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LA BATTAGLIA DI ADRIANOPOLI 29 DICEMBRE 378

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Un evento che ha cambiato la storia del mondo come Waterloo e Stalingrado

 

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LA BATTAGLIA DI ADRIANOPOLI


Le migrazioni di oggi ricordano le antiche invasioni

LA BATTAGLIA DI ADRIANOPOLI 29 DICEMBRE 378

Un evento che ha cambiato la storia del mondo come Waterloo e Stalingrado

(Assisi PG, 29/12/2024)

LA BATTAGLIA DI ADRIANOPOLI

Nel corso dell'anno 378 si forma ai confini dell'Impero una coalizione inattesa, multietnica ed effimera, che minaccia Costantinopoli. Valente, l'imperatore d'Oriente, per scongiurare il pericolo, si getta nella battaglia il 9 agosto nella piana di Adrianopoli, prima di scomparire... per sempre. L'evento, pur con molti distinguo, ci ricorda, nella sua fase preliminare, una situazione di crisi e di migranti che oggi ci tocca da vicino. La battaglia di Adrianopoli, avvenuta il 9 agosto del 378, rappresenta una delle quattro disfatte maggiori dell'Impero romano. “Questa battaglia - per molti storici - ha cambiato la storia del mondo”, tanto da essere posta, da un punto di vista degli effetti provocati, allo stesso livello di una Waterloo o di una Stalingrado. Ma chi é che affrontavano, in effetti, i Romani d'Oriente vicino ad Adrianopoli, posizione chiave sulla strada per Costantinopoli? Un novello Annibale (-247 / -183), come a Canne nel -216, un grande generale parto, come Spahbod (signore dell'esercito = generalissimo) Rostam Surena-Pahlavi (-84, morto nell'anno -53), nella giornata di Carre nel -33?. Niente di tutto questo. Diverse tribù barbare, molto simili ai Germani della foresta di Teutoburgo, quelli che avevano sterminato le tre legioni del console Publio Quintilio Varo (-47 / 9), inviato da Ottaviano Augusto (-63 / 19), nell'anno 9. Ad Adrianopoli, la catastrofe risulta di un altra dimensione. Non si é trattato solo della distruzione dello stato maggiore imperiale e delle sue truppe scelte, ma anche della decapitazione della testa dello Stato bizantino: ministri, alti funzionari eunuchi e lo stesso imperatore Valente (328-378), di cui il 10 agosto non si troveranno più le tracce del suo corpo. Qualcuno avanza l'ipotesi che Valente sia rimasto bruciato in una fattoria, incendiata dai Goti, dove aveva trovato rifugio, oppure che il suo cadavere si sia decomposto sotto il sole d'agosto, nel bel mezzo del gigantesco carnaio di ben 10 mila dei suoi soldati. Ovvero i due terzi dei suoi effettivi … Se la disfatta militare é storica, ciò che essa ha messo comunque in evidenza sui nuovi rapporti fra la nebulosa detta barbara e l'Impero risulta estremamente inquietante. In effetti, questi Goti non arrivano in colonne schierate per impadronirsi delle chiavi dell'Impero. Di fatto, i Tervingi, i Goti dell'Ovest, soldati temibili, gagliardi imponenti, dagli occhi chiari, risultano per la maggior parte già riciclati da contadini a nord del Danubio. Essi non sono più invasori ma sono diventati sedentari perseguitati ! Li avremmo oggi definiti come “richiedenti asilo”, che implorano pacificamente la protezione delle autorità romane. Questa decina di migliaia di uomini, donne, di vecchi e di ragazzi stanno fuggendo dalle incursioni degli Unni.

