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L’AFRICA IN PRIMO PIANO NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE

      

   

Foreign Affairs

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Saggio di:

Massimo Iacopi


L’Africa Subsahariana dilaniata da violenze interconfessionali. Cause del conflitto fra religioni.

 

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L’AFRICA SUBSAHARIANA


Crescita economica e svolta liberale

L’AFRICA IN PRIMO PIANO NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE

L’Africa Subsahariana dilaniata da violenze interconfessionali. Cause del conflitto fra religioni.

(Guidonia, 27/11/2014)

Che paradosso è la situazione dell’Africa, se da sempre la maggior parte dei geopolitici, con Huntington in testa, definiscono l’Africa subsahariana come la sola civiltà che non può essere definita attraverso la sua religione ?

Una questione di civiltà ?

Per Huntington ogni civiltà è fondata su una identità religiosa esplicita o sottintesa. Constatando la presenza di diverse religioni nell’Africa sub sahariana, in uno spazio che presenta peraltro, molteplici punti culturali comuni, Huntington arriva a fondare la “civiltà africana”, non su una religione maggioritariamente praticata attualmente, ma sulla presenza di un fondo religioso animista.

In realtà, appare evidente constatare che la stessa natura dell’animismo porta oggi alla sua quasi scomparsa oppure alla sua sopravvivenza sotto forme di pratiche parareligiose in seno al Cristianesimo o all’Islam. Questo modo di ragionare equivarrebbe a definire un Europeo in funzione del fatto che i suoi antenati abbiano o meno venerato i dei dell’Olimpo !! Per di più, questa definizione esclude dalla civiltà africana l’Africa del Nord, uniformemente mussulmana, cosa che si può giustificare, ma anche il corno d’Africa, che peraltro risulta meno semplice da giustificare. Attualmente, al contrario, emerge un nuovo paradigma che definisce l’Africa sub sahariana come il luogo dove due delle principali religioni monoteiste, il Cristianesimo e l’Islam, conoscono il più forte tasso di crescita sia demografico e di conversioni e come luogo dove i movimenti fondamentalisti incontrano il maggiore successo, che si tratti dell’islam radicale o fondamentalista o delle chiese evangeliche, o delle sette. In definitiva ci si può domandare se il fattore religioso risulta uno dei principali fattori di destabilizzazione di questi spazi oppure ne rappresenti i sintomi di questo fenomeno.

Africa, nuova terra della jihad ?

Per parlare di scontro islam cristianesimo, occorre inizialmente sottolineare che i margini posti a sud del Sahara e più in generale lo spazio del Sahel (1), sono diventati una delle aree in cui i movimenti islamisti armati risultano più attivi. L’islamizzazione di questi spazi è avvenuta lentamente, essenzialmente dal 13° al 19° secolo, attraverso integrazioni successive di fondi animisti e per assimilazione di determinate pratiche non ortodosse dell’islam maghrebino, in primo luogo quelle della venerazione dei santi locali, i marabutti, le cui tombe costituiscono luoghi di devozione. Dalla fine degli anni 1990, l’islam radicale ha incontrato una forte crescita in questi territori. La presenza sin dagli inizi di quel decennio dei GIA algerini nello spazio sahariano ha costituito un precedente. Attualmente le reti islamista armata attive nella regione sono di diversa natura. La maggior parte associano combattenti locali con altri provenienti da altri centri della jihad: Afghanistan, Irak e, più recentemente, la Libia o la Siria. Questa è una delle caratteristiche fondamentali dell’AQMI (2), fondato nel 2007. Una vera e propria nebulosa derivata da movimenti radicali sunniti, nelle sue tendenze wahabite e salafite (3). L’insediamento in Africa di questi movimenti sfrutta diverse opportunità. La più significativa è costituita dalla scarsa presenza statale nei territori che consente loro di sostituirvisi, specie nel campo sociale. Questo aspetto costituisce un primo motivo di scontro con il Cristianesimo. In effetti, anche nei paesi a larga maggioranza mussulmana, le ONG cristiane o gli ordini religioni caritatevoli (specie nel campo sanitario) o formativi risultano molto presenti. Questo è il caso del Niger dove, per il 5% di cristiani, il 75% di scuole internazionali ed il 35% dei dispensari fanno capo ad istituzioni caritative cristiane. Queste istituzioni sono considerate dai jihadisti come punti di cristianizzazione, nonostante che le autorità cattoliche abbiano rinunciato al proselitismo nei confronti dei mussulmani. Il movimento islamista Ansar Eddin (4), fa di questi enti l’obbiettivo privilegiato dei loro attacchi nel nord del Mali sin dall’aprile 2012.

