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La protesta dell'avvocatura

      

   

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 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Avv. Luca Conti


Provvedimento Bersani: difficile comprenderlo, più arduo condividerlo

 

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Liberalizzazioni storiche


Forum Numero 6

La protesta dell'avvocatura

Provvedimento Bersani: difficile comprenderlo, più arduo condividerlo

(Rieti, Feb 28 2007 12:00AM)
A circa un mese dalla fine delle agitazioni che in maniera decisa ha visto contrapporsi al Governo nazionale la quasi unanimità dell'Avvocatura Italiana, ritengo sia opportuno riflettere sulle ragioni che quella protesta hanno sollevato, nonché sulla loro attualità. E' inutile ricordare come il tutto sia nato: ex abrupto, come si usa dire nelle aule di Tribunale, il Governo decise di emanare il famoso “decreto Bersani” del 4 luglio 2006, che sotto la rubrica “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia in tema di evasione fiscale“ interveniva su alcuni aspetti delicati della nostra professione. La forma semi-clandestina, peraltro confessata da alcuni membri dell'esecutivo e motivata dall'esigenza di impedire le previe opposizioni delle “corporazioni”, destò immediato scalpore, se non scandalo, nelle professioni liberali e non. Era la prima volta infatti, almeno a mia memoria, che si interveniva in modo così mirato in un ambito professionale senza avere prima, se non concertato, almeno tentato di raccogliere le istanze dei soggetti nei cui confronti si interveniva. E' vero, infatti, che pur non trattandosi della tanto attesa (anche e soprattutto dagli Avvocati) riforma organica della professione, che si basa ancora sulla legislazione degli anni ‘30, l'azione chirurgica d'urgenza del legislatore estivo modificava in maniera radicale aspetti, sì specifici, ma di assoluto rilievo per l'attività professionale. In particolare si ricorda che con veloci tratti di penna venivano eliminati in un colpo il divieto di pubblicità commerciale, il divieto del patto di quota lite e l'obbligatorietà del rispetto dei minimi tariffari. Il metodo, ritengo ancor oggi assolutamente ingiustificabile e indifendibile con cui si introducevano queste riforme, provocava generale protesta contro il provvedimento tout court, protesta caratterizzata da una spontaneità e da un impeto tali da mettere in secondo piano l'analisi particolare delle singole questioni. E' ovvio infatti che nel momento in cui l'intera categoria si vedeva attaccata, e da più fronti (non dimentichiamo infatti il sostegno quasi entusiastico dato all'azione del Governo sia dalla grande industria che dai grandi organi di informazione), non era possibile né opportuno soffermarsi su analisi tecniche particolari, col rischio di indebolire l'azione di contrasto. A distanza di alcuni mesi, che di buono hanno mostrato la capacità degli Avvocati, al di là delle diverse convinzioni politiche, di muoversi uniti nei momenti cruciali, penso sia giunto ormai il momento di riflettere più serenamente sulle singole tematiche aperte dal decreto e sulla fondatezza delle ragioni della protesta. Affrontando quindi singolarmente le riforme, partirei da quella, a mio parere meno rivoluzionaria, dell'abolizione per legge del divieto di pubblicità. I - La possibilità di rendere meno rigidi gli ostacoli per gli operatori delle professioni di pubblicizzare sia la loro esistenza che le caratteristiche dei servizi offerti era un'esigenza già manifestata da anni dall'avvocatura, soprattutto dalla parte più giovane di questa. E' indubbio infatti che la maggiore esigenza di pubblicità è sentita da chi si affaccia alla professione e ha quindi maggior bisogno di farsi conoscere, mentre lo è meno da chi occupa già da anni e magari con successo un proprio posto consolidato nel panorama professionale. In questa ottica, come chi scrive ha già avuto modo di dire in una assemblea di qualche anno fa, è certamente da preferire il ricorso a mezzi di pubblicità espliciti, e per questo controllabili sia nella veridicità del contenuto che nell’opportunità delle forme, piuttosto che il ricorso a canali più o meno trasparenti di accaparramento di clientela. Ben prima che se ne occupasse il ministro Bersani, il C.N.F., chiedendo prima suggerimenti sia ai vari Consigli dell'Ordine che alle associazioni degli Avvocati, era intervenuto più volte sulla materia, modificando a più riprese l'art. 17 del Codice deontologico, da ultimo nel gennaio 2006, sempre nella direzione di liberalizzare le forme di pubblicità. L'intervento del Governo quindi non appare, in materia di pubblicità, di portata rivoluzionaria. Resta perciò ancora da capire quale ne fosse l'urgenza e perchè la regolamentazione della pubblicità delle libere professioni non potesse essere inserita all'interno della tanto attesa riforma organica dell'ordinamento professionale. II - Tema sicuramente più scottante è quello dell'abolizione del divieto del patto di quota lite, scottante non tanto per la sostanza dell'argomento, quanto per il modo con cui la riforma è stata presentata al pubblico, ovvero come l'abolizione di una disposizione che favoriva la tasca