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L’ULTIMO RE DI FRANCIA

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Un regnante testardo e distratto incapace di adattarsi al progresso della società civile.

 

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CARLO X DI BORBONE ULTIMO RE DI FRANCIA


Carlo X di Borbone

L’ULTIMO RE DI FRANCIA

Un regnante testardo e distratto incapace di adattarsi al progresso della società civile.

(Assisi PG, 28/11/2024)

CARLO X DI BORBONE ULTIMO RE DI FRANCIA

Giovane fratello di Luigi XVI, emigrato nel 1789, Carlo Filippo, conte d’Artois, accatasta numerosi piani illusori di sbarco da parte degli esiliati, prima di fallire, quando gli sarà offerta l’occasione di regnare. Le ripetute concessioni hanno perduto Luigi XVI. Io preferisco montare a cavallo piuttosto che sulla carretta (per il patibolo)”. Succeduto sul trono di Francia a Luigi XVIII (1755-1824), uomo accomodante con le nuove idee, Carlo X (1757-1836) viene spesso presentato come un uomo intransigente e senza concessioni e, tuttavia, salito al trono nel 1824, ha alla fine accettato la maggior parte dei valori del suo tempo. Egli però non ha saputo adattarsi alle circostanze come agli avvenimenti, né prendere coscienza dell’ormai avvenuta affermazione di una borghesia acquisita alle idee liberali e già repubblicane. Carlo Filippo, conte d’Artois, nato nel 1757, è il fratello cadetto del futuro Luigi XVI e del conte di Provenza. Restio all’educazione che gli dispensa Antoine de Quelen de Stuer, Primo Duca de La Vauguyon (1706-1772), egli si dedica ben presto a sedurre il suo ambiente, col rischio di passare per uno spirito superficiale. Egli usa la sua bellezza, la stessa che è stata rifiutata ai suoi fratelli maggiori, per diventare il modello del principe grazioso e libertino. Nel 1773, egli sposa Maria Teresa di Savoia (1756-1805), il cui solo merito ai suoi occhi sarà quello di avergli dato due figli, Luigi Antonio di Borbone, duca d’Angouleme (1775-1844) e Carlo Ferdinando di Borbone Artois, duca di Berry (1778-1820). La sua paternità non gli impedisce di dedicarsi ai piaceri: il sesso apparentemente debole, le corse di cavalli ed, in generale, il gioco. Egli fa parte della cerchia intima di Maria Antonietta d’Asburgo Lorena (1775-1791), che trascina nel tourbillon delle feste mondane. E’ proprio nell’ambiente della regina che egli incontra la donna, alla quale voterà un amore fedele per più di 20 anni, Madame Yolande de Polastron, duchessa di Polignac (1749-1793), la sua amante a partire dal 1785. Alla stessa epoca il conte d’Artois fa il suo ingresso in politica. Come “Monsieur”, egli partecipa alle assemblee dei Notabili del 1787, ma, mentre suo fratello vi cura un’immagine di principe liberale, egli vi esprime sempre delle posizioni decisamente conservatrici, al punto di diventare uno degli obiettivi preferiti dei futuri rivoluzionari. In tale contesto, all’indomani della presa della Bastiglia, temendo per la vita di questo impopolare fratello, Luigi XVIII lo spinge a lasciare il paese, facendo di lui uno dei primi emigrati. “Noi rientreremo fra tre mesi” proclamerà con grande ottimismo durante il viaggio che lo porta a Torino, presso il Re di Sardegna, suo suocero, dove resterà fino al 1791. Senza tener conto delle raccomandazioni del re, sempre nelle mani dei Parigini, o del suo amico Louis Philippe marchese de Vaudreil Cavagnal (1724-1802) (“tout qui viendra de l’interior sera legitime, tout qui viendrait de l’exterieur paraitrait criminel”), egli insedia il primo Comitato Antirivoluzionario ed invita la nobiltà ad emigrare. Egli sostiene i focolai delle agitazioni in Francia, senza peraltro offrire loro aiuti materiali o anche finanziari e si rivolge ai sovrani stranieri, dai quali ha molte difficoltà ad ottenere delle promesse di impegno. Occorrerà attendere la sua partenza per Coblenza, dove ritrova il conte di Provenza e quindi la Conferenza di Pillnitz, del 1791, perché venga progressivamente costituito un esercito, sotto l’egida della Prussia e dell’Austria.  