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ECCO COM’È CAMBIATA LA TURCHIA LAICA FONDATA DA ATATURK

      

   

Editoriali

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Saggio di:

Massimo Iacopi


Una Nazione filo ottomana con gli Imam Capi Partito e Funzionari di Stato

 

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CERIMONIA OTTOMANA PER ABŪ MĀZEN


Il 10 agosto 2014 Erdoğan vince le prime elezioni presidenziali

ECCO COM’È CAMBIATA LA TURCHIA LAICA FONDATA DA ATATURK

Una Nazione filo ottomana con gli Imam Capi Partito e Funzionari di Stato

(Milano Marittima (RA), 15/09/2024)


ECCO COM’È CAMBIATA LA TURCHIA LAICA FONDATA DA ATATURK

 Introduzione. La Turchia viene spesso presentata come il solo stato ad essere allo stesso tempo “mussulmano e laico”. In realtà la Turchia è un paese erede del più grande impero mussulmano che sia mai esistito, cioè l’Impero Ottomano, il cui dominio sul mondo mussulmano ed arabo é durato per circa sei secoli. L’Impero Ottomano (1) non é stato solamente la sede secolare del califfato (2). L’Islam era la religione di stato, infatti i suoi sovrani si firmavano con la formula “Spada dell’Islam ed ombra di Dio sulla terra”. Per rompere con questa pesante eredità ed avvicinarsi all’Europa, Ataturk, il Padre dei Turchi, al secolo Mustafà Kemal, nel 1924 ha caparbiamente trasformato la Turchia in Repubblica laica, con una Costituzione che, contro ogni possibile eventuale deriva religiosa, affidava il potere di controllo sui religiosi, all’Esercito. Il Kemalismo aveva l’ambizione di creare un nuovo popolo turco, spogliato dei segni esteriori che avrebbero potuto obbligarlo a desiderare il ritorno a quella che era stata per secoli una comunità mussulmana – relegando la religione alla sfera privata. Lo scopo finale era quello di avvcinare la Turchia all’Occidente e far si che il popolo turco si integrasse con i popoli europei. Nel 1924 il governo repubblicano abolì il califfato rappresentato dal sultano (3) ottomano, cancellando la tradizione che voleva il califfo essere il “successore” del Profeta in Terra e la principale autorità religiosa in tutto il mondo mussulmano. Il governo di Ataturk chiuse le scuole coraniche, ponendo fine in tal modo alla  formazione di altri teologi. Nel 1926 Kemal abolisce anche la Sharia che per il mondo islamico rappresenta ancora oggi l’unica fonte legislativa cui ogni mussulmano deve attenersi, nel pieno rifiuto di ogni eventuale Costituzione e di ogni altra legge diversa dal Corano, rimpiazzandola con un codice redatto su modello del codice civile svizzero. Nel 1928 l’Islam cessa di essere la religione di stato della Turchia e nel 1937 viene definitivamente sancito nella Costituzione il principio fondante della laicità dello stato (laiklik) (4). Ciò malgrado la tendenza popolare dominante era rimasta quella di non accettare mai completamente una vera separazione della religione dallo stato, nel senso che il costume, i rapporti familiari, i rapporti sociali, il sentimento della « missione islamica », rimasero generalmente quelli atavicamente praticati. Prova ne è che malgrado l’abolizione del califfato fosse diventata legge dello Stato turco fin dal marzo 1924, data appunto della svolta politica e governativa, Mustafà Kemal (Ataturk) ritenne opportuno indorare la pillola creando una Direzione nazionale degli Affari Religiosi, il Diyanet, annettendola addirittura al Gabinetto del primo Ministro. Questa istituzione appagava in parte gli Imam, già sul piede di guerra, anche perchè il provvedimento del Padre dei Turchi comprendeva l’affidamento agli stessi religiosi della qualifica di funzionari statali. Lo stesso provvedimento rappresentava comunque una trave nell’occhio degli Imam in quanto da quel momento il governo assumeva il diritto di controllo sui « religiosi », decidendo sulla liceità delle preghiere che ogni venerdì sarebbero state lette ai fedeli nelle moschee. Sempre il Diyanet, qualche decennio più tardi, autorizzava il pellegrinaggio alla Mecca, pratica rimasta negletta per molti anni. Insomma, lo Stato “laico” messo in piedi da Ataturk, lungi dall’aver tagliato i ponti con la religione, in definitiva continuava lentamente ad organizzarla, pur mantenendo su di essa uno stretto controllo militare, di polizia e di intelligence, per contrastare fin dal nascere qualunque ingerenza degli Imam nelle questioni strettamente politiche e di governo. Alcuni osservatori stranieri vorrebbero sminuire la portata della poderosa riforma voluta e portata a termine dal Padre dei Turchi, insinuando che il  Diyanet simbolizzerebbe l’ambiguità di un imponente apparato religioso