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Una fragile costituzione Ne “il Giornale” di sabato 27 dicembre 2003 Dec 27 2003 12:00AM - carlopelanda.com (Milano) Il Giornale. Nel 1861 si disse che l’Italia era fatta e che bisognava fare gli Italiani. Oggi gli italiani ci sono, ma va rifatta l’Italia. Infatti quello che non va non riguarda la società, anzi. Il “capitale sociale” nazionale è complessivamente di altissima qualità sul piano dell’attivismo economico e ideativi. Come già scritto da Francis Fukuyama e da altri ricercatori, è tra i migliori del pianeta. La società è in maggioranza “buona”, ispirata da valori positivi, di forte senso di responsabilità. In sintesi, la storia ha creato un “Homo italicus” con caratteristiche forse uniche al mondo. Eppure tutta questa buona qualità “in basso” non riesce a tradursi in un accettabile ordine interno “in alto”. Fenomeno che nel passato ha indebolito l’Italia esponendola, per disordine, al governo dell’esterno – per esempio il modo abdicativi con cui ci siamo collocati in Europa prima del 2001 – e, per poca credibilità, a problemi nel negoziare i propri interessi sul piano globale. Non c’è altro esempio al mondo, tra i pari, di un a nazione così forte sul piano sociale che sia così debole su quello politico, pur se la situazione è molto migliorata grazie al nuovo governo. Perché ? Non siamo ancora riusciti a darci un sistema istituzionale alla nostra altezza. Scrissi nel 1997, qui, le stesse cose, ma furono parole al vento perché l’allora dominio dell’ulivo le annullò. Le riscrivo oggi perché il governo Berlusconi sta tentando di cambiare questo stato di cose, ma trova ostacoli formidabili.
Il punto: la Costituzione post-bellica ha creato un sistema di governo “orizzontale” ed “extra-istituzionale” in cui il potere elettivo è solo uno dei tanti e non quello principale. Tale configurazione fu frutto di un compromesso tra democristiani e comunisti ambedue timorosi che l’altro prendesse tutto il potere. Comprensibile a quei tempi. Ma l’anomalia creò il problema successivo del gap tra società e politica e la conseguenza di un’Italia istituzionale che non rappresenta, anzi distorce, la buona qualità di quella popolare e produttiva. Il voto non cambiò mai il sistema perché questo era costituzionalmente organizzato per non farsi penetrare da una “banalità” quale la volontà democratica. Così la società fu costretta a mettersi al servizio dei partiti e dei poteri informali e non viceversa come avrebbe dovuto essere in una democrazia compiuta. Ancora oggi quasi un milione di persone vivono “di politica” – il sociologo Luciano Gallino li contò nel i988 e analisi recenti confermano che poco è cambiato – perché la politica offre, impropriamente, un accesso alla ricchezza. Il risultato sul piano della modernità ed efficienza del sistema lo vedete. Lo statalismo resta diffuso per dare ai partiti, sindacati, burocrazie e corporazioni, attraverso il controllo di fatto delle istituzioni o una relazione opaca con esse non regolati da principi di trasparenza, consistenza ed efficienza, la facoltà di gestire questo tipo di accesso. Irriformabile a causa dell’ambiguità dei poteri che potrebbero farlo. Quello esecutivo – il primo ministro – non ha strumenti di comando sufficienti. Il Parlamento è quasi impotente, per esempio quando i sindacati od altri gruppi corporativi si ergono ad interlocutore diretto del governo disintermediando i poteri elettivi. E questo, per inciso, è il motivo che incentiva il “sindacalismo politico”, fenomeno aberrante per il suo portato di violenza ricattatoria: muovi la piazza, salta il Parlamento, cù cù democrazia. Incredibili, poi, le conseguenze del disordine costituzionale sulle istituzioni di controllo e di giustizia. Il tutto peggiorato dal fatto che i comunisti, nei decenni passati, occuparono sistema giudiziario, università, scuole, ecc. come strumenti di un disegno di dominio antidemocratico: in minoranza nel Parlamento, ma maggioritari nel potere reale perché il primo costituzionalmente debole. Cù cù democrazia. Così il disordine costituzionale aprì le porte del potere ad una minoranza destabilizzante ed a qualsiasi corporazione forte creando la mostruosità che ora abbiamo sopra le nostre teste e per cui paghiamo prezzi enormi. Ben sintetizzata in un libro di Giulio Tremonti di qualche anno fa: “Lo stato criminogeno”, da rileggere.
In sintesi, la Costituzione della vecchia Italia va cambiata perché ha maldisegnato i poteri democratici che permettono di tenere il sistema orientato come desidera la gente. Per questo l’Italia è ancora oggi molto meno dell’insieme degli Italiani.
Chi si oppone alla Seconda Repubblica? Evidentemente chi ha vantaggi dal disordine della Prima. Infatti questa ha creato un’aristocrazia di politici, sindacalisti, uomini di banca e d’affari che ha vantaggi dall’assenza di democrazia e di modernizzazione. E come è spesso accaduto nella storia tale aristocrazia “di posizione” si è alleata con i ceti improduttivi contro i borghesi produttivi che vogliono istituzioni efficienti, semplificate e governi funzionanti. Con il voto del 2001 siamo riusciti ad infilare un rappresentante dei borghesi nel sistema, ma gli altri poteri si sono coalizzati contro. E pesano tanto quanto la delega democratica, se non di più; giornali, tutte le grandi banche, gli industriali che ne dipendono per i crediti, ecc. Per questo dobbiamo aggiungere una mobilitazione borghese più forte, carica di convinzione e di voce: c’è da prendere una “Bastiglia rossa”. La prenderemo, buon anno Nuova Italia.
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