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IL MODELLO MILITARE NELLA SOCIETA' CIVILE

      

   

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 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

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C. SARCIA'


La necessitą sociale di adottarlo per soddisfare i bisogni e controllare la violenza

 

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Sociologia ragionata: fenomeni e sperimentazione

IL MODELLO MILITARE NELLA SOCIETA' CIVILE

La necessitą sociale di adottarlo per soddisfare i bisogni e controllare la violenza

(Rieti, Sep 5 2005 12:00AM) L’organizzazione in capi e sottoposti s’instaura nei gruppi umani e in quelli animali attraverso un processo naturale per soddisfare i bisogni e controllare la violenza. La società civile ha organizzato le proprie strutture assumendo come propri i modelli adottati dall’organizzazione militare. Nessuna esperienza rivoluzionaria è riuscita a modificare nei secoli, anzi nei millenni, questa tendenza. Esperienze differenti sono possibili, ma la società civile non è ancora matura per la loro sperimentazione e meno ancora per la loro adozione. Fin dagli albori della civiltà la società si è sempre organizzata sulla falsariga del modello militare, riproducendo di tale modello la disciplina delle dipendenze gerarchie ed applicando le procedure tipiche dei militari all’organizzazione del lavoro, alla filiera della produzione, al metodo scolastico d’insegnamento, al sistema di controllo religioso e di educazione alla fede, alla metodologia dell’assistenza sanitaria ed in genere alle istituzioni sociali. Del resto la tendenza ad assumere atteggiamenti simili a quelli che assumono ai vari livelli i capi militari, è istintiva per ogni individuo ed in modo spiccato nelle donne che assumono incarichi e compiti per lungo tempo limitati agli uomini. Ma l’atteggiamento tipico di colui che detiene il potere e visibile e si insrtaura spontaneamente in particolare nei soggetti impiegati in lavori che presuppongano un contatto istituzionale col pubblico o un rapporto con individui generici che per caso si trovino in un certo luogo e solo per questo devono fare i conti con gli addetti ad un compito o ad una funzione. Qualche tentativo di modificare tale modello non ha avuto particolare fortuna perché nella sostanza si trattava di sub-modelli dipendenti dall’originale, benché impostati su simbologie e terminologie diversificate rispetto a quelle militari specifiche. Senza doversi spostare molto in là nel tempo, l’introduzione delle aberranti procedure “revisioniste” applicate soprattutto all’analisi del comportamento dei capi ed eseguite dai dipendenti, unite all’esperimento di affidare la guida del gruppo ai sottoposti, senza rispetto per la gerarchia, talvolta adottato anche in modo cruento, nelle fasi storiche delle “rivoluzioni orientali” (penso soprattutto a quella cinese), non hanno affatto mutato nulla del sistema principale, in quanto l’organizzazione militare si è rivelata poi essere l’unica in grado di controllare l’applicazione del modello proposto. Vale la pena di ricordare l’esperimento dell’abolizione dei gradi nelle forze armate cinesi e la loro sostituzione con un’articolata distribuzione di tasche nelle giacche: quattro per i dirigenti, due per i capi squadra, nessuna per la classe operaia; l’esperimento si affidava principalmente alla pratica del «revisionismo», che veniva applicata ad ogni struttura di aggregazione sociale che necessitasse di un capo e si concludeva quasi sempre, come ampiamente previsto dai solerti sperimentatori, con la condanna, talvolta anche «a morte», del capo, il quale, in sede di revisione dei suoi comportamenti, veniva indicato come non idoneo al ruolo svolto. Seguiva immancabilmente la fulminante promozione a capo dello stesso gregario che aveva denunciato l’inidoneità e che si era in pratica proposto per sostituirlo. Si può ipotizzare che, tra le quinte, avvenisse un gran traffico di giacchette e saccocce, oltre che di funerali alla spicciolata e fulminanti carriere. Si trattò evidentemente dell’attuazione di un rilevante disegno di eliminazione di quelle gerarchie «scomode» che più di altre potevano rappresentare un pericolo per la classe dirigente politica rivoluzionaria. Il primo risvolto pratico fu l’assuefazione delle masse alla precarietà di un modello esistenziale stoico, che fa parte comunque del patrimonio culturale dei popoli asiatici. A ben vedere, con quell’esperimento si tentò, senza riuscita, di aggirare