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 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Marco Arcangeli


Effettiva emergenza o semplice propaganda?

 

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Effettiva emergenza o semplice propaganda?

(Rieti, Apr 4 2009 12:00AM)
Viene da esclamare: ci risiamo! Ogni qualvolta il nostro legislatore, per la verità in misura maggiore quello deputato alla legislazione cd. d’urgenza (Governo) piuttosto che l’altro “ordinario” (Parlamento), intende metter mano, con preannunci di pubblici proclami, al sistema giuridico penale nell’intento di ridurlo a mero strumento, propagandistico, di controllo sociale, si configura niente meno che un attentato ai principi di civiltà giuridica che dovrebbero sempre caratterizzare una democrazia liberale quale è, o forse vorrebbe essere, la nostra. In questa occasione il dono, preconfezionato, è rappresentato dal D.L. 23/02/2009 n. 11 recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale ed in tema di atti persecutori”, pubblicato nella G.U. n. 45 del 24/02/2009. Il suddetto provvedimento intende di fatto anticipare alcune tra le più dibattute e controverse disposizioni contenute nel disegno di legge n. 733 già approvato dal Senato ed ora all’esame della Camera, di cui in questa sede non è possibile discutere per evidenti ragioni di spazio espositivo. Una prima considerazione, per così dire, pregiudiziale: una tale decretazione è conforme o meno al dettato costituzionale dell’art. 77? Oppure più semplicemente si è in presenza di fini ulteriori e diversi, più prettamente politici (di consenso), piuttosto che istituzionali di protezione dei propri cittadini da parte dell’entità statuale in funzione di garanzia della sicurezza pubblica? Una risposta adeguata la si può agevolmente (ed in modo incontrovertibile) ricavare dalle statistiche giudiziarie diffuse dal Ministero dell’interno proprio in occasione della presentazione alla stampa del decreto legge in questione. Si apprende, allora, che nel corso dell’anno 2008 tutti i reati di maggior allarme sociale appaiono in vistosa diminuzione rispetto all’anno precedente: omicidi volontari al minimo storico, furti – 39,72%, rapine – 28,8%, usura – 10,4%, ricettazione – 31,6%, riciclaggio – 5,8%, minacce – 22,1%, estorsioni e danneggiamenti anch’essi in contrazione. Ma quel che più sorprende, in relazione alla supposta emergenza sicurezza alla base del provvedimento governativo, è la lettura quantitativa e qualitativa dei dati sulla violenza sessuale: - 8,4% rispetto al 2007, con un’incidenza grandemente maggioritaria per la perpetrazione entro le mura domestiche. Infatti, gli stupri oggetto di analisi statistica commessi nel 2007 sono riferiti ad autori-partners nella misura del 69,7%, del 17,4% a conoscenti, solo del 6,2% ad estranei. L’evidenza immediata di detti dati sarebbe addirittura ancor più incontestabile se solo si potesse aggiungere i casi di violenza non denunciati, certamente per la stragrande maggioranza commessi in un contesto familiare. Pertanto, la risposta all’interrogativo di partenza è scontata, né può più stupire alcuno la spregiudicatezza politica, ma di riflesso giuridico-costituzionale, del rappresentante politico che invoca e giustifica una risposta emergenziale a mezzo decreto legge a fronte di analisi, provenienti dalla medesima fonte, che rappresentano al contrario un’evidente smentita riguardo all’esigenza di necessità e urgenza. Ma purtroppo il grave vulnus allo Stato di diritto non emerge solamente dalle predette considerazioni di legittimità costituzionale e di opportunità legislativa. Ed infatti, ragionando nello specifico delle singole norme contenute nel d.l. , con parziale eccezione per le disposizioni in materia di stalking, la cui finalità è proprio quella di apprestare una tutela, anche in via anticipata, nei confronti di condotte illecite adottate da soggetti il più delle volte vicini alla vittima, il giudizio non può che essere di sconcerto e di sdegno. Che altro si può pensare, ad esempio, dello sfregio al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza a fronte della modifica apportata all’art. 275 comma 3 c.p.p., laddove si introduce un giudizio di pericolosità sociale presunta, con l’effetto dapprima di eliminare alla radice ogni e qualsivoglia valutazione concreta da parte del giudice in materia di emissione di misura custodiale, in seguito con il susseguente risultato di prescindere anche dalla verifica in contraddittorio della valutazione