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Prelevamenti bancari dei professionisti

      

   

Diritto

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Carlo Giacobbi


E retroattivitą della norma tributaria

 

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La Giustizia Tributaria


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Prelevamenti bancari dei professionisti

E retroattivitą della norma tributaria

(Rieti, 11/12/2009)  

Ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2 del DPR 600/73, (come modificato dalla Legge Finanziaria 311/2004), il prelevamento effettuato da un libero professionista dal proprio conto corrente bancario è considerato “compenso” se “il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario”, tranne il caso in cui, esso prelevamento, risulti “dalle scritture contabili”.

La ratio della norma è (o sembra essere) la seguente: il prelevamento (non giustificato) consente al professionista di disporre di una somma di denaro volta all’acquisto “in nero” di beni e/o servizi inerenti l’attività professionale. Di essi beni e/o servizi il professionista si serve per svolgere la propria attività professionale e, quindi, per conseguire compensi.

I compensi così conseguiti, dedotti i costi inerenti, costituiscono reddito (di lavoro autonomo) da recuperare a tassazione.

Il Legislatore ha dunque dedotto dal prelevamento (fatto noto) il conseguimento di compensi non dichiarati (fatto ignoto), introducendo così una presunzione relativa a vantaggio dell’Amministrazione Finanziaria, alla quale sarà sufficiente, al fine di recuperare materia imponibile, dimostrare le uscite di denaro dal conto del professionista.

Quest’ultimo, al fine di vincere la presunzione legale, dovrà: o dimostrare la registrazione del prelevamento in contabilità o indicare il beneficiario dello stesso.

L’introduzione di tale presunzione, già prevista per l’accertamento del reddito di impresa, è stata fortemente criticata dalla dottrina (Batistoni Ferrara - Falsitta - De Mita) poiché presunzioni simili “mal si adattano al mondo dei professionisti, in quanto derivano direttamente da analoga presunzione fatta con riferimento alle imprese (…) con riguardo al reddito d’impresa, infatti, la disposizione può trovare giustificazione in considerazione della rilevanza che assumono gli atti di disposizione del patrimonio aziendale” (cfr. “Banche, fiduciarie, immobili e locazioni: pressing dell’Amministrazione Finanziaria, De Mita, Guida alla Riforma Fiscale, n. 3/2005).

Infatti, se è verosimile ritenere che il prelevamento effettuato da un imprenditore industriale o commerciale sia volto all’acquisto “in nero” di materie prime da trasformare o a quello di prodotti da rivendere, l’estensione della presunzione ai lavoratori autonomi appare “totalmente assurda” (cfr. “La fiscalità italiana tra rispetto delle garanzie costituzionali e giustizialismo fiscale”, Falsitta, Corriere Tributario, n. 24/2007).

Nel caso del libero professionista, l’operatività della presunzione legale si fonda su di un nesso inferenziale debole, su di un nesso causale che esprime una mera possibilità e non, come dovrebbe, una probabilità statistica. Il prelevamento, infatti, non è normalmente volto all’acquisto di beni e/o servizi, ma al soddisfacimento delle normali esigenze di vita del lavoratore autonomo.

Si vuol dire che i quotidiani prelevamenti effettuati da un avvocato, da un commercialista, da un architetto, se contenuti entro limiti soggettivamente ragionevoli, devono ascriversi alle spese personali e quindi extra-professionali degli stessi (si pensi all’acquisto di generi alimentari, alle spese sostenute per il vestiario, per i figli, per gli hobbies, per le vacanze ecc.).

Stando alla lettera dell’enunciato normativo il professionista dovrebbe conservare gli scontrini di tutti gli acquisti, i biglietti del treno, del cinema, dovrebbe sempre documentare l’acquisto di carburante tramite l’apposita scheda ecc.

Vero è che l’Agenzia delle Entrate ha mostrato, da questo punto di vista, una apertura pro contribuente affermando che “i contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extra-professionale” (cfr. Circolare Agenzia delle Entrate 32/E/2006).

