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ROMA : LE RAGIONI DI UN’EGEMONIA

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Come ha potuto Roma estendere la sua influenza oltre i confini della penisola?...

 

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Riflessioni sulla capacità di espansione di una città come Roma

ROMA : LE RAGIONI DI UN’EGEMONIA

Come ha potuto Roma estendere la sua influenza oltre i confini della penisola?...

(Assisi PG, 12/10/2023)

ROMA : LE RAGIONI DI UN’EGEMONIA

Come ha fatto Roma, una città come tante altre, ad estendere la sua influenza su tutta la penisola italiana e ben oltre i suoi confini? Attraverso una concezione della cittadinanza molto aperta, inusuale per quei tempi, è riuscita a formare una classe dirigente, Re, Imperatori, Tribuni, Consoli, capace di creare le condizioni tattico strategiche per realizzare il suo formidabile dominio oltre ogni possibile previsione. Per spiegare il dominio plurisecolare di Roma su un impero territoriale di grandezza inaudita, gli storici antichi della fine della Repubblica e dell'Impero si riferivano volentieri alla volontà degli dei. Non era tuttavia già scritto sin dagli inizi che Roma avrebbe dovuto conquistare il bacino del Mediterraneo e gli storici cercano da lungo tempo di comprendere le modalità della progressiva costruzione di questo vasto impero territoriale, a partire da una città stato, che nulla distingueva veramente dalle altre città del Mediterraneo, etrusche, fenicio-puniche, greche, che controllava un territorio limitato, parte integrante della stessa città e sempre in lotta fra di loro per stabilire una egemonia temporanea sulle città vicine vicini. Nel Primo Secolo, l'essenziale delle conquiste territoriali risultava compiuto, come ben affermata anche la pretesa di Roma a governare l'insieme del mondo civilizzato conosciuto. La solidità del sistema di dominio instaurato dalla città dipende certamente dalla sua favorevole situazione, un nodo naturale di comunicazioni sul Tevere, ma anche dalla forza delle sue istituzioni ed all'originalità della sua concezione della cittadinanza. Assimilando dalle origini gli stranieri e gli schiavi affrancati, mai la città di Roma si é identificata con un solo territorio ed un solo popolo.