cautelare? Ancora una volta si finisce per dimenticare che la nostra Carta Fondamentale stabilisce, come estrema necessità, la limitazione della libertà personale solo attraverso un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria e non certo aprioristicamente a mezzo di un decreto legge. Ed ancora: all’art. 3 del suddetto atto legislativo si incide profondamente ed in senso limitativo sulla normativa in materia di misure alternative alla carcerazione, nonostante anche in questo caso le statistiche e l’esperienza applicativa dimostrino la valenza quale disincentivo alla recidiva dei suddetti benefici penitenziari. Ciò ovviamente in spregio ad un altro principio cardine del nostro sistema costituzionale, quale quello della finalità rieducativa della pena. In verità si riutilizza il sistema del doppio binario (o sarebbe più appropriato parlare di terzo, quarto, ecc. ecc.) già abbondantemente sfruttato per i condannati per reati in ambito di terrorismo, criminalità organizzata, stupefacenti, avverso cui la voce dei penalisti, in particolare dell’Unione delle Camere Penali, già nel passato si alzava, ed ancor oggi si alza, gravemente critica in difesa dei precetti costituzionali, a volte ottenendone di rimando l’accusa di sovversione e contiguità mafiosa. La nostra libertà intellettuale, per nostra buona sorte, è però svincolata dalle urla di piazza a cui altri soggetti sono purtroppo indissolubilmente legati per puro calcolo politico. E’ per questo che continueremo ad indicare come illegittimi ed illogici provvedimenti di tale specie (pregiudiziale) che presuppongono una presunta pericolosità sociale sulla base del solo titolo di reato senza alcun accertamento giudiziale concreto. Come se i valori del giusto processo ed il rispetto delle garanzie processuali fossero di diversa applicabilità a seconda della categoria di individuo che si ha di fronte. Analogo giudizio di negatività va formulato per le previsioni circa il contrasto all’immigrazione, sulla scia di quell’aggravante di clandestinità già introdotta nel nostro ordinamento in modo palesemente contrario ai precetti costituzionali. Prevedere infatti di aumentare la permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, niente altro che campi di detenzione, fino a sei mesi (per un barlume di legittimità non più, come nelle prime intenzioni, sino a 18 mesi), solamente a causa di uno status personale privo di qualsivoglia connotazione offensiva nei riguardi della società, oltre che offendere la nostra civiltà giuridica, appare peraltro come una previsione capace di comportare solo un inutile aggravio di spesa. E poi: sotto la dicitura “piano straordinario di controllo del territorio” si da sfogo ad un sentimento irrazionale, naturalmente cavalcato da buona parte della nostra classe politica, di destra e di sinistra, secondo cui è legittimo ed efficace autorizzare comuni individui a coltivare una giustizia di piazza. Come ben comprendono i più avveduti tra gli operatori della sicurezza, lungi dall’assicurare un aumento della sicurezza sociale, dette iniziative cagioneranno riflessi di intolleranza costringendo le forse dell’ordine ad un aggravio di compiti, dovendo controllare, oltre al territorio, anche l’attività di queste associazioni, come purtroppo i recentissimi fatti di cronaca confermano. Senza contare che, come si insegna sin ai bambini, viene così irrimediabilmente compromessa l’immagine dello Stato che tra i suoi compiti primari assume certo anche quello di garante della sicurezza dei cittadini. Si finisce così per dimenticare, molto spesso intenzionalmente, che uno Stato di diritto, quale dovrebbe essere una democrazia liberale, deve sempre garantire a chicchessia la giusta applicazione delle regole esistenti, senza valutazioni aprioristiche di condanna, attraverso un percorso processuale di ragionevole durata, rifuggendo dall’inaccettabile ed errato giudizio di incompatibilità tra certezza della pena e rigoroso rispetto delle garanzie difensive. E’ per tali motivazioni che i penalisti denunciano ancora una volta l’emanazione di provvedimenti ispirati dal clima di forte intolleranza ed autoritarismo, tanto più gravi ed illiberali in quanto adottati nei confronti degli ultimi e dei diseredati. Con la speranza che non si debba più assistere alle dichiarazioni, a dir poco sprovvedute, di difensori di parte offesa che invocano a squarciagola l’emissione di sentenze di condanna esemplari.

Marco Arcangeli

 

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