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LE RAGIONI DEL “NO” ALL’AMMISSIONE DELLA TURCHIA NELLA CE

      

   

Editoriali

 Registrazione Tribunale di Rieti n. 5 del 07/11/2002

 

 

Articolo di:

Massimo Iacopi


Attuale più che mai l’analisi dei pericoli per la sicurezza dell’Europa e dell’Occidente

 

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ERDOGAN RECEP TAYYIP


Già nel 2006 l’Autore anticipava la deriva della Turchia da Stato laico a osservante della Sharia

LE RAGIONI DEL “NO” ALL’AMMISSIONE DELLA TURCHIA NELLA CE

Attuale più che mai l’analisi dei pericoli per la sicurezza dell’Europa e dell’Occidente

(Assisi PG, 13/10/2019)

Nel 2006, davanti ad una diffusa volontà dei burocrati di Bruxelles di includere la Turchia nell’Europa, accompagnata da una martellante propaganda per convincere gli Europei in questo senso, ho provato un profondo rigetto delle tesi così strampalate ed antistoriche che mi ero ripromesso di condurre un esame delle ragioni e di tutto quello che vi si oppone ragionevolmente e storicamente. La storia successiva e gli eventi odierni ripropongono in tutta la sua pericolosità il problema della Turchia nei confronti dell’Europa e del suo ricatto disumano nella sua attuale guerra privata contro i Kurdi. Se, come ha più volte affermato il dittatore turco Recep Tayyip Erdogan, che in pochi anni ha quasi cancellato la democrazia dal suolo della Turchia: l’Europa non può essere un “Club Cristiano, essa non può neanche diventare un Club mussulmano”, perché questo segnerebbe la fine della sua identità e della sua storia. Desidero pertanto riproporre l’articolo che segue, senza alcune modifica, così come è stato realizzato a quel tempo. Anche se il saggio non ha avuto la fortuna di essere pubblicato, in quei tempi poco illuminati su questo argomento, esso vuole essere comunque, al di là delle ragioni esposte, tuttora valide, un monito di una delle tante Cassandre inascoltate, nella speranza di sensibilizzare i lettori sul problema e, soprattutto, perché non sia troppo tardi.