creato per proteggere il principio costituzionale della laicità, dimenticando che comunque il vero controllo sulle possibile derive, non solo militare, era stato comunque affidato in Costituzione all’Esercito, vero strumento garante della laicità dello Stato turco in quanto composto da individui selezionati e scelti, forgiati all’obbedienza ed al rispetto delle regole. Infatti, il primo provvedimento posto in essere da Erdoǧan, allorché diede inizio alla slaicizzazione della Turchia in favore di un rinnovato spirito politico-religioso di natura strettamente islamica, fu l’abolizione del potere detenuto dall’Esercito di vigilare sul mantenimento della laicità dello stato tanto desiderata dal Padre dei Turchi ed invero tanto necessaria per favorire l’integrazione con l’Occidente Cristiano. Nato come un semplice ufficio composto da qualche migliaio di persone, il Diyanet non ha mai smesso di aumentare il numero dei suoi quadri. Nel 2007 il suo bilancio superava gli 800 milioni di Euro, somma che rappresentava più del doppio di quello del Ministero dell’Industria. Attualmente il Diyanet gestisce più di 80 mila moschee e quasi 90 mila funzionari. Viene dunque spontaneo chiedersi quale tipologia di Islam propone questo elefantiaco dispositivo. I tecnici Turchi, ma anche gli studiosi esterni al fenomeno, sono concordi nel definire il Diyanet «una struttura  nazionale illuminata e moderna il cui compito di esercitare un certo controllo sull’andamento della religione riguardo alle sue possibili ingerenze negli affari di stato, va analizzato ed osservato nel contesto della difficile costruzione dello stato-nazione ». Più che altro sarebbe stato necessario superare  le difficoltà di avvicinare tra loro i « cittadini della nuova Turchia », nella pratica separati dalla diversità dei loro linguaggi quali il curdo (5), l’arabo e le lingue balcaniche e caucasiche. La qualcosa rendeva pressoché impossibile l’uso della lingua come cemento nazionale. D’altra parte, l’Islam nella sua instancabile opera di diffusione coranica ha da sempre perseguito lo scopo primario dell’identità nazionale, pur tra fedeli di differenti etnie, lingue e costumi. Non è un caso che persino i non praticanti ed i laicisti più convinti si considerino appartenenti comunque e dovunque alla grandissima comunità mussulmana, in quanto portatori di un’esperienza secolare sulla quale sono basati i rapporti familiari, i rapporti sociali e l’obbedienza verso lo stato. Purtroppo, subito dopo il colpo di stato del 1980, l’Esercito turco che era garante e difensore della laicità dello stato, ha iniziato a favorire la tendenza popolare a perseguire il riferimento religioso come collante dell’unità nazionale. Oggi il paese può sicuramente considerarsi di fatto mussulmano al 99%. Quasi un ritorno alle origini, favorito, possiamo dirlo, dai fatti storici che hanno largamente posto fine al carattere multi etnico e multi confessionale della società turca e contribuito a facilitare questo fenomeno : (a) I gruppi religiosi non mussulmani, così influenti nell’Impero ottomano, dove godevano di una relativa autonomia religiosa e legale, successivamente, in base allo statuto di « millet », hanno visto decrescere la loro importanza (con il termine millet -in arabo milla ovvero confessione religiosa- si indicano alcune comunità religiose non musulmane residenti nel territorio dell'Impero ottomano e, insieme, il sistema di governo amministrativo di tali comunità ; più precisamente, il sistema delle millet costituisce una forma perfezionata e con influssi bizantini dell'istituto islamico della dhimma (nel turco moderno, millet significa nazione) ; (b) Il massacro degli Armeni (6) agli inizi del XX secolo ; (c) Lo scambio di popolazioni cristiane ortodosse di Turchia contro le popolazioni mussulmane di Grecia nel 1922 ; (d) L’emigrazione di una parte degli Ebrei dopo la creazione dello stato di Israele e la fuga della maggioranza dei Greci a seguito delle violenze del settembre 1955 (7). Lo Stato kemalista aveva tentato di reprimere qualsiasi espressione che divergesse da quella islamica perchè ritenuta suscettibile di sfuggire al suo controllo. In tal modo, le confraternite mussulmane e le scuola coraniche vennero chiuse nel 1925 per soddisfare all’esigenza di impedire che il loro potenziale di fede mobilitasse le masse contro il governo turco, riformato secondo le intenzioni del Padre dei Turchi. Non è un mistero che agli inizi della Repubblica fondata da Ataturk tutte le correnti religiose organizzate al di fuori delle istituzioni venissero violentemente combattute e di conseguenza spinte verso la clandestinità.