Guerra al Cristianesimo o all’Occidente ?

Peraltro, nei numerosi paesi della regione, la comunità cristiana rappresenta, agli occhi degli islamisti, rappresenta un avamposto dell’occidentalizzazione. Il caso più estremo si incontra in Somalia, dove gli Shebab, i tribunali islamici, hanno completamente sradicato la piccola comunità cristiana dal paese ed hanno raso al suolo dal 2006 al 2009, tutti gli edifici di culto cristiano. Questo supposto legame dei cristiani africani all’Occidente non è senza un fondamento: a seguito della colonizzazione, i padri fondatori delle nazioni della regione sono risultati spesso provenire dall’ambiente cristiano. Questo è il caso del Senegal con Leopold Senghor, o anche in Costa d’Avorio con Felix Houphouet Boigny.

Ad una scala più ridotta, alcuni gruppi hanno potuto trovare nell’islam radicale il mezzo per manifestare i loro rancori. Nella Nigeria, nello stato di Jos, gli allevatori nomadi mussulmani si sono sentiti per molto tempo disprezzati dagli agricoltori sedentari che avevano adottato il cristianesimo. Tentativi simili sono stati realizzati da movimenti islamici radicali nel Kenia, dove i movimenti islamici evocano la discriminazione di cui sarebbero stati vittime per giustificare le loro esazioni (E’ su questo punto che le linee di separazione religiose possono coincidere con quelle etniche). A tutto questo occorre aggiungere gli atti del terrorismo islamico, spesso intrisi di cristianofobia. In tal contesto, il rapimento di occidentali, sistematicamente assimilati a cristiani, a prescindere dai loro credo. In occasione dell’attacco al centro commerciale Westgate a Nairobi, il 21 settembre 2013, i terroristi hanno immediatamente liberato i mussulmani che si trovavano nell’edificio, ma mantenuto tutti gli altri come ostaggio.

Dal Mali al Centro Africa

E’ in questo contesto che gli attacchi ai Cristiani si sono moltiplicati nella regione da più di un decennio. Le principali ondate di violenza conseguono di diverse logiche. Il primo caso é quello in cui le violenze contro i Cristiani sono anche un aspetto di una logica di sovranità su un territorio conquistato dai movimenti islamisti. Fino al 2013, si tratta di territori nei quali i cristiani risultano minoritari. Nel nord del Mali occupato dai combattenti dei MUJAO (5) dell’AQMI e dell’Ansar Eddin, i Cristiani risultano oggetto di sanzioni di rivendicazioni e di saccheggi. La legge islamica radicale, praticata dai combattenti accorda ovviamente, una certa protezione alle “Genti del Libro”, ma le sottopone alla regola di eccezione che prevale in un contesto di guerra santa: i sequestri di beni di cattolici vengono coperti con questa logica. Nel Centrafrica, nel 2013, viene superata una passo molto inquietante da parte dei combattenti della Seleka (coalizione che fa allusione al raggruppamento di piccole etnie del Nord). In un paese in cui i mussulmani costituiscono una debole minoranza della popolazione, circa il 10%, i combattenti, provenienti in larga parte dal Ciad, riescono a  controllare il paese e mettere alla testa un presidente convertito all’islam. Si moltiplicano e esazioni contro i Cristiani, come anche i saccheggi, specialmente quello dell’arcivescovato di Bangui. Le popolazioni cristiane sono costrette alla fuga in massa. Dopo l’intervento francese, le popolazioni si organizzano nell’ambito di milizie anti balaka-seleka e si vendicano. Nella Nigeria, negli stati del nord, diversi movimenti islamisti politici sono riusciti a far adottare la Sharia. I Cristiani, spesso intorno al 25% della popolazione vi dispongono solamente di una protezione personale, associata a discriminazioni sulla libertà d’espressione o sul diritto matrimoniale.