Re conquistatori

La formazione della Città stato ha avuto inizio dal Nono secolo, attraverso la fusione delle comunità di villaggi e si completa solo nel Settimo Secolo, quando la città si dota dell'apparato monumentale caratteristico di una città: una grande piazza pubblica (Forum), una cinta muraria, un palazzo reale ed un luogo di assemblea dei cittadini (Comitium), oltre a diversi santuari (in onore di Vesta sul Foro, di Giove Feretrio sul Campidoglio). Nel corso di questa evoluzione, si verifica la nascita del potere reale (monarchico) nel -VIII secolo (gli storici antichi pongono la fondazione rituale della città di Romolo nel 753 a.C.), che marca anche la nascita della città. Da questi inizi, Roma si distingueva dalle altre città-stato in corso di formazione in Italia per le sue dimensioni: essa si estendeva, nell’Ottavo Secolo, su circa 2,8 km², ovvero due volte di più delle sue vicine etrusche: Veio, Cere, Tarquinia. Le fonti disponibili descrivono i re di Roma (Romolo, Tullo Ostilio, Anco Marzio e Tarquinio Prisco, in particolare) come conquistatori, che avrebbero ampliato il territorio della città verso il nord (Fidene), verso i Monti Albani (con il controllo di Giove Latiaris sulla cima del Monte Cavo) e verso sud, fino alla foce del Tevere, dove Anco Marzio avrebbe fondato un porto ad Ostia, intorno al 620 A.C. I primi re di Roma hanno accresciuto il territorio controllato dalla città, fra Fidene al nord, Ostia a sud, dal fiume Galeria ad ovest ed ai Monti Albani ad est, portandolo a più di 800 km² alla fine del Quinto Secolo. Su questo territorio, i Romani hanno messo in piedi un sistema di fattorie e di poderi agricoli ed hanno sviluppato la produzione di cereali, di vino, l'allevamento dei ovini e dei suini. Lo sfruttamento delle saline sulla foce del Tevere, specialmente sulla riva destra, garantiva delle entrate rilevanti per le casse della città. Questa espansione territoriale viene accompagnata da una forte crescita demografica: Roma integra nel suo sistema le piccole comunità conquistate ed accoglie numerosi immigrati, specialmente Sabini uno dei re di questo popolo dell'Italia centrale, Tito Tazio, avrebbe persino regnato per un certo periodo sulla città a fianco di Romolo. Nel Sesto Secolo, sotto i re etruschi Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, la superficie dell'agglomerazione viene raddoppiata, per raggiungere i 4,6 km² all'interno della cinta muraria attribuita a Servio Tullio. Numerosi artigiani, fra i quali molti Etruschi, attratti dalla città, vengono ad ingrossare i ranghi di quella che verrà progressivamente la Plebe, la massa degli uomini liberi che non rientravano nella dipendenza di un clan aristocratico (gens). I re etruschi hanno governato la città, a simiglianza di tiranni greci ed hanno sviluppato il suo apparato monumentale: il tempio della Triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva) viene eretto sul Campidoglio, con un podio della misura di 53,5 x 62,5 metri, che costituiva il più grande edificio di culto conosciuto in Italia fino all'epoca imperiale. La città era protetta da una città muraria in tufo grigio e disponeva di un sistema fognario (Cloaca Massima) per smaltire definitivamente il settore del Foro e del Grande Circo, destinato alle corse di cavalli e di carri. Questa “Grande Roma dei Tarquini” era una città aperta sul mondo mediterraneo: essa intratteneva relazioni d'amicizia con altre città e conclude alla fine del Sesto Secolo, un trattato con Cartagine per fissare i diritti di navigazione e di commercio fra Romani e Punici. A quest'epoca Roma deve già contare circa 80 mila cittadini, secondo gli autori antichi, o piuttosto 40 mila secondo le stime più prudenti, Questa forza demografica permetteva di mobilitare un potente esercito, composto da due legioni di trecento cavalieri e tremila fanti ciascuna, con il quale la città resiste per tutto il Quinto Secolo alla pressione che le popolazioni dell'interno della penisola (Sabini, Equi, Volsci) esercitavano sul Lazio e sulla piana pontina. Il regime monarchico termina nel Quinto Secondo la tradizione, che riferisce che il re Tarquinio viene scacciato dalla città da una rivoluzione popolare. Alla monarchia succede la Repubblica, le cui istituzioni vengono progressivamente messe in funzione nel Quinto Secolo, in un contesto di forte tensione sociale fra patrizi e plebei.

