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LA FALSA DONAZIONE DI COSTANTINO

      

   

Foreign Affairs

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Massimo Iacopi


La Storia secondo Massimo Iacopi

 

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L'IMPERATORE COSTANTINO


Opera 7

LA FALSA DONAZIONE DI COSTANTINO

La Storia secondo Massimo Iacopi

(Roma, 11/07/2015)

LA FALSA DONAZIONE DI COSTANTINO

L’originalità del celebre falso che è stato la donazione di Costantino sta nel fatto che la sua contestazione sia avvenuta solo diversi secoli dopo.

La Donazione di Costantino 1° il Grande (272-337) è senza dubbio uno dei falsi più celebri della storia; in ogni caso quello le cui conseguenze sono state le più importanti e le più durature. Se non è un fatto raro che un documento menzognero, falsificato o “arrangiato”, produca al momento pesanti conseguenze (1), risulta, al contrario, molto più eccezionale vedere un falso continuare a produrre effetti anche diversi secoli dopo che era sta evidenziata la sua frode. Creazione di puro opportunismo, nata da un contesto specifico e dall’incontro di ambizioni convergenti, la Donatio Costantini si è inscritta nella realtà e si è adattata alle mutazioni dei tempi, al punto da sopravvivere persino alla dimostrazione della sua falsificazione, di cui era la conseguenza. Alla vigilia della creazione degli Stati della Chiesa, Roma era stata molto provata dalle invasioni barbariche ed era diventata una grossa borgata, che non aveva più nulla a che vedere con le sue glorie passate. La città Eterna aveva perduto da tanto tempo (2), a vantaggio di Ravenna, il suo statuto di capitale politica ed amministrativa, ma, tuttavia, il suo nome continuava ad evocare il ricordo di un impero, d’una civiltà e di un ordine che esercita sugli uomini un fascino incontestabile. Roma è anche la sede del Papato. Ma sarà solo progressivamente che i vescovi di Roma riusciranno ad imporsi agli altri metropoliti del mondo cristiano. Praticamente capi della chiesa ecumenica dal 4° Concilio, riunito nel 451, essi diventano, per una somma concomitante di eventi favorevoli, i soli detentori del titolo di “Vescovo universale” nel 607. Una posizione certamente incontestabile, ma che nondimeno rimane precaria. Insediato nel cuore del ducato bizantino di Roma, il Papa è il primo personaggio della Città ma si trova allo stesso tempo in una situazione delicata nei confronti dell’imperatore di Costantinopoli e del suo rappresentante in Italia, l’esarca di Ravenna. La dipendenza dei Papi nei riguardi dell’Imperatore d’Oriente non è solamente teorica: in tal modo, essi sono sottoposti, fino al 685, prima di ogni consacrazione, ad una umiliante obbligo di vedere la loro elezione “validata” dall’autorità bizantina. Una situazione che i pontefici percepiscono come illegittima. In tale contesto, papa Gregorio Magno (504-604) non esiterà a criticare severamente l’imperatore riguardo la sua maniera di amministrare i suoi territori, o più esattamente le anime che ci vivono. In seguito, Severino e S. Martino rifiutano al Basileus di riconoscere l’eresia monotelista (3), peraltro difesa a Costantinopoli. Quanto a Costantino, egli arriva fino alla rivolta contro l’imperatore di transizione Philippicos detto Bardane (imperatore bizantino dal 711 al 713). Altrettanti eventi che tendono a dimostrare che esiste già a questa epoca, una volontà dei pontefici successivi di affermare, oltre al primato ecumenico, l’indipendenza politica del vescovo di Roma. Giocando sulla divisione dell’Italia, comincia ad affermarsi una diplomazia pontificia, specialmente nei confronti del regno longobardo di Pavia, che non ha smesso di progredire sotto Agilulfo (591-615), Rotari (636-652), Grimoaldo (662-671) e Liutprando (712-744), al punto di arrivare a minacciare direttamente la stessa Roma. Il Papato cerca allora