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Il progetto Europa prigioniero delle realtà politiche contrastanti

      

   

Foreign Affairs

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Dove finisce l’Europa ?

 

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Massimo Iacopi


Le frontiere dell’Europa

Il progetto Europa prigioniero delle realtà politiche contrastanti

Dove finisce l’Europa ?

(Perugia, 15/05/2008)   Unita nella tradizione e nel popolamento. Le frontiere dell’Europa. Ovvero: Dove finisce l’Europa ? L’Europa è divisa da realtà geopolitiche. Ignorarle potrebbe portare al fallimento di qualsiasi progetto unitario.

L’Europa, nel periodo della Guerra Fredda, privata di una Germania forte e di fronte alla minaccia sovietica, non possedeva una autonomia strategica. Risultavano effettivamente molto rare le nazioni la cui politica estera si poteva allontanare dalla logica dei blocchi: la scelta di fondo era o l’atlantizzazione o la finlandesizzazione, ovvero uno stato di neutralità impotente. Tuttavia nel 1990 la riunificazione della Germania ed il crollo sovietico hanno permesso, in teoria, una rifondazione dell’indipendenza europea. Dal quel giorno sono trascorsi ben 15 anni e nessun polo europeo è, nel frattempo, emerso sulla scena internazionale. Al contrario, la mondializzazione americana ha guadagnato un ampiezza sempre maggiore. La NATO si è proiettata fino alle frontiere della Russia, integrando la ex periferia sovietica e la politica estera della maggioranza dei membri dell’Unione è rimasta sostanzialmente “atlantica”. Il destino dell’Europa è da considerare ormai marcato per sempre ? Questo non sembra possibile, perché sarebbe come affermare apoditticamente che sessant’anni di legami transatlantici possano aver cancellato millenni di identità del vecchio continente (1).

In effetti un progetto europeo, inimmaginabile ormai al di fuori del mondialismo americano e dell’atlantismo (il secondo essendo la cinghia di trasmissione del primo), non può oggi essere costruito o impostato senza rifarsi alle realtà geopolitiche del continente. Da queste derivano le esigenze d’identità, di unità e di sicurezza e ne risultano individuate anche le divisioni naturali dell’Unione, sia all’interno, sia all’esterno.

L’impero romano non era una struttura esclusivamente mediterranea. Esso era un sistema bipolare terrestre e talassocratico. Nel suo interno convivevano inoltre, in continua lotta, la cultura europea dell’aristocrazia romana tradizionale e la cultura orientale dei Semiti e di altri popoli asiatici in contatto con la colonizzazione romana. La rottura era ineluttabile, proprio perché queste due tendenze non hanno mai cessato di radicalizzarsi nel corso dei secoli: la prima (Roma), rinforzata dagli apporti germanici del nord europeo, la seconda (Bisanzio) coinvolta in un processo di orientalizzazione culturale, che la doveva portare al successivo annientamento da parte dell’Islam. E sarà proprio l’Islam che chiudendo il Mediterraneo orientale e meridionale renderà possibile l’idea europea. I Carolingi e Carlo Magno appaiono inimmaginabili senza Maometto e la prima vera Europa è proprio quella del Sacro Romano Impero; esteso dai Pirenei al fiume Elba, dalle isole Frisone all’Italia centrale, dalla Bretagna all’Austria, esso è centrato sulle regioni del Reno e del Rodano (la Lotaringia). Il primo impero europeo coincide, a parte poche differenze, con il “nucleo fondatore” della costruzione europea del Trattato di Roma del 1957.

Questo “cuore nucleare” dell’Europa, al quale bisognerebbe aggiungere la Svizzera, non ha mai conosciuto, durante la sua storia, alcuna dominazione extraeuropea. Né l’Asia, né le spinte nomadi eurasiatiche, né il comunismo (un’altra faccia della mentalità asiatica), né l’Islam hanno mai violato il santuario della nostra civilizzazione. Il primo spazio geopolitica, il suo nucleo centrale è pertanto rappresentato dai territori del Sacro Romano Impero carolingio con il Reno come perno di riferimento e che è stato disperso con i Trattati di Spartizione del 9° secolo.

Nell’Unione europea allargata esistono peraltro altri quattro spazi geopolitici, con una proprio coerenza culturale e punto di partenza di progetti politici di dimensioni imperiali (regionali o mondiali), che incorniciano geograficamente il nucleo fondatore, formandone la sua periferia: gli spazi danubiano, baltico, mediterraneo ed atlantico.