La “Lega Latina”, sotto la Repubblica

In parallelo, al termine della guerra contro le città latine, Roma instaura una alleanza tripartita, che prevedeva una difesa comune ed un comando militare a turno fra i tre contraenti: i Romani, l'insieme delle città latine (a partire dal trattato concluso dal Console Spurio Cassio nel 493 a.C.) e l'insieme delle città degli Ernici (a partire dal 486 a.C.). Questa alleanza, che veniva chiamata “Lega latina” (o piuttosto Lega Romano-Latino-Ernica), disputava il controllo della piana pontina agli Equi ed ai Volsci e la media valle del Tevere ai Sabini. Questi alleati condividevano dei diritti in comune: questo “diritto latino” prevedeva, ad esempio, la possibilità di insediarsi in una città alleata e di acquisirvi diritti politici o la validità dei matrimoni e delle transazioni commerciali fra alleati. Essi hanno, in tale contesto, fondato città, le colonie latine, beneficiarie del diritto latino ed parte integrante della stessa alleanza. Alla fine del Quinto Secolo, Roma si lancia in una politica espansionista, forse per sviare le costanti rivendicazioni dei plebei (ottenimento di terre, alleggerimento di debiti) o più semplicemente perché le grandi famiglie patrizie desideravano aumentare i loro latifondi. In un primo tempo, questa politica verrà condotta ai danni delle città etrusche. Dopo cento anni di conflitti ed al termine di un lungo assedio, Roma riesce ad avere ragione della prospera Veio, posta a solo 18 km di distanza e che le contendeva il controllo della navigazione del Tevere ed il possesso delle saline alla foce del fiume. Conquistata nel 396 a.C, la città etrusca verrà distrutta e la sua popolazione annessa. In tal modo Roma raddoppia il suo territorio, che raggiunge ormai i 1.580 km². Nella prima metà del Quarto Secolo, i Romani proseguono la loro espansione, mettendo a punto una formula originale, il municipium, che consisteva nell'integrare nella città romana una comunità che conservava le sue proprie istituzioni ed i suoi culti, ma acquisiva la cittadinanza romana (con o senza il diritto di voto, a seconda dei casi). La città latina di Tusculum, nei Monti Albani, diviene, in tale contesto nel 381 a.C., il primo municipio romano. In seguito, la ricca città di Capua, minacciata dai Sanniti, riceve, a sua volta, la cittadinanza romana senza suffragio (nel 343 a.C.). Questo espansionismo romano porta un disequilibrio nelle relazioni fra i Romani ed i Latini, portando quest'ultimi a ribellarsi a Roma. Ma, duramente sconfitti dopo due anni di guerra (340/338 a.C.), i Latini vengono severamente puniti: Roma dissolve la Lega Latina, adotta trattati individuali (foedera) con le principali città latine ed erniche ed integra come municipi diverse città latine (Lanuvio, Ariccia). Pur continuando a conservare le istituzioni di una città-stato, Roma diventava progressivamente uno stato territoriale, con un territorio stimato a 5.525 km², che si estendeva su una grande parte del Lazio e della Campania. I Romani, forti della loro potenza demografica, attaccheranno nei decenni seguenti a tutte le popolazioni dell'Italia peninsulare; Essi battono in successione gli Etruschi (nel 358/351 a.C. e nel 311/308 a.C. in particolare), i Sanniti (fra il 327 ed il 290 a.C.), gli Ernici (nel 306 a.C.), i Marsi (nel 302 a.C.), i Sabini (290 a.C.), i Galli Senoni (tra il 284 ed il 282 a.C.), Taranto e le città della Magna Grecia (nel 272 a.C.), i Piceni (tra il 268 ed il 267 a.C.), i Salentini (tra il 267 ed il 266 a.C.). Occorreranno, dunque, ai Romani più di 120 anni per consolidare il loro dominio sull'insieme della penisola, al prezzo di una resistenza accanita, specialmente quella dei Sanniti. Il processo di conquista non sarà lineare, ma andrà incontro a diversi insuccessi, come nel 321 a.C. con la sconfitta delle Forche Caudine contro i Sanniti. A seguito di questa espansione le cifre del censimento mettono in evidenza il forte aumento della popolazione romana che nel 265 /264 a.C. passa da 150 a 292 mila individui.

