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Il Giappone fra Cina ed America

      

   

Foreign Affairs

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


La grande questione della scelte strategiche

 

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Massimo Iacopi


Geopolitica del Giappone

Il Giappone fra Cina ed America

La grande questione della scelte strategiche

(Perugia, 15/07/2008)   Dal 1945 al 1989 lo scontro delle potenze fra i popoli si era organizzato intorno al duello USA – URSS, ma a partire dal 1990 la Cina ha rimpiazzato l’URSS come principale avversario geopolitico degli Americani. Certamente, i Cinesi non vengono ufficialmente qualificati come nemici, come lo erano i Sovietici, ma dal punto di vista americano essi rappresentano un minaccia decisamente ben più importante degli stessi islamici per il successo del loro progetto di mondializzazione.

Il Giappone, solido alleato degli USA dopo il suo collocamento sotto tutela dal 1945, si trova oggi di fronte ad un nuovo contesto globale: la Cina dispone di sufficienti carte vincenti (coesione identitaria, affinità etnica rispetto al Giappone, peso demografico, sviluppo economico, pragmatismo del suo sistema politico) per diventare la prima potenza asiatica e forse anche mondiale e questo probabilmente prima della metà del 21° secolo (secondo alcune stime già a partire dal 2030). In tale prospettiva si pone una questione fondamentale per il Giappone: nei decenni a venire bisognerà fare la scelta della civiltà o quello della Nazione ?

Bisognerà scegliere il trionfo del mondo giallo sul mondo bianco, accettando evidentemente la primato della Cina sul polo asiatico oppure, al contrario, tentare con l’aiuto degli USA ed attirando a sé altre alleanze asiatiche, di porsi come ostacolo all’egemonia cinese in Asia ?

Il Giappone non potrà essere più per lungo tempo la prima potenza economica asiatica. Certamente la sua potenza economica rimane temibile, ma le sue debolezze geopolitiche restano enormi:

•          disastrosi terremoti possono devastarlo in qualsiasi momento;

•          la sua insularità è diventata ormai quasi inutile di fronte alle armi aeree di lunga portata (aerei e missili) dei concorrenti asiatici (Russia, Cina e Corea del Nord). Una forte densità demografica, concentrata in un piccolo territorio, rende il Giappone un paese esposto al rischio di scomparsa completa in caso di conflitto con la Cina;

•          una dipendenza alimentare ed energetica estrema nei riguardi dell’estero (il fabbisogno giapponese impegna il 15% del nolo marittimo mondiale), che può fornire al nemico la tentazione dell’asfissia attraverso il blocco della lunga linea di rifornimenti che va dal Medio Oriente all’arcipelago nipponico (Oceano Indiano, stretti di Malacca e di Taiwan). Ci si dimentica spesso che, per il Giappone, gli USA sono prima di tutto una garanzia di sicurezza delle proprie rotte marittime. Nei prossimi trent’anni, nonostante gli sforzi intrapresi (specialmente nel campo dei sottomarini, capaci di superare un eventuale blocco navale), appare difficile immaginare una marina giapponese in grado di confrontarsi da sola con una delle tre grandi marine del Pacifico: la cinese, l’indiana e naturalmente quella americana. Questo semplice fattore di dipendenza dalle rotte marittime esclude la prospettiva di una politica di indipendenza nazionale e fa propendere per un quadro di alleanza bilaterale forte (mantenimento dell’alleanza pro americana o orientamento pro cinese);

•          un problema nord coreano che non potrà che evolvere domani in un problema coreano, ancora più grave per il Giappone. La formazione di una super Corea unificata, ostile al Giappone ed orientata a scegliere come partner privilegiato, a seconda della prevalenza politica della parte nord o di quella sud, o la Cina o gli USA;

•          la probabile riduzione della popolazione, mentre tutti gli altri concorrenti o rimarranno sostanzialmente stabili (a livelli elevati) o continueranno a crescere moderatamente. Nel 1950 il Giappone era il quinto in termini di popolazione mondiale dopo la Cina, l’India, gli Stati Uniti e l’URSS. Nel 2050 la popolazione giapponese sarà stabilizzata intorno ai 105 milioni d’abitanti ( in luogo degli attuali 127 milioni), ovvero al 17° posto mondiale.

