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LE TANTE FACCE DEL MEDIOEVO

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di ricerca di:

Massimo Iacopi


Banchetti e Festini caratterizzavano la vita nei Castelli tra Donne Cavalieri Arme ed Amori

 

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SCENA DI BANCHETTO MEDIOEVALE


Nell’Italia dei Secoli bui c’era chi si divertiva

LE TANTE FACCE DEL MEDIOEVO

Banchetti e Festini caratterizzavano la vita nei Castelli tra Donne Cavalieri Arme ed Amori

(Assisi PG, 12/01/2021)

BANCHETTI E FESTINI COSI’  IL MEDIOEVO SI DIVERTIVA

Il Medioevo, oltre che per le nefandezze che ne hanno caratterizzato la storia, tanto da far definire quel periodo Gli Anni dei Secoli Bui,  è conosciuto per il suo amore per la buona tavola e per i divertimenti: abbondanza, eccessi, esagerazioni per stordirsi specialmente in tempo di crisi. A quanto pare, anche oggi,  nulla o quasi è cambiato.

Mettersi a tavola nel Medioevo non certo una semplice espressione. Ciò perché, per passare a tavola, occorre installare una tavola su dei cavalletti. Solo dopo questa operazione possono essere disposte le stoviglie (taglieri, coltelli, cucchiai, bicchieri, scodelle, ecc.) sulla tavola ricoperta di una tovaglia, sulla quale si possono asciugare le dita e la bocca. Al suono di un corno i convitati vengono sollecitati a lavare le mani ed a prendere posto - ciò che in Francia una volta veniva denominato “Corner l’eau”. Il pasto non è evidentemente lo stesso, a seconda della condizione sociale o a seconda che si tratti di un signore o di un contadino, che si viva intorno all’anno mille o invece nel XV secolo, che si sia nati nel nord dell’Europa o nel sud del Continente. Ma il suo svolgimento tende a gerarchizzarsi e ad uniformarsi, specialmente per i nobili ed i grandi borghesi della fine del Medioevo. In un mondo attanagliato dalla fame, l’abbondanza o anche l’eccesso alimentare, diventa un mezzo per differenziarsi socialmente e per sottolineare la propria potenza. Solo quelli che sono seduti su di un banco - vale a dire quelli che sono invitati al banchetto - potranno fare l’esperienza della vera gastronomia medievale. I contadini, come la maggioranza del clero, si dovranno contentare di pasti frugali (brodi, zuppe, pane, legumi, cereali, frutta, vino). Per quanto concerne i ricchi signori, essi potranno contare su dei personaggi specializzati (maestri di sala), che potranno realizzare pasti straordinari e di una grande complessità di gusto, ricordati, a partire dal 14° secolo, nei libri di cucina del tempo.

I nobili mangiano cacciagione e il popolo i frutti della terra

Il pasto di un banchetto può essere composto da quattro o cinque servizi, che possono a loro volta prevedere ognuno diverse portate. All’inizio, fatto di piccoli assaggi accompagnati da vino dolce, fanno seguito zuppe liquide e le minestre (piatti cotti a fuoco lento in vasi di ceramica) che, a loro volta precedono il pesce, ma soprattutto gli arrosti, che costituiscono la parte centrale del pasto. Pollame e selvaggina, ricomposti con le loro piume ed animali rari costituiscono i piatti favoriti della nobiltà che vede negli animali che volano e corrono nei boschi uno strumento per opporsi ai contadini, che, di norma, mangiano quello che nasce dal suolo. Ogni pasto festivo termina con il dessert (frutta secca, torte e dolciumi) e con quello che in Francia veniva denominato “un boute hors” (un butta fuori) (cialde, fratta cotta e torrone), considerato letteralmente proprio come un “butta fuori”, che segnava, appunto, la fine del pasto e l’uscita da tavola.

