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Il Riformista

Intervento di Romano Prodi sulle Riforme Costituzionali

Salviamo la Costituzione


Oct 4 2004 12:00AM - Romano PRODI


(Roma) Testo dell’intervento al convegno promosso da Astrid e Libertà e Giustizia. Cari amici, caro Presidente Scalfaro, cari concittadini, alla fine di questo mese, a Roma, sarà firmata la nuova Costituzione europea. In questi giorni, a Roma, si sta disfacendo la costituzione italiana. La Costituzione europea che sarà firmata fra un mese è il frutto di un lavoro corale degli europei, dei loro governi, dei rappresentanti dei loro parlamenti, delle istituzioni dell’Unione. Un lavoro durato anni e passato attraverso il più lungo e corale dibattito pubblico che l’Unione ricordi. Un lavoro che ha prodotto una Carta che rappresenta un grande balzo in avanti per l’Unione e per tutti i suoi cittadini. L’assalto alla Costituzione italiana che in questi giorni si sta compiendo è il frutto di una maggioranza tanto prepotente quanto confusa nelle sue intenzioni e nei suoi obiettivi. Una maggioranza che coincide con quella che sorregge un governo in affanno, diviso e attraversato da tensioni su tutto. Un governo e una maggioranza che stanno cinicamente usando la riforma costituzionale come uno strumento per cercare di continuare a stare insieme, comunque e a qualunque costo. Anche a costo di distruggere quella grande opera di saggezza politica e di tecnica giuridica che è la Costituzione italiana. Anche a costo di mettere a rischio il funzionamento delle nostre istituzioni e di bloccare il Paese. Questo governo e questa maggioranza hanno fatto già tanto danno all’Italia e agli italiani. Li hanno condotti in una guerra senza sbocco. Hanno ridotto con una politica dissennata il loro livello di vita. Li hanno resi in pochi anni più poveri, più incerti, più insicuri del loro presente e del loro futuro. Ora si stanno assumendo anche la responsabilità di scelte che scuotono dalle fondamenta il patto stesso sul quale si basa la nostra convivenza sociale. Scelte che mettono a rischio il funzionamento corretto delle più importanti istituzioni del nostro Paese. E lo fanno soltanto per poter continuare a stare insieme, a qualunque costo e quali che possano essere le conseguenze per il Paese. Neppure questo governo e questa maggioranza possono infatti ignorare che la riforma che stanno cercando di approvare è confusa, contraddittoria, sbagliata e pericolosa. Neppure questo governo e questa maggioranza possono ignorare che decine e decine di costituzionalisti italiani hanno espresso i loro timori, le loro preoccupazioni, talvolta persino la loro indignazione, per l’incoerenza e la pericolosità delle proposte fatte. Ma tutto questo lascia indifferente chi ha un solo obiettivo: continuare a governare, quale che sia il prezzo che il Paese debba pagare. Questo ci indigna, ci ferisce e ci umilia come cittadini. Questo ci obbliga a dire no, tre volte no, mille volte no. Questo ha spinto tutti noi ad essere qui oggi per dire tutta la nostra indignazione insieme agli amici di Libertà e Giustizia, di Astrid, dei Comitati Dossetti che ringrazio per aver promosso questo appuntamento. Una indignazione profonda, che ci accomuna ai tantissimi cittadini che non sono fisicamente con noi ma che in tutto il Paese hanno i nostri stessi sentimenti. Noi ci opporremo a questa prepotenza e a questa violenza con tutte le armi a nostra disposizione, appellandoci al popolo italiano e chiamando tutti i nostri concittadini ad esprimere col loro voto il loro no a tanta irresponsabile arroganza. Il nostro no è un no forte! Un no che pronunciamo con tanta maggiore convinzione quanto più siamo consapevoli e convinti che le riforme, anche quelle che possono richiedere di modificare la Costituzione, sono necessarie, anzi indispensabili, per il Paese. Il nostro è un no che vogliamo risuoni altissimo proprio perché proviene non da chi assume un atteggiamento pregiudizialmente chiuso a qualunque cambiamento, ma da chi sa che le riforme, e specialmente quelle che toccano la Costituzione, sono cose importanti e serie. Cose alle quali occorre mettere mano con decisione ma anche con equilibrio, con lungimiranza, con senso di responsabilità