Una diversità inattesa

Ironicamente, sui tempi lunghi, le riforme kemaliste proseguono, ovvero completano, una tradizione ottomana di controllo dell’Islam da parte dello Stato. In pratica, il potere fa sempre riferimento, erigendolo come confessione ufficiale, al sunnismo (8hanafita, una delle quattro gradi scuole di diritto dell’Islam, maggioritaria in Turchia e caratterizzata per la sua ortodossia e per il suo tradizionalismo moderato e per il posto che essa attribuisce all’opinione personale. La “laicità” non significa dunque neutralità dello Stato, essa non implica il riconoscimento di uguaglianza e neanche della pluralità confessionale, ma, al contrario l’ufficializzazione di una specifica confessione. Tuttavia, dietro questa facciata unitaria, l’Islam della Turchia mostra una reale pluralità, largamente sconosciuta ai più. I Curdi, anch’essi in maggioranza sunniti, si riconoscono nella scuola di diritto shafeita (che attribuisce larga importanza al ragionamento giuridico). Soprattutto l’Islam turco è attraversato da una divisione confessionale fra sunniti ed Alevi (9). Un'altra particolarità dell’islam turco: la presenza di numerose confraternite Sufi (10) (tarikat), vecchie di diversi secoli, originarie dell’Anatolia, caratterizzate per la condotta di pratiche mistiche in comune. Ufficialmente vietate dal 1925, esse sono tuttavia riuscite a sopravvivere nella clandestinità. Spesso organizzate, almeno localmente, intorno a Sheik, guide spirituali, specialmente nelle regioni curde nel sud est del paese, esse costituiscono delle strutture di socializzazione e di formazione religiosa, ma anche di collegamento politico. La più importante di queste confraternite é la Naqshbandyia. Sorta nel XIV secolo, in Transossiana (Asia centrale), essa si caratterizza per il suo attaccamento alla legge coranica, come anche per il rifiuto della musica e della danza, sostituite dallo Zikr, invocazione ripetuta del divino sotto forma di litania. Quest’ordine difende posizioni conservatrici e si segnala anche per l’impegno nella vita professionale e politica. Esso esercita un’influenza politica e morale sull’elettorato e nei quadri di tutti in partiti di destra (islamisti, nazionalisti, ma anche nella destra moderata). Le altre confraternite sono oggi in declino. Ma nuove comunità islamiche, molto dinamiche, le Cemaat, sono recentemente apparse sulla scena. Nate nella seconda metà del XX secolo, suddivise in un gran numero di rami, esse costruiscono anche moschee, a margine del controllo del Diyanet. Attraverso un tessuto associativo diversificato, le Cemaat svolgono anche attività educative, economiche, commerciali e mediatiche. Le Nurcu costituiscono la principale Cemaat della Turchia. Sono gli adepti dell’insegnamento del bediuzzaman Said i Nursi (1873-1960), anch’egli influenzato dalla confraternita della Naqshinbandyia, che cerca di accordare l’Islam con la scienza. Fra le più attive di queste neo confraternite, i Fethullaci, derivati dai Nurcu, adepti di Fethullah Gulen (nato nel 1938) tentano di conciliare l’Islam e la modernità e di islamizzare la vita quotidiana. Attribuendo una grande importanza all’educazione, essi selezionano i licei meritevoli, ai quali attribuiscono borse di studio con l’obbiettivo di formare una elite fedele alla loro causa. Essi hanno creato numerosi cenacoli e centri educativi, in Turchia ed anche all’estero. Questo gruppo, a forte dimensione nazionalista, figura