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Il 13 dicembre 1999 il Presidente della Repubblica Francese Jacques Chirac (1932-2019) faceva questa sorprendente dichiarazione alla stampa: “La Turchia ha pienamente diritto al suo posto nell’Europa. So bene che ciò può essere discusso dal punto di vista strettamente geografico, ma non credo che si finirà per discuterlo da un punto di vista storico e della civiltà. La Turchia è europea, per effetto della sua storia, della sua geografia e delle sue ambizioni”. Il punto di vista geografico, evocato dallo statista, anche se di un certo rilievo, è evidentemente il meno importante, mentre quelli relativi alla storia ed alla civiltà appaiono essenziali. Indubbiamente ci si interroga sulle ragioni di una dichiarazione così flagrantemente in contrasto con la verità, tanto più che non è stata fatta da uno qualsiasi ma da un Presidente europeo. Appare impossibile che un personaggio di così alto livello possa ignorare a tal punto, a meno che questi, attraverso una sequela di martellanti menzogne, non abbia l’intenzione di ingannare il suo mondo e convincere i Francesi della bontà delle sue affermazioni, fatto che appare quanto meno improbabile. Secondo un sondaggio internazionale del German Marshall Fund effettuato nel secondo semestre del 2004, solo il 30% degli Europei, mediamente, sarebbero favorevoli all’entrata della Turchia nell’Unione Europea. Tale percentuale sarebbe ancora più bassa in Francia ed in Germania (1). Sappiamo bene cosa sono i sondaggi, ma tuttavia il dato ci fornisce una indicazione particolarmente interessante, specie in un paese come la Francia, dove quasi il 10% degli intervistati provengono ormai da una immigrazione spesso mussulmana e quindi teoricamente favorevole alla Turchia. Il paradiso della droga e delle prigioni turche potrebbe diventare un modello per l’Unione europea ? Tutti gli Europei possono anche non avere una cognizione profonda della loro storia, ma sanno molto bene che degli aspetti essenziali distinguono ed oppongono l’Europa alla Turchia. Ad esempio, laici e femministi in generale non possono amare determinate cose che si legano ai costumi ed alla religione. Essi rimproverano per esempio il trattamento di inferiorità imposto alle donne dall’Islam. Ritengono altresì scioccante che la moglie dell’attuale primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan (1954 - ), il rappresentante di una repubblica, cosiddetta laica, porti il velo in pubblico. L’Europa, come ha ripetuto più volte Erdogan, non può essere un “Club cristiano”, ma per contro gli Europei non hanno alcuna voglia che diventi un “Club mussulmano”. D’altronde, recentemente un giornalista, facendosi eco del buon senso popolare, ha potuto scrivere che “esiste una unità europea, che si fonda anche su un idem sentire, sulla continuità geografica ed al limite su una identità razziale e culturale, così come esiste una unità cinese ed africana (2)”. Alla fine del 1° millennio della nostra era, gli antenati dei Turchi attuali erano dei popoli dell’Asia del Nord, gli Hiong-Nou, ceppo dal quale sono usciti gli Unni, gli Uighur, gli Avari ed i Turchi, propriamente detti. Essi erano un popolo molto vicino ai Mongoli, ai quali fornivano spesso delle truppe. La loro lingua è del tipo agglutinante (3) e non ha niente a che vedere con le lingue indoeuropee. Nell’11° secolo, le migrazioni di una orda di Turchi selgiuchidi, li conduce fino in Iran ed in Anatolia, dove si convertono all’Islam e da dove iniziano i loro tentativi di conquista di Bisanzio e dell’Europa. Questa tendenza storica dei Turchi non ha mai cessato, favorita, specie nei tempi moderni, da una grande spinta demografica. Per quasi dieci secoli la Turchia ha costruito la sua identità contro l’Europa. Allo stesso tempo l’Europa si è in parte edificata in opposizione alla Turchia. E’ innegabile che la Turchia possegga un grande e glorioso passato, ma questo non giustifica in alcun modo la sua inclusione nell’Unione Europea, anche se per l’avvenire appare auspicabile il mantenimento da parte dell’Europa di relazioni di buon vicinato, in quadro comunque di estrema chiarezza. La Turchia aveva nel 1927 circa 14 milioni di abitanti, che nel 1970 aumentano a 35 milioni e nel 2004 può contare su ben 73 milioni di individui, che la rendono il secondo paese dietro solo alla Germania nella Comunità europea. Le proiezioni demografiche consentono di prevedere che nel 2024 la popolazione turca raggiungerà i 90 milioni, mentre la Germania la Francia, l’Italia e la Gran Bretagna, pur contando sui nuovi immigrati, avranno rispettivamente, 82, 64, 63 e 61 milioni di abitanti. A questa cifra di 90 milioni di turchi bisognerà aggiungere fra i 50 ed i 100 milioni di turcofoni dell’Iran e dell’Asia centrale che arriveranno in Europa attraverso la Turchia. In definitiva, in armonia con il principio della libera circolazione dei beni e delle persone nell’Unione europea, le porte dell’Europa saranno pertanto aperte a circa ben 150 milioni di turcofoni mussulmani. Ma questi dati vanno comunque completati con altri relativi all’età della popolazione. Sui 150 milioni di turcofoni, circa il 50% avrà meno di 18 anni. Questi vanno messi a confronto con i 470 milioni di europei non turchi dell’Europa a 27 membri (contando anche la Romania e la Bulgaria), dei quali solo il 15% avrà meno di 18 anni. Inoltre già da adesso l’enorme diaspora turcofona che si estende dall’Asia centrale sino alla Cina, è diventata una base di intense pratiche mafiose ed un serbatoio illimitato di immigrazione clandestina afro - asiatica. Davanti a questi dati incontestabili ognuno è in grado di valutare quale sarà l’ampiezza di un tale impatto sulle nostre società occidentali e quali potranno essere le conseguenze per la vita e l’avvenire dell’Europa. Peraltro non può essere ignorato che il livello di vita della Turchia rimane ancora molto lontano dalla media europea. La struttura della sua economia è per certi aspetti ancora sotto sviluppata. Il reddito pro capite rappresenta appena un quinto di quello dell’Europa a 15. Un serbatoio di mano d’opera di tale ampiezza fa certamente sognare i dirigenti dell’economia europea, ma sicuramente un po’ meno le popolazioni europee. L’incidenza sarebbe ugualmente rilevante sul funzionamento delle istituzioni europee poiché il peso al suo interno viene