dell'avvocato in danno dell'utente. Sin dagli studi universitari, invero, ci è stato insegnato come il divieto del patto di quota lite sia una garanzia a presidio della dignità, prestigio ed autonomia dell'avvocato, oltre che naturalmente dell'interesse economico del cliente. Proprio queste sono state le ragioni per quali gli avvocati italiani hanno contestato la novità normativa. A fronte di ciò, non ancora chiare appaiono invece le ragioni che hanno indotto il Governo ad introdurla, tanto è vero che, come si legge in un articolo del Presidente della Cassa Forense Maurizio De Tilla apparso sul numero di dicembre de “La Previdenza Forense”, alcuna risposta ha avuto la domanda circa il perchè dell'abolizione del divieto del patto fatta ad alcuni membri del Governo e della maggioranza. Nello stesso articolo si legge come il divieto del patto di quota lite o simili sia pacificamente vigente in molti altri paesi europei, anche di maggiore tradizione liberale, quali la Francia, l'Austria, i Paesi Bassi e la Germania, dove il Consiglio di Disciplina di Sassonia ha censurato un avvocato per aver stipulato un patto di quota lite con un suo cliente residente negli Stati Uniti. III - Già, l'Europa! E' stata proprio la sbandierata esigenza di doversi adeguare alla disciplina comunitaria la risposta ad ogni censura mossa dagli avvocati al decreto sulle cosiddette liberalizzazioni che hanno interessato il nostro mondo, tra le quali con una posizione primaria quella sull'abolizione dei minimi tariffari obbligatori. Si ricorda come da sempre l'esistenza di tariffe minime sia motivata dalla necessità di garantire un minimo di qualità nella prestazione professionale dell'avvocato, onde evitare che sul prezzo si scatenasse una concorrenza senza limiti, con evidente nocumento non solo per l'immagine del professionista, ma anche per la valenza della prestazione e in ultima analisi (last but not least) per il cliente. Tale argomentazione da tempo veniva contestata dai fautori di una totale deregolamentazione delle professioni, i quali adducevano in primo luogo la necessità di adeguare gli ordinamenti professionali alle direttive europee, prima che fosse l'Europa ad imporre detto adeguamento. Anche i sostenitori del decreto Bersani affermavano come il provvedimento trovasse giustificazione nella necessità di modernizzare l'attività dei professionisti, in modo da omologarli ai colleghi europei sotto il primario profilo della libera concorrenza. Sotto tale cupola aurea, l'esistenza di minimi tariffari obbligatori per legge veniva indicata quale grave elemento di vulnus, che certamente sarebbe stato prima o poi oggetto di un intervento da parte degli organi di giustizia europei. Erano uscite, infatti, indiscrezioni circa l'esito del giudizio pendente innanzi alla Corte Europea di Giustizia, secondo le quali l'Alta Corte avrebbe sanzionato il Governo Italiano in relazione alla persistenza di una norma di legge che imponeva ai professionisti l'obbligo dell'osservanza delle tariffe, ed in particolare di minimi tariffari stabiliti da una organizzazione emanazione della stessa Avvocatura qual è il C.N.F. Anche in questo caso, così come per l'abolizione del divieto del patto di quota lite, i fatti europei dimostrano l'infondatezza delle motivazioni addotte dal Governo. Come ritengo tutti sappiate, infatti, con sentenza del 5 dicembre 2006 emessa nelle causa riunite C-94/04 e C-202/04 la Corte di Giustizia delle Comunità europee, riunita in Grande Sezione, ha espressamente stabilito che «gli artt. 10 CE, 81 CE e 82 CE non ostano all’adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale forense quale il Consiglio nazionale forense, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari degli avvocati e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate agli avvocati né per quelle, come le prestazioni di servizi stragiudiziali, che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa». In estrema sintesi: piena compatibilità comunitaria per i minimi tariffari obbligatori degli avvocati. In conclusione, anche con l'animo più freddo e pacato rispetto quello del caldo autunno 2006, mi sento ancora di condividere in toto le ragioni ed i sentimenti che mossero la protesta della grandissima parte di noi, avverso un provvedimento che ancora oggi mi appare di difficile comprensione e ancor più ardua condivisione. Riguardo alle forme utilizzate per la protesta, possono destare perplessità se analizzate in relazione alla obiettiva scarsità dei risultati concreti ottenuti, vale a dire qualche lieve aggiustamento in sede di conversione del decreto legge. Ancor oggi però non riesco ad individuare quale sarebbe potuta essere una diversa e più efficace forma di reazione. Essendo peraltro sempre pronto a mettere in discussione le mie convinzioni, mi piacerebbe sentire i diversi pareri sull'argomento. Non credo infatti si tratterebbe solo di una sterile discussione teorica su ciò che si poteva di meglio fare, visto che, purtroppo, prevedo non siano cessati con il decreto Bersani gli attacchi esterni alla nostra professione: la legge di riforma della professioni credo sia ormai veramente alle porte.

Avv. Luca Conti

 

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