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PETROLIO SOCIALISMO E DITTATURA

      

   

Editoriali

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Promesse di indipendenza non mantenute. Guerra civile e sopravvento dell’islamismo.

 

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“Scene di Ordinario Terrorismo”


Algeria

PETROLIO SOCIALISMO E DITTATURA

Promesse di indipendenza non mantenute. Guerra civile e sopravvento dell’islamismo.

(Roma, 01/02/2014)

Le promesse dell’indipendenza sono state seguite da molte delusioni. Dopo due decenni di dittatura militare “socialista”, il paese è stato dilaniato dalla crescita dell’islamismo ed è progressivamente scivolato nella guerra civile degli anni 1990

Agli inizi del 1965, in un’Algeria in preda alla disoccupazione, ad un esodo rurale senza precedenti, una crisi economica ed una forte emigrazione (1) verso l’Europa, Ben Bella resta sempre convinto di avere ancora il sostegno del popolo. Egli non si accorge  che il colonnello Huari Boumedienne è diventato il vero uomo forte del sistema e la sua sorpresa sarà totale quando verrà arrestato il 19 giugno 1965, rimanendo poi in prigione fino al 1980.

Boumedienne assume la guida del paese, alla testa di un Consiglio della rivoluzione. Uomo segreto ed inflessibile, ideologo austero e determinato, ha scarsa considerazione per l’FLN (2) e per governare si appoggia sulle Forze Armate. Egli elimina qualsiasi opposizione, con l’aiuto della temibile Sicurezza Militare (polizia politica del regime). Due capi politici dell’insurrezione vengono assassinati: Mohamed Khider, a Madrid nel 1967; Krim Belkacem, strangolato nella sua camera d’albergo a Francoforte, nel 1970. E’ lo Stato-Esercito che tiene veramente in mano il partito FLN.

La Carta Nazionale del 1976 dichiara il socialismo una “opzione irreversibile” e fissa i grandi orientamenti politici, economici e culturali del paese. La Costituzione del novembre 1976 organizza il funzionamento dell’apparato dello Stato e conferma “l’Islam come religione di Stato”. La prima assemblea popolare nazionale viene eletta il 25 febbraio 1977 sul modello plebiscitario con quesito unico e candidato unico, procedura che rimarrà in vigore fino al 1988.

Il fallimento delle industrie basi per l’industrializzazione

Boumedienne ottiene i suoi più importanti successi sulla scena regionale ed internazionale. Alla conferenza dei non allineati ad Algeri del settembre 1973, l’Algeria appare come uno stato rivoluzionario prestigioso che proclama di apportare il suo sostegno a tutti i “movimenti di liberazione” e che intende scuotere i rapporti Nord-Sud. Ma sul piano interno, le difficoltà e gli errori comporteranno delle gravi conseguenze.

Il momento di svolta della politica economica di Boumedienne si situa nell’anno 1971, quando egli nazionalizza le ricchezze naturali, in particolare gli idrocarburi (petrolio e gas). Il regime militar-autoritario, nato da un colpo di stato, tenta di ridurre la sua carenza di legittimità politica attraverso la ridistribuzione della “manna” petrolifera a diverse clientele urbane e rurali, attraverso la creazione di posti di lavoro nell’amministrazione ed per mezzo di investimenti in determinate regioni dell’Est fedeli al potere (Costantina o Annaba, ad esempio). Boumedienne spera in tal modo di mettere in opera un nuovo modello di sviluppo. Egli crea circa 70 società nazionali e programma uno sviluppo a marce forzate. Il suo principale ministro, Belaid Abdeslam, lancia il piano delle “industrie (pesanti) industrializzanti”, la cui produzione supererà raramente il 30 % delle capacità globali.

Gli sforzi per il decollo si basano su una intensa politica di scolarizzazione: quattro milioni di giovani, ragazzi e ragazze, nelle elementari nel 1978, contro un solo milione nel 1962-63, fatto che trasforma l’Algeria nel paese più alfabetizzato del Maghreb. Ma la politica di arabizzazione non aiuta a preparare questi giovani diplomati ad entrare sul mercato del lavoro, poiché l’Algeria risulta essenzialmente orientata, sul piano economico e culturale, verso l’Europa; la “fuga dei cervelli” risulta notevole. Dieci anni più tardi una parte importante di questi giovani diplomati votati alla disoccupazione si ritroveranno nelle file del movimento islamista.