 

Il Danubio nasce nel centro Europa, si estende sino agli avamposti dell’Islam e muore nei pressi della steppa ucraina. Il mondo danubiano raggiunse l’apogeo della sua unità sotto gli Absburgo, ma il fallimento dell’integrazione dei Boemi e dei Serbi, quest’ultimi il popolo più importante della regione a fianco dei Tedeschi e dei Magiari, porterà al suo definitivo smembramento del 1918. Questo spazio comprende l’Austria, l’Ungheria, la Cechia, la Slovacchia, la Romania, la Bulgaria ed i nuovi stati derivati dal disfacimento della Grande Jugoslavia (Slovenia, Croazia, Serbia - Montenegro, Macedonia, Bosnia – Erzegovina). Questi stati, ad eccezione dell’Austria e dei paesi ex Jugoslavia, sono passati direttamente da uno status di periferia sovietica (Guerra Fredda) a quello di periferia “occidentale”. Nessuno di questi stati è pertanto disposto a tollerare l’egemonia di un forte spazio centrale europeo (da qui la loro diffidenza nei confronti del duopolio europeo franco – tedesco) che li relegherebbe in una situazione di periferia strategica. Washington, in questo contesto, da un lato contribuisce ad alimentare in essi la paura della Russia e di un Europa potenza e dall’altro offre loro la possibilità di una alleanza per controbilanciare le eventuali pretese del nucleo fondatore europeo. In questa area una prospettiva credibile appare piuttosto quella della ricostituzione di un polo danubiano (che giocherebbe un ruolo di stabilità, come quello rivestito dall’Impero Austro ungarico), unificato e naturalmente ed inevitabilmente orientato verso il polo centro europeo. Va in effetti ricordato che per molti secoli l’influenza mondiale dell’Europa è rimasta incontestata, proprio fino a quando è stata incentrata sul triangolo Parigi, Berlino Vienna, ovvero sulle tre Grandi Potenze della Francia, della Prussia e dell’Austria Ungheria. Caduti, fra il 1918 ed 1945, i vertici di Vienna e Berlino, l’Europa è stata costretta a cedere il suo ruolo di egemonia mondiale alla Russia ed agli Stati Uniti. Ma ancora oggi il territorio comprendente il triangolo Parigi, Berlino, Budapest - Belgrado appare il più idoneo a stabilire un partenariato strategico forte con Mosca.

 

Lo spazio baltico, che è stato regolarmente la culla di un progetto imperiale del Baltico, dispone anch’esso di una sua propria coerenza geopolitica. La sua regola fondamentale è stata quella che nessuna grande potenza rivierasca del mar Baltico, né la Svezia, né la Danimarca, né la Germania, né la Polonia, né la Russia, è mai riuscita ad unificare le due rive opposte del mare in un unico impero.

 

Dallo spazio atlantico, specie dal Portogallo e dalla Gran Bretagna, sono invece scaturiti progetti di impero universale e contemporaneamente sforzi congiunti per bloccare qualsiasi tentativo di costruzione di uno spazio unificato europeo (Impero absburgico, tentativo imperiale napoleonico). Questi due stati, i cui prodotti coloniali sono rappresentati da esempi di un meticciato generalizzato (Brasile e Stati Uniti), sono oggi, coerentemente con la loro lunga storia, i pilastri dell’atlantismo europeo. Essi non hanno alcun interesse a passare da una posizione centrale nell’ambito di un blocco transatlantico ad una posizione eccentrica al margine di un impero europeo.

 

Lo spazio mediterraneo infine, ultimo fianco del nucleo di potenza europeo, si incentra essenzialmente sulle tre penisole meridionali dell’Europa: iberica, italiana e balcanica. La Grecia e le sue colonia antiche, Roma e Bisanzio ne sono state le tre grandi realizzazioni imperiali. In questo spazio la Francia e l’Italia, pur appartenendo al nucleo fondatore europeo, si ritrovano insieme alla Spagna, la Grecia, Cipro (con qualche distinguo) ed in futuro con l’Albania che, sebbene islamizzata dagli Ottomani, è pur tuttavia europea in ragione della situazione geografica e per la sua base etnica.