Ai prìncipi francesi non verrà affidato alcun ruolo di rilievo, tanto che si troveranno a Verdun, quando le truppe saranno disfatte a Valmy. Carlo, a quel punto, pensa ad un progetto per riprendere Parigi dall’ovest, mentre la città si solleva dall’interno. Ma trova delle grandi difficoltà per raggiungere l’Inghilterra, tappa obbligatoria per chi vuole sbarcare sulle coste atlantiche della Francia. Londra, a quel tempo, si preoccupa poco di questo prìncipe indebitato, designato Luogotenente Generale di un regno decaduto da un conte di Provenza, ancora più isolato di lui. La situazione evolve con la morte, nel 1795, di Luigi XVII (Luigi Carlo, Duca di Normandia, 1789-1795, figlio di Luigi XVI). Diventato “Monsieur”, l’Artois merita ora più attenzione e può servire la causa degli Chouans e dei Vandeani, in cerca di un principe per coordinare le loro azioni. Ma quando quando Carlo Filippo sbarca finalmente in Inghilterra, è per prendere conoscenza del disastro di Quiberon nel mese di agosto 1795. Egli riesce comunque a convicere il governo britannico ad organizzare una nuova spedizione e ben 4 mila uomini verranno mobilitati per questa operazione, che non avrà mai un sbocco. Gli imprevisti climatici, gli errori tattici, il carattere velleitario e confusionario del principe e del suo ambiente, bloccano le truppe sull’isola di Yeu, in Bretagna ed impediscono qualsiasi sbarco. Questo fallimento verrà severamente giudicato e forse troppo spesso imputato al solo Artois, sia dallo stesso François de Charette de la Contrie (1763-1796) (“Sire, la lacheté de votre frere a tout perdu” - la vigliaccheria di vostro fratello ha distrutto tutto - scriverà a Luigi XVIII), ma anche da Napoleone, affermando che lui avrebbe comunque attraversato il mare anche su una conchiglia di noce per portare a termine la spedizione. Monsieur non viene autorizzato a stabilirsi in Inghilterra, dove l’attendono i suoi creditori e trova rifugio in Scozia nella località di Holyrood. Solo nell’estate del 1799 può recarsi a Londra, dove continua ad elaborarvi progetti di sbarco, sistematicamente abortiti ed a mantenere alcuni agenti a Parigi, che Joseph Fouché (1759-1820) riuscirà abilmente ad infiltrare senza soverchie difficoltà. Egli partecipa inoltre all’elaborazione di complotti, come quello di Georges Cadoudal (1771-1804) esponente degli Chouans ed a mantenere una reale rivalità con suo fratello. Carlo Filippo sarà profondamente segnato, all’epoca, dalla morte di Madame de Polastron, una prova che lo spingerà a rivolgersi decisamente verso la religione. Sarà il conte d’Artois che precederà Luigi XVIII sul territorio francese nella primavera del 1814, in occasione della Restaurazione del 1814. Egli conserverà sempre un gioioso ricordo del suo ingresso a Parigi, dove la sua bella figura lascerà una grande impressione. Escluso dalle stanze del potere dal momento in cui suo fratello indossa la corona di Francia, egli continua comunque ad esercitare una certa influenza, specie in occasione della 2^ Restaurazione, dopo i 100 giorni e Waterloo. La sua opposizione alla Carta costituzionale, sulla quale tarda a prestare giuramento, le sue idee conservatrici, la sua pietà, ne fanno ben presto il capo naturale di quelli, gli ultras, che denunciano la politica di conciliazione di Luigi XVIII. Gli ultras, battuti, ritornano in forza dopo l’assassinio di suo figlio, il duca di Berry e la costituzione del governo di Jean Baptisste Joseph conte de Villele (1773-1854), aspettando con fermezza la successione reale e l’arrivo a potere del campione dell’emigrazione e della contro rivoluzione, che li protegge e li ispira dal 1814. Luigi XVIII si spegne il 16 novembre 1824 e “Monsieur”, a 66 anni, gli succede con il nome di Carlo X. In una maniera del tutto inattesa, egli benificia, a quel punto, di una straordinaria popolarità, tanto che lo storico Francçois Guizot (1787-1874) affermerà di non aver mai visto “una tale disfatta dei partiti”. La sua prestanza attrae le folle