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BREVE STORIA DEI GIANNIZZERI

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di ricerca di:

Massimo Iacopi


Specialisti della guerra: un fenomeno tutto medioevale.

 

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IBRAHIM PASCIA' GRAN VISIR


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BREVE STORIA DEI GIANNIZZERI

Specialisti della guerra: un fenomeno tutto medioevale.

(Assisi PG, 16/11/2017)

BREVE STORIA DEI GIANNIZZERI
Premessa

Il sultano ottomano ha avuto a disposizione un corpo di soldati scelti che ha fatto tremare l’Europa: i Giannizzeri. La loro singolarità è rappresentata dal fatto di essere stati reclutati a forza in una minoranza religiosa e, per i migliori, un successo sociale inatteso.  I ragazzi selezionati venivano spediti su piccoli cavalli bosniaci, in un lungo convoglio. Due panieri intrecciati venivano agganciati da una parte e dall’altra degli animali, come per trasportare della frutta ed in ciascuno di essi vi aveva preso posto un ragazzo con il suo piccolo fagotto ed una porzione di pita al formaggio, ultima cosa che egli portava dalla casa paterna. Da questi panieri, che dondolavano ritmicamente, fra molti cigolii, emergevano i volti freschi e spauriti dei giovani rapiti … A qualche distanza dagli ultimi cavalli di questa singolare carovana, correvano col fiatone ed in tutti i sensi numerosi genitori e cugini di questi ragazzi che venivano portati via per sempre … Le madri erano le più ostinate e le più difficili da contenere. Esse si precipitavano, accecate dal pianto, sui frustini dei cavalieri e rispondevano ad ogni colpo con una domanda disperata: “Dove lo portate. Dove me lo portate?”. 

E’ attraverso il rapimento dei ragazzi cristiani dei Balcani da parte dei Turchi ottomani che il serbo Ivo Andric (1892-1975), premio Nobel della Letteratura del 1961, apre il suo celebre romanzo storico, “Il Ponte sulla Drina”, pubblicato nel 1945, e ricorda, in tal modo, ai suoi lettori una pratica senza precedenti, la cui crudeltà ha scandalizzato tutta la Cristianità: il Deshvirme, vale a dire la “colletta, la mietitura e la raccolta” dei giovani cristiani destinati a servire il “Gran Signore” (Soltan) nel suo palazzo d’Istanbul, come nel suo esercito.

Comunità uguali davanti al rapimento

La sublime Porta di Felicità fa ricorso a questa pratica fin dalla fine del XIV secolo, ai tempi della conquista della Bulgaria e della Valacchia, prima ancora della conquista di Costantinopoli. Il Deshvirme, il nome attribuito a questa attività, scomparirà solo agli inizi del XVIII secolo, quando ha inizio il declino ed il regresso dell’Impero ottomano. I ragazzi di nascita mussulmana sfuggono a questo rapimento, i quanto nessun discepolo del Profeta può essere ridotto in schiavitù. Solo i Cristiani sono la preda dei funzionari del Gran Turco, che “raccolgono” la loro preda, in primo luogo nei Balcani, quindi nel XVI secolo, al crescere delle loro necessità, alle province anatoliche. Tutti i ragazzi cristiani non sono minacciati dal Deshvirme, in quanto le ragazze non ne sono interessate; i figli unici, sostegni della famiglia, vengono risparmiati; i cittadini ne sono ugualmente esclusi. Solo i ragazzi delle campagne, fra i 9 ed i 14-15 anni, corrono il rischio di essere portati via, fatto che spiega l’assenza di giovani ebrei, che vivono piuttosto nelle aree urbane. Alle autorità ottomane, l’appartenenza etnica dei giovani “raccolti”, importa poco. In tal modo, Greci, Albanesi, Serbi, ecc. si ritrovano a parità davanti al rapimento. Le “raccolte” non sono regolari e gli effettivi dei rapiti risultano variabili. Effettuate circa ogni tre - sette anni, esse interessano ciascuna dai tre ai seimila individui. Tutti indistintamente vengono islamizzati e turchizzati. Contrariamente ai precetti islamici, la conversione dei “raccolti” è forzata. Essi vengono quasi immediatamente circoncisi, vengono loro imposti altri vestiti (perché il vestito è uno dei segni distintivi fra mussulmani e non mussulmani o Dhimmi), vengono costretti ad aderire alla Professione di Fede mussulmana, devono quindi apprendere le preghiere e la maniera di procedere alle abluzioni ed essere istruiti sulle “verità” dell’Islam. L’apprendimento della lingua turca è obbligatorio e tutto viene fatto perché essi dimentichino la loro origine familiare e geografica, la loro cultura e la loro lingua.

