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Revisione della codificazione deontologica forense

      

   

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 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Avv. Raffaella Ginanneschi


Spunti di riflessione

 

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Manuale breve di Remo Danovi


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Revisione della codificazione deontologica forense

Spunti di riflessione

(Rieti, May 31 2006 12:00AM)

Nell’attività forense quotidiana la deontologia è oggetto di un discrezionale apprezzamento da parte di molti avvocati, poiché le modalità perseguite per un corretto espletamento del mandato professionale sono spesso ricondotte ai rapporti di cortesia, al comune sentire, ovvero a ragioni di opportunità e di convenienza.

Invero, l’intero corpus normativo deontologico incide sulla qualità della prestazione professionale dell’avvocato nei confronti del cliente, della controparte, dei magistrati e dei terzi, poiché costituisce l’espressione di principi fondanti l’etica professionale: la fiducia, l’indipendenza, l’integrità morale, la estraneità alla lite. Questi valori sono soggetti allo sfaldamento nel concreto ogni qualvolta non vengono osservate quelle regole deontologiche di facile rispetto che dovrebbero ricevere uno spontaneo riconoscimento: puntualità alle udienze, divieto di espressioni sconvenienti ed offensive, rispetto del segreto professionale….“Il prestigio dell’Avvocatura dipende dalla immagine che di essa ciascuno può dare, nella difesa delle ragioni delle parti assistite e nella salvaguardia dei valori della giustizia” (Remo Danovi).

La disciplina deontologica, come ci ricordano gli illustri rappresentanti, rectius, amministratori dell’Avvocatura Italiana, è norma giuridica dell’ordinamento professionale e, come tale, è destinata ad essere recepita incondizionatamente dalla giurisprudenza; pertanto, le norme del codice deontologico integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 23 marzo 2004, n.5776).

La continua evoluzione del tessuto sociale ed economico in cui opera l’avvocato richiede necessariamente anche la revisione della codificazione deontologica, proprio al fine di adeguare le modalità dell’esercizio dell’attività forense ai nuovi contesti.

L’ultimo aggiornamento del codice deontologico forense, risalente al mese di gennaio di quest’anno, propone la figura professionale dell’avvocato europeo, che opera anche al di là della propria frontiera, in sintonia con la progressiva unificazione dei valori etici e deontologici dei singoli ordinamenti normativi forensi degli Stati membri.

Il principio della doppia fedeltà, sancito anche dalla deontologia europea, prospetta una vera e propria missione per l’avvocato: nel momento in cui assume l’incarico, il professionista si obbliga all’osservanza delle norme dell’ordinamento verso il proprio assistito, lo Stato e ogni altro potere, giacché egli è investito del ruolo di garante di interessi intesi sia come diritti del singolo individuo, sia come diritti dell’uomo, in qualità di membro dell’intera collettività.

Tuttavia, la revisione non è sempre idonea a ricostituire un punto di equilibrio tra l’astrattezza delle norme e la concretezza delle problematiche sottese all’attività forense.

A tal proposito, si osserva che una precisa regolamentazione sui sistemi informativi dell’attività professionale è stata opportuna, perché l’avvocato ha diritto di partecipare alla diffusione dei servizi professionali, secondo le regole del mercato. I limiti imposti dalla normativa sono diretti certamente ad impedire che l’informazione si trasformi in un’attività pubblicitaria volta a realizzare il fine indiretto dell’accaparramento della clientela.

Tuttavia, il canone specifico che riguarda i rapporti con la stampa non elimina la possibilità di atteggiamenti concorrenziali, anche subdoli, verso la colleganza. Ad esempio, è consentita la partecipazione dell’avvocato a rubriche fisse televisive o radiofoniche, dietro parere favorevole del Consiglio dell’Ordine di appartenenza; ma le emittenti  prediligeranno comunque la presenza di determinati avvocati a discapito degli altri colleghi. In tal caso, la norma deontologica non risolve la problematica attinente ai divari che persistono in generale tra  gli avvocati.

Si consideri, inoltre, l’incarico di arbitro che può essere rivestito dall’avvocato: è sempre più incisiva nella società la risoluzione delle controversie attraverso l’arbitrato, in via alternativa alla giurisdizione ordinaria; perciò, è stata opportuna una puntualizzazione degli oneri collegati all’esercizio di questa particolare funzione giudicante da parte dell’avvocato. La previsione della dichiarazione di indipendenza iniziale (come variante aggiuntiva) dovrebbe escludere ogni rapporto particolare tra arbitro e parti; tuttavia, rimane possibile l’espletamento del detto incarico anche in presenza di ragioni ostative, in mancanza di opposizione delle parti coinvolte nel procedimento. Quindi, la norma non è idonea a fugare ogni dubbio circa la imparzialità e la ininfluenzabilità dell’avvocato nel momento in cui accetta il ruolo di arbitro, se poi è prevista la eventualità della presenza di circostanze che potrebbero pregiudicarne l’autonomia. E’ discutibile, altresì, la particolare disponibilità attribuita alle parti; a prescindere dal fatto che la decisione dell’arbitro può aver efficacia di sentenza o assumere valenza di un atto negoziale, siamo comunque di fronte ad un procedimento attivato da una domanda di giustizia.

Ma la revisione alla codificazione deontologia dà adito ad altre osservazioni.

Diverse volte noi avvocati, riceviamo incarichi di domiciliazioni da parte di cortesi colleghi, appartenenti ad altri fori, senza ricevere alcun riconoscimento economico, almeno inizialmente, ovvero senza neanche un preavviso. Si pensi ad un giovane avvocato corrispondente, non supportato adeguatamente: secondo la modifica codicistica, quest’ultimo dovrebbe subire il rischio di non veder riconosciuto economicamente il proprio operato, a causa della dimostrata infruttuosa attivazione del collega nei confronti del suo cliente. Non si potrebbero così mai risolvere casi di sospette compiacenti complicità o condiscendenze.

Altra questione: il decorso di un biennio dalla cessazione del rapporto professionale è stato ritenuto congruo per assumere incarichi contro ex clienti. Nonostante la diversità dell’oggetto del nuovo incarico rispetto a quello precedente, è sempre possibile non tener conto di notizie acquisite in ragione di un mandato esaurito così  recentemente?

Pertanto, la formulazione di queste “nostre” norme è sicuramente condizionata dalle varie opere di ponderazione che hanno ad oggetto le diverse esigenze e istanze presenti all’interno della classe forense; tuttavia, incombe su ciascun avvocato l’onere di agire nel rispetto di siffatte regole, senza interferenze di interessi estranei a quelli della difesa che è stata assunta.

 

 

 


Avv. Raffaella Ginanneschi

 

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