Una volta lasciata la sala, ci si può ritirare nella camere per bere del vino zuccherato accompagnato di spezie per facilitare la digestione. Non bisogna vedere nell’opposizione fra la sala e la camera una distinzione fra il mangiare ed il dormire, ma soprattutto una differenziazione fra lo spazio pubblico e quello privato: si può mangiare e dormire anche nella camera, ma in un modo più intimo. In effetti, lo spazio del castello è oggetto di una ripartizione sociale che lo stesso banchetto sottolinea e mette in evidenza: l’invitato d’onore siede al centro di una tavola disposta ad U, davanti al camino e di fronte alla sala. Egli è anche il primo ad essere servito ed è anche nella migliore posizione per vedere gli invitati ed essere visto da loro. Egli si trova ancora nella migliore posizione per assaggiare gli “entremets” (dal francese entremets - intermezzi stuzzichini ?) - fra due pietanze, abitudine che si sviluppa specialmente alla fine del Medioevo.

Poiché non è certamente possibile a ciascuno degli invitati di gustare tutti i piatti che sono troppo numerosi e, soprattutto, distribuiti in funzione dell’ordine di precedenza degli invitati di sala in sala, essi possono, nondimeno, approfittare della vista delle pietanze e degli entremets. Già nel Medioevo il primo piacere alimentare è la vista ! In effetti, il Viander di Guglielmo Tirel detto Taillevent (1310-1395), un manoscritto del 1380, come anche il Menagier de Paris, del 1393, sono libri di cucina medievale che prendono ben in conto anche l’esigenza visiva nell’esperienza gastronomica. Non solo il “buon mangiare” risulta importante, ma il “bel mangiare” lo è persino di più. In tal modo, nelle cucine si apprende a colorare le pietanze, a disegnare blasoni sulle stesse o a travestire gli alimenti: il dare, per esempio, l’illusione ottica che si mangi della carne, mentre invece si consuma un pesce, costituisce un lusso supplementare per la società medievale, che rispetta in cucina i divieti religiosi dei giorni di magro (complessivamente 100-120 per anno). La cultura combatte la natura per fare dell’alimentazione nobile o principesca l’arte della metamorfosi: Il Menagier de Paris ci spiega, in tale contesto, come “imitare con un pezzo di bue della cacciagione d’orso”. Allo stesso modo, nel Viandier si tratterà di fornire l’illusione di avere dei cigni vivi, eviscerati e cucinati, che si è provveduto a rivestirli della propria pelle ed il cui collo viene mantenuto in verticale con l’aiuto di aste di legno, dissimulate nella carne. Altre astuzie culinarie vengono ricordate per intrattenere l’occhio del convitato prima di fargli scoprire il gusto delle pietanze. Le spezie vengono utilizzate, non solo per le loro virtù medicinali, ma anche per dare il colore ai piatti. In questa vera e propria tavolozza gastronomica, lo zafferano colora i piatti di giallo, il prezzemolo fornisce un colore verde, il pane bruciato consente di avere il nero, mentre il rosso si ottiene con il sangue fresco del maiale.

