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FRANCESCO D’ASSISI CHE INCONTRA IL SULTANO AL MALIK AL KAMIL

      

   

Inchieste

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Saggio di:

Massimo Iacopi


Frate Francesco nel Vicino Oriente per convertire i Mussulmani in guerra contro i Crociati

 

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FRATE FRANCESCO INCONTRA IL SULTANO


Quando la ricerca storica fa i conti con il significato dei fatti

FRANCESCO D’ASSISI CHE INCONTRA IL SULTANO AL MALIK AL KAMIL

Frate Francesco nel Vicino Oriente per convertire i Mussulmani in guerra contro i Crociati

(Assisi PG, 10/04/2019)

Mentre le forze cristiane assediano Damietta durante la Quinta Crociata, Francesco d’Assisi riesce a raggiungere il campo del Sultano Ayyubide d’Egitto e cerca di fargli scoprire le fede cristiana. Questo episodio, apprezzato dai pittori e dagli scrittori a partire dal Medioevo, ci introduce su un inizio di dialogo interreligioso messo al servizio della missione.

Nell’agosto del 1219, un esercito di Crociati, guidato da Giovanni I di Brienne (1148-1237), re titolare di Gerusalemme e dal legato pontificio portoghese, Pelagio Galvani (Paio Galvao, 1165-1230), si accampa davanti alla città di Damietta. Questa, posta sulle rive di uno dei bracci principali del Nilo, costituisce una piazza forte del sovrano Ayyubide d’Egitto e di Siria, Al-Adil Sayf al Din (1145-1218), fratello ed erede del celebre Salah ad Din ibn Yusuf, il Saladino (1138-1193). La cattura di Damietta fa parte di un vasto piano d’operazioni che avrebbe consentito al re di Gerusalemme di invadere l’Egitto, la base arretrata della dinastia Ayyubide. A tal fine, era stata conclusa un alleanza con il Sultano di Rum, nell’Anatolia, in base al quale, quest’ultimo avrebbe dovuto attaccare la Siria da nord, obbligando in tal modo, gli Ayyubide a dividere le loro forze. Purtroppo l’attacco da Nord fallisce e. così, il nuovo Sultano d’Egitto, Al Malik al Kamil (1177-1238), può portare soccorso alla cittadella assediata del Nilo. Nel campo dei Crociati comincia a serpeggiare la fame e lo scoramento, anche se ha inizio un periodo di tregua. E’ verosimilmente in questo momento che arriva fra gli assedianti un uomo vicino alla quarantina, un Italiano, originario di Assisi. Questo personaggio non è un soldato, si chiama Francesco, e pretende di incontrare il Sultano per convincerlo di accettare la fede cristiana. Un compito “insensato” e destinato al fallimento, secondo la maggior parte dei Crociati. Il nuovo arrivato non teme la morte, né la tortura e, confidando nell’aiuto di Dio, lascia l’accampamento dirigendosi verso le linee nemiche.