di sbarazzarsi della tutela bizantina, senza cadere sotto il dominio diretto di una potenza vicina. Per arrivare ai suoi fini, esso capisce rapidamente di doversi rivolgere ad una potenza esterna alla penisola, una forza capace di sostenere gli interessi della Chiesa … . Ma una forza che sia sufficientemente distante da non costituire, a sua volta, una minaccia ed il regno al di là delle Alpi sembra riunire tutti i requisiti necessari. Clodoveo (466-511), in effetti, ha basato la legittimità del suo potere nell’acqua del battesimo cristiano. Nel 6° secolo, il papa Vigilio (500-555) ha già chiamato in suo aiuto Childeberto 1° (497-558) ed il papa Pelagio 2° (520-590) si è rivolto a Childeberto 2° (570-595) per il fatto che “la divina provvidenza destinava i re franchi cattolici ad essere i salvatori di Roma e dell’Italia”. In tal modo, quando nel 739, il papa Gregorio 3° (690-741) si rivolge a Carlo Martello o Marcelo (690-741) per porre la sua persona e le sorti della Chiesa di Roma sotto la protezione del “salvatore della Cristianità” egli si inserisce in una tradizione ben consolidata. Ma Carlo Martello - che è alleato dei Longobardi in Provenza per lottare contro i Mori – non è re, ma solo il dux Francorum (duca dei Franchi) e maestro di Palazzo. Sebbene egli diriga di fatto il regno, egli deve sempre tenere conto della finzione del potere, che formalmente detengono ancora gli ultimi monarchi merovingi. In effetti, se il potere di questi ultimi cosiddetti “re fannulloni” è appena illusorio, un eventuale cambiamento dinastia non è senza rischi. L’avventura di uno di questi, Grimoaldo 1° il Vecchio (615-661, antenato della dinastia carolingia), che ha pagato con la vita la sua ambizione di imporre suo figlio sul trono dei Franchi, ha ricordato a tutti le difficoltà di una tale impresa. Stabilire una legittimità capace di trasformare una situazione di fatto in realtà durevole ed “istituzionalizzata” costituiva all’epoca una vera e rischiosa sfida. Questa ambiguità viene ancora confermata nel 742, alla morte di Carlo Martello. Se questi, aureolato dalle sue vittorie, ha potuto sentirsi abbastanza forte per mantenere vacante il trono lasciato vuoto alla morte di Thierry (Teodorico) 4°, nel 737, questo non sarà il caso dei suoi eredi Carlomanno (707-754) e Pipino il Breve (714-768). Questi ultimi rimetteranno sul trono un re merovingio nella persona di Childerico 3° (714-755), al fine di evitare le abituali critiche della turbolenta nobiltà franca. Dopo il ritiro di Carlomanno, Pipino il Breve riunisce i possedimenti di suo padre e da quel momento ambisce a cingere direttamente la corona. A tal fine, l’uomo sa che dovrà ricercare una nuova fonte di legittimità, almeno altrettanto forte di quella di cui era stata investita la stirpe di Clodoveo, una legittimità che possa consacrare sia la sua autorità che la sua progenie. In questo contesto, l’avvicinamento con il trono di S. Pietro e quella che diventerà la dinastia carolingia avrebbe potuto essere appena un reciproco scambio di servizi o un accordo puramente circostanziale … . Tuttavia era conveniente per entrambi che tale avvicinamento potesse inscriversi nella durata del tempo, al di là delle poste in gioco del momento. Il papa Zaccaria (679-752) apre la strada al rovesciamento di Childerico 3°, da parte di Pipino il Breve, rispondendo a quest’ultimo “che è meglio che il titolo di re appartenga a colui che possiede il potere reale che a colui che si mantiene senza potere”. A questo punto nulla si oppone più all’ascesa di Pipino il Breve, consacrato nel 752 dal vescovo Bonifacio di Magonza (680-754). Un avvicinamento molto utile al pontefice nel momento in cui la conquista di Ravenna da parte dei Longobardi, contribuisce ad aggravare la minaccia che pesa su Roma e mentre l’imperatore d’Oriente si accontenta di invitare il papa a trovare un accordo con