Per quanto riguarda la rivoluzione agraria, lanciata nel 1971, anch’essa sarà un fallimento: ripartizione iniqua delle terre, gestione burocratica, insufficienti e carenti circuiti di distribuzione. La demografia galoppante (nel 1977 il tasso di fecondità supera i 7 figli per donna) manda in rovina la maggior parte degli sforzi. Alla morte di Boumedienne, il 27 dicembre 1978, circa il 60% della popolazione non è stato interessato alla colonizzazione.

Il 7 febbraio 1979 sulla pressione dell’Esercito, diviene presidente della Repubblica il colonnello Chadli Bendjedid. Il nuovo potere si scontra con la “primavera berbera” (3), vera e propria esplosione culturale che pone all’ordine del giorno la pluralità linguistica del paese (arabo, berbero e francese). Le sommosse di Tizi Ouzou, nella Kabilia vengono severamente represse nell’aprile 1980.

Chadli tenta una timida apertura politica, riduce il ruolo dei servizi di Sicurezza, modernizza l’esercito. Egli elabora un piano quadriennale (1980-84) che attribuisce la priorità ai settori negletti (agricoltura, idraulica, habitat), alla redditività delle industrie ed alla riabilitazione delle imprese private. Egli allontana dal potere gli uomini sospettati di sviamento di fondi. Tuttavia, la corruzione continua a guadagnare spazio a grande scala.

Il fossato si allarga fra due società

Nel 1984, grazie alle sue entrate petrolifere, l’Algeria sfugge alla “rivolta del pane”  che scuote il Marocco e la Tunisia. Ma la popolazione è sempre di più infastidita dall’arroganza di una nuova casta di privilegiati che raggruppa i quadri della nomenclatura, militari, grandi famiglie tradizionali e la borghesia commerciante. Il fossato si allarga fra due società. Le frustrazioni si accumulano. Nel 1985-86, i prezzi del petrolio diminuiscono bruscamente, per effetto della crescita dell’offerta mondiale. La moneta diventa rara. L’Algeria adotta un piano di austerità draconiano: riduzione delle spese sociali, delle importazioni e del bilancio dello Stato. I beni di attrezzature e di prima necessità cominciano a mancare. L’esodo rurale accelera e la crisi degli alloggi nelle città si accentua.

In un paese senza tradizione democratica, dove un solo partito esercita il potere, dove esiste un solo sindacato ed un solo giornale El Moudjahid, non è possibile alcun dibattito. Una parte della creatività si rifugia nell’esilio, specialmente in Francia, dove Assia Djebar, Kateb Yacine e tanti altri scrittori pubblicano le loro opere e dove la musica berbera si diffonde. I giovani algerini, in preda alla disoccupazione, vivono in una situazione esplosiva.

In questo contesto gli islamisti sviluppano le loro prime reti clandestine. I primi uomini alla macchia appaiono nel 1983, alimentati da combattenti che ritornano dall’Afghanistan. Nell’aprile 1985 viene celebrato il processo a 135 fondamentalisti mussulmani accusati di appartenere a delle organizzazioni clandestine. Nello stesso tempo, scoppiano delle manifestazioni nella casbah di Algeri per reclamare miglioramenti nelle condizioni di alloggio. L’anno seguente, nel novembre 1986, Costantina viene, a sua volta, scossa da violente sommosse da parte di giovani. Il FLN e la classe politica vengono messe sotto accusa. Lo scontento sfocia, nell’ottobre 1988, in manifestazioni sanguinose.

Promesse democratiche

Nell’ottobre 1988, l’Algeria conosce il crollo del sistema del partito unico. Ha inizio a quel punto una corsa di velocità fra un “polo democratico” ed un “polo islamista” al fine di riempire il vuoto lasciato dall’FLN.

