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Al centro una razza ed una civiltą

      

   

Foreign Affairs

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Intorno i barbari temuti e disprezzati

 

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Massimo IOacopi


Continuitą nella geopolitica cinese

Al centro una razza ed una civiltą

Intorno i barbari temuti e disprezzati

(Perugia, 15/07/2008)  

Una Razza ed una civiltà

 

L’identità cinese è da un lato razziale e dall’altro culturale. E’ razziale per il fatto che la Cina è prima di tutto il paese degli Han, immensa massa asiatica, frutto di una dinamica di agglutinazione ed unificazione di una molteplicità di gruppi etno - linguistici, caratterizzati ciascuno dalla specificità del dialetto orale impiegato, diverso da una provincia all’altra. Ma è anche una civiltà, perché da più di due mila anni una lingua scritta, la scrittura ideografica, dominio dei mandarini e fondamento dello stato, rappresenta l’espressione fondamentale delle strutture imperiali cinesi che si sono succedute. In effetti esiste in Cina un rapporto originale fra la razza e la civiltà. Questo deriva in realtà dal fatto che la lingua scritta, per essere stata il potere di una minoranza e la colonna vertebrale dello stato imperiale, ha consentito la preservazione delle specificità identitarie delle province, ma allo stesso tempo ha rappresentato globalmente l’unità razziale del popolo cinese.

In effetti i Cinesi, uniti politicamente dalla loro civiltà, si sono molto poco frammischiati fra gruppi etno - linguistici simili, conservando in tal modo la struttura identitaria originale delle vecchie province. Ogni volta che l’impero crolla o si sfalda e si frammenta, esso ha poi potuto ricostituirsi praticamente in maniera identica, realizzando nuovamente l’unità fra i suoi costituenti etnici, elementari ed irriducibili. Per questo stesso motivo, gli invasori stranieri quali gli Unni, i Mongoli ed i Manciù, non sono stati in grado di modificare sensibilmente il substrato identitario degli Han. I Cinesi, contadini sedentari (derivati, per analogia, dalla Mesopotamia, ovvero dalle terre in mezzo ai grandi fiumi dell’Asia orientale, fertili per le alluvioni) piuttosto che guerrieri nomadi, hanno regolarmente abbandonato la direzione del loro potere all’invasore, “digerendo” ed assorbendo quelli che diventavano “cinesi” (in genere le elites) per meglio rigettare gli altri. Tutte le dinastie straniere e specialmente le due ultime, Mongoli Yuan (1271 -1368) e Manciù Qing (1644 - 1911), sono state tutte assorbite. Demograficamente gli apporti “stranieri” non furono mai talmente importanti da modificare la base razziale dell’impero.

 

Una dinamica coloniale

 

Questo Impero del Centro del Mondo (sottinteso), allo stesso tempo razza e civiltà, rappresenta anche una dinamica colonizzatrice, quella del popolo Han su territori che sono andati crescendo senza sosta, almeno sino al limite delle frontiere di altre civiltà sedentarie.

Il processo coloniale, cominciato al confine del loess e della Grande Pianura intorno al 2° millennio avanti Cristo, prosegue ancora oggi all’interno delle frontiere cinese, nel Tibet, nel deserto del Turkestan cinese (Xingkiang) e nell’estremo oriente russo (dove la cinesizzazione si sostituisce alla crisi della dinamica coloniale russa) e fin dentro le terre “barbare” per eccellenza, con la costituzione di colonie cinesi in Europa, in America e nell’Africa sub sahariana. A somiglianza della colonizzazione romana, l’avanzata cinese procede nello Xingkiang e nel Tibet, attraverso la costituzione di colonie di contadini, che coltivano le terre conquistate e che sposano donne del luogo. In tal modo i costi dell’occupazione risultano ridotti e le zone conquistate risultano consolidate da una temibile rete di soldati pionieri. Gli autoctoni vengono razzialmente eliminati attraverso la captazione delle loro riproduttrici. Altrove invece si assiste al fenomeno delle colonie mercantili, che si accrescono ad una velocità vertiginosa.