Un corpo di soldati che suscita l’ammirazione di tutti

Subito dopo arriva il momento della selezione. Funzionari esaminatori vengono incaricati dell’assegnazione specifica di questi giovani, destinati al servizio del Sultano. Quelli di cui si individua l’intelligenza speculativa vengono orientati verso i servizi di palazzo e quindi formati nelle scuole del Serraglio: essi diventeranno amministratori del Gran Turco, spesso predisposti ad una bella carriera. Dei quarantasette Gran Visir che si succedono nell’Impero dal 1453 al 1623, cinque solamente sono di origine turca, tutti gli altri provengono dal Deshvirme, che, in tal modo, risulta all’origine della straordinaria diversità etnica della classe dirigente ottomana. Gli altri “raccolti”, tutti in buona salute, vengono posti in famiglie di militari o di contadini, dove servono da manodopera, sono obbligati ad esprimersi in turco e ricevono un’istruzione marziale. Nel momento opportuno, essi saranno assegnati alle truppe della Porta e formeranno la “nuova truppa” (in turco: jeni çeri, “giannizzeri”). In questa maniera viene reclutata la fanteria speciale dell’impero ottomano, cuore del temibile esercito del Gran Signore, a lungo invincibile sul campo di battaglia. Questi futuri giannizzeri vengono educati spartanamente, addestrati a maneggiare la sciabola ed il moschetto e formati ai valori che hanno fatto la forza dell’esercito ottomano: la resistenza, la temperanza, la disciplina. Ciascuno apprende a resistere al freddo dell’inverno ed al calore dell’estate. La fatica deve essere sconosciuta per loro e l’asprezza di luoghi attraversati, come la lunghezza delle marce per raggiungere i loro obiettivi non devono demotivarli. La sobrietà dei Giannizzeri è leggendaria, proprio per il fatto che essi hanno appreso sin dall’adolescenza l’uso moderato delle bevande e del cibo. Essi si soddisfano con poche cose, se non quasi con niente, durante una lunga campagna militare, anche se sono costretti a percorrere immensi spazi prima di dare battaglia.

Buoni mussulmani e perfetti servitori

Un po’ di pane, a volte del montone e del riso, ma il più spesso della carne di bovino seccata, cipolle ed acqua costituiscono la loro pietanza in periodo di guerra. A questi ragazzi “rubati” vengono inculcate le qualità che fanno di essi temibili uomini di guerra: l’abitudine al pericolo, il valore, la resistenza ed il rispetto assoluto della disciplina. I loro istruttori vigilano per fare di loro dei buoni mussulmani e dei leali servitori del sultano. Giunti alla maturità, questi soldati scelti devono accettare ancora altre limitazioni: viene loro imposto il celibato, come anche il divieto di cercare un incremento di risorse al di fuori del mestiere delle armi. All’epoca gloriosa della marcia turca condotta specialmente da Mehemet II (1432-1481), vincitore di Costantinopoli, o da Solimano il Magnifico (1494-1566) questi obblighi sono di norma rispettati. Quando, nella seconda metà del XVII secolo, esse saranno neglette, si aprirà per l’Impero ottomano il tempo delle sconfitte: quella davanti a Vienna (1683) e la perdita dell’Ungheria, riconquistata dagli Asburgo.