I banchetti sono accompagnati da spettacoli

Le composizioni più straordinarie rivaleggiano per eccessi e per fantasia sulla tavola dei ricchi per festeggiare riunioni religiose (Natale, Pasqua, Pentecoste), familiari (matrimoni, battesimi, funerali), ma anche per segnare gli eventi politici (banchetti, incoronazioni, conviviali di corporazioni e di mestieri). E se lo spettacolo è già nel piatto, esso lo è anche fra i tavoli. In effetti, fra due servizi successivi, possono essere proposte attrazioni per divertire gli invitati. Acrobati, danzatori, saltimbanchi, attori, ma anche musici e cantastorie possono entrare a far parte di questa animazione commensale. La corte di Borgogna, alla fine del medioevo, spinge all’estremo questa arte della tavola, concepita come spettacolo animato. Il cosiddetto “Banchetto del Fagiano”, che si è svolto a Lilla nel 1454, è stato considerato come il più celebre della fattispecie per i suoi eccessi. Oltre allo spettacolo del servizio, composto da differenti pietanze, esso ha prolungato il piacere della vista per mezzo di stoviglie (vascello per le stoviglie, vaschette, bacinelle, acquamanili, borracce, ecc.) esibite nella credenza o sulla tavola o attraverso “dessert”. Fra le decorazioni della tavola potevano figurare un vascello guarnito, un mulino a vento, un giovanetto nudo su una roccia che versa con continuità acqua di rose, un castello della fata Melusina, dal quale esce acqua di arance. Ma in tale contesto si possono anche organizzare intrattenimenti a sé stanti, come ad esempio la musica che esce da un paté, eseguita da 28 musicisti, il passaggio di un elefante di cera sul quale è messo un uomo, l’entrata di un cavallo che marcia all’indietro, ecc.. Piani mobili, carri e cavi assicurano la dimensione tecnica di questi spettacoli, che passano davanti le tavole del banchetto, per produrre meraviglia negli invitati. Allo stesso modo, vengono impiegati automatismi e congegni meccanici per realizzare questo complesso macchinario. Per quanto riguarda i soggetti ricordati, la corte di Borgogna sembrava più orientata verso gli spettacoli mitologici. Al suono di una tromba con l’alzata di un sipario vengono mimati i combattimenti di Giasone per conquistare il Vello d’Oro (per ricordare l’ordine dinastico del Toson d’Oro). 14 anni più tardi, in occasione del matrimonio di Carlo il Temerario (1433-1477), verranno rappresentati i dodici episodi della vita di Ercole, dimostrando ampiamente l’integrazione dell’immaginario mitologico nella vita (e più ancora nella cucina) del Medioevo.

La falsa balena al matrimonio di Carlo il Temerario

Ma il “meraviglioso” occupa anche un posto preponderante nell’immaginario borgognone: una balena finta viene presentata da due giganti sempre in occasione del matrimonio di Carlo il Temerario. L’animale, che misurava più di 60 piedi e poteva contenere nel ventre una quarantina di persone, aveva gli occhi fatti di specchio e possedeva una coda e delle pinne mobili. Il cetaceo, durante lo spettacolo, farà uscire dalla bocca due sirene e dodici personaggi marini che si metteranno a cantare ed a danzare. Lo spettacolo, dunque, mette insieme canto, danza, mimo e gioco e tutto questo spinge a considerare la tavola non solo come un luogo di piacere gustativo, ma anche come un luogo per mettere in mostra una potenza politica o economica. Il 7 ed 8 gennaio 1430, i dessert del matrimonio di Isabella del Portogallo (1397-1471) con il duca Filippo il Buono (1396-1467), celebrato a Bruges, non smetteranno mai di esibire i blasoni della coppia. Ma, più ancora, la propaganda borgognona si estrinseca nella scelta dei soggetti degli entremets: Giasone, patrono dell’Ordine del  Toson d’Oro, che invita alla crociata in una volontà ideologica di radicamento culturale e genealogico. L’immaginario letterario si accompagna ad un vero programma politico. Il fagiano, che dà il suo nome al banchetto del 1454, è un animale che si ritiene proveniente dall’Asia Minore. E’ su di lui che gli invitati del banchetto che esprimono il voto di farsi crociati, per partire alla riconquista di Gerusalemme, dopo che una allegoria della Santa Chiesa, tenuta prigioniera da un gigante moro, ha provveduto a sollecitare la loro protezione. L’entremets, lungi dall’essere una semplice portata (come lo era specialmente agli inizi) diventa un divertimento. Ma esso è anche un impegno politico in tempi agitati. E’ In questo sogno di unità, che viene riattualizzato tutto il senso etimologico del termine “compagno”: esso è infatti colui con si condivide il “pane e di cui si è amici. In tal modo, lo spirito cavalleresco cerca, attraverso la tavola del passato (dalla Tavola Rotonda sino al Santo Graal, fonte di vita) i suoi sogni per l’avvenire. E’ proprio intorno alla tavola che viene ritualizzata la rappresentazione di una società (caratterizzata da fame e da eccesso) che, attraverso le regole del suo appetito, definisce indirettamente l’appartenenza ad un corpo sociale, che mangia secondo il suo rango. Dalla tavola per mangiare alla tavola per il gioco, si afferma la stessa gerarchizzazione, in particolare, in quello che la storia ha consacrato come il “gioco dei re ed il re dei giochi”. Il gioco degli scacchi, giunto in Europa dall’Asia centrale a seguito delle crociate e del commercio, occupa, dal V secolo che lo ha visto nascere, un posto d’onore. Presso i nobili, esso è realizzato in avorio o con diaspro o anche in legno raro, incastonato di pietre preziose; esso si diffonde per imitazione nobiliare presso i borghesi ed entrerà a far parte dell’educazione della buona società medievale. Basato sullo scontro, il gioco degli scacchi oppone due avversari, che dispongono di due tipi di pezzi: i pezzi mobili per le figure nobili ed i pezzi a movimento ridotto per i pedoni. La sua dimensione politica non sfugge ai contemporanei, come lo sottolinea Fra’ Jacopo da Cessole (morto dopo il 1322), un domenicano italiano del XIII secolo, che gli ha consacrato uno specifico trattato. Il gioco è semplice: il re, messo sotto scacco dal suo avversario, segna la fine della partita. Se attraverso la sua dimensione ludica, esso permette di neutralizzare la paura della divisione sociale con la morte del signore e garantisce l’ordine simbolico, attraverso l’immagine di una società gerarchizzata, esso è anche un possibile strumento di propaganda. Portando la stessa traccia di questa gerarchia sociale, i giochi delle carte invitano ad un'altra famosa triade: il re, la dama ed il valletto o fante o il soldato in genere. In questo gioco di specchi, i re (Cesare, Alessandro, Carlo Magno e Davide) ed i valletti (Rolando, Lancillotto) danno alle carte il loro nome come figure esemplari da seguire. Oltre ai giochi di strategia, il Medioevo amava anche i giochi d’azzardo. Frammischiando questi due piaceri, i giochi da tavolo (backgammon e trictrac) sono particolarmente apprezzati da tutti gli strati sociali del Medioevo. Il protocollo del gioco è semplice: su una tavolo, vengono disposti pedoni, che vengono spostati su un percorso stabilito in funzione del punteggio ottenuto con il lancio di dadi.