Strade e colonie

Viene progressivamente adottato dai Romani un sistema originale di controllo delle popolazioni italiane, per assicurare il loro dominio su questa vasta “confederazione”. L'insieme dell'Italia viene in primo luogo attraversata da una rete di strade, che collegano, conseguentemente Roma alle sue colonie e facilitano lo spostamento delle truppe. Ma, soprattutto, Roma fonda due tipi di colonie per consolidare il suo potere. Sulle terre prese al nemico applica, in primo luogo ed a suo vantaggio, il sistema delle colonie latine, sperimentato ai tempi dell'alleanza Romano-Latino-Ernica. I cittadini di queste città, che contavano dai 2.500 ai 6.000 individui, possedevano l'antico diritto latino, fatto che facilitava le loro relazioni con Roma. Semplicemente, invece di essere membri della Lega come ai primi tempi della Repubblica, queste colonie risultavano chiaramente sottoposte a Roma, alla quale erano obbligate a fornire soldati. La prima colonia latina, Cales, viene fondata su un territorio preso ai Sidicini nel 343 a.C.; l'ultima viene creata sui confini orientali della Cisalpina, nel 181 a.C. Il secondo tipo di colonie, le colonie romane, appare nella seconda metà del Quarto Secolo: si tratta questa volta di colonie di cittadini romani, che nella pratica sono piccole città di guarnigione (300 cittadini di media), incaricate un punto strategico del territorio, in particolare le coste, come Ostia, Anzio o Terracina, Altri territori, infine, come la Sabina nel 290 a.C., riceveranno inizialmente solo la cittadinanza senza suffragio e verranno amministrati da prefetti romani, prima di ottenere la cittadinanza completa. I rapporti con Roma con le altre popolazioni vinte venivano regolati da un trattato (foedus) che li trasformava in alleati (Socii) del popolo romano, al quale essi dovevano fornire truppe, di cui esse finanziavano il mantenimento. In tal modo, lo storico greco Polibio afferma nel 225 a.C., in occasione di una offensiva di Galli Cisalpini nell'Italia peninsulare, che Roma poteva contare su 23 mila cavalieri e 200 mila fanti romani mobilitabili e su 47 mila cavalieri e 500 mila fanti. Essa poteva mobilitare quattro legioni (ovvero da 18 a 20 mila uomini) ed un numero equivalente di alleati, per formare un esercito medio di 50 mila uomini, ovvero un effettivo superiore agli eserciti dei principali regni ellenistici. Da quel momento, si comprende meglio, la forza d'urto romana nelle guerre d'oltremare, spesso su diversi fronti nello stesso tempo, inizialmente contro Cartagine e quindi verso l'Oriente greco. Dotata di un territorio e di una popolazione più rilevante della media delle città, Roma riusciva più che a raddoppiare i suoi contingenti armati con le truppe fornite dai suoi alleati. In un momento drammatico della sua storia, nel corso della II Guerra Punica (218/202 a.C.), questa situazione di vantaggio demografico consente all'Urbe di riprendere il vantaggio su Annibale, proprio quando i Cartaginesi si erano insediati sullo stesso suolo italiano, a seguito di ripetute e sanguinose sconfitte e minacciavano seriamente la sua supremazia sulla penisola. Nonostante perdite importanti d'uomini in sconfitte sanguinose, come quelle del Trasimeno nel 217 a.C. (diecimila morti romani secondo le fonti antiche) o di Canne in Puglia (cinquantamila soldati uccisi), i Romani riusciranno a reintegrare le loro forze con l'aiuto di una parte importante dei loro alleati italiani, che non erano passati ai Punici: se i Galli della piana del Po ed una parte delle popolazioni italiche e greche del sud della penisola avevano accolto favorevolmente Annibale, che proclamava la liberazione dal dominio di Roma, gli Etruschi, gli Umbri, i Sabini, i Latini, ed una parte dei Sanniti rimangono fedeli all'alleanza romana. Durante tutto il conflitto Roma potrà mantenere alle armi da 10 a 25 legioni, che le consentiranno di combattere simultaneamente su diversi fronti (Italia, Gallia, Spagna, Sicilia, Macedonia e poi in Africa), come anche sul mare. Polibio, qualche decennio più tardi, attribuisce all'eccellenza delle istituzioni della Repubblica la vittoria romana su Cartagine. Ma tutto questo é stato anche l'effetto di una perfetta organizzazione logistica ed alla solidità del suo consolidamento nella penisola.