verso tutto il Paese. Fin dall’inizio dell’esperienza politica dell’Ulivo abbiamo fatto delle riforme la nostra bandiera. Tutta l’esperienza di governo che abbiamo condotto insieme, quando l’Ulivo era al governo, è stata caratterizzata dalla spinta forte e decisa all’innovazione. Tutta la nostra azione è stata orientata a realizzare un grande processo riformatore. Le nostre riforme hanno avuto certamente lacune ed errori che possono richiedere nuovi interventi. Esse sono state però il risultato di una grande spinta innovatrice, condotta all’insegna di un profondo senso di responsabilità verso il Paese. Una spinta che rivendichiamo come dimostrazione della nostra identità riformatrice. Noi non ci opponiamo dunque alla riforma che oggi si vuole approvare perché siamo contrari ad ogni innovazione. Sappiamo meglio di chiunque altro che il grande processo di decentramento da noi avviato nella scorsa legislatura non ha soltanto bisogno di qualche correzione. Sappiamo che esso richiede anche, e soprattutto, di essere completato con nuove e robuste istituzioni di raccordo. Occorre infatti assicurare, sia a livello parlamentare che nei rapporti tra gli esecutivi, forme e modalità costanti di leale collaborazione fra i diversi livelli di governo. Allo stesso modo sappiamo che allo Stato devono essere riconosciuti poteri e competenze coerenti con il suo compito fondamentale: garantire l’unità e l’indivisibilità della Repubblica e assicurare la tutela e la promozione sullo scenario europeo e mondiale del ruolo dell’Italia e del suo sistema economico e produttivo. Siamo dunque consapevoli che occorre portare a compimento la marcia verso un federalismo, se così lo si vuole chiamare, meglio temperato. Un federalismo che sia capace di conciliare la spinta alle differenziazioni regionali e locali con l’assolvimento degli inderogabili doveri collettivi di solidarietà sociale e di giustizia. Un federalismo che non diventi strumento di tensione e di divisione ma fattore di sviluppo e di promozione delle potenzialità del Paese. Con altrettanta fermezza siamo convinti che occorre mettere in asse la Costituzione con il sistema politico bipolare. Un sistema che gli italiani, prima con i referendum degli anni novanta e poi con i loro comportamenti elettorali, hanno inequivocabilmente scelto quale base fondamentale della loro forma di governo. Un sistema che è ormai elemento portante della nostra stessa democrazia. Sappiamo che anche sul piano costituzionale occorre assicurare una forma di governo che garantisca la stabilità degli esecutivi e il rispetto dei patti elettorali contratti fra i cittadini e chi, vincendo le elezioni sulla base di un programma di governo sottoposto al giudizio degli elettori, ha ricevuto dagli elettori medesimi la legittimazione a governare. Allo stesso tempo sappiamo che in questo quadro è necessario rafforzare le istituzioni di garanzia costituzionale. Abbiamo bisogno di un Presidente della Repubblica che veda accresciuti e ulteriormente rafforzati i suoi poteri di garante effettivo del corretto funzionamento del sistema costituzionale. Del resto, proprio il Presidente Scalfaro, prima, e il Presidente Ciampi, oggi, ci hanno dimostrato, con il loro esempio e la loro azione, quanto sia importante il ruolo di garanzia del Presidente. Abbiamo bisogno di riconoscere e garantire all’opposizione di poter svolgere fino in fondo il ruolo fondamentale che ad essa compete: ruolo tanto più importante quanto più incisivo e forte è il ruolo del governo e della sua maggioranza. Abbiamo bisogno di una forma di governo che renda effettivo il diritto dei cittadini di scegliere col loro voto come e da chi vogliono essere governati, ma anche di un Parlamento più forte e più capace di svolgere il suo compito di vigilanza e di controllo. Abbiamo bisogno di una democrazia più efficiente e meglio articolata, ma anche di una Corte costituzionale autorevole e rispettata, rafforzata nella sua funzione fondamentale di giudice ultimo del rispetto della legalità costituzionale. Abbiamo bisogno di riforme guidate da una grande visione del nostro presente e del nostro futuro. Riforme intorno alle quali si possano riconoscere non solo una maggioranza parlamentare ma anche le