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RIFLESSIONI SULL'AMICIZIA

      

   

Editoriali

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Saggio di:

Carmelo Maria Sarcià


L’amicizia è un bene prezioso, ma soggetto ad esaurirsi come ogni prodotto umano

 

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L'AMICIZIA DEI PICCOLI


Filosofia del Pensiero

RIFLESSIONI SULL'AMICIZIA

L’amicizia è un bene prezioso, ma soggetto ad esaurirsi come ogni prodotto umano

(Le Terre di Mezzo, 26/05/2023)

RIFLESSIONI SULL'AMICIZIA

I fattori che concorrono a configurare uno status amicale fra individui atto a costituire il paradosso dell'amicizia, sono davvero molteplici e non sempre così limpidi ed autonomi, talché possano dare luogo a rapporti confidenziali che esauriscano le loro basi costitutive nel solo ambito dell'enunciato.

Dobbiamo partire da un assioma naturale, comune in genere a molte creature viventi del regno animale, soprattutto all'uomo e concludere affermando un concetto basilare del quale tenere conto, ogni qual vota si venga colti dall’entusiasmo di avere incontrato una persona amica con la quale condividere confidenze, attività ludiche, momenti di dolore, e cioè che “l'amicizia non esiste”. O meglio, esiste soprattutto nel suo ancestrale significato e nella teoria delle sue buone intenzioni, oltre che nella poesia, nella letteratura, nei trattati fra i popoli e i governi (in questo caso circoscritta a determinati impegni e mai durevole per il tempo che si era prefigurato; la Brexit ne è l’esempio più vicino), ma non esiste nella forma che comunemente le si attribuisce, cioè quella di rapporto solidale e di reciproca fiducia da coltivare e da portare avanti senza alcuna prevedibile soluzione di continuità. Il motivo della “non esistenza” dell'amicizia é strettamente legato alla natura degli esseri umani. Lo stesso discorso potrebbe farsi, forse in modo più lineare e dimostrabile, sugli animali. Chi ha avuto la possibilità o la fortuna di allevare animali o di averne accanto di domestici, sa come ciascuno riveli un proprio carattere, delle preferenze, delle simpatie e delle gelosie che inevitabilmente sfociano quando in un morboso attaccamento, quando in ostilità e disagio. Quanto agli uomini, queste identiche pulsioni caratteriali moltiplicano i loro effetti, proprio perchè gli uomini posseggono il pregio ed il difetto dell’intelligenza, che si compone e si estrinseca in comportamenti a volte anche estremi, con svariatissime sfumature, che rivelano platealmente o subliminalmente le intenzioni recondite dei vari soggetti; intenzioni che si manifestano nel germe della permalosità, nella capacità di leggere in uno sguardo la qualità del pensiero, nel tono della voce, in una mossa delle braccia o delle mani, nei gesti, nelle preferenze, nelle aspirazioni, nei dissensi, nella tolleranza o meno, nella noia manifesta, nell'interesse o nel disinteresse, nei desideri contrastanti, nell'antipatia mascherata da sussiego o disapprovazione e in tante altre innumerevoli caratterizzazioni. La percezione di questi moti, che tra l'altro di solito è reciproca, fa si che sulla base costitutiva dell’amicizia (immaginiamola come una tovaglia stesa su di un tavolo) di tanto in tanto si depositino scorie, malintesi, dubbi, reazioni, malsopportazioni, intolleranze, rifiuti.

Dapprima queste scorie appariranno, se potessimo raffigurarle, come granelli di polvere, poi come grani di terra, di molliche e infine come bucce, avanzi, incarti e così via, fino a diventare macigni, in un’escalation naturale, irreversibile e incontrollabile, in quanto frutto di reazioni psichiche direttamente connesse alla natura di ciascuno, per sedare le quali non basta la volontà, ma occorrerebbe l'auto imposizione, ossia l’auto esercizio di una violenza morale e psicologica, quasi sempre non condivisa e pertanto non accettabile all’infinito. Ed è proprio questo il problema che come un tarlo si insinua nel rapporto amicale e lo logora fino a farne cessare i presupposti e le ragioni: il doversi imporre il silenzio, il dover sorvolare sui malintesi, lo sforzo di dimenticare e quello di mutare il senso della propria percezione.