attribuito in funzione della popolazione degli stati membri. Essendo stato definito il tetto massimo dei deputati al Parlamento europeo in 752 componenti e con un massimo di 96 per stato, con queste premesse la Turchia verrebbe a disporre automaticamente di 96 deputati e per far posto alla Turchia dovranno essere proporzionalmente ridotti quelli della Francia, della Gran Bretagna e dell’Italia. Per quanto attiene alle decisioni del Consiglio dei Ministri le cui decisioni sono assunto sulla base della rappresentanza della maggioranza della popolazione, la Turchia verrebbe ad assumere la posizione di perno centrale di tutte le possibili decisioni. Già da ora, in seno alla NATO, la Turchia ha impedito, per conto degli Americani, ogni iniziativa tendente a favorire una autonomia militare europea, vedi il caso del programma di posizionamento del satellite Galileo nel 2002 o il progetto di stato maggiore europeo nel 2003. I favorevoli all’integrazione della Turchia dicono che il suo ingresso sarebbe il solo modo per mettere al riparo l’Europa da un possibile nuovo “scontro di civiltà” e dall’islamismo. Ma questo atteggiamento appare come quello di un “borghese pauroso” che, sperando di comprare la buona disposizione di una banda di briganti, gli apre le porte della sua casa. Una delle cause principali dello scontro di civiltà è rappresentata dalla globalizzazione, cioè dalla moltiplicazione delle zone di contatto fra due popoli appartenenti a civiltà differenti. Indubbiamente i conflitti aumentano in proporzione diretta ai predetti contatti, come lo dimostra il Medio Oriente. Essi raggiungono un livello particolarmente pericoloso negli stati multietnici, allorché si trovano frammischiate sullo stesso territorio popolazioni troppo diverse fra di loro. Questa è anche l’origine dei conflitti sanguinosi, dei genocidi che scuotono, ormai a livello endemico, l’Africa, ma anche di altre regioni, ieri in Libano ed in Bosnia, oggi nel Kashmir, nello Sri Lanka, in Indonesia, in Palestina e forse a poco a poco nelle periferie delle conurbazioni europee. Dal 1945 l’Europa è diventata uno spazio di pace. La coscienza di appartenere ad una stessa civiltà minacciata è stata per molti una molla per la pacificazione degli spiriti. Gli Europei sono ugualmente in pace con il resto del mondo e questo primariamente per una ragione geografica. Ad eccezione del caso della Turchia, lungo la sua ridotta frontiera con la Grecia e la Bulgaria, L’Europa non ha alcuna frontiera in comune con stati che provengono da civiltà differenti e quindi potenzialmente antagoniste. I mari e gli oceani proteggono la sua fronte nord, ovest e sud. L’immenso spazio russo la protegge in direzione dell’Asia centrale e della Cina. Questa situazione privilegiata verrebbe immediatamente a cessare con l‘ingresso della Turchia, perché porterebbe le nostre frontiere a contatto diretto con il mondo mussulmano arabo e quello sciita – iranico. Infatti, contrariamente all’Europa, la Turchia possiede delle lunghe frontiere e proprio in un area geopolitica fra le più pericolose del globo. Di fatto fiancheggia la Siria, l’Iraq, l’Iran, l’Armenia (Caucaso), per non parlare poi del Kurdistan che da decenni si rifiuta di riconoscere. In una maniera più generale la Turchia è al centro della “zona delle tempeste” che va dalla Bosnia fino alla frontiere della Cina. La sua geopolitica non ha nulla in comune con quella europea. Essa include nella sua sfera i Balcani, il Caucaso (Cecenia, Georgia, Azerbaigian, ecc), l’Asia centrale (Turkmenistan, Ubzekistan, Kazakistan, ecc). Dopo la seconda guerra mondiale questa importanza geostrategica della Turchia non era sfuggita agli USA, la cui ambizione era ormai divenuta planetaria. Questo è il motivo per il quale Washington ha da sempre favorito in mille modi la Turchia, al fine di assicurarsi il suo ruolo di alleato privilegiato, durante e dopo la guerra fredda. Pilastro sud della NATO, la Turchia è anche l’avversario tradizionale della Russia, della Grecia, della Bulgaria e della Romania. Oggi si trova in un larvato conflitto con l’Iraq e la Siria per quello che concerne la questione vitale delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate, che nascono dal suo territorio e sui quali ha proceduto ad una riduzione del loro flusso attraverso la costruzione di dighe proprio a monte della frontiera dei due stati confinanti. Insomma l’inclusione della Turchia nell’Unione, ben lungi dal porla al riparo dallo scontro di civiltà, la precipiterebbe al contrario in conflitti dalle conseguenze incalcolabili ed imprevedibili. E’ noto che l’integrazione europea della Turchia risponde ad un vecchio desiderio degli USA, cosa che ha ricordato ancora una volta il Presidente George W. Bush junior (1946 – vivente) in occasione della Conferenza della NATO ad Istanbul del giugno 2004. E’ indubbio che più l’Europa si allarga, senza aver prima definito la sua identità e la sua struttura, più i dirigenti americani si rallegrano, tanto che uno di essi ha potuto affermare “con candore” che “Solo un Europa che si allarghi piuttosto che approfondirsi, corrisponde da un lato all’interesse nazionale americano ed agli interessi del vecchio mondo” (4). La prima parte dell’affermazione è decisamente chiara mentre la seconda é apertamente propagandistica. L’obiettivo in ogni caso è quello che l’Europa non divenga un pericoloso concorrente e questo si ottiene se rimane un “nano politico”. Questa condizione viene assicurata attraverso la moltiplicazione degli stati membri che rendono l’Unione ingovernabile, più facilmente manipolabile e sottoposta alle manovre di Washington. In definitiva, l’entrata nella Unione della Turchia completerebbe il siluramento di un Europa autonoma, ulteriormente indebolita da un fattore interno di possibile conflitto etnico di grande rilevanza. Nondimeno in tale contesto, mentre è facile capire per certi aspetti l’atteggiamento del governo italiano, appare veramente difficile comprendere quello dei dirigenti europei, specie Parigi, di Berlino e della Commissione di Bruxelles. Senza mettere da parte le ragioni del nudo e crudo interesse economico di ogni parte, non si può comprendere le ragioni di questo enigma se si dimentica che gli uomini con i loro atti e le loro azioni formali agiscono comunque in armonia con le loro idee e con la loro visione del mondo.