Verso l'impero mondo

L'opinione pubblica romana e, senza dubbio, una parte degli alleati credevano nella vocazione italiana di Roma. Alle origini, per contro, estendere il dominio di Roma al di là dei mari non era del tutto scontata. Passi ancora per le due prime guerre puniche, che erano state percepite come guerre difensive. La prima (264/241 a.C.) aveva come obiettivo il controllo dello Stretto che separava l'Italia dalla Sicilia e fornire sicurezza alle coste italiane. I Romani erano legati ai Cartaginesi da una alleanza antica che garantiva le loro acque territoriali, ma ormai l'Urbe, padrona dell'Italia, poteva percepire come una minaccia la presenza dei Punici nelle tre isole mediterranee del Tirreno, Sicilia, Sardegna, Corsica. Nel corso della II Guerra Punica (218/202 a.C.), i Romani, che si preparavano, da parte loro, ad intervenire contro le pretese di Cartagine in Spagna, vengono attaccati proprio in Italia dai Punici, che cercavano di distruggere il dominio romano sulla penisola, Questi due conflitti danno a Roma il possesso di territori oltremare: le isole del Tirreno, quindi la facciata mediterranea della Spagna. La Repubblica, invia, in tale contesto, alcuni magistrati per amministrare tali province (il termine latino provincia designava all'inizio una missione affidata ad un magistrato). Gli interventi verso l'Oriente greco suscitano, per contro vivaci dibattiti. In tale contesto, allorché le città greche faranno appello ai Romani contro Filippo il Macedone nell'anno 200 a.C. i cittadini si rifiuteranno in primo luogo di votare la guerra. Occorrerà convincerli, agitando la minaccia di uno sbarco macedone nel nord della Puglia, che concorrerà rapidamente a far risuscitare il ricordo traumatico dell'azione di Annibale diciotto anni prima. Nell'ambito del Senato non tutti erano convinti della vocazione di Roma ad estendere il suo dominio sull'insieme del bacino del Mediterraneo. Catone, il celebre censore del 180 a.C., é stato il campione di quelli rifiutavano un espansionismo in tutte le direzioni; egli riuscirà, ad esempio, ad allontanare una minaccia di rappresaglia contro i Rodiesi, alleati di Roma, accusati di non averla sostenuta durante la guerra contro Perseo di Macedonia (171/168 a.C.). Dal lato opposto, una tendenza, incarnata da Scipione l'Africano, il vincitore di Annibale ed i suoi seguaci, vedevano negli interventi di Roma in Oriente una crociata per la difesa e l'espansione dei valori di civiltà delle città greche di fronte alle monarchie ellenistiche. In effetti, le aristocrazie romane, perfettamente bilingue, risultavano profondamente impregnate della cultura greca. Se i più tradizionalisti, dietro Catone, rivendicavano le virtù e l'austerità romane, molti insistevano sulle origini greche di Roma, basate sull'odissea del principe troiano Enea. Ammiratori del pensiero greco, i senatori del “Circolo degli Scipioni” ne adotteranno i modi di vita. Essi non riserveranno la stessa sorte delle città greche, che ai Celtiberi di Spagna, ad esempio: alcune province sono state istituite sul territorio dei secondi nel 197 a.C., mentre il generale romano Flaminio, proclamava solennemente a Corinto, nel 196 a.C., la libertà resa dai Romani alle città greche alla fine della II Guerra di Macedonia e l'evacuazione del territorio della Grecia, da parte dell'esercito romano. Una simile attitudine si basava tuttavia su malinteso di partenza: l'amicizia offerta da Roma implicava che i suoi alleati dovessero avere gli stessi amici e gli stessi nemici dell'Urbe e, nella pratica, faceva loro perdere ogni libertà in politica estera. Eppure, le città greche continueranno le loro lotte intestine, alcune di esse si faranno sedurre dai sovrani ellenistici, come Perseo di Macedonia, che proclamavano di liberarli a loro volta, dalla pesante amicizia dei Romani, estendendo nel contempo i loro regni. Gli interventi dell'esercito romano nel Mediterraneo orientali tenderanno pertanto a moltiplicarsi. Polibio faceva risalire alla fine della guerra contro Perseo, nel 168 a.C., il consolidamento del dominio incontestato di Roma sul mondo. Sarà in ogni caso, a partire da quest'epoca, fra il 168 a.C. ed il 146 a.C., che i Romani assumeranno pienamente la loro egemonia sul bacino del Mediterraneo e che verrà applicato un “imperialismo” (anche se il termine, inventato nel XIX Secolo verrà applicato per la prima volta ai Romani dallo storico francese Michelet) che prevale senza più resistenze. Nel 146 a.C. due avvenimenti drammatici, la distruzione di Cartagine e quella di Corinto, simbolizzano questo momento di svolta. In questo stesso anno vengono create nuove province, la Macedonia e l'Illiria da una parte e l'Africa sul territorio di Cartagine, dall'altra. Tuttavia, amministrare direttamente un territorio comportava, per la Repubblica, il mantenimento in loco di un minimo di truppe, oltre ad un accrescimento del numero dei magistrati ed un ricorso sistematico alla proroga delle magistrature, vale dire al prolungamento del potere dei magistrati sul territorio che dovevano governare solo per un anno. Il Senato vi vedeva una diminuzione del suo controllo sui magistrati e preferirà spesso ricorrere ad una forte diplomazia, attraverso un sistema di Staticlienti strettamente controllati. Ormai l'idea che prevaleva a Roma era quella che i re ed i popoli che avevano contratto un trattato di alleanza, anche se gli stessi erano stati dichiarati liberi, essi dovevano comunque la loro libertà alla benevolenza di Roma. Alcuni di questi re, nomineranno i Romani come loro eredi. In tale quadro, Attalo di Pergamo lascerà ai Romani il suo regno, che diventa la Provincia d'Asia. Ma fino alla conquista da parte di Giulio Cesare della Gallia (58/51 a.C.) ed anche fino al regno di Augusto, a partire dall'anno 27 a.C. l'organizzazione territoriale dell'impero in province, pur direttamente gestite da Roma, non riesce ad imporsi immediatamente. Ne é testimonianza, ad esempio, la difficoltà che incontrano gli storici a fornire una data precisa la comparsa della Gallia transalpina, fra la creazione della Colonia di Narbona, nel 118 a.C. e la prima testimonianza accertata dalla presenza di un governatore nell'anno 74 a.C.