in qualche modo il modello militare con la fallace promessa di realizzarne uno del tutto nuovo, il paradiso socialcomunista di buona memoria, che avrebbe dovuto assicurare addirittura la felicità. In realtà si cercava di diffondere la convinzione che nessuno poteva considerarsi capo, che tutti gli individui erano uguali, che la ricchezza era un furto nei confronti della società, che i capi (del partito unico) dovevano essere considerati dei tutori della libertà che svolgevano un servizio; naturalmente, se questo servizio era svolto male, chiunque avrebbe potuto sostituirli alla guida del gruppo. Lo scopo era quello di organizzare la società su basi di incertezza morale e psicologica, in un quadro generale di precarietà intellettuale, con l’intento di imprimere alla società un orientamento fondamentale all’onestà, alla giustizia ed all’integrità della fede politica, contro la devianza, la corruzione e il crimine. La realtà era composta di revisionismo e di «purghe». Quando infatti l’operato di un capo è rimesso costantemente all’approvazione dei sottoposti e la fame, la povertà e la paura sono preminenti e la calunnia a scopo di vendetta o la delazione, sono premiate con il miglioramento della vita del calunniatore o del delatore e costituiscono, la delazione e la vendetta, l’unica forma di convivenza permessa, è evidente che non si realizza alcun «paradiso» e nessun modello alternativo a quello militare. Al massimo si realizza un «inferno» e si rafforzano i principi contro-rivoluzionari. Mentre il modello originale rimane candidato a permanere nei costumi di quella società che alla fine anela a riconquistare il benessere morale e materiale attraverso l’azione di un capo capace e carismatico. Si trattò in effetti di esperimenti aberranti, per fortuna e in buona parte periti con i loro stessi ideatori: Marx, Lenin, Stalin, Mao Tse Tung. Stiamo parlando dei modelli creati dalle società comuniste, che hanno sviluppato poteri immensi sui beni e sugli individui, concentrati nelle mani di pochi e determinati soggetti, avversari dell’iniziativa privata e della libertà personale, i quali hanno sviluppato un potere assoluto e incontrastabile che ha potuto svilupparsi e radicarsi in forza di un accanito e spietato programma di coartamento e di condizionamento della volontà dell’individuo. Analogamente ed in tempi anche attuali, la stessa cosa è avvenuta e avviene nelle civiltà governate da gerarchie marcatamente religiose cioè da gerarchie che riuniscono nelle stesse mani il potere religioso e quello politico, come ad esempio quella islamica. Contro questa soluzione ci metteva in guardia già il Cavour nel memorabile discorso davanti al primo Parlamento italiano dopo la «breccia» di Porta Pia. Ma è evidentemente che le due situazioni non possono in alcun modo essere accostate. L’ingerenza della Chiesa cattolica nelle faccende di competenza dello Stato, se paragonata all’influenza ideologica ed alle prerogative di autorità esercitate dagli aiatollah, dai mullah e dagli imam, possiamo etichettarla come “acqua di rose”. Eppure alcuni modelli, diversi da quello militare, ricalcanti il modello della famiglia, basati su di uno stile di vita tollerante, in cui le prevalenti attività vengono indirizzate alla convivenza pacifica e solidale, sono stati sperimentati nel corso della storia dell’uomo. Essi riguardano piccoli gruppi omogenei, isolati dal resto del mondo cosiddetto civile per l’inaccessibilità del territorio. Alcuni di essi ancora sopravvivono in Africa, in Asia e in Amazzonia, a dispetto del diffuso «sistema unico» di organizzazione sociale cui peraltro difficilmente viene ufficialmente attribuita la funzione primaria che esso realmente esercita nella vita sociale degli individui e nell’organizzazione delle strutture della società. Infatti tutti i settori della società civile sono di fatto organizzati secondo modalità di distribuzione dei compiti e di controllo tipici dell’organizzazione militari; ma nessun responsabile di un settore civile ammetterebbe questo strettissimo legame, preferendo illudersi di essere inserito in un modello assolutamente antimilitare ed anzi sforzandosi di trovare elementi per dimostrarlo. In realtà l’instaurazione di un modello diverso da quello militare limitatamente ad alcune strutture sociali, lascerebbe irrisolto il problema dell’equilibrio tra i vari gruppi costituenti una società poiché quelli che avessero adottato modelli organizzativi di tipo diverso da quello militare si troverebbero comunque a dover fare i conti con un