, ministro, andreottianamente cosa pensa... «A pensar male, dice Andreotti, si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. E dunque è possibile che qualcosa Chirac l’abbia potuta dire, ma personalmente non credo sia vero quanto gli è stato attribuito. Se penso al suo ruolo, mi convinco sempre più di una cosa: monsieur le president de la Republique française non può scadere nel pettegolezzo da portiere con un ex presidente della Commissione europea che va lì per piatire un soccorso. Vorrei però sottolineare un paradosso della sinistra italiana, che dovendo scegliere tra il gollismo di Chirac e il laburismo di Blair, preferisce la linea francese perché anti-americana. O meglio, è la sinistra italiana a giudicare la linea francese anti-americana, compiendo una forzatura. Perché la posizione di Parigi è molto più sfumata e intelligente di quanto la nostra opposizione voglia far credere».

Francesco VERDERAMI

 

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