oggi fra i più importanti della Turchia (si stimano orientativamente che ne facciano parte circa 2 milioni di persone). In effetti, negli ultimi anni, l’Islam ha conosciuto in Turchia un nuovo sviluppo. Agenti, apertamente mussulmani, investono nell’economia, nel settore bancario e persino in tutti gli spazi fino ad oggi riservati alla aristocrazia modernista, come il cinema. Giornali o pubblicazioni islamiche, catene televisive e radio religiose, di tendenze e sensibilità differenti, si sono moltiplicate negli ultimi anni e sono diventati elementi fondamentali del dibattito pubblico. Questi gruppi mantengono con le autorità rapporti variabili e costituiscono regolarmente oggetto della repressione della “propaganda reazionaria”. In tale contesto, il Diyanet non é riuscito ad imporre il suo monopolio nella rappresentanza dell’Islam, molto frammentato e che sfugge sempre di più al controllo dello Stato. Si impone una constatazione: l’Islam oggi costituisce parte integrante della vita politica del paese. Lo Stato turco voleva neutralizzare la dimensione pubblica della religione e renderla politicamente consensuale. In realtà, ufficializzando una versione dell’Islam e proibendo le altre, ha ottenuto l’esatto contrario. Con il passaggio, nel 1950, al multipartitismo, la religione è diventata un argomento elettorale di peso, utilizzata da numerosi partiti, specie da parte della destra conservatrice. Per quanto concerne i partiti islamisti, è direttamente proprio sull’Islam come simbolo di protesta che essi fondano il loro progetto politico. Nel 1970, Necmettin Erbakan fonda il primo partito islamista, che conoscerà diversi cloni, per diventare nel 1983, il Refah Partisi (RPPartito della Prosperità). Per l’Islam politico turco, non si tratta di distruggere lo Stato empio, ma di conquistarlo dall’interno. Al momento, solamente dei casi isolati indicano il passaggio di qualche militante al radicalismo. Gli attentati suicidi del novembre 2003, contro le sinagoghe e contro gli interessi britannici (con 63 morti), evidenziano l’esistenza in Turchia di reti radicali attive, che mantengono collegamenti con gruppi internazionali, ma, al momento, i pochi movimenti illegali e violenti hanno una base ridotta, e molto marginale. I militanti islamisti radicali, in maggioranza giovani, sono per lo più partiti per combattere in altri fronti, in Bosnia o in Afghanistan. Nel sud est del paese lo Hizbullah o Hezbollah, che rivendica uno stato islamico curdo, attraverso la propaganda e la lotta armata, risulta oggi largamente smantellato. Per contro, i partiti islamici legali hanno acquisito un peso elettorale di grande rilievo a partire dagli anni 1990. Come si può spiegare l’attrazione che esercita l’argomento religioso sull’opinione pubblica? Tradizionalmente l’orientamento islamico era sostenuto principalmente da parte di gruppi conservatori dell’Anatolia. Oggi esso ha raccolto il sostegno delle popolazioni di origine curda, per le quali può rappresentare un punto di collegamento con il resto del paese, pur esprimendo una dimensione contestatrice. Dagli anni 1990 la tendenza politica islamica è sostenuta dalle popolazioni marginalizzate di origine rurale, installate nelle periferie delle metropoli. Infine, la sua base si è recentemente allargata alle nuove classi medie urbane, in piena ascensione sociale. Il carattere eterogeneo di questo elettorato nasconde, evidentemente, molte contraddizioni.