 

In definitiva l’Unione Europea a 25 membri non è assolutamente un blocco monolitico! Essa è la risultante della riunione di cinque insiemi geopolitici coerenti, che comprendono stati che possono appartenere contemporaneamente a spazi diversi. L’Italia, che ha contemporaneamente un’anima mediterranea e mitteleuropea, la Germania, componente dello spazio centro europeo, che ha la tendenza storica ad espandere la propria influenza nello spazio baltico e danubiano. Peraltro, ogni blocco dell’Europa individua una direzione naturale di sviluppo della politica estera dell’Unione: lo spazio mediterraneo ha per vocazione lo sviluppo di una politica euro araba; lo spazio baltico esprime una direzione politica privilegiata verso la Russia; quello danubiano è naturalmente orientato verso la Russia ed i Balcani, mentre lo spazio atlantico è l’interlocutore privilegiato di una politica transatlantica. In questo contesto il ruolo primario del nucleo centrale europeo è quello di garantire una coerenza generale al tutto, di assicurare l’equilibrio ed una posizione mondiale all’Europa. La storia ha mostrato chiaramente che ogni tentativo di unificazione del continente europeo, a danno di una parte o di un’altra, ha sempre generato, per contrappeso, la nascita di alleanze a volte anche extraeuropee. Ieri la Francia di Francesco 1° si è rivolta all’Impero Ottomano per non essere assorbita nel Santo Impero Germanico di Carlo 5°, oggi l’insieme dei paesi che fanno parte della periferia del nucleo centrale europeo, si garantiscono da un tale atteggiamento attraverso l’alleanza con gli USA.

 

Il rafforzamento dell’identità e dell’unità europee passa pertanto attraverso la presa di coscienza delle compartimentazioni interne esistenti nel continente; il realismo politico e storico indicano come alternativa credibile al futuro dell’Europa il consolidamento delle varie componenti geopolitiche in un insieme confederale, piuttosto che l’integrazione federale ad un nucleo centrale europeo, attraverso l’assorbimento progressivo delle sue periferie. Il futuro dell’Europa passa altresì anche attraverso l’individuazione chiara e netta del limite delle sue frontiere, da cui dipende, tra l’altro, il rafforzamento della sua sicurezza.

L’individuazione dei limiti culturali e geografici dell’identità comune europea rappresenta pertanto un fattore fondamentale del futuro dell’Unione, che la Costituzione, respinta dai Francesi e dagli Olandesi, aveva accuratamente evitato di definire, per poter lasciare aperte le porte all’ecumenismo utopico di certi burocrati europei e dell’intellighentia occidentale e forse anche per non “scontentare” nessuno. L’ecumenismo e la multirazzialità culturale, se in linea di massima e nelle dovute proporzioni possono costituire una ricchezza delle società, dall’altro, se troppo generalizzate, possono rappresentare, alla lunga, un fattore di grande debolezza e di disgregazione, proprio per l’impossibilità di trovare nella società quel minimo comune denominatore identitario culturale, collante assolutamente necessario per la sua compattezza. Ci si domanda infatti se l’azione utopico - messianica di determinati politici europei non serva inconsciamente a tutti quelli che, predicando l’ecumenismo multirazziale, vogliono effettivamente ridurre l’Europa ad una “melassa multirazziale”, resa incapace, per effetto delle sue divisioni interne di tipo razziali, culturali e religiose, di esprimere una propria politica ed il ruolo che gli compete come attore nel mondo.

 

La Russia è entrata da protagonista sulla scena europea solo nel corso del 1700 con la Zarina Caterina 2^, ma tale Nazione, sebbene dotata di numerosi tratti culturali e razziali europei, non è comunque una potenza europea. Così come non lo appare in maniera più evidente, da un punto di vista etnico, geografico e storico, quel che resta del defunto Impero Ottomano: la Turchia.

La Russia o lo Stato dei Vareghi o dei Variaghi (Vichingi dell’est), crolla nel 13° secolo per lasciare il posto a duecento anni di duro giogo mongolo e quindi asiatico, che ha apportato profondi cambiamenti fisici nelle popolazioni originarie. Ed è proprio questo carattere asiatico che le truppe tedesche sconfitte hanno visto arrivare nelle rovine di Berlino del 1945. D’altronde una potenza che possiede una notevole “terrazza” sul Pacifico è come minimo tanto asiatica quanto europea.