 

Il mare per la terra

 

Non è poi così sorprendente constatare che un paese, che pur dispone di migliaia di chilometri di coste, non abbia da potersi vantare, nella sua lunga storia, che praticamente ed esclusivamente, di un solo periodo “marittimo”, ovvero della politica navale di un solo imperatore Ming (1), che voleva assicurare alla Cina la supremazia navale sui mari della Sonda e dell’Oceano Indiano.

Una delle costanti geopolitiche della Cina è quella che ha sempre privilegiato la terra sul mare, questo perché si tratta, piuttosto, di una civiltà di contadini coniugata alla forza di conquistatori nomadi, che di un popolo di marinai. I Mandarini dello stato imperiale, completamente occupati dall’amministrazione dei fiumi fondamentali per la loro esistenza (la loro “idro politica” è assimilabile a quella degli stati mesopotamici o egiziano), hanno sempre avuto una grande diffidenza per le avventure marittime. Nel 16° secolo nel momento stesso in cui gli Europei aprono al commercio le grandi vie oceaniche, i Cinesi arrivano a condannare a morte tutti quelli che osano costruire dei vascelli a più alberi. Tuttavia, a partire dagli anni 1970, mentre la stabilizzazione territoriale è in corso (trattati sulle frontiere con la Russia, l’India ed i paesi dell’Indocina), cominciano a risvegliarsi le ambizioni marittime cinesi.

Per Pechino la prima priorità geopolitica è rappresentata dal recupero di Taiwan. La seconda priorità è il rinforzo della sua influenza nel Mar della Cina, specialmente attraverso il controllo delle isole dell’Arcipelago di Paracelso e degli isolotti Spratley (2). L’obiettivo è di mantenere nel breve termine l’unità della Cina continentale: Nord, Centro e Meridionale, i tre blocchi che storicamente si sono sistematicamente distaccati. Una Cina Meridionale, sempre più legata economicamente e culturalmente all’isola di Taiwan indipendente, rappresenterebbe infatti un pericolo per l’unità dell’Impero. Se i Cinesi si orientano ora verso il mare è perché essi ricercano, piuttosto ed in via prioritaria, il consolidamento della parte continentale e non l’impero marittimo mondiale. Allo stesso modo al di là del mare della Cina ed in direzione dell’Oceano Indiano, le nuove ambizioni marittime cinesi si spiegano attraverso la ricerca della sicurezza degli approvvigionamenti energetici provenienti dal Medio Oriente. In ultima analisi la Cina si ripropone, in tal modo, di aggiungere una cintura di sicurezza marittima alla struttura continentale. In questa ottica andrebbero pertanto lette le facilitazioni navali richieste dalla Cina al Pakistan, al Bangladesh ed alla Birmania.

“Quale sarebbe stato il destino dell’Asia se, superate l’India e la Malesia, i navigatori europei vi avessero trovato una talassocrazia cinese ?” Questa è la domanda che si poneva René Grusset nel suo libro Storia della Cina. La domanda ritrova oggi la sua attualità proprio nel momento in cui le ambizioni cinesi si trovano confrontate con lo sviluppo di una possente diaspora cinese nei paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud Est asiatico. La Cina - dopo aver affermato inizialmente di fronte agli USA la sua potenza in una prima catena di isole, delimitata dal Giappone, da Taiwan, dalle Filippine e dalla Malaysia - potrebbe palesare, a più lungo termine, una volontà di contestare la supremazia americana su una seconda catena di isole, quali ad esempio quelle che vanno dalle Kurili fino alle Marianne ed alle Caroline.

 

L’autosufficienza dell’Impero

 

Tutta la storia della Cina è punteggiata da diverse catastrofi naturali (inondazioni) e da drammatiche carestie. Si può in effetti affermare che il problema alimentare, attraverso la gestione dell’acqua, è la ragione essenziale dell’esistenza di una burocrazia forte e delle ricorrenti collettivizzazioni agrarie, sia sotto gli imperatori, come sotto il comunismo. Questa costante si esprime oggi sotto una forma di un bisogno crescente di energia e di materie prime, derivanti da una crescita economica forte (3).

