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LE POLITICHE TURCHE NEI RAPPORTI COL MONDO ARABO E CON L’OCCIDENTE

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Il Presidente Turco insegue un’anacronistica visione panislamica in parallelo con lo Sciita Iraniano

 

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RECEP TAYYIP ERDOĞAN


Nei Pensieri di Recep Tayyip Erdoğan la restaurazione del Sultanato

LE POLITICHE TURCHE NEI RAPPORTI COL MONDO ARABO E CON L’OCCIDENTE

Il Presidente Turco insegue un’anacronistica visione panislamica in parallelo con lo Sciita Iraniano

(Assisi PG, 08/02/2024)

Lo scorso maggio 2023 il leader turco Erdoğan ha vinto nuovamente le elezioni presidenziali e legislative a dispetto delle aspettative dell'Occidente che, more solito, confonde le proprie aspettative con la realtà effettiva. Per la prima volta Erdoğan é costretto al ballottaggio, ma non per questo cambierà la sua politica di indipendenza e “neo ottomana” del suo governo, con grande imbarazzo delle cancellerie occidentali. Gli scrutini presidenziali e legislativi del maggio 2023 scorso dovevano risultare un referendum “per o contro Erdoğan”. La sera del primo turno, il 14 maggio, il “per” si impone. Il forte tasso di partecipazione (89%) conferma per i Turchi l'importanza della posta in palio principale di questa elezione, come anche la sua legittimità democratica. Nonostante l'usura di venti anni di potere, il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan, 69 anni, é risultato il vincitore di questo primo turno con il 49,51% dei voti, che però, per pochi centesimi, lo costringe al ballottaggio del secondo turno il 28 maggio. Lo scontro al ballottaggio lo vede naturalmente in posizione di favorito, anche per effetto dell'atteso appoggio del 5,1% dei voti dell'Alleanza degli Antenati, l'ultra destra nazionalista, anti Kurda ed anti Armena. Alle elezioni legislative (ad un solo turno), Erdoğan e la sua Alleanza popolare hanno perso qualche centesimo, pur ottenendo ancora una volta la maggioranza assoluta (312 su 600), con gli elettori che hanno prebiscitariamente sanzionato la coalizione dei cinque partiti allineati sul programma islamo-conservatore autoritario di Erdoğan e dell'AKP (Partito della Prosperità), al potere dal 2003. L'adesione popolare a questa risorgenza “neo-ottomana” ha confermato il nazionalismo rivendicato dalla maggioranza dei Turchi, anche in seno alla Diaspora (circa 25 milioni di persone): il 63% dei suoi voti sono risultati allineati con il “sultano Erdoğan”. Sebbene i sondaggi avessero posto in testa l'Alleanza della Nazione (denominata Tavola dei Sei), questa insieme ad una coalizione di sei movimenti ostili ad Erdoğan, sono risultati i grandi perdenti. Questa opposizione eterogenea ed eteroclita - laici ed islamisti, conservatori e liberali, europeisti e nazionalisti - si era schierata dietro un oppositore storico, il social democratico Kemal Kilicdaroglu, 75 anni. Si diceva che questo economista rappresentasse la “forza tranquilla” dell'opposizione., che doveva farla finalmente finita con la “dittatura di un solo uomo”. Nonostante il suo approccio consensuale, egli aveva ottenuto al 1° turno il 44,8% dei suffragi. L'uomo aveva annunciato, con una certa dose di coraggio, di voler ristabilire il sistema parlamentare, di difendere i diritti delle donne e delle minoranze, fra i quali i Kurdi. Qualcuno lo aveva persino definito il “Gandhi Alevi”, per riferimento a questa setta minoritario dello Sciismo, spesso discriminata dai Sunniti. Gli elettori hanno indubbiamente sanzionato la sua inesperienza ed hanno, soprattutto, preferito la “forza determinata” di Erdoğan. Ma, onestamente, come si poteva effettivamente pensare che la maggioranza sunnita avrebbe portato al potere un Alevi ?... Come, more solito, i media occidentali sono rimasti obnubilati dal loro desiderio di vedere battuto Erdoğan e dalle loro fonti di riferimento: gli intellettuali delle grandi città (Istanbul, Ankara, Izmir, Adana), le reti dei diritti dell'uomo, connessi, ma il più delle volte al di fuori della realtà. Né la corruzione, né il clientelismo, né gli attentati ai diritti dell'uomo, né la crisi economica (dal 50 all'80% di inflazione dal 2021), né le gravi carenze delle autorità in occasione del terribile terremoto del 6 febbraio 2023 (50 mila morti) hanno avuto ragione di Erdoğan. A dispetto della degradazione del livello di vita, il paese profondo (quello dell'altipiano anatolico, per intenderci) ha votato per la continuità e l'autorità, persino nelle stesse zone colpite dal terremoto. L'Europa ha seguito con attenzione questi scrutini, sperando da essi un miglioramento delle relazioni con la Turchia. Questi forse possibili in teoria e nella forma risultano decisamente meno credibili sui problemi di fondo, come é stato ampiamente dimostrato dalla campagna elettorale: in effetti il potere e l'opposizione risultano in simbiosi sui problemi di politica estera. Gli 85 milioni di Turchi si professano tutti fieri del ruolo centrale assunto dal loro paese nel mondo. Lo stesso Kilicdaroglu, all'unisono con l'opinione pubblica, aveva espresso commenti lusinghieri nei riguardi della posizione equilibrata di Erdoğan nella guerra d'Ucraina, della mediazione turca fra Mosca e Kiev, del nuovo ruolo strategico della Turchia nell'est dell'Europa fino al Caucaso del sud. Con qualche piccola differenza di fondo, si ritrova lo stesso consenso sovranista turco sul problema dei 3-4 milioni di rifugiati/emigranti in Turchia.  Ankara, ad intervalli regolari, minaccia di “lasciarli” verso l'Unione Europea. Indubbiamente, un ricatto, bello e buono, per ottenere ulteriori vantaggi. Diversi specialisti di relazioni internazionali e strategiche della Turchia affermano senza dubbi che “essi non faranno nessuna concessione” e questa “carta migratoria” resterà a lungo un grande asso da giocare nella politica estera di Ankara.


Massimo Iacopi

 

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