e la stampa liberale gli è riconoscente per il suo impegno a mantenere la carta costituzionale e per la soppressione della censura, decisa contro il parere di Villele, che resta comunque alla testa del governo. Ma lo stato di grazia iniziale non dura a lungo. Nel giro di appena qualche mese, l’opinione pubblica si rivolta contro colui di cui aveva cantato l’arrivo al trono. La legge sull’indennizzazione degli emigrati, spogliati dai compratori dei beni nazionali, prevede di rimborsare i vecchi proprietari per mezzo di una conversione delle rendite. La legge viene votata alla Camera in un clima di grande violenza ed il risultato finale non riesce a soddisfare nessuno. Il re non si accontenta, né i deputati della fronda dell’opposizione di sinistra, né quelli della destra, che speravano nella restituzione delle loro proprietà. Per di più, il collocamento nella riserva, per questioni finanziarie, di marescialli di Francia come Emanuel de Grouchy (1766-1847), o anche Remi Joseph Exelmans (1775-1852), sotto la data simbolica del 2 dicembre, contribuisce ad esasperare quelli che coltivano la memoria napoleonica. Nonostante gli sforzi del sovrano per adeguare la cerimonia (da lui reintrodotta) dell’incoronazione nella catterale di Reims allo spirito del tempo – egli in tale occasione presta giuramento sulla Carta costituzionale – la stampa non tarderà a scatenarsi contro “Carlo il Semplice”, un monarca presentato come devoto, ovvero bigotto ed artefice della legge che riconosce le congregazioni religiose delle donne. Ben presto, il mito del complotto gesuita, l’ossessione del “partito dei preti”, alimentata dalle denunce di François Dominique Reynaud conte de Montlosier (1755-1838) sul ruolo della Congregazione, risvegliano il vecchio spirito gallicano e danno spunto a feroci interventi all’Assemblea. Qualsiasi progetto di legge diventa una sfida che supera largamente il contesto abituale del dibattito legislativo. La stessa cosa avviene sul progetto di legge sulle eredità che, per evitare l’eccessivo spezzettamento delle proprietà, ristabilisce una parte del diritto di maggiorascato nelle successioni. Tale legge viene percepita come un attacco diretto contro le conquiste della Rivoluzione e come un sistema indiretto per il ripopolamento dei monasteri da parte dei cadetti, risultati privati dell’eredità. Anche la partecipazione della Francia alla guerra d’indipendenza greca, ardentemente reclamata dai liberali o da figure come François René de Chateaubriand (1768-1848), non riesce a calmare l’agitazione parlamentare. Alla fine del 1827, il conte di Villele si decide a sciogliere la camera, diventata ingestibile. Le elezioni che seguono vengono vinte dai liberali. Carlo X rifiuta, a quel punto, di separarsi dal suo primo ministro, che gli presenta comunque le sue dimissioni. Egli resta convinto, a ragione, della popolarità della famiglia reale, sulla base delle accoglienze ricevute nei suoi spostamenti in provincia. Gli eletti del suffragio censitario, dove predominano i borghesi, non rappresentano, ai suoi occhi, tutti i Francesi. Occorrerà attendere il gennaio 1828, affinché il re faccia un gesto conciliante, chiamando Jean Baptiste Sylvere Gaye, visconte di Martignac (1778-1832) al governo, un realista moderato, che cercherà di pacificare le tensioni. Senza aver mai veramente beneficiato del sostegno del re, il ministro viene comunque congedato durante l’estate del 1829 e rimpiazzato dal conservatore Jules Auguste Armand, 3° duca de Polignac (1780-1847), un nomina percepita da parte degli oppositori come una provocazione. Si tratta, in effetti, di un ultras intransigente. Per quanto riguarda il ministro della guerra, Louis Auguste Victor, conte Ghaisnes de Bourmont (1773-1846), egli è un personaggio detestato, proprio per aver tradito Napoleone alla vigilia di Waterloo. Quando 221 deputati presentano una mozione di sfiducia nei confronti di questi ministri, la camera viene disciolta. Ma il successo elettorale degli oppositori spinge il re ad agire. Contro “la