Tutti questi fattori, dalla vulnerabilità del territorio a quella degli approvvigionamenti, passando per quello della demografia, inducono fortemente a pensare che il Giappone difficilmente potrà, a differenza dell’India, della Cina o della Russia, optare per una politica d’indipendenza nazionale. Tutto lascia supporre che i Nipponici dovranno necessariamente restare in un quadro di strette alleanze, pur rimanendo irrisolta la questione di fondo e cioè conoscere chi sarà il partner prescelto.

Oggi il Giappone intrattiene relazioni solide con gli USA. Washington considera Tokyo come uno dei più solidi alleati e lo pone al rango di un Israele, della Gran Bretagna o di Taiwan. Convinti che il loro modello politico (la democrazia liberale) è una specie di “punto di arrivo” in tale settore, gli Americani non nutrono dubbi sulla perennità della democrazia giapponese e non pensano ad una uscita dei Giapponesi dalla mondializzazione americano. A breve termine essi hanno in effetti poche ragioni per dubitare della fedeltà dei Nipponici. I Giapponesi, preoccupati per il loro territorio, non solo a causa dei tiri balistici nord coreani (lanciati proprio a scopo intimidatorio), ma anche, a più lungo termine, della spinta cinese, sono d’accordo sul principio della difesa antimissilistica. Questo significa che in una prospettiva temporale di almeno qualche decennio il Giappone sceglierà di ripararsi sotto l’ombrello antimissilistico americano. Questa scelta non è peraltro contraddittoria con la volontà crescente dei Giapponesi di ufficializzare una loro propria capacità nucleare, fondata sul principio di “interventi preventivi” (fatto che risulta estremamente logico tenuto conto dell’esiguità del loro territorio).

Un fatto attesta molto significativamente la fiducia che gli USA ripongono nell’alleanza americano giapponese: la loro posizione sulla riforma del consiglio di Sicurezza dell’ONU. Washington avrebbe fatto fallire di proposito, di concerto con la Cina, il progetto detto del G4 (un seggio permanente per Germania, India, Brasile e Giappone), sostenuto da Parigi e Londra, proprio perché non voleva nessuna nuova entrata nel Consiglio, eccetto il Giappone.

Gli USA pensano che la Germania potrebbe uscire dall’Altlantismo e sposare l’idea d’Europa potenza, che l’azione del Brasile potrebbe far fallire la Dottrina Monroe e che l’India, motore in passato del non allineamento, sarebbe un pericolo per il mundialismo USA. Per contro gli USA non sembrano nutrire alcun dubbio circa la fedeltà del Giappone. Questa è pertanto la ragione per la quale, poiché l‘America desidera il Giappone, questo può, al prezzo di un rafforzamento della sua dipendenza e dell’accettazione permanente di una umiliazione mai estinta, scegliere di restare durevolmente l’alleato degli USA.

Ma l’opzione del rovesciamento dell’alleanza, a più lungo termine, non è peraltro da escludere.

Certamente l’opposizione Giappone/Cina è ancora oggi molto forte. Le ragioni di questo stato di fatto sono numerose e sono sostanzialmente tre.

In primo luogo l’identità. I Cinesi sanno che supereranno il Giappone e che la fierezza nazionale di quest’ultimo ne uscirà ferita. La loro volontà di strappare ai Nipponici l’ammissione di un pentimento deve essere interpretato come il desiderio di ottenere, come nel passato, il vassallaggio del Giappone all’Impero di Mezzo. Poiché la Cina è di nuovo in condizione di recuperare potenza, essa vuole far piegare il “paese dei nani” e rendere nuovamente il Giappone tributario. Nella realtà, se un giorno il Giappone dovesse eventualmente consumare il proprio pentimento, in quello specifico momento egli avrà compiuto proprio quel gesto simbolico attraverso il quale il vassallo rende tributo al proprio sovrano.. Tutto questo i conservatori giapponesi, che vedono il loro paese in perdita di velocità, non l’accettano e ciò appare comprensibile. Ma fra due umiliazioni, quella operata dalla razza bianca e quella inflitta da dei fratelli, anche se confuciani (il Giappone è in maggioranza Shintoista), anche se nemici secolari, quale è quella che peserà di più fra trent’anni ? Bisogna ricordare che si parla dell’Asia, una regione dove le razze dei popoli non sono “incrociate” o “meticciate” e dove nessuna delle “malattie” importate dall’Occidente (individualismo, edonismo, invecchiamento demografico, ecc.) ha alterato la coesione etnica dei gruppi umani.