Pavia, gratificandolo anche del titolo di “negoziatore”. Non è dunque in una situazione di rottura con Costantinopoli, ma, teoricamente, come incaricato di una missione diplomatica dal basileus, che l’abbandona alla sua sorte, che il nuovo papa Stefano 2° (714-757) attraversa le Alpi nell’inverno del 753 al fine di reclamare il soccorso del re di Franchi. Nel 754, a Quierzy, viene conseguentemente elaborata una alleanza fra il papa ed i Carolingi, dove questi ultimi si impegnano a fornire un soccorso militare che garantisca la protezione di Roma, a rendere i possedimenti di S. Pietro invasi e ad aggiungervi l’esarcato di Ravenna. Al re dei Franchi, il papa conferma, per mezzo di una nuova consacrazione in presenza del papa, la legittimità della Corona di Pipino il Breve. Ma non basta, il papa associa in questa seconda cerimonia di consacrazione i figli del re franco, Carlomanno e Carlo, fondando, in tal modo e di fatto, la nuova dinastia. La conseguenza diretta di questo Trattato di Quierzy è costituita dall’intervento armato dell’esercito franco in Italia. Esso assedia Pavia ed ottiene rapidamente, dal re Astulfo o Aistulfus 1° (morto 756, fratello di Rachis), la ritirata dal Patrimonio di S. Pietro e la promessa della riconsegna di Ravenna al papa. Una capitolazione tanto più rapida che i Longobardi non intendono rispettarne le condizioni e che reitereranno le loro imprese su Roma, immediatamente dopo il momento della partenza delle truppe di Pipino. Il re franco, costretto ad intervenire nuovamente nel 756, estende la donazione iniziale, aggiungendovi in particolar modo il territorio di Perugia. Ma, fatto più importante, è in questo istante che si assiste ad un cambiamento anche di natura dei territori posti sotto le dipendenze del papa. Non si tratta più, in effetti, del “Patrimonio di S. Pietro”, vale a dire non di soli beni privati, ma di un territorio completamente indipendente: gli “Stati della Chiesa” sono appena nati. Essi vengono nuovamente occupati dai Longobardi di re Desiderio o Dauferius o Didier per i francesi (morto dopo 774) nel 773 ed il papa Adriano (papa dal 772 al 795) chiamerà di nuovo in aiuto Carlo, il futuro Carlo Magno (742-814). Questi, ha appena approfittato della morte di suo fratello per unificare sotto la sua autorità tutto il regno di Pipino. Anche questa volta, i Franchi hanno la meglio sui Longobardi e conquistano Pavia. Carlo Magno non si contenta più di sottomettere i vinti, ma riorganizza la penisola sotto la sua autorità diretta e l’incorpora ai suoi domini. Nel 774, egli cinge la corona di ferro (4) e conferma in questa occasione la Donazione di Pipino, estendendola specialmente all’isola della Corsica. Proprio in quel preciso momento della storia compare sulla scena per la prima volta la Donatio Costantini ? Sembra, in effetti, difficile dirlo con precisione e sono state proposte a tal fine diverse teorie: secondo lo storico francese Henry Daniel-Rops (1901-1965), è nel 753 che si situerebbe la “scoperta” di questo documento da parte dei Romani, utilizzato per convincere Pipino, in occasione dell’incontro di Quierzy. Per altri, andrebbe posta fra il 756 ed 773 la redazione del documento, che non sarebbe altro che la ripresa di una leggenda popolare, opportunamente rimaneggiata. Infine, per molti oggi, la cosa sarebbe ancora più tarda, verso la metà dell’11° secolo e doveva essere stata utilizzata nei confronti dei successori di Carlo Magno. Qualunque sia la data accettata, questa Donazione di Costantino cade a proposito. Si tratta, in effetti, di un documento attribuito all’imperatore romano Costantino, composto di due parti distinte: una dal carattere narrativo religioso; l’altra “giuridica” e politica. La prima parte racconta la guarigione miracolosa dell’imperatore dalla lebbra, ottenuta con la promessa della fine delle persecuzione dei Cristiani. La seconda afferma il