preponderante contorno la cui organizzazione risulterebbe portatrice di situazioni avverse e insuperabili. Si può facilmente ipotizzare che i rapporti tra società organizzate in maniera opposta o contrastante col tempo genera uno scontro. E’ quello che si può ipotizzare potrebbe avvenire tra la società occidentale e la civiltà islamica. Del resto una cosa simile avviene anche quando la società civile si dichiara laica ed assume atteggiamenti ostili nei confronti delle gerarchie religiose, accusate, in occidente, di volersi ingerire nella politica e nella pubblica amministrazione. Si tratta in realtà di un laicismo ostentato e perverso, perché da una parte si ostina a negare ogni commistione delle leggi e della vita amministrativa e politica con la religione, mentre dall’altro convive con la religione e lascia che i principi religiosi si insinuino, in varie forme, nella stesura etica delle leggi e nella conduzione dei rapporti tra cittadini e Stato; cosa che non è comunque il male assoluto. S’insiste nell’affermare una laicità dello Stato ed una indipendenza di esso dalla dottrina religiosa, che nella realtà non si sono mai del tutto realizzate e che a mio parere non si realizzeranno mai. Fortunatamente. Ad esempio, il dibattito in atto sulla legittimità di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche, nelle corsie degli ospedali e nelle aule dei tribunali, scatenatosi sotto l’impulso delle proteste di una parte politica minoritaria a sostegno delle insulse pretese di frange islamiche che hanno acquisito diritto di cittadinanza, dimostra che la tendenza comune dei cittadini e dei loro rappresentanti nel Parlamento è orientata ad una non effettiva laicità dello Stato, che considera la convivenza con i simboli della religione un fatto legato alla storia, alla civiltà ed alle abitudini. Tutte le parole generalmente sproloquiate sull’argomento non sono altro che fiumi di retorica privi di un vero alveo laico di contenimento. Tra l’altro, anche l’organizzazione religiosa cattolica è ordinata secondo fasce, livelli e gerarchie del tutto simili al modello militare: Papa, Cardinali, Vescovi, Sacerdoti, Diaconi, Chierici. Va inoltre ricordato che i modelli militari di tutti i paesi sono simili tra loro, indipendentemente dalla nazionalità, dalla latitudine, dalla lingua e dalla religione. Il rilievo che la società muove all’obiettore di coscienza che rifiuta il servizio militare è quello della sua insensibilità ai problemi della difesa del territorio, perché le forze armate nazionali sono ancora considerate alla stregua della porta blindata di un’abitazione familiare: una difesa, appunto, contro i «fuorilegge». Questa realtà dimostra ancora, in modo inconfutabile, l’originalità e la insostituibilità del sistema organizzativo militare, trasferitosi in modo del tutto naturale dallo stretto ambito delle strutture arcaiche al più vasto ambito delle società di tutti i tempi, radicandovisi fin dalle origini. Ogni famiglia forniva infatti alle armate del Sovrano tutti i maschi in grado di combattere, per la difesa del territorio o per la conquista dei territori necessari per far fronte alle esigenze di sicurezza e di sopravvivenza. Le società civili successive non potevano che essere organizzate in ogni loro aspetto sulla base dell’esperienza acquisita dai componenti, reduci dalle battaglie vinte o perdute. Nessun altro modello, oltre quello militare, poteva essere sperimentato e la società cominciò quindi ad organizzarsi secondo l’unico modello ritenuto idoneo e possibile. I padri dell’idea democratica, Platone, Aristotile, in realtà si affannarono a teorizzare, e quindi ad inculcare nelle menti dei loro contemporanei, la somma idea di un’organizzazione acefala che progredisse secondo la volontà di pochi eletti dal popolo e perciò stesso incolpevoli, con il presupposto della collaborazione e dell’obbedienza delle minoranze. Teorie queste provviste di valore etico e morale, ma destinate ad incontrare enormi difficoltà nella loro realizzazione. Come del resto testimonia la storia dei secoli ad essi successivi con il fatto pratico della sperimentazione che se n’è realizzata, tendenzialmente distorta e inefficace. Anche oggi il termine «democrazia» trabocca abbondantemente dalle relazioni delle modeste realtà sociali e dai discorsi planetari di indirizzo strategico, senza che alcuno in fondo riconosca il significato filosofico e la funzione sociale che si attribuisce a questo termine e senza che se ne possano stabilire i limiti e i modi affinché essa funzioni e produca