La questione delle fonti

Non esiste alcuna fonte araba che parla di questo avvenimento. Tutto quello che ci è pervenuto è rappresentato dalle testimonianze dei Crociati e dalle successive biografie del santo. Cronologicamente, il primo di questi testi è opera di Giacomo de Vitry (1170-1240), vescovo di S. Giovanni d’Acri e membro dell’esercito crociato, che racconta l’episodio nella sua Historia Occidentalis (circa 1225): “Noi abbiamo visto il primo fondatore e maestro di quest’ordine (francescani), un uomo semplice, senza cultura, amato da Dio e dagli uomini, frate Francesco. Egli è stato colto da una ebbrezza e da un fervore spirituali inauditi, al punto che, passato in terra d’Egitto, e trovandosi al seguito dell’esercito crociato, egli ha deciso di partire per l’accampamento del Sultano. Questa bestia crudele, vedendo Francesco, è stato convertito alla mitezza dallo sguardo dell’uomo di Dio. Per diversi giorni, il Sultano ed i suoi, ascoltano con la più grande attenzione le sue prediche sulla fede di Cristo. Alla fine, il sultano, temendo di veder passare nell’esercito dei cristiani membri del suo stesso esercito, convertiti al Signore, dall’efficacia di queste parole, dà l’ordine di riportare il santo con ogni onore e sicurezza, nel nostro campo, dicendogli alla fine “Prega per me, affinché Dio si degni di rivelarmi la legge e la fede che più lo aggradano” (1). Ecco quello che ci racconta un uomo di chiesa presente nel campo degli assedianti. Un altro testimone rimasto anonimo ci fornisce maggiori dettagli. Secondo la Cronaca detta d’Emoul (1227-1229), scritta senza dubbio da un laico, vicino al capo crociato Giovanni I di Brienne. Francesco non si sarebbe recato da solo presso il “Saraceno”, ma avrebbe avuto al suo fianco un compagno. Di fronte ai due uomini il Sultano avrebbe chiesto il parere dei suoi “arcivescovi, vescovi e buoni chierici” (in altre parole: i suoi dignitari religiosi mussulmani), che gli avrebbero raccomandato di tagliare la testa a questi intrusi, “in quanto noi non vogliamo sentire ciò che dicono, poiché la Legge (di Maometto) vieta che si ascolti qualsiasi predicazione (cristiana)”. Un parere che Kamil non ascolta, ma anzi, al contrario, secondo la Cronaca, gli avrebbe offerto persino terre e ricchezze, cosa che, Francesco ed il suo compagno avrebbero rifiutato “perché essi non avrebbero potuto avere la loro anima con Dio, poiché questa costituiva la cosa più cara di tutto quello che possedevano”. I due personaggi vengono rimandato sotto scorta fino al campo cristiano e potranno assistere alla caduta di Damietta, due mesi più tardi. Francesco rientra in Italia, mentre l’esercito cristiano viene annientato, dopo aver tentato di marciare su Gerusalemme. Diverse “Vite di San Francesco” riferiscono questo episodio, steso in versi intorno al 1260-63. La Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274), ministro generale dell’Ordine francescano ed anche lui futuro santo, aggiunge una prova alla quale Francesco avrebbe voluto sottoporre i religiosi mussulmani: “Se tu esiti a lasciare , per la fede del Cristo, la legge di Maometto, ordina che venga acceso un immenso braciere dove io entrerò con i tuoi preti, e tu, allora, saprai quale è la più certa e la più santa delle fedi”. “Io nutro dubbi - rimarca il Sultano - che uno dei miei preti voglia esporsi per la sua fede o subire qualsiasi tormento” Egli si era appena accorto che uno dei suoi preti, pontefice eminente e sebbene in età avanzata, si era eclissato al sentire la proposta di Francesco. Allora il Santo gli dice: “Se tu vuoi promettermi che passerete tutti alla fede del Cristo a condizione che io esca dalle fiamme senza danno, io affronterà il fuoco da solo”. Il Sultano non se l’è sentita di accettare questa proposta aleatoria per paura di un sollevamento popolare”. L’ordalia era stata vietata nel 1215 dal Concilio del Laterano, ma la prova del fuoco resta un motivo tradizionale nell’agiografia, perché considerata efficace per “impressionare” gli “infedeli” e convincerli di accettare la fede del Cristo. Tuttavia, il tentativo di Francesco si conclude con un fallimento, fallimento che Bonaventura spiega con il destino riservato al santo uomo: egli non era destinato a diventare un “nuovo apostolo” dell’Egitto, ma doveva rientrare in Italia per ricevere le stigmate e morire in terra cristiana. In effetti, Francesco si spegne il 3 ottobre del 1226 e viene canonizzato da Papa Gregorio IX due anni più tardi. Il suo corpo verrà inumato inizialmente nella chiesa di S. Giorgio e quindi nella basilica, costruita espressamente per l’occasione.

Islam e Cristianesimo, una possibilità di dialogo ?

