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Va bene «Quantaltro!» ma, «Come dire?» dove lo mettiamo?

      

   

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 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

C. SARCIA'


A cinque anni dall’invasione “quantaltrica” il prepotente dilagare del “comedirismo”

 

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Una ... Come dire? Mongolfiera ... e quantaltro.


Fenomeni linguistici

Va bene «Quantaltro!» ma, «Come dire?» dove lo mettiamo?

A cinque anni dall’invasione “quantaltrica” il prepotente dilagare del “comedirismo”

(Rieti, Jun 22 2005 12:00AM) Non si sono ancora sopite le grasse risate, né si sono placati i clamori suscitati dall’adozione nel linguaggio parlato, da parte delle avanguardie nazionali culturali e neocom, di quella particolare espressione collettivizzante e nichilista che ha caratterizzato e colorito il linguaggio d’inizio millennio di conferenzieri, relatori, docenti, militari, predicatori e scrittori. Mi riferisco a quell’orpello di cui ho ampiamente trattato su altri periodici culturali, conclusivo ed esaustivo di ogni intervento orale, che viene ancora pronunciato quando, ad un certo punto dell’esposizione, manca all’imbonitore il bagaglio delle conoscenze necessario a concludere in qualche modo la scarna esposizione del problema fin lì trattato, del quale sta impudentemente discettando senza conoscerne affatto la struttura sostanziale e, quel che è peggio, poco interessato alle conseguenze che può avere sull’uditorio la sua performance di temerario improvvisatore. In realtà ogni sommo oratore appartenente alle categorie di cui trattasi, nell’ipotesi migliore, prima di presentarsi al pubblico, più che altro incuriosito, ma non realmente interessato, si è dato una fugace infarinata del problema mentre viaggiava annoiato sul sedile dell’auto che lo conduceva al luogo dell’incontro, oppure, ne ha soltanto leggiucchiato distrattamente i titoli nell’indice, a metà tra il cappuccino e il cornetto, qualche minuto prima dell’esordio davanti alla platea reclutata da organizzatori interessati e da loro attivisti con raffinati espedienti ed affastellata, non senza fatica, per adempiere ad un obbligo che nulla ha a che vedere con l’argomento. Stiamo parlando della perla delle perle, cioè di quella idea fulminante che ha fornito patenti culturali ed immagini di stile oratorio alle recenti generazioni, in massima parte sessantottine, non ancora estinte se non di oscuramento proprio, che di tanto in tanto lo sfoderano, pur nell’indifferenza generale, per concludere il “nulla” di cui hanno fino ad allora farfugliato. Ebbene, si tratta dell’ineffabile quanto inutile, insulso ed insignificante “quantaltro” (cfr. indice di “www.graffiti-on-line.com”) che paragonerei, per eleganza, versatilità e maneggevolezza, alla “Perla di Labuan” che astutamente Emilio Salgari pose accanto alle rozze “Tigri di Mompracem”, per illuminare con una proposta di grazia e delicatezza lo scenario nel quale si svolgevano le sue storie. Nell’occasione, mi si voglia perdonare la versione senz’apostrofo di “quantaltro”; in effetti un gioiello di tale portata non può che scriversi senz’apostrofo, come si conviene a moderni interpreti della, “come dire?” comunicazione. La lunga premessa, oltre che condurmi piacevolmente sui sentieri dell’osservazione dei fenomeni di inquinamento linguistico che caratterizzano la nostra epoca e predispormi alla loro implacabile censura, mi è servita per introdurre il nuovo UFO della lingua italiana, il capolavoro dell’evoluzione umana in fatto di comunicazione, lo smisurato e fascinoso “come dire?” che impazza da qualche mese sull’onda mediatica, ad ogni ora del giorno e della notte ed ha finito con l’infiorare le pillole verbali di una cultura promiscua e disidratata e con l’umettare, se ce n’era bisogno, le supposte cerebrali degli intelletti più variegati, solleticando peraltro i reconditi guizzi evolutivi della specie: Darwin ne rimarrebbe letteralmente affascinato. Non è difficile acquisirne la padronanza dell’uso: non servono neanche le istruzioni. Basta aggiungerlo in punta di finale, ad un qualsiasi discorso, ad una qualunque discettatura, anche informale, ad ogni sorta di componimento espressivo orale, verbale, biascicato o sussurrato, vuoi introduttivo, vuoi interlocutorio, ed ecco che s’impone, molto di più che il vecchio e sorpassato “quantaltro”, persino al di sopra della sintassi, trenta spanne oltre la grammatica e si insinua tra gli ossimori e le iperboli, in ultima analisi, allargando la caratura dell’oratore fino a fargli toccare l’apogeo, ben oltre le vette della conoscenza e del sapere, financo oltre la nobiltà del sangue. Uno qualunque che ascolti, non può fare altro che apprezzare immediatamente la portata della immensa e rivoluzionaria espressione che ormai occupa tutti gli spazi disponibili sulle righe della carta stampa, emerge dalle sinuosità delle marconiane onde elettromagnetiche e spazia sugli schermi televisivi, cinematografici e informatici, in ogni luogo e ovunque sia necessario esporre un qualche argomento e ci sia qualcuno disposto ad ascoltare. Vorreste, per caso, paragonare la frase “Sono impegnato in una passeggiata” con l’altra, ben più colta e significante, “Sono impegnato in una, come dire?... passeggiata.” ? Ragazzi miei, non so se vi rendete conto della differenza: come la notte e il giorno! “Ammazza!” Commentano, allibiti, i malcapitati ascoltatori. “Questo è proprio tosto. A’nvedi, come sta attento alle parole? Cerca, cerca, e poi ti sfodera quella giusta. No come tanti che parlano a vanvera, senza pensare a quello che gli esce dalla bocca”. Per apprezzare la portata invasiva della struttura linguistica atavicamente tramandataci dai progenitori, che è seguita alla introduzione nel linguaggio corrente di attori, calciatori, giornalisti, ma anche di casalinghe, fruttivendoli e camerieri, della ignobile e compromettente espressione, bisognerà, da ora in avanti, soltanto ascoltare con attenzione qualunque cosa ci sia da ascoltare, in ogni dove uno si trovi. Si scoprirà che ormai, tutto quello che viene detto, scritto e ripetuto, ovunque, nella santa giornata, viene regolarmente infarcito con disinvolta cupidigia di copiosi “come dire?”, tanti quanti sono i periodi del discorso. Molti vi ricorrono talmente d’abitudine che non riescono più a farne a meno e lo infilano distrattamente dove capita, come un inseparabile intercalare, a volte anche solo per prendere fiato; spesso lo legano strutturalmente alla parola che precede ed a quella che segue, coniando un unico impossibile vocabolo che poi sputano fuori dall’angusto spiraglio che si forma tra denti e lingua nei soggetti è avvezzi a sorpassare, con le parole, il proprio pensiero, certi come sono di saper apparire oratori ferrati e convincenti. Non dovete “assolutamente” (cfr. indice di “www.graffiti-on-line.com”) credere a quello che vi dico. Per verificare, dovrete “per così dire” aprire le orecchie ed avviare “come dire?” un’analisi, ascoltare o leggere attentamente ed annotare i risultati statistici dell’esperimento.

 

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