Un sistema che evita le dispute interne

La “raccolta” dei ragazzi cristiani ed il lavaggio del cervello di cui sono oggetto hanno prodotto la nascita del più prestigioso corpo scelto dell’esercito del Gran Signore. Ma per quale ragione i sultani ottomani hanno scelto i loro giovani soggetti cristiani per creare questa “nuova truppa”?... I Turchi ed i mussulmani di nascita erano troppo poco numerosi o mancavano di sufficiente lealtà per costituire la punta di lancia dell’esercito?... Il Sultano non correva forse un grave pericolo accordando la sua piena fiducia a soldati nati non mussulmani e ridotti a diventare “schiavi della Porta (kapi kullari)?... Un senso politico acuto ha giustificato questa scelta. La dinastia ottomana, nata con Othman o Osman (morto nel 1326), si è sempre fidata poco delle famiglie turche, che potevano porsi come rivali per il potere. A differenza dell’Occidente, gli Ottomani si sono sempre rifiutati di creare una nobiltà ereditaria, civile o militare. La nascita non conta in una società che non conosce che la meritocrazia. Ad Istanbul, nessuno si sorprende di vedere un Gran Visir figlio di un pescatore. Nell’esercito come nell’amministrazione, l’ascensione sociale è aperta a tutti. In tal modo, anche uno schiavo soldato non si trasformerà in un aristocratico preoccupato di promuovere la sua discendenza ed un elemento pericoloso per il potere del sultano. La sua condizione di schiavo gli ha dato, inoltre, l’abitudine ad essere un suddito obbediente. La sola esigenza di un giannizzero nei confronti del suo padrone è quella di vederlo condurre senza soste campagne militari, promessa di bottino. Un sultano pacifico o che tarda a combattere rischia di trovarsi di fronte ad una rivolta dei giannizzeri. Questo gusto per la guerra mostra quanto la scelta del Deshvirme e la fanatizzazione delle sue vittime sia stata un successo per i Turchi. Per contro, questa pratica, vista da Occidente, aggiunge una ulteriore barbarie a quella già attribuita ai Turchi nell’interminabile catalogo dei loro crimini. Strappare un ragazzo alla sua famiglia provoca orrore; ridurre in tal modo in schiavitù i suoi propri sudditi comporta una unanime riprovazione e condanna. Tuttavia, aldilà della legittima emozione che suscita questo salasso umano sui Cristiani dell’Impero, questa pratica rimane molto ambivalente. Per sfuggire a questo sistema, molti genitori cercano a volte di nascondere i loro figli nelle foreste, insegnando loro a far finta di essere semplici di spirito, a sembrare zoppi, li mutilano spesso (tagliando loro un dito della mano) o si affrettano a sposarli molto giovani. Per contro, accadeva a delle famiglie mussulmane di scambiare i loro figli con quelli dei Cristiani per approfittare del Deshvirme, di cui essi tuttavia, sanno di essere esenti.

Un Gran Visir che non dimentica nulla

Quanto ai Bosniaci, essi stessi chiedono, nonostante la loro conversione all’islam, di essere sottoposti alla “raccolta”. Ciò è tanto più vero, proprio perché la leva forzata consente di assicurare alle sue vittime, figli di contadini poveri e senza avvenire, un’ascesa sociale, o un brillante destino. Questo è il caso di Sinan (1496 circa-1588), il grande architetto al servizio di Solimano, nato e cresciuto nella religione ortodossa, di origine greca o armena, “raccolto” per diventare giannizzero, prima di iniziare, dopo 23 anni passati nel mestiere delle armi, una brillante e lunga - sebbene tardiva - carriera di architetto in capo della corte imperiale. Sokollu Mehet Pashà, di origine serba, è anch’egli “rapito” ai suoi, ai quali non smette di pensare. Diventato Gran Visir, egli farà nominare suo fratello, rimasto cristiano, alla testa del Patriarcato ortodosso serbo di Pec, nel Kossovo. Questi brillanti destini, non devono far dimenticare la sorte crudele dei ragazzi cristiani del deshvirme, da cui il Gran Signore si attendeva che facessero tabula rasa del passato, che rompessero definitivamente con le loro origini per diventare sudditi fedeli e zelanti fino alla morte.

BIBLIOGRAFIA

Bacqué-Grammont Jean-Louis , Storia dell'impero ottomano, a cura di Robert Mantran , Lecce, Argo Editrice, 2000;
Barbero AlessandroIl divano di Istanbul, Palermo, Sellerio Editore, 2011;
Costanza Maurizio , La Mezzaluna sul filo. La riforma ottomana di Mahmud II, Venezia, Marcianum, 2010;
Roux Jean PaulStoria dei Turchi. Duemila anni dal Pacifico al Mediterraneo, traduzione di Barbara Besi Ellena, Milano, Garzanti, 1988.


Massimo Iacopi

 

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