il miglioramento della società che vi si intenderebbe legare. Tra l’altro l’applicazione della democrazia ideale e teorica alle strutture sociali moderne è utopica in quanto presuppone livelli e specialità di intelligenza compatibili e volontà animate da una solidarietà sociale proporzionata agli scopi che si intenderebbero conseguire; capacità queste disponibili in proporzioni limitate. Ne consegue che, in assenza di un concetto di democrazia realmente assimilato dai cervelli come abitudine, radicato nelle strutture ed accettato come modello di società unico possibile, nessun’altra tipologia organizzativa, al di fuori di quella che ricalca il modello militare, verrà mai proposta o attuata. Eppure l’istinto naturale dell’individuo è quello dell’aggregazione pacifica e della solidarietà. L’esistenza originale di queste caratteristiche è rilevabile attraverso l’osservazione dei fenomeni che sono legati alle naturalità dell’uomo in quanto individuo maturato nel contesto familiare proprio ed inserito nella storia della propria famiglia. La prima organizzazione della società si fonda sulla piccola industria familiare. La trasformazione dell’economia semplicemente familiare in economia di gruppi più vasti avviene naturalmente, quando i prodotti (derrate, utensili, ornamenti, armi, tuniche e calzari) superano i livelli di sufficienza e diventano abbondanti. La forma dello scambio e del baratto è la forma attiva dell’aggregazione pacifica dei gruppi, verso una società più organizzata che affianca al baratto un intermediario dello cambio che sarà la moneta. A questo modello si sono affiancate poi forme di aggregazione a fini non pacifici, ma di aggressione o di difesa contro altri gruppi. Questa è la fase debordante del modello sociale primitivo ed è il punto di partenza verso la creazione di un’organizzazione sociale progressivamente basata sul modello militare. Il modello originalmente adottato dalle società primitive, cui deve farsi riferimento, se si vogliano veramente individuare dei correttivi ai modelli attuali, da sperimentare, contiene alcune specificità che la deriva sociale delle nazioni moderne tende a cancellare del tutto. I provvedimenti in tal senso adottati sono tutti di natura positivista e rivolgono la loro azione disgregatrice nei confronti del modello familiare e della famiglia e si possono così riassumere e compendiare: - attribuzione e riconoscimento alla componente femminile della società di valori e prerogative tipici della natura maschile; - inserimento nei concetti legislativi di falsi valori quali la «pari dignità» e l’intercambiabilità dei ruoli fra uomo e donna; - adozione in forma definitiva di una legislazione favorevole alla separazione dei giovani coniugi con prole; - liberalizzazione dei costumi e minimizzazione del senso comune del pudore. Questa escalation di provvedimenti ha creato lo snaturamento dell’individuo sociale indirizzandolo ad assumere convincimenti e contegni esclusivi e contestativi del modello di società costruttiva, oltre che confusione dei ruoli. Ha anche radicato le premesse per il perimento della costruzione civile organizzata attorno al simbolo della famiglia quale modulo educativo di base, formativo e di riferimento della maturità sociale, ma soprattutto come struttura di sicurezza per le componenti più deboli quali i minori, gli anziani e i portatori di handicap. Una società armonicamente organizzata in modo naturale, sotto la guida dei principi di diritto naturale e nel rispetto delle ataviche prerogative intellettuali dell’individuo sociale, deve includere nella sua costruzione compiti ed attribuzioni quali la cura degli anziani e la loro assistenza nell’ambiente domestico, il rispetto per i genitori, per i figli e per la famiglia, la difesa dei ruoli nella componente familiare ed in quella sociale che non prescindono dal riconoscimento dei diritti civili, ma si armonizzano con essi nel rispetto dei ruoli naturali e delle prerogative che da questi scaturiscono. Se ne ricava un modello che da una parte esalta quei valori attorno ai quali crescono e progrediscono le società umane, dall’altra offre una base per la ricerca di un modello organizzativo della società diverso da quello di tipo militare ormai generalmente adottato basato sull’esigenza di utilizzare capi ed esecutori, controllori e controllati in ogni livello e in ogni stadio della vita sociale, della produzione e del consumo. In effetti questa soluzione, come osserviamo quotidianamente, non si è rivelata a lungo andare di particolare pregio, anzi ha