Una cittadinanza aperta

L'originalità della loro concezione della cittadinanza costituisce un fattore chiave per comprendere come i Romani hanno esteso il loro dominio. Questi ultimi non riservavano lo statuto di cittadino ai soli uomini liberi nati sul territorio della città, da parenti essi stessi cittadini, a differenza di numerose altre Città-Stato. I primi secoli della storia di Roma sono stati marcati all'interno delle sue mura e dall'assimilazione di popolazioni straniere; allo stesso modo, gli schiavi affrancati da un cittadino romano prendevano dall'inizio, lo statuto del loro padrone, divenendo essi stessi cittadini. Si é detto anche che Roma ha creato le colonie per controllare il territorio italiani passato sotto il suo dominio: i romani inviati in queste nuove città mantenevano il loro statuto di cittadino romano o assumevano quello di latino, nel caso di colonie latine; le loro istituzioni risultavano calcate su quelle di Roma e le città così create risultavano, in qualche maniera, emanazioni di Roma. Gli abitanti già sul posto al momento della fondazione della colonia venivano spesso ridotti al semplice rango di residenti stranieri, a volte anche integrati nella nuova città, divenendo cittadini romani di diritto latino. Si intravede in questi atti, in germe, la concezione di una città che si dilata nello spazio ed il cui tratto d'unione nel risiede nel fatto di abitare insieme su uno stesso territorio, ma in quello di condividere lo stesso statuto civico, che implica gli stessi diritti e gli stessi doveri. Tuttavia, non bisogna sempre immaginare che questa diffusione della cittadinanza abbia proceduto senza intoppi. Lo statuto di cittadino romano era diventato quello del popolo dominante. Questa condizione viene percepita come un privilegio che i Romani non avrebbero necessariamente voglia di condividere, mentre, d'altro canto esso era ormai ricercato dagli alleati italiani per le stesse ragioni. In un primo tempo, i popoli e le città d'Italia vinti da Roma, avevano considerato che mantenere le loro proprie istituzioni rappresentasse il segno di un trattato onorevole, mettendoli su un piede di uguaglianza relativa con il loro vincitore. Tuttavia, la prosecuzione delle operazioni militari nel Mediterraneo ed i vantaggi che esse apportavano ai Romani (a partire dal 167 a.C. i cittadini romani non pagheranno più tasse per mantenere le loro forze armate) spingeranno i vinti a desiderare di condividere lo statuto dei vincitori. L'opinione pubblica era divisa di fronte a questa rivendicazione: alcuni magistrati, come Caio Gracco, il tribuno della plebe dal 123 al 122 a.C., avrebbero voluto concederla, ma le loro proposte si sono scontrate a forti opposizioni da parte degli altri membri dell'aristocrazia, che intravvedeva un rischio di destabilizzazione della vita politica, come anche una parte del popolo che non era d'accordo a condividere questo statuto privilegiato. I fautori dell'estensione, minoritari, furono costretti a rinunciare. Nel Secondo Secolo si assiste, in tale contesto, ad una relativa chiusura della cittadinanza: le cifre dei censimenti trasmessi dalle fonti antiche evidenziano una debole progressione del numero dei cittadini ed, a diverse riprese, i Latini che erano venuti a Roma per ricevervi la cittadinanza vennero espulsi dalla città. Nel 91 a.C. il tribuno della plebe Marco Livio Druso, che ripropone nuovamente questa legge, muore assassinato, fatto che provoca l'entrata in guerra contro Roma di una grande parte degli alleati italiani. Gli eserciti che si sono affrontati in questa guerra sociale (dal termine latino socius, equivalente si alleato) si conoscono perfettamente e questo conflitto assume rapidamente i caratteri di una lotta fratricida. Per Roma, il pericolo era grande, in quanto rimetteva in discussione il suo dominio sull'Italia. Senza che la sorte delle armi decidesse veramente, a partire dall'anno -89, una legge, completata da una serie di altri provvedimenti negli anni seguenti, concede la cittadinanza romana agli alleati che, a poco a poco, si schiereranno dalla parte dell'Urbe, anche con il grande contributo della diplomazia romana. La registrazione dei nuovi cittadini ha preso molto tempo: occorreva trovare un sistema per inquadrarli in unità politiche rappresentate dalle tribù (gens), delle suddivisioni in origine territoriali, ma che avevano perso questa caratteristica con il progredire della conquista dell'Italia e dell'integrazione nella città dei territori geograficamente lontani dall'Urbe. Questa lentezza dipendeva anche dal fatto che le aristocrazie politiche romane cercavano di limitare gli inevitabili sconvolgimenti che l'integrazione di nuovi cittadini nel corpo elettorale avrebbero creato. Una volta terminato il censimento nel corso dell'anno 70 a.C., il numero dei cittadini maschi adulti era più che raddoppiato, passato a 910 mila individui, installati su tutta la penisola. Le carriere diplomatiche si aprivano alle aristocrazie delle città d'Italia che possedevano la fortuna necessaria per essere eletti alle funzioni delle magistrature di Roma. Nello stesso tempo la nozione di civitas si dilatava: la Città-Stato diventa Stato, la città di Roma, l'Urbe, capitale d'Italia e di un immenso impero territoriale. Nei decenni che seguono, lo statuto di cittadino romano si diffonde nel seno di questo insieme, a causa della moltiplicazione delle colonie fondate nelle province (ad esempio Arles nel 49 a.C., Lione nel 43 a.C.) ed anche per la concessione della cittadinanza alle aristocrazie indigene, che si schieravano dalla parte di Roma. Cesare concede ugualmente la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi della Gallia Cisalpina, ovvero al nord dell'Italia. La popolazione cittadina, compresi donne e bambini, superava i quattro milioni agli inizi del regno di Augusto, nel 27 a.C. Il periodo repubblicano, che si conclude nel corso del Primo Secolo, é stato un formidabile laboratorio che ha visto l'elaborazione progressiva di una concezione originale del dominio di una città su vasti territori, in cui la diplomazia e l'apertura nei confronti delle dirigenze e delle aristocrazie vinte, conteranno spesso più della forza. Ma questo dominio comporterà anche la crisi delle istituzioni repubblicane, più adatte ad una città-stato che alla gestione di un impero ed, all'inizio della nostra era, all'introduzione del regime imperiale.