Dal 5 al 10 ottobre 1988, scoppiano delle rivolte ad Algeri e si estendono a tutta l’Algeria: l’esercito tira sui manifestanti. Un bilancio ufficiale riporta la cifra di 500 morti. Viene denunciata la pratica della tortura e nulla sarà più come prima dell’ottobre 1988. Chadli Bendjedid decide di far approvare per referendum, il 23 febbraio 1989, una nuova Costituzione che abolisce il ruolo dirigente del partito unico.

Inoltre, una legge che autorizza delle associazioni a carattere politico apre la via al multipartitismo. Vengono legalizzati diversi partiti, come il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (RCD), maggioritariamente berbero e all’opposto nello scacchiere politico, delle organizzazioni islamiste, come il Fronte (4) islamico di salvezza (FIS). Per la prima volta un paese arabo autorizza un partito che ha per scopo esplicito l’instaurazione di una “Repubblica Islamica” .

La stampa viene parimenti liberata e nello stesso periodo vedono la luce numerosi giornali (i quotidiani Al Watan, Le Matin o il Quotidiano d’Algeria), di una libertà senza precedenti. L’Algeria, per la prima volta dal 1962, si ingaggia in un reale processo di democratizzazione. L’esperienza viene intralciata da una serie di errori di calcolo che porteranno successivamente alla crisi.

Il 12 giugno 1990, alle elezioni municipali e regionali, si assiste ad un rigetto massiccio dell’FLN e ad un maremoto del FIS che conquista quasi tutti i consigli municipali delle grandi città. Il potere pensa a quel punto che dei provvedimenti economici e sociali (promesse di assunzioni per gli “hittisti” (5), i giovani disoccupati che “sostengono i muri”) dovrebbero consentire di limitare l’influenza del FIS.

Una gioventù in cerca di identità e di memoria

L’atteggiamento degli uomini al potere però dimostra di aver mal valutato il lavoro sul campo sociale effettuato dai militanti islamisti. Soprattutto è stato sottovalutato l’aspetto che costituisce la forza del FIS: la sua concezione della nazione, esclusivamente mussulmana e libera da qualsiasi influenza straniera, che respinge la democrazia come prodotto della storia coloniale e valori importati da un Occidente demonizzato. Il discorso del FIS entra di forza nell’ambito di una gioventù declassata, in cerca di identità e di memoria. Il confronto fra le idee religiose, i valori repubblicani ed il nazionalismo arabo non c’è stato. La berberità dell’Algeria è stata cancellata ed è stata fatta una operazione di tabula rasa sul passato. Trenta anni di partito unico hanno immerso l’Algeria in una amnesia culturale che ha favorito lo sviluppo dell’islamismo. L’FLN cercherà bene di promulgare, nel 1984, un Codice della Famiglia ispirato ai valori arabo-mussulmani, che pone la donna algerina sotto tutela in materia di divorzio o di eredità e la riduce ad un cittadino di 2^ classe, ma in ogni caso i religiosi ritornano in prima linea. Essi hanno una concezione della nazione molto semplice che fa dell’islam lo stadio supremo del nazionalismo. Il FIS, alla fine, appare come un movimento neonazionalista ed una specie di cattiva coscienza dell’FLN.

Le prime elezioni legislative pluraliste sono previste per il 27 giugno 1991. Ma il FIS sceglie lo scontro nelle strade e scatena uno sciopero generale e delle manifestazioni e viene messa in moto una dinamica insurrezionale. L’esercito, diretto dal generale Khaled Nezzar, ministro della difesa, interviene di nuovo. Le elezioni vengono rimandate a nuova data ed i principali responsabili del FIS, Abassi Madani ed Alì Belhadj, vengono arrestati, mentre viene proclamato lo stato d’assedio.

Il primo turno delle elezioni legislative ha luogo il 26 dicembre 1991. Dei tre partiti in lizza, solo i “tre fronti”, il FIS (islamisti radicali), il FFS (Fronte delle forze socialiste a predominanza Kabila) e l’FLN si giocano la partita. L’astensione raggiunge il 42% e gli islamisti conquistano 188 seggi, lasciando ben distanziati il FFS (25 seggi) ed l’FLN (18 seggi). Ma il secondo turno non avrà luogo.