D’altronde, in tutti questi stati, diversi movimenti radicali perpetrano regolarmente attentati contro i luoghi di culto cristiano I massacri nella regione di Jos si sono moltiplicati nel 2010-2012, con attacchi suicidi contro le chiese cattoliche, specie nella ricorrenza del Natale. La setta Boko Haram, che ha rivendicato questi attacchi, porta avanti un discorso cristianofobo particolarmente infuocato, associando il cristiano all’infedele. Soprattutto, come i Seleka nel Centro Africa, il progetto Boko Haram consiste nell’applicare la sharia all’insieme del paese, compresi gli stati del sud a maggioranza cristiana. Anche in questo caso la ribellione, oltre al messaggio di lotta agli “infedeli”, si basa sulla lotta contro un sistema corrotto ed al soldo delle grandi potenze, che sarebbe incarnato dallo stato federale, i cui numerosi membri farebbero parte della chiesa evangelica, In definitiva, certi islamisti considerano la lotta contro i Cristiani in Africa come una specie di conflitto, a scala ridotta, di quello che sarebbe, su scala mondiale, la lotta islam-Occidente.

Il Cristianesimo risulta perdente ?

Risulta evidente una chiara asimmetria fra cristiani e mussulmani in quanto l’affermazione del concetto di jihad (guerra santa) non ha provocato un analogo concetto di “guerra santa” fra i cristiani. Le autorità cattoliche hanno abbandonato questa retorica, forse da dopo le Crociate. Le chiese protestanti “storiche” non l’hanno mai adottato. Le chiese evangeliche hanno a volte rispolverato il termine di crociata, ma lo riservano a campagne di evangelizzazione che hanno per obiettivo le popolazioni già cristiane, o anche movimenti che tendono a promuovere valori morali o familiari. Difendendosi, i cristiani cercano di passare all’offensiva. Questo è stato il caso del sud del Sudan, dove movimenti di ribellione si sono organizzati contro la pressione dello stato del Sudan e del suo esercito prima dell’indipendenza. In questo caso il fattore religioso, pur rilevante, non risulta preponderante e può essere fondamentalmente ridotto ad una logica di scontro di un gruppo contro un altro e lo stesso tipo di logica potrebbe derivare da frizioni di tipo etnico (come nel Ruanda) o politico (come in Angola). Alcuni casi di movimenti di violenza contro i mussulmani sono comunque segnalati, specialmente negli stati del nord della Nigeria. Il 10 gennaio 2012, la folla ha incendiato una moschea dopo un attacco contro i Cristiani nel nord. Questi tristi episodi hanno raggiunto un parossismo nel Centro Africa da parte delle milizie anti balaka. Altro fattore di asimmetria, mentre i mussulmani radicali possono essere rinforzati nelle loro azioni dalle vittorie degli islamisti nei paesi dell’Africa del nord dopo il 2011 e posso beneficiare di aiuti provenienti dai paesi del Golfo che vedono in questi eventi una formidabile occasione di diffondere il wahabismo ed il Salafismo, mentre, al contrario, i cristiani non possono beneficiare di alcun aiuto di stato. Nessun paese africano ha il Cristianesimo come religione di stato, avendo tutti i paesi dell’Africa nera adottato il modello dello stato laico dell’Europa occidentale. Le potenti reti delle chiese evangeliche americane rimangono troppo disperse e non si impegnano nelle logiche che derivano dall’hard power (uso della forza)..

Questo, peraltro, non significa che i cristiani risultino disarmati di fronte alla minaccia dell’islam. Essi sono, infatti, riusciti ad ottenere un certo numero di vittorie in quadro di determinati contesti di scontro, non certo in nome del cristianesimo, ma nel nome del diritto internazionale Sul base del principio del diritto dell’autodeterminazione dei popoli e di poter disporre di sé stessi, il Sudan del sud ha ottenuto l’indipendenza il 9 luglio 2011, costituendo uno stato con il 60% di cristiani, 32% di animisti ed appena il 6% di mussulmani. In Centrafrica, l’intervento francese per mandato dell’ONU ha portato alle dimissioni del presidente mussulmano, Michel Djotodia, ha lo scopo di far cessare le violenze interconfessionali. Indubbiamente il ritorno alla legalità favorisce i cristiani nel caso di elezioni democratiche nel paese. Tuttavia, il caso centrafricano mostra anche la difficoltà di intervenire nei conflitti a carattere religioso in Africa. Le complessità e gli incastri di interessi locali sono spesso difficilmente individuabili. In tale contesto, l’intervento francese del 5 dicembre 2013 è stata accusata di essere stata sul terreno, a seconda dei casi, favorevole ai cristiani o ai mussulmani. In quanto alcuni gruppi armati cristiani hanno obiettato che tale azione si è verificata nel momento in cui i cristiani avevano cominciato a resistere alle esazioni di cui erano vittime ed avevano anche cominciato a vendicarsi. Favorevoli ai cristiani invece per gli islamisti radicali, proprio per il semplice fatto che l’arrivo dei Francesi ha impedito la realizzazione dei loro disegni. In definitiva, i conflitti religiosi in Africa, pongono l’Occidente di fronte a conflitti difficili da capire, forse anche perché l’Occidente, eccessivamente secolarizzato, risulta sempre meno riconosciuto dagli Africani come veramente “cristiano”. Quanto alla soluzione del faccia a faccia islamico-cristiano in Africa centrale, essa dipenderà, sia dai rapporti di forza demografica, sia dai processi di conversione e sia e soprattutto dalla capacità del continente africano a superare le sue divisioni grazie ad un reale sviluppo economico.

