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Una bellissima giornata

      

   

Antologia

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Racconto di:

Alfredo BRUNI


Raconto breve

 

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Babilonia


Letteratura d'autore

Una bellissima giornata

Raconto breve

(Calabria, Sep 19 2005 12:00AM) Era davvero una bella giornata. A voler essere proprio pignoli, si poteva dire che il canto degli uccelli era leggermente disturbato dal rumore del traffico. Per il resto tutto era perfetto. Il sole. I cassonetti dell’immondizia, svuotati appena l’alba aveva fatto capolino, e subito dopo, questione di 5 minuti, mica tanto, lavati dal lavacassonettisterilizzante, comperato dal comune non più di 10 mesi fa. Le strade si movimentavano ordinatamente. I bar erano già affollati e i vassoi dei cornetti che si svuotavano precocemente, e i cappuccini caldi, spruzzati di cacao amaro, facevano la felicità di ognuno, prima che la giornata entrasse nel suo vivo, appena gli scolari, e gli impiegati, e gli insegnanti, sarebbero entrati nei templi del loro lavoro quotidiano. Ma si sa bene, e chi può negarlo, ogni società, se vuole essere civile, a sapere che cosa significa!, include nel bilancio preventivo, sacrifici e ordine, che tutto possa essere prevedibile, molto tempo prima che accada. E infatti, questo lo sanno tutti, l’imprevedibile, mettiamo un omicidio, uno che ammazza un altro, semmai perché la marca di sigarette che fuma non gli piace, o una rapina in banca, il rapimento di un bambino, per venderlo al pedofilo, o a quello che cava gli organi per trapiantarli ai ricchi, o semplicemente per insegnargli il bel mestiere di ladruncolo, viene punito dalla legge, e quel che è peggio, dalla morale, ammesso che si trovino i colpevoli, e l’imprevedibile che viene dal cielo, e in tal caso si chiama fatalità, mettiamo un fulmine che colpisce un albero, e sotto l’albero ci sta proprio un poveruomo, che di fulmini non se ne intende per niente, o mettiamo un terremoto, o un ciclone, o un treno che deraglia, per una frana inaspettata, o una centrale nucleare, che salta in aria perché un bottone rosso si è inceppato, o un ponte che crolla per un piccolo errore di calcolo, colpa, certo, del computer, o un soldato che si impicca nella caserma, perché non gli piace il rancio o non gli piace l’aria che respira, o un ragazzo ucciso nella comunità che doveva recuperarlo, o una galleria sotto il monte più alto del mondo, che diventa un barbecue per automobilisti un poco sfortunati, o un ministro che ruba, o un governo che a causa del debito dei paesi più poveri, deve aumentare le tasse e lo stipendio agli onorevoli, o un uomo trovato morto per il freddo, sulla panchina del parco, fiore all’occhiello (il parco) del popolo gaudente, o il manicomio che lega alla catena i suoi ospiti, e di tanto in tanto il manicomio va a fuoco, e qualche pazzo ci rimette la pelle, e tutti restano commossi, anche se, poverini, quelli erano solo un peso per la famiglia e la comunità, o il sindaco affarista, che ha scambiato la tangente per un buono premio di un viaggio all’estero, o un aereo che cade, appena si è alzato di un metro da terra, provocando 300 morti e nessun ferito, o l’alluvione, che porta fango e detriti, a causa del tracimare del fiume, che mai aveva dato preoccupazione, tranne qualche piccolo segno di inquinamento, a causa di una fabbrica alimentare, che scarica proprio lì, e grazie a una vecchia legge, ha ancora 20 anni di proroga per mettersi in regola con la nuova legge, e tutto questo imprevedibile, detto anche fatalità, è imponderabile, e subito, ogni volta che accade, viene affidato a una commissione d’inchiesta che deve ponderare e trovare subito, massimo 25 anni, la soluzione. La società civile, e chi non può essere d’accordo!, è questa. Dunque, era una giornata bellissima, direi perfetta. Immaginarsi che la sera prima, anche il premier, quello che chiamano capo del governo, un certo Belly Sapiente si era affacciato al telegiornale, come se fosse la finestra, o un piccolo balcone, che si apre su una grande piazza, e aveva detto che, nonostante i disoccupati erano aumentati, nei suoi primi 100 giorni da governatore, aveva mantenuto tutte le promesse che aveva fatto prima di essere eletto democraticamente. Così aveva detto Astuzia Bill, proprio così. Astuzia Bill, così lo chiamava il popolo, che lo amava. Praticamente un soprannome. Per prima cosa aveva fatto la legge che permette al padrone di licenziare il dipendente, che come si capisce con la logica, significa creare un nuovo posto di lavoro. La seconda cosa era la legge sulle pensioni, che funziona più o meno così, i posti di lavoro sono pochi, allora facciamo lavorare tutti fino a 80 anni. Capire questo è un po’ meno semplice, ma certo ha la sua ragione. Terza cosa, aveva aumentato gli stipendi agli onorevoli, che, povera gente, si sacrificano per gli altri, e ne avevano proprio bisogno. Quinta cosa, c’erano tanti altri piccoli progetti, che stava per realizzare e minuscoli problemi da risolvere, come il conflitto di interessi con le sue aziende, roba da poco, bastava cederle alla figlia di 3 anni e tutto era a posto. Infine aveva detto che la pace e la libertà, regneranno sovrane e guai a fare casino. In realtà non si era espresso proprio così, il suo