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Deontologia forense

      

   

Diritto

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Avv. Anna Maria Barbante (*)


Parere

 

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Deontologia forense

Parere

(Rieti , Jan 21 2009 12:00AM) Un iscritto, che ha difeso un cliente in un procedimento avente ad oggetto la revoca della nomina di un amministratore di sostegno ex art. .413 c.c., è stato convocato dalla polizia giudiziaria per essere escusso come persona informata sui fatti in un procedimento penale scaturito da una denuncia presentata dagli eredi del proprio assistito nei confronti di una persona per il reato di circonvenzione di incapace, e, quindi, chiede al Consiglio di esprimere un parere in ordine alla facoltà del difensore di astenersi dal deporre e, specificamente dei limiti dell'obbligo di deporre. Sul punto il C.d.O. di Rieti si è già espresso in precedenza con il parere del 2007 che in questa sede si vuole sostanzialmente confermare sulla scorta delle seguenti osservazioni: E' noto che gli avvocati non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione, e ciò sia nei processi penali (art.. 200 c.p.p. comma I° sub b)), sia nei processi civili (art. 249 c.p.c.) che richiama le disposizioni processuali penali), ma tale aspetto viene disciplinato in maniera specifica sul piano deontologico dall'art. 13 del R.D.L. 27/11/1933 n.1578 che stabilisce che gli avvocati non possono essere obbligati a deporre nei giudizi di qualsiasi specie su quanto sia stato loro confidato o sia pervenuto a loro conoscenza per ragione del proprio ufficio. Tale facoltà presuppone la sussistenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo e cioè si deve trattare di un avvocato, abilitato ad assumere la difesa della parte in giudizio e deve avere per oggetto circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell'attività professionale. L'esenzione dal dovere di testimoniare non è dunque diretta ad assicurare una condizione di privilegio personale a chi esercita una data professione ma è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che a un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza è necessaria o utile per l'esercizio del ministero difensivo. Il principio risale nel tempo e risponde alla esigenza di assicurare una difesa tecnica, basata sulla conoscenza di fatti e situazioni, non condizionata alla obbligatoria trasferibilità di tale conoscenza nel giudizio attraverso la testimonianza di chi professionalmente svolge una attività difensiva. Il fondamento della facoltà di astensione trova riscontro sul piano sostanziale nell'art.622 c.p. che tutela l'interesse alla inviolabilità del segreto punendo chiunque lo riveli senza giusta causa. Quindi la facoltà di astensione non costituisce una eccezione alla regola generale dell'obbligo di rendere la testimonianza, ma rappresenta un bilanciamento tra il dovere di rendere la testimonianza ed il dovere di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione del compimento di attività proprie della professione e l'ampiezza della facoltà di astensione dal testimoniare deve essere interpretata nell'ambito delle finalità proprie di tale bilanciamento.(Corte Cost. 8/4/97 n.87). I criteri ai quali l'avvocato deve attenersi sono condizionati dal consacrato principio deontologico secondo il quale è inopportuno e sconsigliabile che l'avvocato assuma la veste di testimone e ciò per mantenere alla funzione difensiva una più corretta linearità ed estraneità alla lite, quindi sicuramente deve escludersi il contemporaneo svolgimento delle funzioni difensive e di testimone, sancito nei codici di rito con specifiche incompatibilità. Quindi, qualora l'avvocato intendesse deporre deve dismettere il mandato e non potrà riassumerlo successivamente. Comunque, anche quando il mandato è esaurito, ovvero anche nella ipotesi in cui l'avvocato sia citato come teste dal proprio assistito, per quanto possibile, l'avvocato dovrà astenersi dal deporre in applicazione dei principi deontologici di riservatezza e segretezza che non è solo protezione degli interessi della parte, ma è soprattutto protezione della funzione. Quindi non è sufficiente che la parte richieda la deposizione o liberi il proprio difensore dal segreto professionale, ma è sempre il difensore che deve autonomamente scegliere se sussistano condizioni particolari e giustificate ragioni per farlo. Nel caso di specie, pur non conoscendo i termini precisi della situazione, in applicazione dei principi sopra enunciati e tenendo in considerazione che il decesso del cliente non consente al difensore di avere una liberatoria dal segreto, sarà prudente per l'avvocato interpretare restrittivamente il divieto, sia a tutela del segreto professionale, sia a tutela dell'immagine dell'avvocato.
(*) Presidente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rieti

Avv. Anna Maria Barbante (*)

 

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