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I laboratori della potenza americana

      

   

Foreign Affairs

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Il sistema di programmazione dopo l’11 settembre 2001

 

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Massimo Iacopi


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I laboratori della potenza americana

Il sistema di programmazione dopo l’11 settembre 2001

(Perugia, 15/05/2008)   Secondo l’Oxford English Dictionary, il termine Think Tank, che deriva da think (pensare, riflettere) e tank (cisterna, carro armato), compare agli inizi del 20° secolo nel linguaggio parlato britannico per designare un “contenitore-laboratorio di idee” ed entra nel vocabolario militare americano della 2^ Guerra Mondiale per designare un “ricovero” da dove si pianifica il combattimento.

Un tale concetto non poteva conoscere il successo che all’interno di una società dove, fin dalle origini, la storia è vista come una guerra delle idee. Questo è il caso degli USA: una nazione fondata da persone che si sono separate dall’Europa per convinzione religiosa e la cui fede rivoluzionaria immagina un mondo dal volto americano.

La storia di quello che oggi è uno dei più antichi Think Tank americani, il CFR (Council of Foreign Relations), comincia tuttavia in Inghilterra, ad Oxford nel 1909, allorché un gruppo di discepoli del filosofo inglese John Ruskin, sognando la fusione del capitalismo e del socialismo in una mondializzazione anglofona, fonda la “Tavola Rotonda”. Sostenuta da dinastie di finanzieri legati all’ideale sionista e nemici dello zarismo russo, questa società iniziatica si sviluppa grazie al colonnello House, consigliere di Wilson ed uomo di un gruppo finanziario di New York e Londra (1).

Nascono allora a Londra, nel 1920, il Royal Institute of International Affairs (o Chatham House) ed a New York, nel 1921, il CFR vero e proprio. Allorché nel 1938 muore House, egli è riuscito a mettere in piedi la più potente rete di influenza, operante sulla politica estera americana.

Il CFR, pubblicando la famosa Rivista Foreign Affairs, è oggi un grande think tank (ce ne sono più di 100 permanenti negli USA), ma anche il più importante Club privato d’elite pro-americano, mai organizzato durante la guerra fredda (3.600 membri delle elite politiche, economiche, medianiche d’Europa e d’Asia), quello da cui usciranno le altre grandi reti dell’atlantismo: Aspen, nel 1949, il Gruppo di Bilderberg nel 1952, la Commissione Trilaterale nel 1973.

Il successo del CFR è stato reso possibile attraverso lo sviluppo di fondazioni filantropiche nate, alla fine del 19° secolo, da una parte dall’accumulazione capitalistica risultante dalla rivoluzione industriale, dall’altra dalla possibilità di sfuggire alle tasse.

La Carnegie Foundation, nata nel 1911, darà i natali alla Carnegie Endowment for International Peace, oggi un think tank mondiale bipartisan (democratico e repubblicano) riccamente dotato (16,6 milioni di dollari annuali (2)). La Rockfeller Foundation, nata nel 1913, consente anch’essa di finanziare diversi think tank fra i quali, in primis, il CFR.

Durante tutto il 20° secolo, le fondazioni permetteranno alle dinastie bancarie ed industriali di pesare in modo crescente, da New York o dalla California, sul governo federale e sulla tecnocrazia installata a Washington. Più di 56 mila fondazioni esistono oggi negli USA, che pesano per un complessivo di 500 miliardi di dollari e distribuiscono 30 miliardi di dollari all’anno ai think tank americani.

La Brooking Institution, fondata nel 1927 a New York, è il laboratorio di idee del secondo più importante budget annuale (41 milioni di dollari nel 2006); più del 60% dei suoi 145 ricercatori permanenti sono filo democratici e la sua deriva di sinistra, denunciata da Pat Buchanan durante la guerra del Vietnam, è stata all’origine, agli inizi degli anni 1970, di una nuova generazione di think tank conservatori.

Riguardo alla Hoover Institution on War, Revolution and Peace, installata nel 1927 sul Campus di Stanford, questa é riuscita a mantenersi nel campo conservatore durante gli anni 1960, nonostante un ambiente universitario ostile. Disponendo di un archivio privato molto ricco sulle guerre del 20° secolo e di un centinaio di ricercatori, l’Istituto Hoover è oggi l’elemento di punta della “guerra culturale” voluta dal neoconservatorismo americano.

Fra le due guerre, la prima ondata di think tank ha dunque corrisposto alla crescita di uno stato federale sempre più pianificatore (New Deal degli anni 1930) e nel cui seno il potere degli oligarchi capitalisti si è affermato a danno delle vecchie libertà comunitarie, propugnate dalle costituzioni degli stati federati.

Questa prima ondata si conclude con la creazione nel 1943, sotto l’impulso della Ford Foundation, della American Enterprise Institute (AEI), come reazione al dirigismo della Brooking e nel 1945, sulla costa ovest, della Rand (3) Corporation.