Ma ciò non toglie che lo standard di diligenza, di fatto richiesto al contribuente dalla presunzione di cui s’è trattato, dovrà essere comunque altissimo, potendo il prelievo prestarsi alla duplice e diametralmente opposta lettura (extra o intra-professionale) a seconda di chi sia chiamato a giudicarlo.

Fermi restando i dubbi di costituzionalità della novella legislativa, l’attualità della questione si manifesta anche sotto il profilo dell’efficacia temporale della stessa.

Come detto, il meccanismo presuntivo già operante per la rideterminazione del reddito di impresa è stato esteso, con la Legge Finanziaria n. 311/2004, ai prelevamenti effettuati dai professionisti. Detta Legge Finanziaria è entrata in vigore il 1° gennaio del 2005.

Ne consegue che, stante il principio di irretroattività delle leggi di cui all’art. 11 delle “disposizioni sulla legge in generale”, come ribadito dall’art. 3, comma 1, della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), la novella legislativa avrebbe dovuto applicarsi dal 1° gennaio 2005.

Tuttavia l’Amministrazione Finanziaria, argomentando dalla natura procedimentale della novella legislativa in quanto volta ad introdurre un diverso regime probatorio non incidente sui presupposti dell’imposizione, ha invitato gli Uffici periferici ad applicare lo strumento presuntivo “anche per l’accertamento di annualità pregresse rispetto alla sua entrata in vigore” (cfr. Circolare 32/E/2006 cit.).

Anche la Suprema Corte, più volte chiamata ad esprimersi sul punto, ha arguito la retroattività della novella legislativa “anche per periodi di imposta precedenti per i quali i termini per l’accertamento erano ancora pendenti” (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib, n. 10538/2006; 26692/05; 2435/01).

Ma come notato da attenta dottrina, il principio del tempus regit actum, in base al quale il regime normativo applicabile è quello in vigore al momento in cui il mezzo di prova viene assunto e non quello (anteriore) in cui s’è verificato il presupposto impositivo da provare, non può trovare applicazione quando “tali norme possono incidere sull’esito della definizione del rapporto controverso”. (cfr. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Cedam, 2007) In quel caso, infatti, la norma sulla prova non sarebbe meramente procedimentale ma “para sostanziale” e perciò irretroattiva.

Il problema, a nostro avviso, può essere risolto mediante la valorizzazione del principio statutario di cui all’art. 10 della Legge 212/2000, vale a dire con il principio di collaborazione e buona fede che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra contribuente e Amministrazione Finanziaria.

La norma, lungi dal costituire mera lex imperfecta, introduce il canone interpretativo della tutela dell’affidamento del contribuente nei confronti del Fisco, principio “immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico” volto a costituire “uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni” (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., n. 10982/2009).

Come giustamente osservato “non si può trascurare il fatto che le novità introdotte sono evidentemente suscettibili di esplicare effetti sostanziali in capo al contribuente, poiché capaci di intervenire direttamente sul processo di ricostruzione del reddito” (cfr. Borrelli, “L’estensione dei poteri nelle indagini bancarie”, commento alla Circolare 128000/2005 del Comando Generale della Guardia di Finanza, in Corriere Tributario n. 27/2005). Si conviene pertanto con i giudici pisani che, con sentenza n. 118/2007, disattendendo l’orientamento dei giudici di legittimità, hanno correttamente affermato che “La modificazione operata dalla Legge 311 del 2004 appare incidere non sulla procedura di acquisizione della prova ma sul regime della prova, regime avente carattere non processuale, ma sostanziale, in quanto le modalità di prova del diritto definiscono il contenuto del diritto medesimo; è evidente che, dal momento in cui diviene operativa una presunzione iuris tantum, il contribuente porrà particolare cura nella conservazione della documentazione necessaria a vincere la presunzione” (cfr. CTP di Pisa, Sez. II, 15.10.2007, n. 118).


Carlo Giacobbi

 

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