La macchina federativa romana si inceppa

Gli Unni, orde più o meno confederate di cavalieri nomadi, dalle sembianze asiatiche e dal viso glabro a forza di scarificazioni. Essi sono comparsi nelle piane del Nord, nella futura Ukraina, intorno al 370 ed hanno cominciato a seminare lo spavento, vincendo rapidamente il re goto Vithimero (morto in battaglia nel 376). Secondo Ammiano Marcellino (330 circa-400 circa), che é stato ufficiale e cronista di guerra per diversi imperatori: “Voci allarmanti si diffondono fra i Goti, dal momento della comparsa di una razza di uomini sconosciuti, gli Unni, che annientano tutto sul loro passaggio. Essi inviano una deputazione all'imperatore Valente, sollecitando la loro ammissione sull'altra sponda del Danubio, con la promesso di viverci pacificamente e di servirlo come ausiliari.” Valente, che si trovava ad Antiochia, in Siria, per la preparazione di una campagna contro i Persiani, accetta le proposte degli Unni. Una logica già applicata per i Goti dell'Ovest da Constantino il Grande nel 332. Questi ultimi, dopo essere stati sottomessi, avevano firmato un trattato di federazione (foedus) con i Romani, a termine del quale i Goti si impegnavano a proteggere la frontiera ed a fornire uomini per l'esercito imperiale. Una consuetudine in vigore da secoli a Roma nei confronti dei Barbari (Franchi, Germani, Galli, Pitti, Alani o Goti). Roma, di norma, inizialmente li sconfigge, spesso li riduce in schiavitù e ancora più spesso vi preleva la quota di guerrieri di cui ha periodicamente e crudelmente bisogno. Infine Roma cerca di sedentarizzare i suoi alleati frontalieri. Nel giro di qualche generazione gli ex Barbari diventano in genere di Romani molto buoni. Ma anche eccellenti generali e a volte anche imperatori di rilievo. Ma accade che questo meccanismo di integrazione multi secolare inizi a sfasarsi ed a dare origine a malfunzionamenti, come in occasione della cosiddetta “operazione umanitaria” di grande ampiezza dell'anno 376; si tratta di una decina di migliaia di persone pressate sulla riva nord del Danubio, che cercano scampo sull'altra riva; piove con abbondanza nell'autunno di quell'anno ed il Danubio risulta in piena con numerose imbarcazioni che vengono rovesciate … sulla riva sud. I migranti che sono riusciti a salvarsi devono essere nutriti e quindi condotti verso le nuove terre promesse da Valente. Ma c'é un problema, le consegne amministrative di Costantinopoli ed i funzionari che hanno il compito di farle applicare tardano ad arrivare. Le settimane passano ed il campo dei rifugiati non smette di gonfiarsi, per trasformarsi immediatamente in una enorme bidonville antica. Una cloaca super popolata in cui le condizioni d'igiene peggiorano ogni giorno che passa. Inoltre, i previsti rifornimenti non arrivano ed i malcapitati, ormai affamati, attendono il loro trasferimento, mentre sulla riva nord del Danubio, un'altra moltitudine di migranti goti, altrettanto affamati, aspettano la loro esfiltrazione. Un tragico fallimento dell'intendenza bizantina, peraltro rinomata per la sua efficacia logistica? Fatto possibile, ma tutti gli osservatori sottolineano che l'incompetenza dei due alti funzionari responsabili, il duca Maximus, comandante delle truppe di frontiera ed il conte Pupicinus, governatore militare della Tracia, non rappresenta la sola causa del fallimento.

Corruzione dilagante e forza della disperazione

L'occasione é troppo per questi due funzionari ed i loro ufficiali di arricchirsi sulle scorte alimentari, provocando volontariamente una carenza, in modo da taglieggiare i Goti. In cambio di un tozzo di pane o anche di un pezzi di carne di cane da cuocere, essi esigono preliminarmente denaro o armi, poi di essere pagati in natura: con schiavi, donne e bambini. “Alcuni funzionari avidi e superati dagli eventi si preoccupano in primo luogo di rifornirsi di “mignons” e concubine o di domestici piuttosto che organizzare gli arrivi di queste popolazioni”, annota Ammiano Marcellino, corroborato dagli scritti di due Greci, Eunapio (347-414) e Zosimo (inizi del 500),. utto questo per l'epoca non costituiva una vera sorpresa: da molto tempo, la “corruzione del potere”, secondo la formula del grande storico americano Ramsey MacMullen (1928-2022) era ormai diventata la regola. Tutto viene sviato, tutto viene privatizzato, tutto si compra e si vende nell'impero romano del IV secolo: i viveri destinati ai Goti, le terre assegnate ai Goti, il mestiere delle armi, subappaltato sempre più largamente a unità barbare mono etniche. Ma occorre anche ristabilire l'ordine delle cose, se i subappaltanti non fanno più il loro dovere e si mettono per conto proprio !! Tutto questo é proprio quello che succede nel 377. Il popolo dei Goti dell'Ovest, umiliato, schernito ed ingannato durante il suo spostamento, rinforzato ben presto nella sua marcia dai Goti dell'Est arrivati clandestinamente, si rivolta. Inizialmente una semplice sedizione. Quindi segue una prima battaglia vittoriosa, al termine della quale tutta la Tracia cade nelle mani dei Goti, proprio come un puzzle che si disfà. Proprio come se l'onnipresenza dei Goti in tutti gli scaglioni della provincia si coagulasse bruscamente contro i padroni romani. Ad esempio: due capi mercenari goti accantonati in Tracia, Sueridus e Colias, fedeli all'imperatore, si alleano, alla fine, con Fritigerno (morto nel 380), re di Visigoti o Tervingi, il capo delle rivolte. Essi erano stati denunciati a torto, come facenti parte della quinta colonna barbara, quindi aggrediti ed espulsi dagli edili di Marcianopolis (l'attuale località di Duvnya, in Bulgaria).