La seconda generazione del think tank, durante 1950 e 60 è quella della lotta contro la contaminazione comunista in piena guerra fredda. Herman Kahn, matematico e stratega, transfuga della Rand, che giudica troppo di sinistra, fonda nel 1961 l’Hudson Institute, che orienta alla questione della leadership americana. Oggi la priorità dell’istituto, con i suoi specialisti sul Medio Oriente (Kenneth Weinstein ed Hiller Fradkin) e quella di contrare l’Islam. Esso dispone anche di un dipartimento “Partenariato transatlantico” che studia il consolidamento dell’orientamento atlantico dell’Unione Europea.

Nel 1962 viene creato il Center for Strategic and International Studies (CSIS) con l’obiettivo di incoraggiare un forte legame fra l’Europa e gli Americani di fronte all’URSS ed un approccio realista delle relazioni internazionali. Il CSIS è oggi il think tank americano meglio dotato (circa 43 milioni di dollari di budget ed un consiglio di amministrazione che conta al suo interno Zbignew Brezinski, Henry Kissinger o anche James Woolsey, vecchio direttore della Banca Mondiale) e rappresenta il potente motore dell’influenza americana in Europa. Il Dipartimento “Partenariato transatlantico” di Simon Serfaty, finanzia i viaggi di studio di numerosi americanologi europei ed è all’origine della “dichiarazione comune per un rinnovamento del partenariato transatlantico”, fatta il 14 maggio 2003 nel momento più critico della guerra americana contro l’Irak.

All’inizio degli anni 1970 nasce la terza generazione di think tank che accompagna direttamente lo sviluppo del movimento neo conservatore. L’origine di questa corrente di pensiero risale all’insediamento a New York, negli anni 1930, di intellettuali sionisti e trozkisti quali Irving Kristol e Nathan Blazer, che sognano una nuova rivoluzione internazionalista della quale l’America (e non la Russia) strenne il principale punto di irradiamento. Marcato dal Wilsonismo e dal sionismo (avendo il secondo largamente contribuito alla genesi del primo), la corrente neo conservatrice emerge sotto Richard Nixon e conosce la sua consacrazione nell’ambito del Partito Repubblicano sotto l’era di Ronald Reagan. Dalla giunzione di questa corrente internazional-rivoluzionaria e la destra cristiana millenarista della Bible Belt (cintura della Bibbia), nasce la Rivoluzione conservatrice americana, che non ha conosciuto che la parentesi Clinton, (subito richiusa con l’affare Lewinsky).

In politica internazionale l’idea principale dei neocons è la rottura, sia con il realismo dei conservatori classici, sia con il sentimento di colpevolezza della sinistra americana. La traduzione pratica è l’uscita della “distensione” sotto Reagan e l’interventismo nel Medio Oriente a partire dalla fine dell’URSS. La caduta del sovietismo è visto come il primo atto della sconfitta del totalitarismo comunista (il secondo atto è atteso con il crollo del regime cinese e nord coreano) e come il successo della fermezza. Gli attentati dell’11 settembre 2001 vengono analizzati come una sanzione severa (strategica per i neocons ma divina per i fondamentalisti protestanti) della politica di compromesso con gli stati Rogue (canaglia) e la prova evidente che il totalitarismo islamico è l’altro nemico del progetto mondiale americano.

Dopo gli inizi degli anni 1980, tutti i grandi nomi del neoconservatorismo sono dei teorici brillanti (David Horowitz, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Robert Kagan, il grande islamologo Bernard Lewis), degli editori di talento (Irving Kristol e Daniel Bell) per Public Interest, Norman Podhoretz per Commentary, William Kristol, figlio di Inving per il Weekly Standard e degli uomini d’affari (Dick e Lynne Cheney, Edwin Feulner).

Essi hanno preso il controllo dei think tank conservatori già esistenti (Hoover, AEI, Hudson, The Heritage Foundation, creata nel 1973 per reazione alla deriva di AEI - essa stessa creata, conviene ricordarlo, per reazione alla deriva sinistrorsa della Brooking -, il Nixon Center, fondato nel 1994, di tendenza neorealista e che pubblica l’eccellente Rivista The National Interest). Essi hanno ugualmente fondato dei nuovi think tank integralmente dedicati al pensiero neoconservatore (Project for New American Century del 1997 e Public Policy Center del 1999).

Tuttavia ridurre il paesaggio dei think tank americani al solo pensiero neoconservatore, sarebbe far credere che solamente la politica internazionale occupa i ricercatori degli USA. In realtà è l’economia che occupa la maggior parte del loro tempo ed assorbe l’essenziale del loro budget. E’ abbastanza rilevante che dopo la rottura con il dirigismo del New Deal alla fine della 2^ Guerra Mondiale, è il pensiero dell’economista neoclassico Friedrik Hajek, che ha influenzato (attraverso la Società Monte Pellegrino creta nel 1947) numerosi pensatori americani, quali Edwin Feulner, il fondatore di Heritage (27,5 milioni di dollari annuali).