favorito la rivalità tra gli individui, tra i gruppi e tra le società, ha spinto gli individui quando al dominio, quando alla reazione, è stata causa di storiche irresponsabilità ed ha prodotto la modificazione progressiva del carattere ideale e del rendimento sociale. E’ necessaria invece la condivisione, da parte di tutti i membri, dei traguardi, dei meccanismi organizzativi, delle soluzioni correttive, purché il rapporto di relazione si possa uniformare a modelli etici spontanei in un ambito di riferimenti tra loro complementari e non sovrapponibili. C’è poi da teorizzare la interdipendenza dei ruoli per cui il compito del singolo, pur non essenziale, è parte dell’intero progetto ed il programma di attività si evolve e si edifica con l’apporto di ciascun membro e con il riconoscimento della validità del prodotto che è esso stesso ragione della sua prosecuzione. E’ inoltre fondamentale l’accettazione di una responsabilità collegiale basata su principi di solidarietà, che riconosca in ognuno dei soggetti partecipanti al gruppo una uguale responsabilità morale e pratica di fronte agli eventi. Su questo aspetto si impianta l’esigenza di un modello relazionale valido per l’interno, ma da attuare anche nei contatti con gli altri gruppi, che concretizzi l’assoluta asetticità delle relazioni in un quadro complessivamente basato su norme di diritto comunemente accettate ed evitando in modo assoluto iniziative che interferiscano con la responsabilità comune ed in cui il soggetto è soltanto il portatore di istanze condivise dagli altri. Ci si dissuada a questo punto dall’emettere facili conclusioni, assimilando le ipotesi per la fondazione di una società basata sulla stima reciproca e sulla solidarietà, alle mere teorie anarchiche che perseguono finalità distruttive della società e propugnano la scomparsa delle istituzioni e di ogni forma di governo. Le istituzioni sono essenziali per il funzionamento della società. Ma le istituzioni devono essere organizzate secondo modelli diversi da quelli pseudomilitari di tipo verticistico che diano pari ed equilibrate responsabilità ad individui responsabili in assoluto davanti alla società, edificati moralmente, vincolati legalmente, provvisti di un’adeguata formazione ed intercambiabili nei ruoli e nelle funzioni, e con il riferimento fermo della responsabilità sociale, del ruolo e dei fondamenti della struttura familiare. Le forme di governo sono necessarie per il funzionamento della società, ma la politica non deve essere considerata come un’occasione di arricchimento, né usata per utilità personale, come purtroppo avviene. Su questo punto non si intravedono iniziative idonee a contrastare i fenomeni degenerativi che si sono ormai radicati in tutte le democrazie del mondo. La costruzione del modello appena accennato viene a configurarsi di concerto con l’analisi dei fenomeni che la società organizzata secondo l’attuale modello non ha risolto. La speranza è quella di poter realizzare un modello di società capace di enucleare i mali eterni delle società di tutti i tempi e di valorizzare aspetti naturali necessari al progresso sociale. Ecco i comparti da studiare e da regolare adeguatamente: il crimine, la prostituzione, l’antagonismo tra ricchi e poveri, la guerra, la rivalità tra religioni, la fissazione dei livelli minimi di uguaglianza fra gli uomini, la fissazione dei livelli minimi di rispetto per la vita umana, il ristabilimento del ruolo degli anziani e dei saggi, la restaurazione della disciplina del contratto matrimoniale e dei diritti dei figli, la disciplina dei ruoli politici e governativi, la riconfigurazione del sindacato come struttura di collaborazione nei due sensi e non come forza antagonista legittimata a ritardare il progresso e provocare perdita di ricchezza, la restituzione alla donna del ruolo primario di moglie e di madre, l’insegnamento obbligatorio di forme di autocontrollo delle attività dei soggetti. Questi sono solo alcuni degli aspetti su cui lavorare per superare le enormi carenze che la società non è stata in grado di affrontare e di risolvere. La società alternativa di cui qui si teorizza la realizzazione deve naturalmente essere il risultato dell’aggregazione di individui nuovi, naturalmente predisposti al bene ed alla solidarietà, contrari alla violenza, all’antagonismo e all’intolleranza, orientati più alla supplenza che non alla dirigenza ed al comando. In altre parole i soggetti di questa nuova società dovrebbero acquisire abitudini compatibili con la tolleranza, lo spirito di collaborazione