Dal Refah all’AKP

E’ proprio in Turchia, per la prima volta nella regione, che è arrivata al potere, per via elettorale, una formazione islamica, senza ricorso alla violenza, imponendosi, a varie riprese, come la maggiore forza elettorale, inizialmente conquistando le principali città del paese alle municipali del 1994, quindi alle legislative del 1995 (con il 21.4% dei suffragi). Nel 1996, un partito islamico, il Refah, assume la guida di una coalizione di governo. Questa ascesa al potere ha suscitato tante speranze ed anche molti timori ed ha provocato un braccio di ferro con i militari. Il Refah ha tentato di mettere in atto una “politica estera islamica”, ma non ha potuto rompere né i legami con il “club cristiano” europeo, né con Israele. In politica interna, ugualmente, le ambiziose promesse degli islamici hanno lasciato il posto a alcuni compromessi. La riconversione annunciata di S. Sofia in moschea, la proibizione di vendita di alcool in certi quartieri, l’abolizione della proibizione del velo (11) all’università … hanno potuto essere messe in atto in alcuni casi solo parzialmente. Sui punti decisivi, come la questione curda, il Refah non si é distinto dai suoi predecessori. Per dare pegni al proprio elettorato, ha dovuto accontentarsi di moltiplicare i rilanci simbolici, ad esempio riportando alla ribalta un passato ottomano nel passato occultato. Malgrado queste concessioni, il 28 febbraio 1997, la gerarchia militare lancia un ultimatum al governo: esso viene consigliato per l’adozione di misure contro la “crescita della sharia”, di chiudere i corsi coranici illegali ed i collegi degli imam predicatori; in poche parole di ristabilire il controllo stretto dello stato su tutte le attività religiose e di sradicare quella che viene chiamata la irtica (la reazione). Facendo buon viso a cattiva sorte, il primo ministro Erbakan è stato costretto ad applicare queste decisioni. La pressione sulla coalizione è stata tale che il governo si trova costretto alle dimissioni nel giugno 1997 ed una inchiesta aperta contro il Refah ha portato alla sua interdizione nel 1998, per “attività contrarie ai principi di laicità e rimessa in discussione dei principi repubblicani”. Questa esperienza dolorosa ha giocato un ruolo di laboratorio per il movimento islamico in Turchia. Ben lungi dal ritirarsi dalla competizione politica, la tendenza politica islamica si è scissa ed ha dato nascita da un lato ad un partito rimasto fedele all’Islam politico, il Saadet Partisi (Partito della Felicità), che ha raccolto appena il 5% dei voti; dall’altro l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) di Recep Tayyip Erdogan, che rifiutando, almeno a parole, di etichettarsi come islamico, preferisce piuttosto la formula di “democratico conservatore”, facendo appello al sostegno dei liberali, fatto che lo caratterizza come un partito eteroclito. Egli ha epurato dai suoi discorsi molti elementi anti occidentali e dell’ideologia anti sistema, malgrado la permanenza al suo interno di elementi contestatari. Egli si è appropriato del discorso della democrazia dello Stato di diritto ed è diventato pro-europeo; la sua strategia si caratterizza per una volontà di integrazione al gioco istituzionale. Forte di importanti successi elettorali (ha vinto quasi tutte le elezioni a partire dal 2002) egli ha potuto procedere sulla strada di numerose riforme, comprese anche quelle costituzionali. Dal 2003 Erdogan dirige il governo e le frizioni con l’apparato dello Stato non sono state meno numerose di quelle dell’esperienza Erbakan e le resistenze alla sua azione rimangono reali. Conducendo una politica di liberalizzazioni in materia economica, politica e sociale, egli ha ottenuto, per contro, l’apertura dei negoziati di adesione con l’UE nel 2005 ed ha fatto approvare delle riforme che hanno diminuito il peso politico delle Forze Armate Una comoda maniera per eliminare un pericoloso rivale con l'aiuto inconscio dell'Europa. Lo stesso Presidente della Repubblica turca Abdullah Gul, eletto il 28 agosto 2007, viene dalle file dell’AKP. L’AKP, stigmatizzato dalle elite kemaliste, a volte presentato come un pericolo per la laicità e la democrazia, sembrerebbe voler realizzare il sogno secolare dell’integrazione europea della Turchia. La sua politica estera, molto attiva nella regione, si è aperta al mondo mussulmano, ma senza voltare le spalle agli alleati occidentali, pur operando numerosi distinguo nei suoi privilegiati rapporti con gli USA. In sostanza, se l’integrazione europea sembrerebbe essere, almeno nelle dichiarazioni di principio, l’obiettivo principale del governo turco, l’AKP non sembra tuttavia un partito ex islamico completamente normalizzato e soprattutto il suo leader ha un passato da islamista, che risulta molto difficile da digerire all’interno, ma soprattutto all’estero. Molti temono che il vero obiettivo degli islamici sia ancora e sempre quello di conquistare lo stato dall’interno, per trasformarlo, nel lungo periodo e con l’aiuto inconscio dell’Occidente ed a colpi di modifiche costituzionali, in una repubblica islamica !!! La recente eliminazione dal gioco politico interno dei militari, coinvolti in un golpe da operetta orchestrato da Fethullah Gulen, sembrerebbe avallare, piuttosto, una politica turca non più filo europea, decisamente neo ottomanista, a lungo propugnata dall'ex ministro Davatoglu.