primato del vescovo di Roma sul resto della Cristianità e fa del sovrano pontefice un vero capo di Stato temporale. In effetti, secondo questo testo, Costantino avrebbe ceduto al successore di S. Pietro, prima di andare a costruire in Oriente Costantinopoli, la sovranità dell’Impero romano d’Occidente. “Noi concediamo e lasciamo sia il nostro palazzo che la città di Roma e tutte le province, località e città d’Italia o delle regioni occidentali, al beato Silvestro, pontefice e papa universale perche attraverso di lui e dei suoi successori ne sia disposto e che tutto il resto sotto l’autorità della Santa Chiesa Romana. … E perché noi abbiamo giudicato conveniente di trasferire il nostro Impero e la potenza reale nelle regioni orientali ed in un bellissimo posto della provincia di Bisanzio di edificare una città col nostro nome e di stabilirvi il nostro imperio: in quanto non è giusto che là dove il principe dei preti ed il capo della Religione Cristiana è fissata dall’Imperatore celeste, un imperatore terrestre mantenga il potere”. Questo testo è un falso creato di sana pianta. Esso ha l’immenso merito di soddisfare tutti quanti: il papa vi trova le basi giuridiche su cui fondare la sua autorità sulla Chiesa ed il suo potere temporale, mentre il re dei Franchi rinforza, da parte sua, la sua recente legittimazione. Appare comunque interessante constatare che ad un’epoca a lungo presentata come appena uscita dai “tempi barbari” ed in rottura profonda con la romanità, la supposta volontà di un imperatore romano passa per una fonte essenziale di legittimità. L’intenzione dei redattori della Donazione è stata in primo luogo di giustificare una realtà, di fondare una nuova legittimità e gli imperatori carolingi cercheranno di trarre profitto dal testo al fine di inserire il loro potere nella continuità della Roma antica. Il papa, appoggiandosi sui Franchi, ha attirato in Italia una potenza da cui viene protetto, ma dei quali, in una certa misura, è anche l’ostaggio. Quando nel 799, una parte dell’aristocrazia romana si solleva contro Leone 3° (750-816), questi riuscirà a mantenersi sul trono solo grazie all’aiuto di Carlo Magno, ed è in questa occasione che il pontefice ristabilisce la dignità imperiale a vantaggio del suo protettore. Al di là del simbolo, il papa non fa altro che legittimare una situazione di fatto: Carlo Magno ha conquistato il titolo imperiale grazie alle sue vittorie del suo potere. Impero e Papato vedranno in seguito la Donazione di Costantino come la fonte delle loro rispettive pretese all’universalità della loro autorità. Dalla lotta per le Investiture (1075-1122), all’esilio del pontefice ad Avignone (1309-1378), passando per la lotta fra Guelfi e Ghibellini, le relazioni fra la Santa Sede e l’Impero costituiscono una storia a se stante, nel corso della quale ciascuno dei due poteri spera di trarre vantaggio dalla Donazione di Costantino. Sarà l’attenuazione progressiva di questa pretesa all’universalità, manifestata da papi ed imperatori, che consentirà di acquietare progressivamente le tensioni. Nel corso del tempo, l’Impero si radica nello spazio tedesco al punto da diventare nel 1441 il Sacro Impero Romano della nazione Germanica. Parallelamente, dopo il suo esilio avignonese e lo scisma d’Occidente che segue, il Papato ricupera i suoi domini assegnatigli dalla famosa donazione: Roma ed i suoi stati. Ormai, risolutamente legato alla sorte della penisola italiana, il trono di S. Pietro so troverà in prima linea per raccogliere, incoraggiare e diffondere il Rinascimento. Intorno ai papi eruditi e desiderosi di mettere l’arte al servizio della loro autorità, Roma diventa nello stesso tempo il centro culturale, politico ed intellettuale dell’Europa ed una città incorporata in un insieme geopolitico in piena modificazione, frammentato in principati antagonisti, minacciato dalle potenze vicine.