e la solidarietà e produrre una “capacità” reale di miglioramento della sfera di competenza individuale, familiare e sociale. La società ha bisogno di cittadini abilitati a gestire il loro ruolo, capaci di sostenere in modo equidistante la sfera dei diritti e quella dei doveri, nell’interesse primario del bene della società. L’osservazione sociologica da cui scaturiscono le osservazioni formulate, si è indirizzata verso l’esame di tre situazioni limite che dovrebbero consentire di valutare i comportamenti dell’individuo in seno al gruppo e del gruppo nel suo insieme: 1) Il gruppo prende coscienza spontaneamente della validità dell’unione delle forze quando è posto davanti ad un pericolo reale incombente (incendio, alluvione, terremoto). Non sono stati assegnati ruoli di capo preventivamente; ognuno è all’occorrenza manovale isolato, membro di una squadra improvvisata, voce che indica un’esigenza o chiama a raccolta le forze. Questo esperimento rivela l’esistenza di uno degli aspetti più antichi ed originali della natura dell’uomo: di fronte al pericolo l’individuo rivela un’inclinazione a solidarizzare coi suoi simili, pur in assenza di capi precostituiti. Il modello militare si è affermato quale deterrente contro i pericoli e per combattere i mali della società, senza peraltro riuscirvi, perché in realtà un modello basato sull’autorità, sulla coercizione e sull’imposizione, non può che produrre o incrementare nuove forme di violenza e di intolleranza. La natura del singolo individuo è dunque generalmente pacifica; soltanto l’occasionale formazione di gruppi violenti ha generato l’esigenza di forme difensive organizzate, da cui è nato il modello militare, rivelatosi il più efficiente dei modelli possibili e divenendo il preferito dalle società di ogni tempo. 2) Le grandi manifestazioni della fede religiosa rappresentano un’occasione per osservare l’esistenza nell’individuo di caratteristiche naturali adatte a realizzare un modello organizzativo della società diverso da quello attuale. Ognuno si pone al cospetto della divinità con il solo bagaglio della sua esistenza. Ciascuno prega, implora, promette, confida. Non ci sono antagonismi tra gli individui in preghiera. Forse è meglio dire “non ci dovrebbero essere”. Ma l’esperienza ha registrato l’azione deleteria e distruttrice di soggetti isolati, capace di influenzare un gruppo fragile distogliendolo dal raccoglimento e dalla preghiera. Le gerarchie religiose errano quando, per un malinteso senso di tolleranza e di speranza nella forza dell’evangelizzzione, non intervengono tempestivamente per enucleare questi soggetti. Talvolta si realizzano aggregazioni umane imponenti, ma l’atteggiamento che guida le coscienze impedisce il formarsi di situazioni di crisi o di reazione; il rischio è talvolta rappresentata dalla tendenza dei rappresentanti del clero ad instaurare sull’individuo e sulle masse un predominio morale ed etico. Talvolta la supremazia morale ed etica del clero sugli individui ha conseguenze anche sulla vita e sul patrimonio dei fedeli meno provveduti; andrebbe quindi enucleata dal contesto delle strutture religiose la possibilità di abusi in tal senso, mediante una differente impostazione, rispetto alle recenti note esperienze, dei provvedimenti episcopali nei confronti delle devianze gravi. 3) La competizione «sportiva» a ben vedere genera antagonismi fra gruppi opposti e quindi violenza. Mi riferisco ai comportamenti dei gruppi negli stadi. Gli spettacoli di competizione sportiva hanno raccolto eredità arcaiche, sicuramente superate dalla storia, che dovrebbero essere vietati e proscritti dalla società civile. Ma la società umana, pur conoscendo la portata del fenomeno, non riesce ad indirizzare le masse verso attività ludiche non competitive. C’è una colossale ipocrisia che imprigiona le intelligenze degli individui ed i governi, che tocca quasi tutti i settori dell’evoluzione, e dimostra l’inconsistenza delle teorie sociali, delle politiche, delle campagne, delle organizzazioni: i danni del fumo, dell’inquinamento dei pesticidi e delle emissioni industriali, delle droghe, dell’irraggiamento nucleare, sono noti, ma si continua sulla strada dell’autodistruzione. Il progresso è nemico della società, ma la società stessa, con le sue indolenze e le sue incapacità, è il primo nemico di sé stessa. 