Installandosi nel Medio Oriente, riserva petrolifera del pianeta, gli USA si prefiggono di controllare la dipendenza energetica della Cina ed in tale quadro Pechino è costretta a diversificare i suoi approvvigionamenti. Questo è il senso del riavvicinamento che i Cinesi tentano con la Russia (in concorrenza con il Giappone), l’Iran, l’Arabia Saudita, il Venezuela o con i paesi africani del Golfo di Guinea. Allo stesso modo la Cina cerca, attraverso il partenariato con il Brasile, una cooperazione nucleare o attraverso quello con il Cile, il rifornimento di rame, indispensabile per la sua industria elettronica.

Ma non sono solo l’identità (razza e civiltà), il suo movimento (colonizzazione), il suo orientamento (più terrestre che marittimo) e le sue necessità (la ricerca dell’autosufficienza) le cose che caratterizzano la geopolitica cinese. C’è anche la percezione che i cinesi hanno dello straniero, strutturata secondo cerchi concentrici. Al centro del mondo esiste il cuore Han: la Cina vera e propria. Intorno nel primo cerchio gli obiettivi di colonizzazione (movimento di colonizzazione) dove i pionieri cinesi sradicano dai predetti territori etnie meno numerose. Nel secondo cerchio, quello dei vassalli, i quali devono rimanere sottomessi e leali all’impero. I popoli, naturalmente considerati come vassalli sono i Coreani, i Giapponesi e gli Indocinesi (Vietnamiti, Kmer e Thai), cioé quello spazio impregnato dalla civiltà cinese. Infine al di là dei vassalli, l’Europa, l’Islam arabo, turco e persiano e l’America, rappresentano il terzo cerchio, quello dei “Barbari”.

Con i vassalli sono necessarie delle relazioni istituzionali, ma la commistione razziale non è possibile. Con i “Barbari”, salvo ad aver subito la loro brutale, ma provvisoria, irruzione (dagli Unni fino agli Europei), il contatto è assolutamente da evitare.

Nel 17° e 18° secolo le ambasciate europee, inviate per cercare di realizzare l’apertura delle relazioni diplomatiche con il mondo cinese, vengono interpretate come dei gesti di vassallaggio. Per i Cinesi il rapporto di forza comanda e definisce i Trattati, per definizione ineguali e quindi provvisori. Il trattato protegge dalla potenza altrui, ma non deve mai limitare la propria potenza. Tuttavia la riconquista sarà tentata solamente in una situazione di evidente superiorità. Quello che la giurisprudenza europea considera come una frontiera intangibile, sancita da un trattato, in Cina non è altro che una linea di cessate il fuoco. Evidentemente non esiste una mondializzazione cinese comparabile a quella americana, tuttavia la Cina non si sente delimitata: il suo spazio potenziale ingloba il mondo del 2° cerchio (vassalli), vale a dire l’integralità dello spazio culturale asiatico. Nel 18° secolo, i regni periferici di Corea, di Birmania, del Siam o del Nepal furono resi vassalli. Quasi in maniera regolare e sistematica, Vietnam e Corea furono oggetto di “bacchettate” nell’intento di ricondurli alla .. “ragione”. Ancora una volta, nel 1979, Pechino ha presentato l’operazione militare contro il Vietnam come una … “punizione”. Ed è proprio questa idea di vassallaggio della Cina che fa paura, dal Giappone fino a Mosca (La Russia ha di fatto una parte asiatica), passando per Seul o per Hanoi. Al momento la restaurazione della preminenza sui vassalli assume solamente contorni di tipo economico. Nel 2004 viene creato uno spazio di libero scambio che riunisce la Cina, le nazioni dell’Asia del Sud Est, il Giappone e la stessa India, il più grande spazio economico regionale del mondo, nel quale la Cina pensa effettivamente di affermare il suo dominio.

Per Pechino il timore viene dal Giappone, l’unica nazione che possiede reali capacità di concorrenza (economiche) con la Cina nella sua volontà di predominio sui vassalli. Sono stati in effetti i rovesci subiti alla fine del 19° secolo che hanno affievolito la legittimità dell’Impero Celeste in tali aree e causato la spinta delle forze rivoluzionarie.