NOTE

(1) Il termine Ottomano deriva dal turco “Osmanli”, ovvero “compagno di Osman o Otman”, il fondatore della dinastia (1290 circa-1320); gli Ottomani si allacciano ad un clan Oghuz, venuto in Anatolia o con i Selgiuchidi, o con i Mongoli;

(2) “Successore del Profeta”, dirige la Umma o comunità dei credenti e deve ricercare l’unità dell’Islam. Nel 1516 Selim 1° sottrae la carica al Califfo del Cairo e trasferisce la sede ad Istanbul, portandovi le reliquie di Maometto e dei primi quattro califfi;

(3Califfo. Titolo portato dai membri della famiglia imperiale. Il nome deriva dal termine arabo che designa la sovranità. Viene inizialmente adottato da parte dei capi mussulmani che non volevano mettere in discussione la sovranità superiore del Califfo. Ma dopo il 1516, gli Ottomani porteranno simultaneamente i due titoli. Di fatto il sovrano veniva chiamato “Padishah”, un termine persiano che equivaleva a imperatore

(4) Uno dei fondamenti della repubblica turca, scritta nella Costituzione del 1924 e che fa della Turchia il solo stato mussulmano laico. A differenza della laicità francese, che separa nettamente i due campi, la laicità alla turca sottomette di fatto la religione alla tutela dello Stato (gli imam sono dei funzionari statali);

(5Kurdi. Sono una quindicina di milioni in Turchia ed altrettanti nei paesi che confinano con essa (Iran, Irak e Siria). Gli scontri fra l’esercito turco ed il PKK hanno causato migliaia di morti e di dispersi. Dagli inizi degli anni 1990, sono stati accordati dei diritti alla minoranza curda: programmi in curdo sulla rete nazionale TNT, insegnamento in curdo in determinati istituti di educazione privati, ma la questione curda resta quotidianamente all’attenzione dei giornali;

(6Armeni. La presenza della comunità in Anatolia é immemorabile; Oggi, essi sono rimasti nella regione appena in 100 mila (di cui i due terzi ad Istambul) e la loro deportazione ed i massacri che l’hanno accompagnati costituiscono uno dei temi più delicati del dibattito pubblico;

(7) Il 6 ed il 7 settembre 1955 a Istambul ed in altre città della Turchia, una folla inferocita saccheggia e distrugge le abitazioni, i negozi ed i luoghi di culto cristiani, provocando 15 morti. Tutto questo per reazione a voci di danneggiamenti alla casa natale di Mustafà Kemal a Thessaloniki (Salonicco) in Grecia;

(8Sunniti. Corrente largamente maggioritaria presso i mussulmani (almeno l’85%) deriva dal termine “Sunna”, la tradizione (di Maometto) ed accorda importanza accanto al Corano, ad altre fonti di giurisprudenza, fra le quali gli Hadith (le parole e le azioni ed i commenti del Profeta). E’ suddivisa in 4 grandi scuole giuridiche: Hanbalita, Shafeita, Malekita ed Hanafita. Quest’ultima é quella che predomina in Turchia;

(9Alevi, adepti di un ramo originario dello sciitismo, quello degli Alidi, dal nome di Alì, genero del Profeta Maometto. Nella Turchia sunnita essi costituiscono la prima minoranza religiosa (da 15 a 20 milioni di fedeli);

(10) Il Sufismo é una corrente mistica ed ascetica, espressa in differenti confraternite o Tariqats. Una delle sue caratteristiche è quella di arrivare all’estasi attraverso al ripetizione del nome di Allah ed un controllo della respirazione molto speciale. Le confraternite più celebri in Turchia sono i Mevlevi ed i Bektashi e la più influente é quella dei Naqshisbandi. Fra i Sufi si distinguono in Turchia i Dervisci, che rappresentano dei mistici, iniziati da maestri a riti sufici per conseguire l’annientamento di sé stesso. Nel caso dei Dervisci, oltre alla invocazione ripetuta del nome di Allah, viene utilizzata la danza (Dervisci che danzano in circolo);

(11) Le donne delle campagne portano fazzoletto colorato annodato sul collo. Il velo era stato proibito una prima volta da Ataturk e di nuovo nel 1980, ma la crescita dell’uso dell’Hidjab islamico e dei ricorsi depositati in giustizia per ottenere il diritto a portarlo nelle università hanno rilanciato il dibattito. Esso è diventato un elemento simbolico della loro fede.


Massimo Iacopi

 

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