Questo episodio ha effettivamente un fondamento storico ? Anche se l’assenza di fonti arabe non ci autorizza a rispondere pienamente in senso affermativo, nulla impedisce di immaginare che Francesco sia stato accolto dal Sultano. Al-Kamil era considerato con un uomo curioso ed un buon diplomatico, arrivando a scambiare negli ultimi anni della sua vita lettere con l’imperatore Federico II di Hohenstaufen (1194-1250), nelle quali i due uomini discutevano dell’organizzazione dell’universo e cercavano di risolvere spinosi problemi di matematica. Nel contesto più generale delle Crociate, un certo rispetto, sfociato a volte in alleanze politico militari, esisteva fra i principi cristiani e mussulmani, anche se le alleanze rispondevano il più delle volte ad esigenze di “realpolitik” locale. In tale contesto, il Sultano, nel momento in cui Francesco gli rende visita, cercava di negoziare la resa di Gerusalemme, in cambio della ritirata dall’Egitto da parte dei Crociati. Sarà solo nel 1220 che la Città Santa verrà resa ai Cristiani (a condizioni) con il Trattato di Jaffa, concluso fra il sultano ed il suo amico epistolare, l’imperatore Federico, aspirante al trono di Gerusalemme. Nulla ci autorizza a pensare che la predica di Francesco, abbia giocato il benché minimo ruolo nella decisione del sovrano, ma il probabile incontro fra il principe mussulmano e colui che diventerà uno dei santi più popolari della Chiesa Cattolica, rimane comunque un avvenimento significativo di questa pagina di storia, immortalato da numerose pitture. I bellissimi affreschi della Basilica di Assisi, che ci raccontano la vita di S. Francesco, danno un grande risalto all’episodio: vi si vede Francesco, davanti al trono di Al Kamil, che sembra indicare di voler entrare in un braciere, mentre un religioso in turbante si defila … Un motivo ripreso dal Beato Angelico (1395- 1455) nel XV secolo. La scena è, dunque, entrata a far parte della storia dell’arte; ma la stessa ben poco ci dice sul concetto che si facevano Francesco ed i suoi contemporanei in ordine alle relazioni fra cristiani ed “infedeli” ? In fin dei conti, Francesco era mosso in primis da uno spirito missionario, cioè dall’anelito di portare la parola di Dio nel mondo dei non credenti. Giovanni Battista, detto “Francesco”, aspirante alla cavalleria e futuro santo. Secondo la tradizione, Giovanni Battista di Pietro di Bernardone, soprannominato “Francesco” (1182-1226; Il “francese”, sia perché suo padre si trovava in Francia in occasione della sua nascita, sia per la madre di origini provenzali, sia anche per la sua passione per le “Chanson de Geste”, diretta influenza della cultura materna) è un giovane iperattivo nato in una famiglia di ricchi mercanti assisani. Educato alla letteratura cortese, egli sogna, come del resto suo padre (che in lui vede la concretizzazione di una ascensione sociale familiare), di diventare cavaliere e conduce una vita spensierata, partecipando alla turbolenta vita cittadina. Questo modo di essere non gli impedisce di dimostrarsi generoso, conformemente al codice d’onore della nobiltà alla quale egli aspira: in tale contesto egli avrebbe donato il suoi abiti più belli ad un cavaliere che rientrava rovinato dalla guerra. A seguito della guerra fra Assisi e la vicina Perugia, egli viene fatto prigioniero nello scontro di Collestrada e portato in cattività a Perugia, dove, in attesa del riscatto paterno, si ammala. Alla sua liberazione egli attraversa una profonda crisi spirituale e mentre prega davanti ad un crocefisso della chiesa in rovina di San Damiano, non