4) Le manifestazioni musicali, concerti, ecc., sono un altro fenomeno nel cui contesto è possibile riscontrare altre caratteristiche naturali dell’individuo che si discostano dal modello usualmente accreditato. Un concerto musicale attira masse di individui di tutte le età la cui aspirazione, generalmente, è di partecipare ad un intrattenimento distensivo di puro divertimento. Bisogna quindi favorire e diffondere la cultura della musica e incentivare l’organizzazione di concerti. Talvolta le kermesse sono regolate da un conduttore, ma non sono previsti «capi»; alcuni suonano, tutti gli altri ascoltano. Si realizza un momento societario perfetto; gli individui sono uniti dal piacere dell’ascolto, purché si tratti di musica che non inviti alla violenza, altrimenti anche la musica può generare fenomeni simili a quelli che si verificano negli stadi. Abbiamo dunque visto che l’istinto di salvare chi è in pericolo, la compostezza della masse che partecipano alle manifestazioni della fede, l’ascolto della musica da parte di una moltitudine di individui, sono attività produttive di aggregazione pacifica che si pongono al di fuori delle strutture organizzative generatrici di violenza. Vero che non sono idonee alla produzione di beni, ricchezza e mezzi di sostentamento; ma le attività del lavoro da cui, oltre al sostentamento, nascono anche le differenze sociali, i conflitti e le devianze, devono essere inserite nei contesti esaminati. Serve quindi l’educazione alla cultura della sensibilità. Servono una cultura del pericolo incombente su cui si basa il concetto di solidarietà permanente, una cultura della fede nella divinità che deve guidare le attività dell’uomo, perché propone motivi morali ed etici, una cultura della musica e dell’arte in genere, che forma uno spirito gentile da cui nasce un animo solidale e rispettoso dell’uomo, della natura e dei diritti di ciascuno. Educazione dunque alla fede, alla solidarietà ed alla musica, prima e meglio che avviare gli adolescenti alle altre discipline. I soggetti umani sensibilizzati alla solidarietà, amanti dell’arte, animati e ispirati dal sentimento religioso, non hanno bisogno di essere diretti, inquadrati, coartati e controllati da organizzazioni di tipo militare. Saranno di certo necessari buoni genitori, buoni maestri, buoni governi, ma anche imprenditori, commercianti e banchieri diversi da quelli che hanno costellato il panorama della società contemporanea. Purtroppo la memoria è corta e propende generalmente per dimenticare; ma certi fatti si ripetono. E non v’è alcuno che si impegni veramente per modificare finalmente certe regole, per creare controlli efficaci, per prevedere pene adeguate. A soccombere sono sempre gli individui ed a soffrirne è sempre la società. Da una parte «recari benefici in favore di» una minoranza (Sindona, Calvi, Cagnotti, Tanzi, Fiorani, Ricucci), dall’altra «solidi svantaggi in danno di» una moltitudine di risparmiatori, contribuenti, utenti dei servizi. Anche per questi motivi, quella da ideare e costruire, dovrebbe essere una società fondata su modelli diversi da quello militare, che parta da una formazione dell’individuo accurata, compatibile coi modelli di cui la stessa società abbisogna per realizzare il benessere dell’uomo. L’individuo è la tessera del mosaico sociale. In una società aperta e comprensibile, nella quale ognuno è controllore di sé stesso, in cui ciascuno è produttore della ricchezza comune ed in cui gli individui sono migliori, i cittadini si muoveranno in modo autonomo e non avranno bisogno di capi e controllori, più di quanto oggi appaia necessario ed opportuno. Una società siffatta non è facilmente realizzabile, anzi dovrebbe apparire utopica, persino a chi ne intravede la fattibilità. Ma una società alternativa a quella attuale è diventata assolutamente necessaria ed urgente. E nessuno dei metodi finora adottati dai governi ha modificato alcuno dei mali eterni dell’uomo e quindi della società. Anzi, probabilmente, una società di individui sani non interessa ai governanti e non interessa neanche ai poteri forti. Mi spiace dissentire da ciò che hanno teorizzato i padri della sociologia; però ormai dovrebbe essere chiaro che non è la società che condiziona l’individuo, ma al contrario è l’individuo che, portando nella società i suoi vizi, le sue insoddisfazioni, le sue avidità, le sue pessime abitudini e, perché no, le sue paure e soprattutto la sua cattiva educazione, contamina ogni giorno di più le strutture su cui si erge la società, che nascono sotto l’impulso dei buoni propositi e vengono poi usate in modo distorto dai singoli. Del resto, se è possibile ottenere in questo senso risultati positivi nel contesto di un esperimento condotto in un ambito