Oggi i Cinesi non desiderano in alcun modo un ritorno politico e militare del Giappone; Essi rifiutano seccamente la prospettiva di un seggio permanente giapponese in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come anche l’accesso di Tokio al nucleare. Per contro il Giappone non digerisce la prospettiva di una perdita del suo statuto di prima potenza asiatica a favore della Cina.

 

I nuovi “Barbari”

 

Fino al 19° secolo i “Barbari”, disprezzati ma temuti dai Cinesi, venivano essenzialmente dall’Asia Centrale. Le loro ondate successive hanno ispirato la costruzione della Grande Muraglia; dalla muraglia al nucleare fino alla conquista spaziale, i più grandi sforzi effettuati dal popolo cinese risultano conseguenti dalla resistenza alla potenza materiale dei Barbari, spesso superiore a quella di Cinesi, malgrado (pensano loro!) l’inferiorità della loro civiltà. Conviene sottolineare a questo punto il trauma che ha costituito nella mentalità cinese, l’operazione di spartizione effettuata dagli Europei (Russia, Inghilterra Francia e Germania), sulla base dei “Trattati Ineguali” del 19° secolo. L’impiego della droga (oppio) come arma di guerra da parte degli Inglesi rappresenta un ricordo umiliante per i Cinesi, così come la stessa volontà sovietica, durante la guerra fredda, è stata la causa principale della rottura sino - russa, proprio perché pretendeva di dirigere anche il comunismo cinese.

Per i Cinesi d’oggi, i nuovi Barbari sono essenzialmente gli Americani. Gli USA cercano in effetti di contenere la crescita di potenza della Cina, circondandola (come già per la Russia sovietica) dall’est all’ovest, dall’Asia centrale fino alla Corea del Sud, passando per Taiwan. Ma evidentemente Pechino rifiuta di dipendere da Washington per il suo approvvigionamento energetico, come d’altronde rifiuta un ordine internazionale dominato dalla mondializzazione americana.

Tutto questo anche a costo di riavvicinare alcuni dei vassalli potenziali Russi o Indiani od anche dei “Barbari” (Iran, Francia, Italia, Venezuela). L’importante per le strategie della Cina è quello di costituire un asse di contrappeso, che possa consentire di dare scacco all’unipolarità voluta dagli USA e di favorire al contrario un equilibrio multipolare, in attesa di disporre dei mezzi sufficienti per restaurare l’unipolarità cinese nel circolo dei vassalli e forse anche al di là, a danno dei Barbari.

Ma l’Impero cinese è stato sempre fragile di fronte alle ideologie straniere, venute dal secondo cerchio (buddismo) o dal cerchio dei Barbari (evangelismo protestante, mondializzazione, diritti dell’uomo, islamismo), che costituiscono altrettante sfide per la mentalità confuciana.

Queste ideologie possono coalizzarsi con le forze centrifughe interne (separatismo tibetano, taiwanese, oighur) e giungere a rimettere in causa anche l’unità del vecchio impero. Per Pechino la posta in gioco di fronte ai Barbari è, ancora una volta, la modernizzazione, per diventare potente: occorre dunque aprirsi alla modernità della tecnica e dell’economia dell’Occidente, rifiutandone però con forza un indiretto “meticciato” ed una pericolosa commistione razziale. In conclusione, oggi, più che trovarci di fronte a quella che potrebbe apparire come il sorgere di una mondializzazione cinese, in contrapposizione a quella americana, la politica cinese nasconde piuttosto una realtà che sembrerebbe essere più l’effetto di una resistenza culturale e razziale dei Cinesi di fronte al mondo dei Barbari.

 

(1) Yon Lo, all’inizio del 15° secolo

(2) Ma anche l’arcipelago delle Diaoyutai – Senkaku, nel mare della Cina Orientale e quello di Takeshima – Tokdo, nel mare del Giappone.

(3) La Cina pesa già per il 40% nell’aumento della domanda energetica mondiale.


Massimo Iacopi

 

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