 

Esistono numerosi criteri per differenziare, in Eurasia, le caratteristiche asiatiche da quelle europee, fra i quali in primo luogo l‘incontro fra il sangue e la civiltà, ovvero il connubio fra le culture etno - linguistiche romane, germaniche, celtiche, baltiche, ugro - finniche e slave con il Cristianesimo. Ma un altro criterio di europeicità deriva anche dalla dinamica dei popoli. L’espansione verso est è stato un tratto caratteristico europeo, così come l’espansione ad ovest lo è stato per quello asiatico. Dopo che l’ovest europeo è stato popolato, che le foreste ed i terreni sono stati dissodati e che i primi “popoli delle radure” (2) si sono espansi fino a conseguire la contiguità con gli altri popoli abitanti del continente (i territori di separazione si trasformano così in linea di frontiera), gli stati europei hanno cominciato la loro espansione verso est.

In questo contesto non sono stati solamente i contadini tedeschi quelli che hanno marciato verso oriente alla ricerca di nuove terre da coltivare (Drang nach Osten), aprendo in tal modo a partire dall’alto medioevo, la questione coloniale tedesca, tragicamente conclusasi nel 1945 con un quasi suicidio della stessa Europa; anche la Spagna si è espansa verso l’Italia; la Francia verso la Borgogna, l’Alsazia e la Lorena; Venezia e le Repubbliche marinare italiane in direzione della Dalmazia e del Levante; l’Austria verso l’Ungheria e questa verso la Transilvania; la Sassonia verso la Polonia e questa verso la Russia e l’Ukraina ed infine la Russia verso la Siberia e l’Asia Centrale. Ma esiste anche un ulteriore criterio differenziatore, quale quello di tipo percettivo: di fatto quando i movimenti dei popoli avvengono in direzione contraria est ovest, questi vengono percepiti in maniera differente; in effetti proprio quando i Prussiani ed i Russi si sono rivolti verso l’occidente i popoli europei hanno riconosciuto in loro i tratti dell’Asia. La percezione dei popoli viene pertanto ad essere modificata dai loro movimenti geografici: i Russi del 1905 di fronte al Giappone vengono percepiti come facenti parte dello spazio europeo, mentre la marea dell’Armata Rossa (zeppa di siberiani) che arriva sull’Elba nel 1945 viene invece sentita dalla maggioranza degli europei come una invasione asiatica.

 

Per molti la frontiera della penisola europea si ferma ad est all’altezza del restringimento euroasiatico fra il mar Baltico ed il Mar Nero. Ma da un punto di vista geografico mentre il bacino pannonico, risulta protetto dalle Alpi Boeme, dai Carpazi e dalle montagne balcaniche ed ha rappresentato storicamente un pilastro della difesa dell’Europa (avendo contribuito in modo determinante a sbarrare la strada all’Islam, che marciava verso il centro Europa ed ai Russi che cercavano di raggiungere il Mediterraneo), il nord di questa frontiera immaginaria presenta caratteristiche decisamente diverse.

L’est dell’Elba non evidenzia alcuna difesa naturale e si apre sulle immense pianure della Russia. Il corridoio polacco largo circa 1000 chilometri fra il Golfo di Riga ed i Carpazi, si riduce a meno di 500 chilometri fra Danzica e Cracovia. In questa area la difesa dell’Europa passa necessariamente attraverso il pieno controllo della piana del corso della Vistola (Polonia) e dell’Oder - Neisse (Germania). Da qui l’importanza della profondità strategica del territorio polacco: la Polonia è in effetti il terreno protettore dell’imbuto euroasiatico e quindi di tutto l’Occidente europeo. L’individuazione dell’Europa naturale appare dunque netta: essa si arresta alle frontiere della vecchia URSS ed alle rive romene del Mar Nero, allo stretto del Bosforo e sulle rive nord del Mediterraneo, fino a Gibilterra.

L’Ukraina, anche se presenta incontestabili segni della civiltà europea (a differenza della Turchia che presenta invece i tratti di un dominio nettamente asiatico), da un punto di vista storico, ha sempre avuto una netta vocazione in direzione di Mosca.