Si contano più di 600 giochi a dadi

Ma se i giochi da tavolo risultano molto apprezzati, il gioco dei dadi è quello che conquista pienamente l’adesione popolare. Fatto di osso, di osso di cervo o, per i più ricchi, in avorio, il gioco dei dadi è utilizzato più spesso in un lancio di tre dadi, in maniera simultanea o successiva. Alla fine del Medioevo, risulteranno repertoriate più di 600 regole differenti. La taverna diventa, a quel punto, il suo luogo prediletto: essa offre uno spazio di sciabilità, propizio alla festa ed al divertimento popolare. Ma giocare ai dadi non è senza pericolo; le favole del Medioevo ce lo ricordano: ci si può lasciare persino la “camicia” ! Forte del suo successo, il gioco dei dadi viene accusato di tutti i mali: è il gioco del diavolo, trasmesso ai piedi della Croce ai soldati romani ed interdetto al clero. Da morale, la condanna diventa a quel punto giuridica: nel 1369 vengono, in tale contesto, vietati tutti i giochi d’azzardo. Tuttavia, essi continuano a svilupparsi con una grande forza, per raggiungere il loro apogeo agli inizi del XVI secolo. Nascono persino le case da gioco, sottoposte ad alta pressione fiscale ed una accresciuta sorveglianza da parte delle autorità locali. Anche il tempo, posta in palio del potere temporale e spirituale, viene ancor più sottoposto a controllo, specie quando si tratta del tempo libero. Per quanto riguarda le donne, ad esse viene offerto il ricamo come passatempo. Ma nel 1351, nel Decamerone, Giovanni Boccaccio (131-1375) propone loro un programma più sovversivo : leggere novelle ed … amare !! In una società in divenire che fa del gioco il suo specchio, il piacere vietato diventa uno spazio da conquistare. La tavola, in questo contesto, sia che esibisca fastosi apparati, o che nasconda i suoi aspetti ludici, ne costituisce il simbolo. Banchetti, festini, divertimenti costituiscono, pertanto, un aspetto per esorcizzare una società ossessionata dalla fame, dalle privazioni, dalla carenza e dalla limitata sicurezza sociale.


Massimo Iacopi

 

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