Riforma della scuola
E' tutta una questione di simboli
I buoni cittadini si formano soprattutto attraverso l'esempio dei buoni insegnanti
(Montegrotto (PD), Sep 22 2003 12:00AM) Jean Cazeneuve ha condotto studi particolarmente interessanti sulla sociologia del simbolo, del rito e del sacerdote. La questione analizzata dall’illustre seguace di Durkheim può essere utile per spiegare i fenomeni che differenziano le varie forme di governo ed i rapporti tra i rappresentanti di queste e le opposizioni che vi si contrappongono. E’ quindi applicabile anche alla situazione particolarmente tesa esistente in Italia tra la maggioranza e l’opposizione, che rivela ad ogni piè sospinto tutta la sua forza devastante.
La riforma della scuola è uno dei progetti portati avanti dal Governo attuale, che è avversato, manco a dirlo, dall’opposizione. La polemica sollevata dall’insegnante romana Carla Vasile su “il Giornale” del 22 settembre 2003 circa il valore di spot elettorale che lei attribuisce al contributo economico assegnato dal Governo alle famiglie a sostegno delle spese scolastiche, affronta la questione in modo non appropriato, perché sostiene in conclusione che per la scuola alle famiglie si dovrebbero assegnare più soldi.
A mio parere la scuola non si migliora con l’erogazione di maggiori fondi, pur necessari perché venga adeguata agli standard di un paese civile, ma con la “riforma” degli insegnanti. Così come, tutto il resto che non funziona, si dovrebbe migliorare con la “riforma” dei suoi manovratori. Del resto anche la famiglia risulterebbe migliorata se si potessero “riformare” i coniugi; talvolta, le maggiori entrate economiche disgregano la famiglia più che rinsaldarla. La “riforma” degli insegnati dovrebbe però passare attraverso la spiegazione e la comprensione del valore dei simboli e del rito e del ruolo dei “sacerdoti”, altrimenti non si va da nessuna parte. Prendiamo ad esempio l’abbuffata (mi scuso per il termine) di bandiere della pace che ci siamo fatta durante la guerra in Iraq; qualcuna ancora resiste e sembra appena tornata da Isbuschenskij.
La visione che ha dei simboli l’opposizione italiana, condivisa dalla maggior parte dei suoi seguaci, è molto diversa da quella che dovrebbe essere. Loro non usano i simboli per unirsi sotto un’insegna comune, ma per offendere ed additare al ludibrio pubblico chi non la pensa come loro. Nel caso specifico l’esposizione del vessillo è servita per etichettare come guerrafondai le forze del Governo e gli elettori che le sostengono. Cosa questa assolutamente inaccettabile, perché la guerra, per fortuna, non piace a nessuno e tanto meno piace alla stragrande maggioranza degli Italiani. Se la bandiera, cosiddetta della pace, rappresentasse per l’opposizione un vero simbolo, vorrebbe dire che essi sanno cosa sono i simboli e sono quindi disponibili a rispettarli. Tutti. Anche quelli degli altri. Così non è. Non si spiegherebbe altrimenti il vezzo di dare alle fiamme la bandiera americana che, quanto a simboli di libertà e di pace né ha veramente tante da insegnare. C’è poi il rito. Si narra che una volta gli insegnati prima di assumere il servizio dovessero prestare giuramento. Quello del giuramento è ormai diventato un rito per pochi eletti e il tradimento non è più così grave come appariva ai tempi del De Amicis. Comunque, almeno in Italia, non viene più punito con la pena di morte; neanche in guerra. Fra le varie categorie, quelli che giurano ancora sono i militari, che si sono sempre inchinati alla bandiera (il simbolo) e in nome di essa sono anche morti in tanti. Per loro il rito del giuramento rimane ancora un’occasione unica, qualcosa di magico, che raduna parenti e ospiti illustri e che viene ricordata per il resto della vita. Anche se non sono molti quelli che vanno oltre l’atmosfera di festa che lo accompagna, alla sostanza del suo significato: la fedeltà, soprattutto in combattimento; la morte sotto il fuoco nemico (pensiamo alle morti più recenti di quei trecento e passa militari americani ammazzati per la libertà dell’Iraq); la Corte marziale in caso di tradimento.
Non sarà facile per gli insegnanti tornare indietro. Ma la motivazione è indubbiamente necessaria; e motivazione vuol dire: prepararsi, applicarsi, essere guida e strumento del sapere. La motivazione, oltre che nascere dalla natura degli individui, dall’educazione ricevuta e dagli esempi coi quali essi si sono formati, nasce soprattutto dal rispetto che si ha verso il simbolo e verso il rito.
E’ così che si diventa quel “sacerdote” che Cazeneuve assume come l’elemento che celebra il “rito” e ne garantisce il suo legame con il “simbolo” nel quale si identifica il gruppo. E’ quindi attraverso questi elementi, peraltro illustrati da un sostenitore delle dottrine positiviste, che si diventa garanti della sicurezza del paese, garanti dell’educazione e del sapere, garanti della giustizia e così via rispolverando. Ed è attorno a questi elementari pilastri, comuni a tutte le culture umane, negletti solo alla cultura degli animali, che si è coagulata e si è organizzata la società, ed il metterli in discussione rappresenta una ennesima fuga verso l’anarchia e il nichilismo. E non è con i soldi che si scongiurano i pericoli che questi effimeri obiettivi rievocano.
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