democrazia turbolenta”, che “tende a sostituirsi al potere legittimo”, egli adotta quattro ordinanze radicali (Ordinanze di S. Cloud): nuovo scioglimento della Camera, sospensione della libertà di stampa, convocazione dei collegi elettorali e modifica del sistema di scrutinio dei voti. Da parte di Carlo X si tratta di una interpretazione dell’articolo 14 della carta costituzionale relativo allo Stato di emergenza, oppure di un colpo di stato come lo vogliono far credere i suoi detrattori ? Comunque sia, il sovrano sembra non aver sufficientemente preso in considerazione e tenuto conto di tre fenomeni: la capacità di disturbo e di sovversione dei giornali, “strumenti di disordine e di sedizione”; delle reti e delle associazioni dell’opposizione; del marasma economico che, dopo un decennio di prosperità, ha dato luogo ad un forte aumento del prezzo del pane, suscettibile di infiammare la popolazione parigina. Infine il sovrano pensava, indubbiamente a torto, che la conquista di Algeri, conclusione di diversi anni di tensione da un parte e dall’altra del Mediterraneo, avrebbe dovuto ridare lustro al regime. Il 27 luglio 1830, mentre il re parte per la caccia a Rambouillet, Parigi si agita ed erge delle barricate per le strade, ancora strette e tortuose, della città. Le vecchie guardie nazionali della capitale, che erano state disciolte per aver fischiato il governo in occasione di una rivista, riprendono le armi che nessuno, al momento del provvedimento, aveva pensato di ritirare loro. Dopo tre giorni di combattimenti (i famosi “Tre Gloriosi”, dal 27 al 29 luglio del 1830), Carlo X ritira le sue ordinanze e sembra pronto a cambiare i ministri e ad accettare nuove soluzioni. “Del resto, Signori, cedendo in tal modo, forse all’impero delle circostanze, devo dirvi che nel fondo del mio cuore, io sono convinto che, nella via in cui ci siamo inoltrati, non c’é nulla da fare di buono per l’avvenire della Francia e la salvezza della monarchia”, queste sono le parole che rivolgerà ai suoi fedeli riuniti a S. Cloud. In effetti, è troppo tardi. Temendo l’instaurazione di un repubblica, i liberali si sono rivolti al duca d’Orleans che, da molto tempo, aspettava già la sua ora. Per timore della guerra civile, della quale alcuni hanno annunciato troppo rapidamente l’imminenza ed una certa carenza di spirito combattivo, il re e suo figlio, il duca d’Angouleme, abdicano in favore del giovane Enrico Borbone Artois, conte di Chambord e duca di Bordeaux (Enrico V) (1820-1883), sotto la tutela del cugino Luigi Filippo duca d’Orleans (1773-1850). Filippo d’Orleans sceglie di ignorare tale atto, preferendo, a danno del nipote, essere nominato Luogotenente Generale da parte dei deputati, piuttosto che dalle mani del re. “Il corteo funebre della monarchia” prende a quel punto la strada dell’esilio. Solo qualche giorno, dopo l’imbarco a Cherbourg di Carlo X, il figlio di “Filippo Egalité”, che aveva votato la morte di Luigi XVI, diventa “Re dei Francesi”, con il nome di Luigi Filippo. Tale evento darà origine ad una insanabile frattura fra le due case (Borbone Artois e Borbone Orleans) e, cosa più importante, all'interno della opinione monarchica francese, con conseguenze decisive sulla definitiva affermazione, in Francia, del principio repubblicano. La vecchia monarchia di diritto divino scompare ed il suo ultimo rappresentante, dopo un soggiorno a Praga, morirà nel 1836 nel Palazzo Coronini di Gorizia, in Austria, nel 1836 (assistito da Guillaume Isidore conte di Montbel, 1787-1861), a seguito del colera contratto nella località di Görz. Verrà quindi sepolto, per sua volontà, nella cripta del monastero francescano di Castagnevizza, su una vicina collina passata nel 1947 alla Jugoslavia, ora nel comune di Nova Gorica in Slovenia.

BIBLIOGRAFIA

Bordonove Georges, “Charles X”, Pygmalion, 1990;

Demier François, “La Francia della Restaurazione (1814-1830). L’impossibile ritorno al passato”, Gallimard, 2012.


Massimo Iacopi

 

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