ristretto quale può essere quello della famiglia, è lecito chiedersi perché non dovrebbe essere possibile realizzare la stessa cosa in un ambito più vasto che coinvolga l’intera società civile. Certamente, ci vuole l’impegno dei governi. La società così com’è organizzata ha un torto grave: non è in grado di trovare deterrenti adeguati per dissuadere l’individuo dal delinquere. La pena di morte, che è il più forte dei deterrenti, a ben vedere non è sufficiente a dissuadere l’uomo dal commettere delitti. E’ evidente che la soluzione non si concretizza spontaneamente. Va trovata, perché esiste, in altri metodi di organizzazione della società e soprattutto in metodi che impegnino lo spirito e l’intelligenza degli individui e la loro capacità di autogoverno, di iniziativa e di solidarietà. Vedo nelle organizzazioni di volontariato il germe buono da cui partire. Non servono tanti, né troppi capi, ma occorrono agenti paralleli, assistenti, maestri, supplenti e coadiutori. Siccome i livelli intellettuali, oltre che la salute, sono diversi, e sappiamo che chi è pericoloso per sé stesso, lo è anche per la società. Il volontariato è poca cosa, non ha mezzi sufficienti, si attiva in settori limitati e si rivolge verso frange infinitesimali. E’ lo Stato quindi che deve creare queste figure ed affidare loro per legge le nuove famiglie, gli anziani, i drogati, la scuola, lo sport, la formazione dei nuovi patentati, e perfino l’assistenza obbligatoria ai cretini, perché sono cretini quelli che incendiano i boschi, che gettano sassi dai cavalcavia, che inviano pacchi esplosivi, che siringano le bottiglie di acqua minerale, che autorizzano il decollo di aerei scassati e consentono di salpare e navigare alle carrette, che danno l’agibilità a tunnel pericolosi, alle tratte ferroviarie ed ai progetti di costruzione, senza verificare preventivamente i parametri di inadeguatezza e gli indici di pericolosità. Religione, musica e solidarietà devono costituire il punto di partenza e il corollario dell’insegnamento e della formazione dell’uomo. Il resto delle materie deve affiancarsi in modo complementare, mentre devono essere impedite ed eliminate dalla vita sociale tutte le realtà che provocano antagonismo e violenza. Soltanto l’acquisizione del sentimento artistico, il radicarsi del sentimento religioso e la pratica della solidarietà possono realizzare «l’uomo futuro». Paradossalmente, a tal proposito, i Talebani potrebbero suggerirci qualche insegnamento. Malgrado il loro inqualificabile modo di vivere contorto e primitivo, caratterizzato dalla rigida ortodossia religiosa e dalle aberranti procedure giustizialiste, essi in fondo, visti nel loro contesto umano, religioso e sociale e graziati delle istanze di invasione e di distruzione del modello occidentale, hanno cercato di costruire un modello di società a loro modo sano, che rimane incomprensibile a noi occidentali, ma che, bisogna ammettere, è più vicino al diritto naturale umano e quindi all’equilibrio tra esigenze individuali ed esigenze sociali di quanto non lo sia tutto il castello organizzativo della nostra società. L’attuale società soffre infatti di un malessere non ancora del tutto percepito dall’umanità. Le società altamente industrializzate non hanno né voglia, né tempo per occuparsene: devono produrre, devono consumare, devono ulteriormente progredire; le società povere ed emarginate non hanno i mezzi, la volontà e le risorse per tentare di realizzare un modello soddisfacente che tuteli almeno la lo sopravvivenza. L’umanità è quindi vittima di sé stesso e coloro che potrebbero invertire la tendenza negativa sono avviluppati in un equivoco del quale non si avvedono, perché occultato dietro lo schermo di incongruenti istanze ed alimentato da falsi valor. A dirigere la società provvedono tipi di organizzazione basati su modelli di dipendenza e di governo che ripetono i modelli militari di sempre e che sorreggono la scenografia delle attività sociali e del progresso. All’interno delle strutture sociali avanza la disgregazione dei pilastri su cui il modello vigente si è organizzato e che invece di prosperare, come vorrebbe la percezione distorta dell’individuo, in realtà regredisce e non edifica altro che nuove strutture sempre più prive di ideali, in cui la persona umana perde valore, e dove etica, morale, solidarietà sono parole vuote, prive di un significato reale, al massimo elencate tra i compiti dei governi, ma assolutamente fuori dalla propensione individuale.

 

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