Questi think tank vedono infatti coabitare pensieri libertari in economia e pensiero neoconservatore in politica internazionale. I due hanno in comune un grande fondo di idealismo e lo stesso diniego della realtà, rifiutando di vedere che, di norma, le civiltà precedono e modellano l’economia e la politica.

 

L’America ha dunque speso, dal 2003, 500 miliardi di dollari per cercare di integrare l’Irak nella mondializzazione occidentale. In ragione dei 30 milioni di dollari annuali allocati all’insieme dei laboratori di pensiero, si può considerare che gli USA hanno investito più di 800 miliardi di dollari nella guerra delle idee. Ma quale è il bilancio ? Certamente Washington ha potuto mantenere a proprio vantaggio il coma profondo in cui versa l’Europa da lungo tempo, risultante degli esiziali errori del secolo 20°. Ma gli USA, probabilmente sviati dall’interno dai potenti collegamenti israeliani, hanno forse contribuito a risvegliare la civiltà islamica ed a rendere le sue azioni più dolorose. Essi non hanno potuto, nonostante le rivoluzioni arancioni finanziate dalle ricche fondazioni quali Freedom House o The National Endowment for Democracy, assumere il controllo della Russia post sovietica e non sono neanche riusciti ad impedire alla determinazione della civiltà cinese di entrare nel novero della gerarchia delle grandi potenze.

Il vero successo dei think tank è soprattutto all’interno. I conservatori hanno creato dei laboratori di idee per tentare di riportare il loro paese alla “purezza delle origini” dei Padri fondatori. Essi hanno scommesso sulle idee e questa scommessa li ha riportati durevolmente al potere. Una lezione che le destre europee non hanno immediatamente compreso.

Ma all’esterno, a contatto delle altre civiltà, delle altre culture, la maggior parte dei think tank, sia progressisti che neoconservatori, hanno fallito perché sono rimasti prigionieri dei postulati di una utopia americana, di cui sono allo stesso tempo il prodotto ed i servitori.

Ma hanno effettivamente fallito? Il giudizio dipende certamente dai punti di vista da dove si guarda. Se si tratta del bene comune americano, bisogna pur ammettere un grave fallimento in Afghanistan ed in Irak. Il solo punto positivo è che l’America a contatto con un nemico, ha ritrovato le sue sorgenti identitarie.

Se si tratta per contro delle oligarchie finanziarie, degli interessi delle multinazionali transatlantiche che finanziano i think tank, non si può parlare di fallimento anzi, al contrario, la “Guerra contro il Terrorismo” li ha arricchiti. Poco importa che questi numerosi e costosi giocattoli intellettuali non abbiano saputo prevedere nulla dall’11 settembre, all’Irak, all’Afghanistan. Sul piano economico, queste catastrofi dell’era postbipolare non hanno avuto che delle conseguenze positive: all’interno si è verificata una nuova grande “spinta” nel complesso militar industriale, questo formidabile motore della crescita americana e nel settore Ricerca e Sviluppo; mentre all’esterno, sono stati reperiti i mezzi, grazie alla politica della cannoniera, per mettere in difficoltà gli avversari degli USA nella loro corsa nella crescita di potenza.

Dopo tutto il suicidio europeo, iniziato fra il 1914 ed il 1945, non è forse all’origine della potenza delle oligarchie finanziarie ed industriali transatlantiche ?. Per cui quando si parla di fallimento risulta fondamentale conoscere da che lato lo si guarda e lo si valuta.

 

 

 

NOTE

 

(1) Jacob Schiff delle Banche Kuhn e Loeb and Co.; Averell Harriman della Brown Bros e Harriman, Franck A. Vanderlip della National City Bank, ma anche Rockfeller, Nelson Aldrich, Paul Warburg, Bernard Baruch, J.P. Morgan ecc.. In Inghilterra il colonnello House lavora di concerto con il finanziere Alfred Milner, che ha partecipato alla fondazione della Tavola Rotonda, con Cecil Rhodes (Rhodes Trust), Lord Balfour e Lord Rothschild, mentre la famiglia Astor, proprietaria del Times e le banche Lazard Brothers, J.P. Morgan finanziano il circolo iniziatico.

(2) Pubblica la Rivista Foreign Policy, un riferimento per gli specialisti delle relazioni internazionali. Fra i Dipartimenti del centro Carnegie: Democrazia e Stato di diritto; Cina, Leadership americana, ecc

(3) Acronimno di Research and Development (Ricerca e Sviluppo)

 


Massimo Iacopi

 

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