La definizione di un vero progetto geopolitico europeo, che può comunque andare di pari passo con lo schema base della costruzione globale transatlantica (che preconizza un allargamento del mondo occidentale fino al Caucaso e comprendente tutto il mondo turcofono fino alle frontiere con la Cina), si lega al ruolo pilota che potrebbe avere in futuro lo spazio mitteleuropeo e danubiano in questo contesto della politica europea. Un tale atteggiamento, che non rinnega in alcun modo i tradizionali e consolidati legami con l’alleato americano, tende piuttosto a creare un soggetto Europa autonomo ed alleato consapevole, ricercando seriamente i veri punti fondanti di una effettiva costruzione europea, dal momento che è di per sé evidente che una futura Europa unita non potrà comunque avere una omogeneità strutturale paragonabile a quella degli USA. Questo deriva dal fatto che l’Unione Europea rappresenta, di per sé stessa, la sintesi di almeno 20 lingue e culture omologhe, ma comunque nettamente diversificate (ed è proprio questa la ragione e la necessità per cui occorre ricercare seriamente, definire e valorizzare ciò che veramente ci unisce, ovvero il minimo comune denominatore delle nostre società). In tale contesto quale potrebbe essere il minimo comune denominatore socio culturale con la Turchia, se si eccettua il fatto di far parte dello stesso genere umano ? Fatto che comunque non impedisce di certo di continuare a collaborare fattivamente e con ottimi risultati nel campo economico e della sicurezza comune, così come è stato fatto a partire dalla 2^ Guerra Mondiale sino ad oggi. L’affermare a buon diritto la propria identità e la propria diversità è una necessità insopprimibile dell’uomo che non significa necessariamente mettere tutti gli “altri”, sic et simpliciter, nella categoria dei “nemici”. Se questo principio non fosse vero o comunque non fosse un valore riconosciuto, a che titolo il mondo continuerebbe ad affannarsi per risolvere il problema palestinese ?

Per tornare al mondo danubiano, nel 1991, il Triangolo di Visegrad (Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia) si era costituito per preparare la sua adesione all’Unione europea. In effetti piuttosto che integrare l’Unione europea, nella loro veste di periferia atlantizzata, i Paesi dell’Europa centrale ed orientale avrebbero dovuto approfondire le loro relazioni in una sorta di Visegrad allargata ai Serbi ed ai Rumeni. Ma purtroppo non è stato fatto ! Ormai il rischio è grande per il duopolio franco - tedesco di vedere una coalizione ostile interna la cui anima troverebbe sostegno a Londra ed a Washington. La stessa Russia non sosterrà mai il progetto europeo se gli spazi baltici e danubiani non torneranno ad essere il motore di una cooperazione euro russa. Per quanto concerne la politica araba dell’Europa essa al momento appare fortemente condizionata dall’alleanza israelo - americana e dalla loro politica del Grande Medio Oriente (dal Marocco al Caspio), il cui scopo sottinteso da un lato è quello di bloccare una ancora molto improbabile unità araba e controllare i Palestinesi e dall’altro quello di mantenere il controllo su buona parte delle riserve petrolifere del mondo.

Proprio per aver mancato di rispettare, contemporaneamente, le sue diversità nazionali e sotto regionali (gli spazi geopolitici) e la sua identità ed unità di civiltà, l’Europa oggi è fortemente minacciata di dissoluzione (nel senso di solubilità della sua identità) nella “mondializzazione” americana, favorita anche dall’insorgere di altri fattori negativi non ancora nettamente e concretamente percepiti come un pericolo per la nostra sopravvivenza (immigrazione massiccia dall’Africa e dall’Asia, declino demografico senza precedenti, ecc.).

Alcuni segnali di ravvedimento fanno ancora ben sperare per il futuro, anche se il messianismo della burocrazia europea e delle elites intellettuali, abbeverate ad una monocultura dominante internazionalista, fanno forse inconsciamente il gioco dei nemici dell’Europa. Il risveglio democratico delle masse popolari europee, la necessità sempre più evidente che siano i popoli e non le elites a determinare il futuro dell’Europa, la presa di coscienza della progressiva perdita di una identità comune e soprattutto la auspicabile comparsa sulla scena politica di figure di eccezione, potrebbe contribuire a correggere in positivo e rilanciare una dinamica di costruzione di tipo “transatlantico”, che purtroppo avanza sotto una falsa maschera europea ed a stabilire in tal modo le solide fondamenta di una struttura peculiare ed autenticamente legata al Vecchio Continente.

 

1. Venner Dominique: Storia e Tradizione degli Europei.

2. Ancel Jacques: Geografia delle Frontiere. Gallimard, 1938

 


Massimo Iacopi

 

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