L’11 gennaio 1992, l’esercito “dimissiona” Chadli, che aveva l’intenzione di coabitare con il FIS e si forma un “Alto Comitato di Stato”. Questo fa appello a Mohamed Boudiaf, uno dei capi storici dell’FLN, esiliato da 28 anni in Marocco. Boudiaf ottiene l’interdizione del FIS e desidera allearsi con l’FLN. L’uomo, integro e modernista, fautore di una “società solidale e giusta” vuole riformare il sistema, ma viene assassinato il 29 giugno 1992 ad Annaba.

Il paese cade nella guerra civile

In 6 mesi, l’Algeria passa ad una guerra civile aperta. Si succedono senza sosta assassini di intellettuali, di magistrati, di poliziotti; arresti in massa di militanti integralisti; processi e condanne.

Il 20 agosto 1992, nell’aeroporto di Algeri, un attentato con una bomba, attribuito agli islamisti costa la vita a dieci persone. Ha inizio una “guerra senza quartiere” che farà migliaia di vittime, fra le quali personalità di grido (7), ma anche decine di giornalisti e di insegnanti algerini, come anche stranieri (18 Francesi nel 1994). Fra il 1992 ed il 1995 la guerra produce numerosi morti ogni giorno, tanto da raggiungere i più elevati livelli del tempo della guerra d’indipendenza. Ma gli islamisti indeboliti dalla violenta repressione statale risultano anche minati al loro interno da numerose divisioni. Nella clandestinità, dove opera l’AIS (Esercito Islamico di Salvezza), braccio armato del FIS, le rivalità interne producono una parcellizzazione dei gruppi armati ed in questo contesto nascono, nel gennaio 1994, i Gruppi (8) Islamici Armati (GIA), che si oppongono all’AIS.

Dal lato del potere, i clan, le famiglie, i sopravvissuti del partito unico si gettano in un regolamento di conti. Lo Stato diventa privo di legittimità. Nessuno dei due campi sembra essere in condizioni di raggiungere la maggioranza. La società, sottomessa alle milizie, ai traffici, alla crisi dei legami familiari, all’esilio di una parte delle elite francofone, sembra essere in via di decomposizione.

L’elezione presidenziale del 1995 non risolve la situazione. Il 16 novembre, il generale Liamine Zeroual, presidente in esercizio designato dall’Esercito nel gennaio 1994, viene eletto al 1° turno Presidente della Repubblica Algerina con il 61% dei suffragi espressi (9). Gli attentati riprendono, la violenza dello stato non diminuisce ed arresti e scomparsa di terroristi presunti continuano su grande scala.

L’anno 1996 è spaventoso. I massacri di civili si moltiplicano (10). Gli islamisti, certi di avere “la protezione di Dio”, massacrano senza pietà i “patrioti”, come vengono denominati i membri dei gruppi di autodifesa armati dal potere algerino. I “patrioti”, quando mettono le mani su dei “terroristi” presunti, spesso delle donne, ragazzi ed anziani, rispondono con una terrificante ferocia. Il 26 marzo 1996 sette religiosi francesi del monastero di Tiberine, a sud ovest di Algeri, vengono assassinati in delle condizioni che costituiscono oggetto di interpretazioni contraddittorie.

Tuttavia, il potere sembra riprendere il sopravvento. Beneficiando di un armamento sofisticato, ottenuto dalle potenze occidentali, l’esercito, appoggiato da migliaia di civili in armi, lancia nel 1997 delle grandi operazioni di “pulizia” contro i ribelli islamici.

Sul piano politico, tutte le formazioni algerine (ad eccezione del FIS, dissolto), accettano di partecipare alle elezioni legislative del giugno 1997. Il partito del presidente Zeroual, l’RNDI (Raggruppamento Nazionale Democratico) guadagna la maggioranza assoluta all’Assemblea. L’insieme delle formazioni protesta contro i brogli elettorali. Ma il FIS è ormai isolato ed il 1° ottobre 1997, l’AIS proclama la tregua.

