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Due culture contro l'individuo Quando le tendenze illiberali convergono Aug 22 2004 12:00AM - Piero Ostellino postellino@corriere.it (Roma) C’è una forma di egemonia di cui nessuno parla, ma che mortifica il cittadino e rallenta la modernizzazione del Paese. A sessant’anni dalla caduta del fascismo -e a quindici dalla crisi del comunismo internazionale- la cultura politica dominante, la natura dell’Ordinamento giuridico, la struttura socioeconomica sono ancora collettiviste, stataliste, dirigiste, corporative; in una parola, illiberali. L’Italia conserva, dell’autoritarismo fascista e del totalitarismo comunista, il pregiudizio ideologico e le chiusure sociopolitiche e socioeconomiche nei confronti dei diritti soggettivi naturali della Persona. L’innesto, nell’immediato dopoguerra, della cultura collettivista marxista sul tronco corporativo fascista ha addirittura peggiorato le cose. I due estremi si sono incontrati in una concezione organicistica della società.
L’Ordinamento giuridico non si fonda sull’individuo, bensì su un’astrazione collettiva, «il lavoro» (art.1 della Costituzione). Esso riconosce i diritti dell’uomo, ma gli chiede anche «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art.2). Il «diritto al lavoro» si accompagna al «dovere di svolgere…un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (art.4) ed è vincolato a «un esame di Stato…per l’abilitazione all’esercizio professionale» (art.33). Persino «la libertà di emigrazione» è subordinata all’«interesse generale» (art.35). «L’iniziativa economica privata è libera», ma «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale» (art.41), così come «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che…ne determina i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale» (art.42).
Poiché è chi detiene il potere costituito a stabilire cosa siano «il progresso della società», «l’interesse generale», «l’utilità e la funzione sociale» non è difficile coglierne le potenzialità illiberali. Al pari «dell’edificazione del socialismo» in Urss e del «pensiero del Duce» nell’Italia fascista, sono un limite che il potere pone all’esercizio delle libertà individuali. Gli Ordini professionali ne sono la proiezione socioeconomica. Il frutto avvelenato dell’incestuosa alleanza fra società politica e società civile, entrambe ostili al mercato. Mandati in soffitta Karl Marx e Giovanni Gentile, i postmarxisti e i postgentiliani si sono limitati a sostituire il comunismo e il fascismo con una sorta di neocomunitarismo; il quale altro non è che la versione edulcorata, ma ugualmente anti-individualista, di entrambi.
Anche quel po’ di liberalismo che è riuscito ad aprirsi un varco nell’egemonia autoritaria e totalitaria -quello tradotto dal tedesco da Benedetto Croce- è anti-individualista, permeato com’è di hegelismo. Per Croce, lo Stato non è il garante dei diritti individuali (compresa la proprietà), ma la sede di valori etico-politici che trascendono storicamente l’individuo. «Nell’indifferenza crociana verso le istituzioni politiche entro le quali si sarebbe realizzata la libertà, e nell’affidarla a un processo storico -la “religione della libertà”- si assiste così a un’altra singolare estraneazione dalla tradizione liberale la quale, al contrario, ha da sempre posto l’attenzione sulle istituzioni intese come garanzie delle libertà individuali» (Raimondo Cubeddu: Margini del liberalismo, ed. Rubettino, pag.115).
Così, la Costituente, monopolio di marxisti, gentiliani, crociani, ha prodotto, ieri, la Costituzione che continuiamo anacronisticamente a celebrare, e alla cui riforma si oppongono, oggi, i postmarxisti e i postgentiliani. Accomunati nella teologica (e teleologica) avversione per il liberalismo.
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