Tutto ciò determina il crescere degli ostacoli e impedisce di mantenere costante la tipologia costitutiva dei rapporti amicali, impedendo di farla addirittura crescere, come suggerirebbe una ferrea dottrina della conduzione dei rapporti amicali. Si giunge quindi, senza che ci si era proposti di farlo, ad uno stato di spossatezza, ad una sorta di inappetenza psicologica, ad un larvato rifiuto destinato a materializzarsi con espressioni e comportamenti che nulla avrebbero di amichevole, ma che non si riesce più a frenare o far tacere, proprio per la rilevanza che essi via via hanno assunto.

Mi piace, a questo punto, fare cenno ad un particolare tipo di amicizia.. quella unilaterale, lx quale oresenta dei risvolti non trascurabili atti ad indurre le persone disponibili ad essere circuite, a concedere fiducia e ad accorgersi in ritardo di essere stati oggetto di truffe o, nella migliore delle ipotesi, di essere state usate per soddisfare esigenze temporali ed occasionali di approfittatori professionali. Mi riferisco a quelle amicizie non richieste che vengono quasi ompostd con motivazioni trionfalistiche o piagnucolose e sh dissolvono comd neve al sold fopo che l'ammaliatore ha ottenuto ciò che desiderava ottenere. Di questa specie di amicizie a tempo ho avuto modo di riscontrare la loro massima diffusione in tutti i ceti sociali del Centroitalia, forse retaggio delle cattive abitudini acquisite dalla popolazione nei secoli di sottomissione al potere temporale della Chiesa cattolica. In pratica il soggetto induvidua la persona achd ritiene in grado di fornirgli l'utilità che gli occorre, ne acquisisce la disponibilità per il tramite di una terza persona conosciuta da entrambi e si produce in attestati di stima e in promesse di liberalità imprecisate e non richieste, quindi presenta il suo problrma, nd ottirnd la soluzione e poi letteralmente sparisce; e, se per caso in seguito dovesse incontrare il suo benefattore, cambierà marciapiede e farà finta di non averlo visto. Consiglio prudenza, temporeggianenti e tergiversazioni.

Dai Padri della Sociologia ci giunge un monito, frutto di studi, osservazioni e comparazioni: l'essere umano è una creatura indigente, nel senso che, per condurre la propria esistenza egli necessita dell'aiuto di altri. Questo bisogno ha inizio con la nascita e si protrae nel tempo, tra alti e bassi, per il resto della vita. Ci sono animali che vengono alla luce già provvisti di una propria autonomia che li rende capaci di muoversi, di alimentarsi, di sottrarsi istintivamente ai pericoli; così ad esempio i pulcini, le piccole tartarughe marine, i rettili. Altri animali vengono alla luce provvisti di un’autonomia limitata; sono in grado cioè di muoversi, ma hanno bisogno dell'assistenza materna per alimentarsi, come ad esempio gli equini, i suini e gli ovini. Altri invece nascono totalmente dipendenti dalla madre, tanto che senza la sua assistenza morirebbero in breve tempo; così gli uccellini nel nido, i gattini, i cagnolini e come questi, anche i figli dell’uomo. E tuttavia, questo bisogno dell'altro, bisogno primordiale che si sviluppa e si estrinseca innanzitutto nella famiglia, è soprattutto tipico dell'uomo. Dà luogo ai gruppi, fonda le comunità, costituisce le nazioni e radica gli Stati. Esso non comporta necessariamente il sentimento dell’amicizia, poiché ciascun essere umano è comunque programmato per difendere i suoi averi, anche con la spada e con essi, il suo territorio, la sua casa e soprattutto le sue idee.