In secondo luogo, il comune bisogno di accesso alle fonti energetiche, rappresenta ugualmente, almeno per il momento, una causa di ripetuti screzi. Nel 2025 l’Asia consumerà la metà della produzione mondiale di petrolio. Orbene, in tale contesto, più la Cina si sviluppa e naturalmente consuma, più essa rischia di mettere in pericolo gli approvvigionamenti di un Giappone che resta segnato dal ricordo dell’embargo petrolifero americano del 1941. Pechino e Tokyo cercano pertanto di pesare rotte di istradamento del petrolio e del gas russo verso est: verso Daquing (Cina) o verso Nakhoda (Giappone). Cina e Giappone si disputano ugualmente le isole Diaoyutai/Senkaku nel Mar della Cina, che potrebbero nascondere delle importanti riserve di idrocarburi. Ma lo stesso discorso potrebbe essere affrontato in maniera diametralmente opposta, considerando che, a lungo termine, i Cinesi ed i Giapponesi avranno interesse a mettersi d’accordo sull’argomento. Essi hanno già lo stesso interesse a proposito dell’Iran, da cui parzialmente dipendono per gli approvvigionamenti: entrambi sono di fatto ostili ad una guerra americano israeliana contro i Persiani. Nel 2030, allorché l’Asia (vale a dire la Cina, l’India ed il Giappone) assorbirà l’80% degli idrocarburi estratti nel Medio Oriente, potrebbe escludersi a priori il verificarsi di una unione di questi ultimi per organizzarsi da soli la sicurezza dei loro rifornimenti ?

Terzo motivo di screzio a breve termine: il problema di Taiwan. Per i Cinesi Taiwan non è che un’appendice insulare dell’Impero cinese. Washington, puntando sulla “democrazia indiana”, sul suo nucleare militare (legalizzato nel 2006 dall’avvicinamento americano nel campo dl nucleare civile) e sulla sua forte capacità navale che potrebbe farne teoricamente un “gendarme alleato dell’Oceano Indiano”, tenta di far uscire New Delhi dal suo tradizionale non allineamento (che si basa su una forte alleanza con la Russia). L’India, peraltro, non rifiuta questo riavvicinamento USA, che disturba particolarmente il Pakistan, ma non rinuncia ad agire simmetricamente in modo da migliorare le sue relazioni con Pechino. In questi ultimi anni sono stati risolti numerosi contenziosi fra Cinesi ed Indiani (riconoscimento indiano della sovranità sul Tibet) e manovre navali comuni hanno avvicinato per la prima volta la marina indiana a quella cinese.: Le evoluzioni attuali mostrano che la strategia di bipolarizzazione voluta da Washington che punta a creare un blocco pro americano ostile alla Cina non ha avuto successo. Né la Russia, né l’India sono disposti a diventare degli alleati incondizionati degli USA e l’opposizione comune alla mondializzazione americana contribuisce al contrario, nel corso degli anni ad attenuare le opposizioni geopolitiche tradizionali fra Russia, Cina ed India. Da venti anni la Cina ha cercato con tutte le sue forze di risolvere tutti i suoi contenziosi di frontiera con i Russi e gli Indiani.

Nella seconda parte del 19° secolo e la prima parte del 20° secolo, diverse civiltà non occidentali, fra cui il Giappone e l’Islam (con le esperienze del Kemalismo in Turchia, dello Sciismo sotto i Pahlavi in Iran, del nazionalismo arabo, ..) hanno fatto la scelta dell’occidentalizzazione come mezzo di modernizzazione. Tutte avevano uno scopo in comune: recuperare il tempo perduto sull’Occidente e superarlo e vincerlo per scrollarsi di dosso le umiliazioni subite. Questa ossessione nella ricerca della inversione dei rapporti di forza con l’Occidente potrebbe provocare in Asia orientale, dei sorprendenti sconvolgimenti nel corso di questo stesso secolo.


Massimo Iacopi

 

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