In questo contesto, la denuncia della falsità della Donazione di Costantino costituisce una sfida politica di primo piano. Le rimessa in discussione della dominazione del papa sull’Italia pervade allora lo spirito di un’epoca che riscopre l’antichità e denuncia le certezze stabilite dal Medioevo. Dal 1433, il tedesco Nicola de Cues (1401-1464) denuncia nella sua Catholica Concordancia, le incoerenze del testo. Ma la contestazione non risulta priva di pregiudizi: essa si inserisce nel conflitto politico e teologico che anima a quel tempo il concilio di Basilea, aperto dopo il 1431. Questo intende proclamare la superiorità del Concilio sul pontefice. In effetti, Nicola de Cues si trova allora fra gli avversari del papa Eugenio 4° (1383-1447). La critica più celebre alla Donazione viene formulata dall’umanista Lorenzo Valla (1405-1457), protetto del re di Napoli, Alfonso d’Aragona (1448-1495). In un libello intitolato De falso credita et ementita Costantini donatione librui duo, pubblicata nel 1447, egli formula una critica sistematica ed argomentata del testo, mettendo in evidenza gli anacronismi e gli errori che contiene. Ma la rimessa in discussione appare anche dal lato della stessa Chiesa. L’obbiettivo politico non ha alcun dubbio: proclamare la legittimità del trono di S. Pietro facendone non l’espressione del desiderio di un uomo, ma quella della volontà del Cristo in persona. Per questo, i teologi della corte vaticana si sforzeranno di trovare delle tracce della fondazione del trono di Pietro nelle affermazioni del Cristo, fra cui la celebre “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”. Questa esegesi, resa popolare da teologi ed uomini di Chiesa, si spiega con la necessità di rafforzare la legittimità del potere temporale del papa, nel momento in cui i pontefici prendono l’iniziativa di ingrandire i loro domini, trasformandosi in principi-guerrieri. E’ in questa epoca che il Ducato di Spoleto, Ancona, la Marca, la Romagna, Piacenza, Parma, Modena, Urbino ed il Montefeltro, Reggio, Bologna … vengono progressivamente annesse nel girone pontificio. E’ allora che papa Alessandro 6° Borgia (1631-1503) sogna di fare di suo figlio Cesare, il Valentino (1475-1507). un sovrano capace di unificare una parte importante dell’Italia. Gli Stati della Chiesa sono così diventati, nel corso dei secoli, uno Stato “quasi come gli altri”. Dopo l’episodio rivoluzionario che vede la proclamazione di una effimera “Repubblica Romana”, Napoleone Bonaparte (1769-1821) non contesta al papa Pio 7° (1742-1823) i suoi possedimenti ereditati dalla lontana donazione di Costantino, ma afferma senza giri di parole, la sua supremazia. Il 17 maggio 1809, egli annette gli Stati della Chiesa all’Impero e dona a suo figlio il titolo di “Re di Roma”. Pio 7° rifiuta la rimessa in discussione del suo potere e scomunica l’imperatore il 10 giugno 1809. Napoleone, per ritorsione, lo fa catturare nella notte del 6 luglio seguente ed il papa dovrà attendere il maggio 1814 per rientrare a Roma. Il Congresso di Vienna in seguito provvede a ristabilire gli Stati della Chiesa, che appaiono ben presto come un ostacolo al risveglio della nazionalità italiana ed alle aspirazioni unitarie. Nel 1870 il crollo del Secondo Impero di Napoleone 3° (1808-1873) priva il papa della protezione sulle ultime vestigia del suo potere temporale. 70 mila Italiani del re Vittorio Emanuele 2° (1820-1878) faranno sparire quel che resta degli Stati della Chiesa, nello stesso momento in cui il Concilio Vaticano 1° proclama il dogma dell’infallibilità del papa in materia di dottrina. Il papa che perde il suo ruolo di sovrano temporale, conosce, allo stesso tempo, un rafforzamento senza precedenti della sua autorità spirituale. Pio 9° non ha però rinunciato al suo statuto di capo di Stato e rifiuta le “Guarentigie” che gli propone il governo italiano, in quanto rinuncerebbe in tal modo alle sue pretese temporali. L’11 febbraio 1929, gli Accordi del Laterano, conclusi fra Benito Mussolini (1883-1945) ed il cardinal Pietro Gasparri (1852-1934) restituiscono al papa il suo ruolo di capo di Stato, quello sulla Città del Vaticano.

NOTE

(1)  Si pensi ad esempio al famoso dispaccio di Ems del Bismarck che scatena la guerra fra la Francia e gli Stati Germanici del 1870, concludendosi con la fine del secondo Impero e la proclamazione del Reich tedesco;

(2) In realtà, sin dal 286, prima ancora del crollo dell’impero romano;

(3) Il monotelismo è una eresia che, sebbene riconosca la doppia natura del Cristo (umana e divina) pretende tuttavia che quella divina abbia il sopravvento e cioè che la volontà sia espressione del divino;

(4)  Corona di ferro: corona forgiata nell’8° secolo. La leggenda vuole che essa sia stata fatta con una lega contenente un chiodo della vera croce. Essa è stata il simbolo della regalità longobarda e quindi di quelli che si proclameranno “Re d’Italia”.


Massimo Iacopi

 

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