lontano dalle mura cittadine, egli intende il Cristo che gli dice: “Francesco non vedi come la mia casa è in rovina ? Va, dunque e riparala”. E’ in quel momento che il giovane decide di cambiare vita. Egli si libera dei suoi beni, rompe con la propria famiglia e si consacra al restauro delle chiese nei dintorni di Assisi ed ai lebbrosi. Egli trascorre molto tempo nella foresta e, come gli eremiti, dorme nelle grotte. Si racconta che egli abbia predicato agli uccelli e che abbia parlato agli animali. Molti uomini e donne di tutte le condizioni, emozionati e colpiti dal suo esempio, lo raggiungono: il movimento, che diventerà l’Ordine francescano, risulta, già al tempo di San Francesco, aperto a tutti ed anche ai laici. Nel 1212, il Poverello ed i suoi compagni accolgono una donna, Chiara (1193-1253), forse figlia di Favorino degli Scifi di nobile discendenza ed una parte della sua famiglia. La donna, canonizzata nel 1255, dopo la sua morte viene considerata come la fondatrice dell’Ordine delle Povere Dame, le Clarisse. Sin dall’inizio della sua nuova vita Francesco intendeva predicare ai cristiani, ma anche oltre: a somiglianza degli apostoli, si trattava di portare la “Buona Novella” a quelli che non la conoscevano. Fra il 1209 ed il 1212, egli si imbarca per la Siria, ma viene deviato dalla sua strada a causa di una tempesta; un po’ più tardi egli intraprende la strada per il Marocco, ma si ammala in Spagna. Il viaggio di Damietta rappresenta dunque la concretizzazione di un progetto missionario profondamente maturato. Tuttavia, Francesco non è un prete è solo un laico e non potrebbe predicare senza averne avuto l’autorizzazione; in tal modo fra il 1209 ed il 1210 si reca a Roma per ottenere l’avallo del papa Innocenzo III dei conti di Segni (1161-1216). Questo si mostra moderatamente convinto, ma concede, comunque, oralmente la sua approvazione: è l’atto di nascita dell’Ordine dei Fratelli Minori, più conosciuto sotto il nome di Francescani. Di fronte all’ampiezza assunta dal movimento, la Chiesa chiede a Francesco di redigere una regola. Francesco vi si dedica al ritorno dall’Oriente e la prima versione non approvata dal papa contiene un lungo invito a portare la “Buona Novella” agli “infedeli” (Regula non bullata, 1221): “Se un fratello vuole andare presso i Saraceni o altri infedeli, che ci vada con il permesso de suo ministro, se questi lo reputa adatto ad essere inviato. I fratelli che se ne vanno possono vivere spiritualmente fra essi in due modi. Una maniera è quella di non fare né dispute ne discussioni, ma di essere sottomessi ad ogni creatura umana per causa di Dio e di confessare di essere cristiani, L’altra maniera, quando vedono che questo piaccia al Signore, di annunciare la Parola di Dio, affinché essi (infedeli) credano in Dio onnipotente e perché essi siano battezzati e divengano cristiani”. I fratelli che desiderano impegnarsi nella missione presso gli infedeli devono dunque disporre di qualità intellettuali ed umane che gli permettano di vivere fra di loro, e sono invitati a predicare apertamente solo se le circostanze lo consentono. La regola approvata da papa Onorio III Savelli (1150-1227), qualche anno più tardi, risulta molto meno prolissa circa le attività missionarie dei Francescani, ma questo non impedirà loro di essere fra i più attivi nella propagazione del cristianesimo. Alcuni predicano rumorosamente, proprio nella ricerca del martirio, ma altri si accontentano di vivere in pace con gli infedeli, rendendosi spesso utili come diplomatici presso la corte dei principi locali.