In tale contesto nei dirigenti europei sembrano affrontarsi due correnti politiche principali. Da una parte una visione, attualmente minoritaria, ma in forte e rapida ascesa, prevalentemente identitaria e storica. Appoggiandosi sulla realtà delle nazioni e procedendo per deleghe di sovranità, vorrebbero edificare una patria europea con frontiere chiare, basate su un passato comune. Questo alla scopo di assicurare la sopravvivenza di una civiltà propria e di una identità specifica, nel contesto di un mondo multipolare equilibrato, dove l’Europa avrebbe la speranza di esercitare una funzione moderatrice in virtù della sua lunga esperienza storica conflittuale acquisita. L’altra visione è di tipo ideologico e mondialista, con una connotazione direi quasi “internazionalista”, derivata dall’eredità culturale delle elites europee di sinistra. Essa disprezza l’identità dei popoli e delle nazioni, considerate come delle sopravvivenze desuete. La sua intenzione è quella di estendere la democrazia ed il mercato, senza preoccuparsi della storia e del realismo politico, con la convinzione messianica di poter conseguire in tal modo la soluzione ai conflitti del mondo. Questa visione è condivisa dalla maggioranza delle classi dirigenti europee, uomini politici, intellettuali, uomini d’affari. E’ un’utopia pacifista dei borghesi liberali o socialisti che credono che il benessere e le elezioni siano in condizioni di disinnescare i conflitti, nati dalle passioni, dalle bramosie e dalla storia. Il suo progetto è quello di creare delle relazioni di buon vicinato sempre più estese, grazie ad una zona di prosperità che andrebbe dal Marocco ad Israele e, perché no, fino alla stessa Cina. In tale contesto, nel maggio 2004 il socialdemocratico tedesco Gunther Verheugen (1944 - vivente),  Commissario europeo all’allargamento, poteva dichiarare: “Noi dobbiamo rendere più solide le nostre relazioni con i paesi dell’est e del sud, al fine di evitare delle nuove linee di demarcazione (5)”. Secondo la sua logica, in questa prospettiva i vicini turbolenti sarebbero alla fine addomesticati con la allettante prospettiva di entrare a far parte del club dei ricchi europei che, in linea di principio, non sarebbe più separato da alcuna linea di demarcazione. Il vero problema di fronte a questa prospettiva da intellettuali utopici e da affaristi messianici sarebbe quello di sapere: primo che cosa ne pensa effettivamente il popolo europeo e secondo quello di ricordarsi storicamente che i “turbolenti”, presentano in genere un problema maggiore è cioè che trovano molto più eccitante impossessarsi delle ricchezze attraverso la rapina o la forza, soprattutto quando queste sono disarmate e per di più disprezzabili (vedi posizione dei mussulmani verso l’occidente “corrotto”).

NOTE

1. Citato da Jean Claude Casanova in Le Monde, 17 ottobre 2004.

2. Stéphane Denis, Le Figaro, 19 ottobre 2004.

3. Le lingue agglutinanti funzionano per accumulazioni e suffissi.

4. Dichiarazioni di John Hulsman riportate da Luc Barochez in Le Figaro, 19 aprile 2004.

5. Le Figaro, 13 maggio 2004


Massimo Iacopi

 

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