Il tempo dei massacri

Ma è proprio in quel momento che si producono i più spaventosi massacri della “seconda guerra d’Algeria”. Nell’agosto, settembre, ottobre 1997, dei villaggi interi, come Bentalha, Rhais, Beni Messous, vengono decimati. Centinaia di civili vengono sgozzati, bruciati vivi e tagliati a pezzi. Alcuni si domandano perché l’esercito algerino si è rivelato impotente nell’impedire tali crimini. Il regime algerino autorizza l’arrivo di due missioni d’inchiesta, del Parlamento europeo e dell’ONU, nel febbraio e luglio 1998 e queste non metteranno in difficoltà il potere.

Nel 1998, il paese vede un relativo ritorno alla calma nelle grandi città, anche se i massacri continuano nella campagne. L’11 settembre 1998, fra la sorpresa generale, il generale Zeroual annuncia di voler accorciare il suo mandato (doveva terminare nel 2000) e che non si ripresenterà alla Presidenza della Repubblica e, conseguentemente vengono indette delle nuove elezioni per l’aprile 1999.

Il 16 aprile 1999, Abdelaziz Bouteflika viene eletto alla Presidenza con il 74% dei suffragi espressi, dopo che tutti i suoi avversari si sono ritirati dallo scrutinio per protestare contro i brogli. Il 5 giugno seguente l’AIS annuncia la sua resa definitiva (11).

Un mese più tardi, il presidente sottomette al Parlamento un progetto di legge sulla “concordia civile”, che viene adottato l’8 luglio seguente. Esso prevede l’amnistia per quelli che sono stati implicati nelle reti di sostegno ai gruppi armati, senza aver commesso crimini di sangue o stupri, e per quelli che si sono resi colpevoli di distruzioni di beni e di infrastrutture. Esso consente, inoltre, una attenuazione delle pene inflitte agli autori di omicidi e di massacri, a condizione che essi si arrendano alle autorità entro il termine di 6 mesi, dopo la promulgazione della legge, che, in ogni caso, esclude la pena capitale o l’ergastolo.

I partiti d’opposizione, imbarazzati dall’idea chiamare a votare “contro la pace”, non danno consegne ai loro simpatizzanti. Il progetto di legge per la Concordia civile viene massicciamente approvato, il 16 settembre 1999, da più del 90% dei votanti in Algeria.

2001: la crisi Kabila

Tuttavia, nel 2001, l’Algeria torno di nuovo sulla ribalta internazionale. Il 18 aprile, un giovane liceale di 17 anni, Massinissa Guermah, viene ucciso da un raffica di pistola mitragliatrice nella gendarmeria del borgata di Beni Douala, nei pressi di Tizi Ouzou. Presentato dalle autorità come una sbavatura, questa morte aveva provocato delle sommosse a Beni Douala, che si erano propagate in tutta la Kabilia, e provocando, dall’aprile al giugno 2001, più di un centinaio di morti e feriti.

Il giovedì 14 giugno 2001, circa 1 milione di persone tentano di sfilare per le strade di Algeri per reclamare il passaggio alla democrazia, la fine delle violenze della polizia in Kabilia ed il rispetto del pluralismo linguistico (in special modo il riconoscimento della lingua berbera). La marcia, spettacolare, viene violentemente repressa dal potere. Essa rivela, tuttavia, l’emergere di un’altra società, fino a quel momento silenziosa, come presa in ostaggio e segna la fine di un confronto sanguinoso fra i gruppi islamici armati e lo Stato. La marcia mostra, inoltre, la debolezza politica della corrente islamista, moderata o radicale, che si è poco espressa negli slogan della strada. Questa corrente fino a quel momento abituata a parlare, partendo “dal basso” (i settori esclusi della società) si ritrova confusa con il potere in uno stesso rifiuto o rigetto: Essa è legata attraverso degli accordi con alcuni circoli dirigenti dell’FLN per una difesa intransigente dei valori arabo-mussulmani e della lingua araba classica, come fondamento essenziale dell’unità nazionale.

La “crisi Kabila” segnala ed amplifica la perdita di legittimità dello Stato centrale, abituato a funzionare nel segreto, percepito come una entità lontana, autoritaria ed arbitraria. Questo, a sua volta, cerca di squalificare la rivolta evidenziandone gli aspetti etnici in modo da far risorgere nelle masse lo spettro della “balcanizzazione” del territorio algerino. Ormai come lo proclamano i giovani manifestanti del giugno 2001, l’esigenza democratica passa attraverso il ritiro dei militari dalla condotta degli affari politici. L’esercito continuerà, tuttavia, a giocare un ruolo discreto dietro le quinte del potere politico.

