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L’Azione Collettiva

      

   

Diritto

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Avv. Olinto Petrangeli


Detta anche class action all’italiana

 

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Class action all’italiana


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L’Azione Collettiva

Detta anche class action all’italiana

(Rieti, Mar 22 2008 12:00AM)

Nella legge finanziaria 2008 ha visto la luce l’ azione collettiva risarcitoria dei consumatori di cui si parlava da tempo come una necessità per adeguare la tutela del consumatore italiano a quella della maggior parte dei consumatori europei. Introdotta a sorpresa nella prima versione della finanziaria approvata al senato, l’azione collettiva è stata poi modificata profondamente e significativamente dalla Camera sino all’assetto attuale. Azione collettiva sì, ma senza eccessi allo scopo di non penalizzare troppo le imprese ma anche senza mortificare troppo le modalità di tutela degli interessi diffusi: in altre parole una class action all’italiana. La previsione la troviamo nei commi 446 e 449 dell’art.2 che prevedono il possibile esercizio di azioni di soggetti rappresentativi di interessi collettivi nei confronti di comportamenti illeciti posti in essere da una impresa con effetti plurioffensivi. La restrizione rispetto alla prima stesura è rappresentata dall’area degli interessi che possono essere fatti valere con il nuovo strumento. Così trovano posto le richiesta risarcitorie di danni verificatisi nell’ambito dei contratti conclusi attraverso moduli e formulari, come per esempio quelli impiegati nell’ambito bancario, assicurativo o finanziario e indirizzati ad una pluralità di clienti oppure nel caso di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali il cui accertamento, diciamolo subito, sarà non particolarmente agevole. In questi casi dunque le azioni dei soggetti rappresentativi di interessi collettivi mirano a far accertare il fatto potenzialmente dannoso ed la sua imputabilità al fine di richiederne poi, in una fase successiva, la liquidazione dei danni arrecati ai singoli consumatori. Si chiede al giudice ( e qui sta la differenza con la class action) non la sentenza di condanna per i diritti dei consumatori violati dalla impresa, ma solo l’accertamento della violazione di rilevanza comune. L’inserimento della nuova figura è avvenuto attraverso l’introduzione nel codice del consumo ( D.Lgs. n.ro 206/2005) dell’art. 140 bis, che regola appunto questa inedita procedura. Legittimati a esercitare l’azione collettiva sono non solo le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale (le 16 associazioni già inserite nell’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico e di cui all’art. 136 del codice del consunto) ma anche “ le associazioni e comitati che sono adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere”. Questa specificazione suscita già qualche perplessità: una formula così generica avrà bisogno certamente di essere chiarita dalla prassi giurisprudenziale ma fin da ora sorgono dubbi sulle modalità da seguire per accertare la legittimazione dell’attore collettivo. Sembra ragionevole ritenere che la valutazione debba essere fatta nel giudizio preliminare di ammissibilità della domanda che si conclude con una ordinanza pronunciata in camera di consiglio ed è reclamabile in Corte di Appello, e questo anche se il comma 3 dell’art. 140 bis nulla dice. Se così non fosse la conseguenza sarebbe quella di mantenere in vita una potenziale mina vagante per tutto il corso del processo. Il giudizio si introduce secondo le regole ordinarie avanti il Tribunale del luogo ove ha sede la impresa, che deciderà in composizione collegiale. Prima però c’è il vaglio di ammissibilità che avviene alla prima udienza ed è deciso con ordinanza reclamabile alla Corte di Appello. Il giudice deve respingere la richiesta quando appaia “ manifestamente” infondata, quando esiste conflitto di interesse, quando non si rileva un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela. Si tratta con evidenza di un terreno giuridico del tutto inesplorato in quanto sembrerebbe che il giudice dovrebbe valutare la “serietà” della domanda introducendo una sorta di anticipazione della decisione. Superata questa fase si apre il giudizio vero e proprio e se la domanda viene accolta ci saranno due possibilità: la sola definizione dei criteri di massima cui deve uniformarsi il risarcimento ovvero (possibile allo stato degli atti) la definizione della somma da versare al singolo utente o consumatore. A questo punto l’iniziativa passa alla impresa condannata che potrà proporre, entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza, il pagamento di una somma ai singoli interessati attraverso una comunicazione depositata in cancelleria. In ordine al questa fase liquidativa sono state introdotte novità rispetto al testo approvato in senato. E’ previsto ora, in alternativa alla costituzione della apposita camera conciliativa (composta da tre avvocati: uno nominato dalle associazioni ricorrenti,uno dall’impresa e uno con funzione di presidente nominato dal Presidente del Tribunale) e qualora vi sia concorde richiesta, che il Presidente del Tribunale disponga la comparizione in sede non contenziosa avanti uno degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del D.L.vo n.ro 5 del 2003 ( riforma del diritto societario) operante nel Comune sede del Tribunale. La norma disciplina anche il meccanismo di coinvolgimento dei singoli consumatori i quali se intendono avvalersi della tutela collettiva, devono comunicare al proponente la propria adesione fino alla udienza di conclusione in Corte di Appello. Si diceva class action all’italiana perché vi sono notevoli differenze tra questo istituto e quelli vigenti in moti paesi. Nel sistema americano un solo attore agisce per tutto la classe mentre nella disciplina italiana l’azione è promossa da una associazione rappresentativa e mira ad accertare l’esistenza del diritto al risarcimento in favore di coloro che intendono approfittare di tale azione, aderendovi. Detta espressione di volontà (il c.d. opt-in) è stata prevista per superare il diritto costituzionale vigente, che vieta che il giudicato su una controversia si estenda al di là delle parti in causa. A conclusione va detto che questo istituto rappresenta certamente una vera novità ed un evento direi epocale nel nostro ordinamento giuridico. Costituisce una possibilità per i consumatori di giocare un ruolo attivo in caso di violazione di massa dei diritti, superando i limiti e le difficoltà delle cause individuali. Le cause collettive permettono di riequilibrare i rapporti di forza tra cittadino che da solo è debole, ma se fa gruppo diventa temibile. Non basteranno più le “ sentite scuse” per il volo cancellato all’ultimo minuto con tutti i disagi che questo comporta, ma i passeggeri potranno chiedere insieme un risarcimento economico. La sfera di applicazione della nuova legge abbraccia praticamente tutti i settori: si può richiedere, come detto in precedenza, un risarcimento per danni causati da una frode finanziaria, da una pratica commerciale sleale ecc.. Tra centoventi giorni (epoca della entrata in vigore della normativa) avremo la possibilità di valutare in concreto la funzionalità dell’istituto. Una cosa è certa: al di là di qualche perplessità del giurista, il cittadino ha un diritto che prima non aveva e il successo della legge nella sua applicazione pratica dipenderà oltre che dal giurista anche dallo stesso cittadino e dalle associazioni rappresentative.

Avv. Olinto Petrangeli

 

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