discorso era molto più fine, ma la sostanza era proprio quellalì. Aveva dimenticato di parlare dei milioni di morti ammazzati in nome della civiltà e del progresso e delle idee più giuste e in nome del popolo sovrano, ma sotto le feste non era proprio il caso di dire cose tristi. Nessun insetto volerà più nel cielo o sporcherà di piccole cacche la nostra terra, aveva concluso il presidente Belly Sapiente detto Astuzia Bill, tanto per rallegrare l’ambiente e ridare fiducia anche ai più disperati. Aveva detto propriocosì, una conclusione grandiosa. Grandiosa come la giornata che stava per iniziare. Stavo leggendo un libro che parla di nostalgia. Ma io non avevo nessuno per cui soffrire, e se anche fossi tornato al paese, a chi avrei potuto raccontare le mie avventure, e quali avventure?! Ulisse era per me un personaggio completamente vuoto. Per me dico, non so per gli altri, e non so per se stesso. Io dovrei ritornare in tanti luoghi e ritrovare troppe persone, per capire cosa provava Ulisse. Ma personalmente non mi servirebbe a niente. Intanto avevo finito di scrivere una poesia. Che come al solito era la più bella che avessi mai scritto. Scesi le scale, e al portone mi ricordai che avevo lasciato aperta la finestra. Ma all’ottavo piano, solo l’Uomo Ragno poteva arrampicarsi. E poi c’erano le mosche che avevo nascosto, per non farle catturare dalla polizia, che facevano buona guardia, alle mie carte sparpagliate per casa. Mi apparvero subito i due grandi grattacieli che rappresentavano il mondo, in quasi tutte le regioni della terra. Da qualsiasi parte arrivavi, li dovevi vedere per forza, tanto erano alti, grossi, ingombranti. Pensai che la Torre di Babele, doveva sfigurare messa vicino a loro. E entrai nel bar. Nel vassoio c’erano pochi cornetti, segno che la giornata era già iniziata da un pezzo. Chiesi il caffè. E in quel momento realizzai un pensiero profondo. Perché mai Dio, aveva avuto paura di farsi scoprire! Forse perché non abita in cielo, come tutti pensiamo. Ha fatto tutto quel casino di lingue, per una misera torre, che in confronto a queste due, doveva essere una baracca. Forse a Babilonia, non conoscevano l’ascensore, per questo fallirono e morirono di fame, seppelliti lassù, in attesa dei viveri. Che bel pensiero avevo concepito. Intanto arrivò il caffè. Di questo ero sicuro, a Babilonia il caffè e i cornetti ancora non c’erano. Ma il nostro premier, invece, sicuramente ne faceva uso, anche se con moderazione. Caffè e cornetti, assieme al digestivo. Mi accorgevo che i miei pensieri stavano diventando troppo profondi, e non era il caso di rovinare una giornata così bella, anche perché non sapevo che farmene della nostalgia, di Ulisse e del discorso del presidente, e non sapevo se avevo in tasca i soldi per pagare il caffè. Di sicuro sapevo che a casa avevo le mie poesie, le ultime mosche rimaste sulla terra, dove le nascondevo, dopo lo sterminio voluto dalla legge numero 9 bis, che ordinava di ripulire tutto il pianeta dalla sporcizia, e dalle cose brutte che infastidivano, e dalla cose che non erano morali, e la legge in questo era precisa, all’articolo 3 elencava le sporcizie, all’articolo 4 le cose brutte e al comma secondo dello stesso articolo, quelle fastidiose, e infine all’articolo 5 elencava tutto ciò che è consentito. Fui sicuro che Babilonia non esisteva più. Il presidente sorrideva un po’ ebete, da una foto appesa alla parete, come diceva l’articolo 2 della legge, ma non ricordavo cosa dicesse il primo. Vidi due mosche, dirigersi verso i grattacieli di mille piani, pieni di formiche operose, invisibili da fuori, nonostante i due giganti sembravano fatti di vetro. Non dissi niente, perché non pensavo che fossero così fragili, ed ero contento per le due mosche scampate allo sterminio. Ma appena gli insetti neri, si poggiarono sul vetro, i due giganti vennero giù, e fu l’inferno. Povere mosche e povere formiche. Non si salvò nessuno. La polvere oscurò il sole, e questo rovinò quella bellissima giornata. Fortuna che il bar era lontano. Li vidi venir giù, come ricotta fresca e me ne tornai a casa. Senza nostalgia e senza rimpianti. Più vuoto di Ulisse, quando incosciente arrivò a Itaca. Mi dispiaceva per il sole che non si vedeva più. La bellissima giornata era rovinata per sempre, ma io ci avevo guadagnato un caffè gratis, perché tutti erano scappati via, chi di qua e chi di là, e qualcuno era anche morto. Io me ne tornai a casa, a scrivere questo stupido racconto, mentre i più coraggiosi, ripresesi dalla sorpresa, organizzavano i soccorsi e le interviste. Il giorno stesso, in nome della pace, fu di nuovo dichiarata guerra alle mosche, che tutti pensavano estinte o chiuse nelle carceri federali. Lo disse il presidente in persona, apparso di nuovo in televisione, con la faccia triste e col vestito scuro. Fu di nuovo la guerra, anche se le mosche ufficialmente non esistevano più, a parte quelle che nascondevo a casa mia, ma quelle sono mosche leggere, e per rendersi utili, in cambio della mia immondizia, fanno la guardia alle mie poesie. Un giorno o l’altro, se avrò due soldi, ripasserò dal bar, per saldare il debito del caffè. Ma non aspetterò di certo che sia una splendida giornata. Anche quando splende il sole, gli uomini si scelgono il Dio più comodo.

Alfredo BRUNI

 

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