50 anni dopo l’accessione all’indipendenza e nel tornante del 21° secolo, l’Algeria si trova davanti ad un bivio. L’assenza di una rappresentazione della guerra civile degli anni 1990 da parte dei media e degli intellettuali, la confusione sulle responsabilità nelle tragedie che dilaniano il paese, l’assenza di un netto fronte di guerra, hanno impedito la costruzione di un racconto coerente. La museruola alla stampa nazionale ed internazionale, l’autocensura dei giornalisti minacciati sia dallo Stato algerino che dagli islamisti armati, hanno reso il conflitto invisibile, limitando conseguentemente qualsiasi comprensione di questi avvenimenti sanguinosi ed impedendo di fatto la scrittura della storia e la formazione di una memoria collettiva.

In questo paese si è giocata con grande asprezza una lotta fra tradizione e modernismo, islamismo politico e repubblicanesimo mussulmano. Il dilemma che si pone sempre per l’Algeria è di sapere come vivere la sua identità arabo mussulmana senza cadere nell’oscurantismo. La società algerina, spossata da anni di guerra civile è rimasta ai margini del fenomeno dell’esplosione delle primavere arabe.

Ma, in ogni caso e nell’immediato, occorre all’Algeria l’esigenza di raccogliere le sfide della crisi economica, del malessere sociale e dell’instaurazione di una vera democrazia politica.

 

NOTE

(1) La prima ondata di Algerini in direzione della Francia risale agli anni 1930. Per i nazionalisti, l’indipendenza doveva consentire al paese il rientro degli emigrati. In realtà, l’emigrazione dei lavoratori algerini, raggiunti dalle loro famiglie dopo il 1976, è andato aumentando, portando la popolazione algerina in Francia a 470 mila persone nel 1968 ed a più di 800 mila alla fine degli anni 1980. Gli algerini di Francia sono oggi un po’ meno di 500 mila; 

(2) FLN, Fronte di Liberazione Nazionale. Movimento fondato il 10 ottobre 1954 allo scopo di ottenere l’indipendenza dell’Algeria per mezzo dell’azione armata;

(3) Il termine deriva dal greco “barbaro” e designava alle origini degli uomini che non parlavano il greco e si esprimevano per mezzo di “bar bar”. Il termine verrà poi impiegato dai conquistatori arabi per designare i popoli autoctoni dell’Africa del Nord, la cui lingua si lega alla famiglia camita-semitica. In Algeria oggi si contano circa 9 milioni di Berberi;

(4)  FIS, Fronte islamico di Salvezza. Creato nel febbraio 1989 e dissolto nel 1992. Il suo braccio armato, l’Esercito Islamico di Salvezza (AIS), ha accettato una tregua il 1° ottobre 1997;

(5) Hittisti, dall’arabo hit, il muro. Vengono detti anche “muristi”, un nomignolo ironico per i giovani disoccupati che passano le loro giornate a “sostenere i muri”;

(6) FFS, Fronte delle Forze Socialiste. Partito creato nel 1963 da Hocine Ait Ahmed a Tizi Ouzou per opporsi al governo di Ben Bella, sebbene la Costituzione prevedesse solamente un partito unico, l’FLN. Partito laico, insediato soprattutto in Kabilya e nelle grandi città,esso boicotta le elezioni dal 2002;

(7) Lo scrittore Tahar Djaouf, lo psichiatra Mahfoud Boucebci, l’economista Djilali Liabes ed il vecchio primo ministro Kasdi Merbah;

(8) GIA, Gruppi Islamici Armati. Sono dei Gruppi islamisti clandestini ultra radicali, che appaiono sulla scena algerina nel gennaio 1994;

(9) La partecipazione al voto è stata notevole: dal 50 al 75%, a seconda delle stime;

(10) Ma i crimini annunciati ufficialmente dalla stampa restano ben al di sotto di quelli che non sono mai stati resi pubblici;

(11) Viene in effetti firmato un accordo segreto tra i suoi capi ed il regime algerino.


Massimo Iacopi

 

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