Questa caratteristica immutabile dell'uomo si percepisce nei rapporti tra gruppi, ma si manifesta soprattutto nei rapporti tra gli individui. Avremo quindi individui che saranno in disaccordo permanente con altri individui e soggetti che al contrario concorderanno con altri soggetti su dei principi chiave ritenuti fondamentali per la conduzione della vita comunitaria, oltre che per la sopravvivenza. Ecco però materializzarsi a questo punto il fenomeno della diversità fra gli individui. Persino nell’ambito di un “pensiero” sul quale essi sembrerebbero trovarsi d'accordo, il contrasto non tarderà a materializzarsi, proprio perché ogni cervello ha un suo modo di pensare, di percepire, di comprendere e di elaborare. Nessuna persona è uguale ad un'altra, nel bene e nel male. Le incomprensioni ed i contrasti sono quindi inevitabili e sono anzi destinati a crescere piuttosto che contenersi o addirittura sparire. Avviene nelle famiglie, figuriamoci se non avverrà tra estranei pur legati da amicizia, da interessi comuni e da obiettivi e traguardi condivisi.

La vita quotidiana ne è stracolma. De Benedetti, tessera numero uno del PD, un bel giorno ha donato la proprietà dei suoi “giornaloni ai figli. Dopo qualche anno lo stesso ne ha chiesto la restituzione e non avendola ottenuta, ha fatto causa ai propri figli … e l'ha anche persa. Non parliamo poi della famiglia Agnelli che si sta ancora scannando sui diritti successori consistenti in svariati miliardi accumulati nelle banche svizzere dal cosiddetto Avvocato il quale, tra una minaccia e l'altra ai Governi italiani di licenziare gli operai, accumulava elargizioni a fondo perduto decretate dai Governi stessi, sempre pronti a tutelare il diritto al lavoro dei metalmeccanici. Di amicizie che si interrompono o che addirittura sfociano in liti giudiziarie, sono piene le cronache quotidiane. Cosa dire in conclusione? Diciamo che è lecito, utile, necessario, opportuno, auspicabile, coltivare l'amicizia, così come è importante farsi una famiglia, intrattenere rapporti di consenso e di collaborazione con altri, associarsi per fini culturali, sportivi e commerciali, ma bisogna essere costantemente consci che tutto ha una fine, anche l'amicizia e di conseguenza è necessario comportarsi con le dovute accortezze ed i necessari distinguo. Abbiamo visto persino Preti che si sono spretati, interrompendo l’amicizia coi parrocchiani, coi colleghi prelati e con la Chiesa; abbiamo assistito a contorsioni e giravolte, lecite e comunque imprevedibili, di Monache smonacatesi dopo un crescendo di prove sperimentali di resistenza alle tentazioni. Poi c'è la storia che ci mostra in proposito uno spettacolo avvilente, mortificante, tragico, di Stati “amici” (Terzo Reich e URSS) che d’amore e d’accordo si sono divisa la Polonia e poi si sono fatta la guerra all’ultimo soldato. Parimenti oggi osserviamo come la Russia, già madre patria degli Ucraini, stia uccidendo a miglia i suoi figli e come i figli Ucraini facciano altrettanto con quei Russi che erano stati per tanti anni loro fratelli e amici.

Concluderei quindi raccomandando di coltivare, si, l'amicizia, ma sempre guardinghi sui possibili tradimenti, sempre prudenti nelle espressioni e nelle confidenze e sempre consapevoli che quell'amicizia durerà soltanto fino a quando sarà possibile tollerarne le scorie che si andranno a depositare su quella “tovaglia” metaforica e poi si estinguerà, come si estingue ogni cosa terrena; sperando almeno che l’estinzione non dia luogo a spiacevoli strascichi. Ed è proprio su questo aspetto, sempre latente e quindi possibile, che dobbiamo riflettere ed essere costantemente cauti, guardinghi e preparati ad affrontare ogni evenienza.



Carmelo Maria Sarcià

 

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