I Francescani, viaggiatori e diplomatici

Sotto questo aspetto, uno dei primi occidentali a recarsi nella Cina dei Mongoli, Giovanni da Pian del Carpine (1182-1252), è proprio un francescano ed arcivescovo: nel 1245-47, appena dopo 20 anni dalla morte di San Francesco, egli viene inviato, come legato di papa Innocenzo IV Fieschi (1195-1254), presso il Khan Ogodei (1186-1241), figlio di Gengis Khan (1162-1227). Qualche anno più tardi, un altro francescano, Guglielmo di Roebruck o Ruysbroeck (1220-1293, guida una ambasciata presso il sovrano mongolo per conto del re di Francia , Luigi IX (1214-1270). I racconti di viaggio di questi due uomini vengono rapidamente a guadagnarsi la fama dei posteri. Prima di Marco Polo (1254-1324). La loro testimonianza sono state utilizzate, specialmente, da un altro celebre membro dell’Ordine, l’inglese Ruggero Bacone (1214-1294), per stabilire una specie di scienza delle religioni “ante litteram”. Bacone, nel suo Opus Maius, del 1268 - trattato teologico e scientifico dedicato al papa Clemente IV Foulquois (1190-1268) - si interessa dei migliori strumenti da utilizzare per portare la fede agli infedeli. Rifiutando salvo rare eccezioni, la violenza, Bacone postula che tutti gli uomini sono dotati della regione e che, conseguentemente, dovrebbe essere in condizione di comprendere gli argomenti che dimostrano la superiorità del cristianesimo. Lo scienziato inglese stabilisce cinque categorie di religioni, più o meno vicine alla “Verità” cristiana: il paganesimo dei Baltici, il buddismo degli Orientali “idolatri”, la religione dei Mongoli, che credono in un Dio unico; quindi islam ed il giudaismo che egli considera come più elaborate. Per questo motivo, ebrei e mussulmani risultano più difficili da convincere, ma buoni missionari dovrebbero riuscirci. Per contro, la brutalità e la rapacità, di cui fanno prova i Crociati, risultano controproducenti, in quanto esse rendono odioso il Cristianesimo a numerosi infedeli. Critiche, queste che si ritrovano occasionalmente lanciate contro principi, prelati ed ordini militari implicati nell’evangelizzazione. Nel XIII e XIV secolo, i Francescani, sono, a fianco dei Domenicani, fra i missionari più attivi. Troviamo, infatti, i Francescani al Santo Sepolcro di Gerusalemme, nel Marocco ed altrove nel mondo mussulmano, ma anche in Cina ed in Persia, dove gli imperatori, discendenti dalle dinastie mongole, si mostreranno relativamente tolleranti nei confronti delle religioni di diversa obbedienza ed anche in Lituania alla corte degli Jagelloni e dell’ultimo principe pagano d’Europa. Nel XIII e XIV secolo, i Francescani, sono, a fianco dei Domenicani, fra i missionari più attivi. Troviamo, infatti, i Francescani al Santo Sepolcro di Gerusalemme, nel Marocco ed altrove nel mondo mussulmano, ma anche in Cina ed in Persia, dove gli imperatori, discendenti dalle dinastie mongole, si mostreranno relativamente tolleranti nei confronti delle religioni di diversa obbedienza ed anche in Lituania alla corte degli Jagelloni e dell’ultimo principe pagano d’Europa.

Francesco un precursore dell’ecumenismo ?

In un contesto in cui la forza risulta frequentemente utilizzata per trattare con gli infedeli, l’approccio di Francesco di Assisi e dei suoi discepoli risulta certamente più “delicato”, rispetto a quello di numerosi altri contemporanei. Per questo fatto, il Poverello viene spesso considerato al giorno d’oggi come un precursore del dialogo interreligioso: il papa Giovanni Paolo II (1920-2005) ha, nel particolare, inaugurato una Giornata Mondiale di preghiera per la Pace ad Assisi, proprio in suo onore. Tuttavia, appare esagerato presentare Francesco come un pacifista assoluto ed ancor meno adeguato additarlo come un operatore ecumenico ante litteram, tanto più che, non si conosce neanche con certezza quello che Francesco pensasse effettivamente delle Crociate. Quello che è certo è il fatto che egli considerava, allo stesso modo di Guglielmo di Röbruck o di Ruggero Bacone, il Cristianesimo come l’unica via per la salvezza, destinata ad estendersi ai quattro angoli del mondo conosciuto. Non si trattava, pertanto ed in alcun modo, di un concetto, come viene suggerito da più parti, di uguaglianza fra le varie religioni. Tuttavia, in ragione del suo universalismo, la fede cristiana presuppone l’uguaglianza di tutti davanti a Dio, fatto che implica che gli infedeli, per quanto “barbari” possano essi apparire nei testi medievali, sono individui dotati di ragione e non possono essere pertanto considerati come irrimediabilmente perduti. Questa è stata, senza dubbio, la scommessa e la sfida che ha fatto S. Francesco, partendo per predicare davanti al sultano egiziano Al Kamil.

NOTA

(1) La citazione è tratta dal libro di John Tolan “Il Santo presso il Sultano”, Parigi, 2007;

BIBLIOGRAFIA

Abulafia David, Frederick II. A Medieval Emperor, Londra, Penguin Press, 1988;

Aurell Martin, Cristiani contro le Crociate, XII - XIII secolo, Parigi, Fayard, 2013;

Frugoni Chiara, S. Francesco d’Assisi, la vita di un uomo, 1997;

Kedar Benjamin, Crusade and Mission, European Approaches toward the Muslims, Princeton University Press, 1984;

Tolan John, Il Santo presso il Sultano, l’incontro di S. Francesco di Assisi e dell’islam: otto secoli di interpretazioni, Parigi, Seuil, 2007;

Tolan John, I Saraceni: l’islam nell’immaginario europeo del Medioevo, Parigi, cubie, 2003.


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