NOTE

(1) Il termine Sahel derivato dall’arabo, “frontiera o “riva” (del mare o del deserto) designa la lunga zona che dall’atlantico al Mar Rosso, separa il Sahara, a nord, dalle savane, più a sud. Le piogge (da 200 a 500 mm/anno), a secondo della loro frequenza e localizzazione, consentono: all’agricoltore di coltivare il miglio perla ed il sorgo senza essere certi di poterlo fare ogni anno; al nomade di allevare bovini con il rischio di veder subire un’ecatombe al suo gregge in caso di siccità;

(2) AQMI, Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Organizzazione salafista fondata del 2007 in Algeria da parte di Mokhtar Belmokhtar per unificare le reti jihadiste nell’Africa del nord e colpire il territorio europeo a partire dal sud del Mediterraneo. AQMI risulta particolarmente attivo nel Mali, in Mauritania e nel Niger, traendo le sue risorse dai traffici di droga, di armi e di riscatti;

(3) Due delle forme più radicali dell’islam.

Il Salafismo (Salafya): da Salaf: “antenato”, i primi “pii antenati”, discepoli del Profeta. Movimento riformista mussulmano, nato nel 1800 da Jamal al Din al Afgani (1839-97), afgano di stirpe iraniana e continuato da un suo allievo Mohamed Abduh (1849 – 1905) egiziano per un ritorno alla purezza originaria dell’Islam. Ripreso e sviluppato in senso più nazionalista nel Maghreb da Mohamed Rashid Rida o Rheda, morto nel 1935. Incarna la corrente reazionaria attivista, puritana e populista dell’Islam, adottato dalle formazioni del FIS (Fronte islamico di Salvezza) dell’Algeria. Contrario al nazionalismo, al socialismo ed alla democrazia, propugna una Umma condotta da un Califfo, come ai tempi del Profeta. Contrario a qualsiasi innovazione religiosa, pretende di purificare la religione da ogni traccia di idolatria e politeismo e da qualsiasi inquinamento di dottrina religiosa non islamica. Odia l’esoterismo degli Sciiti ed il misticismo dei Sufi, considerati eretici. Rifiuta il concetto di partito all’occidentale. Insomma propugna l’Islam del Profeta, niente di più e niente di meno;  il Wahabismo: da Mohamed ibn Abd al (Abdel) Wahab (1703 – 1792). Fondamentalismo mussulmano, che appoggiandosi sul testo fondatore “Kitab al-Tawhid” (Libro dell’unicità), incarna una delle correnti più rigorose dell’islam che si rifà ed è considerata una forma di Salafismo. Dottrina di ispirazione hanbalita, predicata in Arabia Saudita, tendente al rigetto di tutte le innovazioni, specie dei filosofo, delle confraternite e del culto dei santi, per un ritorno alle sorgenti vere della tradizione. Predica una interpretazione rigorosa e letterale della Sharja. Movimento puritano di riforma dell’Islam, alleato alla famiglia Saudita, è all’origine dello stato saudita ed esercita dalla fine del 1700 una influenza decisiva nel regno saudita, del quale è la religione ufficiale. E’ la dottrina più esportata nel mondo mussulmano dagli anni 1970 per effetto dei petrodollari

(4) Ansar Eddin, in arabo: “Partigiano della religione”. Movimento tuareg mussulmano diretto da Iyad Ag Ghali (tuareg del Mali), che, a fianco del MNLA, dell’AQMI e del Mujao, hanno acquisito il controllo del nord del Mali nel 2012, intorno a Kidal, nel nord del Mali e nei pressi del confine con il Niger. Una parte dei suoi membri è per la stretta applicazione della Sharja;

(5) MUJAO, Movimento per l’Unicità ed i Jihadismo nell’Africa dell’Ovest.


Massimo Iacopi

 

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