GLOSSARIO

COMITIUM: Luogo di riunione dei Comizi, le assemblee ufficiali del popolo romano suddiviso per Curie e per Tribù. Alla fine della Repubblica i Comizi tributi si tenevano al Campo di Marte, nelle Saepta.

FOEDUS: Trattato d'alleanza: le città legate a Roma da un foedus vengono denominate “città federate”.

FORUM; Piazza principale delle città romane, sede delle attività politiche, economiche e giuridiche essenziali.

GENS: Clan costituito da individui che possono fare riferimento ad un antenato comune e che portava lo stesso patronimico.

MUNICIPIO: Città annessa al territorio romano che conserva le sue istituzioni locali.

PATRIZI: Discendenti dei primi compagni di Romolo. Essi hanno esercitavano il potere fino al Quarto Secolo e detenevano il sacerdozio.

PLEBEI: Agli inizi, tutti i cittadini che non sono Patrizi fanno parte della Plebe. Essi ottengono i loro magistrati e i loro tribuni nel 494 a.C. A partire dagli inizi del Quarto Secolo le ricche famiglie plebee vengono integrate nell'aristocrazia politica; a quel punto il termine una connotazione sociale per designare i cittadini di modeste condizioni.

PROVINCIA: A partire dal Terzo Secolo, il termine designa territori fuori dall'Italia amministrati da un magistrato romano.

SOCIUS: Alleato. I Socii sono i popoli o città della penisola italiana alleati di Roma fino alla Guerra Sociale (91/88 a.C.).

URBS: In latino, la città. Con una maiuscola, il termine designa la città di Roma, vista come “la città per eccellenza”.

BIBLIOGRAFIA

Bourdin S., Les Peuples de l'Italie preromaine, VIII-I secolo a.C., Ecole Française de Rome, 2012.

Engerbaud M., Les premieres Guerres de Rome: 753-290 a.C., Parigi, Les Belles Lettres, 2020.

Hinard F., Histoire Romaine, tomo I: Des Origines à Auguste. Fayard, Parigi, 2000.


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