Un doppio jolly

Le aristocrazie urbane della Tracia, che costituisce il territorio circostante di Costantinopoli, come un prolungamento dei suoi sobborghi, si rendono conto, fino a che punto essi dipendono ormai dai Goti. Le parole più frequenti impiegate dai cronisti per descrivere la situazione sono quelle che evocano “il gran numero” e l'inesauribile “moltitudine”: “I Goti hanno trovato appoggi anche presso la gente della regione. Alcuni erano prigionieri di guerra costretti a lavorare nelle fattorie e strutture imperiali, altri erano schiavi che, per molti anni avevano inondato i mercati. Ogni giorno, molta gente nuova si presentava presso gli accampamenti dei Goti“. All'indubbia superiorità numerica dei Barbari, occorre aggiungere una certa equivalenza nell'armamento. I Goti dispongono di una spada lunga, abbastanza comparabile alle spathae romane, che, a loro volta, hanno rimpiazzato il gladio ed il pilum. Inoltre, essi dispongono anche di una cotta di maglia simile alla lorica hamata romana. In definitiva, nessuna sorpresa: da molto tempo l'esercito romano si era “barbarizzato” ed i legionari o mercenari barbari si erano “romanizzati”!... Quindi, quando il 9 agosto 378 arriva lo scontro finale, l'esito risulta incerto con numerosi cattivi presagi. Valente é effettivamente sorretto da un robusto esercito professionale, composto da oltre 10 mila uomini e più di 5 mila cavalieri, ma non ha dalla sua parte il numero degli effettivi, decisamente inferiore a quello dei Barbari. Ma, soprattutto, Fritigerno, il capo dei Goti, dispone di una carta vincente che egli svela verso la fine della giornata, proprio quando la sua ala destra comincia a retrocedere. Un doppio jolly. Tattico: la sua cavalleria arriva all'improvviso rapidamente e silenziosamente ad avviluppare e quindi a colpire la fanteria di Valente. Politico, soprattutto: la cavalleria di Fritigerno risulta rinforzata dai terribili Unni, che fino a qualche settimana prima perseguitavano i Goti e dagli Alani, che i Goti sono riusciti ad associare al loro progetto.

La battaglia

Nella fase preliminare dello scontro, una parte della fanteria e dell'ala sinistra della cavalleria romana attaccano senza successo il campo dei Goti, mentre l'imperatore Valente rimane nelle retrovie. Nello stesso tempo, la cavalleria dei Goti rimane nascosta e in disparte. Nella fase seguente, una parte dell'esercito goto lascia il campo e con la sua cavalleria si lancia sul fianco sinistro dei Romani, costringendo quest'ultimi a ripiegare. Sul fianco destro, Romani e Goti si battono, mentre la cavalleria di Valente effettua un infruttuoso contrattacco sul fianco sinistro dello schieramento. A questo punto, il resto della fanteria gota esce dal suo accampamento, intervenendo nel combattimento insieme ai cavalieri, rimasti nascosti. I Romani, pur battendosi gagliardamente, vengono sopraffatti dal numero degli avversari. La cavalleria romana viene definitivamente messa in fuga, mentre la cavalleria dei Goti, abbandonato l'inseguimento, inizia l'avvolgimento della fanteria avversa insieme al suo imperatore, che, alla fine, risultano accerchiati. Infine, la fanteria romana viene disarticolata e quelli che possono cercano scampo nella fuga, mentre il resto dei legionari, imperatore compreso, combattono fino alla fine. Le perdite risultano enormi in entrambi i campi ed i Romani lasciano sul campo i due terzi degli effettivi. Nonostante tutto, Adrianopoli risulterà per i Goti una vittoria, apparentemente senza domani: l'imperatore Flavio Teodosio I il Grande (347-395), successore di Valente, riuscirà a ristabilire l'ordine sulle frontiere nord nel giro di due anni. Una situazione apparentemente illusoria e ingannevole. Risulta, infatti, assodato che un certo Alarico (370-410) (che aveva meno di 10 anni nel 378) sia cresciuto nello spirito della grande ribellione gotica del 376 e della battaglia di Adrianopoli. A partire dal 394, egli diventa il capo della federazione visigotica e, promosso ben presto a generale dell'impero, alternerà la porpora romana con la pelliccia barbara. Sarà proprio lui che nel 410 farà cadere Roma, la città Eterna, inespugnata da otto secoli. La battaglia di Adrianopoli, sotto questo aspetto, é molto di più di una semplice battaglia senza seguito, ma costituisce l’avvio di una ella migrazione massiccia e cruenta dei Barbari, nello specifico dei Goti, che i Romani avranno serie difficoltà ad impedire. Nonostante tutto, Adrianopoli risulterà per i Goti una vittoria, apparentemente senza domani: l'imperatore Flavio Teodosio I il Grande (347-395), successore di Valente, riuscirà a ristabilire l'ordine sulle frontiere nord nel giro di due anni. Una situazione apparentemente illusoria e ingannevole. Risulta, infatti, assodato che un certo Alarico (370-410) (che aveva meno di 10 anni nel 378) sia cresciuto nello spirito della grande ribellione gotica del 376 e della battaglia di Adrianopoli. A partire dal 394, egli diventa il capo della federazione visigotica e, promosso ben presto a generale dell'impero, alternerà la porpora romana con la pelliccia barbara. Sarà proprio lui che nel 410 farà cadere Roma, la città Eterna, inespugnata da otto secoli. La battaglia di Adrianopoli, sotto questo aspetto, é molto di più di una semplice battaglia senza seguito, ma costituisce l’avvio di una ella migrazione massiccia e cruenta dei Barbari, nello specifico dei Goti, che i Romani avranno serie difficoltà ad impedire.


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