comunità e le articolazioni territoriali del nostro Paese e, soprattutto , la grande maggioranza della società italiana. Questo avvenne nel 1948. Questo, come il referendum di tre anni fa ha dimostrato in modo inconfutabile, è avvenuto anche nel 2001. Questo non avviene e non potrà avvenire per questa riforma, se mai essa sarà definitivamente approvata. Nelle norme oggi in discussione non vi è nulla di quanto è necessario al Paese. Non vi è alcuna effettiva razionalizzazione del governo. Si crea soltanto un Premier fortissimo verso la Camera, che però è debolissimo e pressoché impotente verso il Senato. Un Premier che se userà il suo “premierato assoluto” sarà inevitabilmente per perseguire tentazioni autoritarie o plebiscitarie. Non vi è alcuna significativa garanzia per le opposizioni. Il Parlamento, almeno per quanto riguarda la Camera dei deputati, viene messo in condizioni di debolezza nei confronti del governo. Le due Camere si vedono assegnare competenze che da un lato si differenziano ma dall’altro spesso si intrecciano e si sovrappongono, in un quadro che non potrà che provocare contrasti e crescenti difficoltà nei procedimenti decisionali. Non vi è alcun rispetto né alcun rafforzamento del ruolo del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato, privato di ogni autonomo potere di intervento arbitrale nel conflitto politico-istituzionale, viene quasi irriso attraverso il conferimento di un ruolo meramente “formale” di garante della Costituzione. Non troviamo in queste norme alcun consolidamento della Corte costituzionale, che rischia anzi di essere caricata di crescenti incombenze mentre la modifica della sua composizione si preoccupa soltanto di aumentarne i membri di diretta derivazione politica. Le norme che pretendono di mettere mano, nuovamente, al sistema dei rapporti tra i diversi livelli territoriali sono prive di una chiara e leggibile coerenza. Assistiamo a una dissennata spinta verso forme di competenza esclusiva delle regioni in materie che, come la sanità e l’istruzione, riguardano i diritti essenziali di cittadinanza. Materie che non tollerano disparità di trattamento tra i cittadini e tra zone più o meno ricche del Paese senza che sia messa a rischio la ragione stessa dell’unità nazionale. Allo stesso tempo vediamo crescere gli strumenti di condizionamento dello Stato e il ruolo degli enti territoriali subregionali, secondo modalità che tendono a ridurre il ruolo delle regioni. Continuano a mancare forme adeguate di raccordo fra i diversi livelli di governo. Non può infatti essere seriamente considerato tale un Senato che di federale ha solo il nome e la cui composizione è certamente inadeguata a farne una Camera rappresentativa delle comunità territoriali. Né è sufficiente a migliorare il quadro il richiamo alla Conferenza Stato-regioni e ad altre eventuali Conferenze che la legge potrà istituire. Si tratta infatti di una norma che lascia al legislatore un ambito di discrezionalità eccessivamente indeterminato e che ben poco si addice a un testo costituzionale. Noi vogliamo riforme serie. Noi vogliamo promuovere e partecipare solo a riforme vere. A questo incredibile pasticcio, opera di una maggioranza che si sta dimostrando soltanto un coacervo di incompetenza e di cinismo, noi non vogliamo, noi non possiamo, noi non dobbiamo prestare in alcun modo il nostro consenso. Se questa riforma avrà la definitiva approvazione dei due rami del Parlamento sarà il popolo l’unico giudice di quello che sarà accaduto. Un giudice che non dovrà avere dubbio alcuno su chi ha voluto questo scempio e dovrà poter giudicare con la severità necessaria chi ha avuto tanta irresponsabilità e tanta arroganza. Romano Prodi Ho rinvenuto questa perla fortuitamente sul “Riformista” del 4/10/2004. Sono rilevanti le contraddizioni dell’autore che attraverso le idee espresse mi appare come un individuo dalla morale contorta, dagli ideali informi e dal passato culturale e sociale fluidificato e privo di riferimenti solidi, di colonne portanti e di spina dorsale, i cui obiettivi esistenziali continuano ad essere quelli del compromesso istituzionale e dell’intrallazzo socio-politico-istituzionale, contrattato con i boiardi di Stato dell’ultimo trentennio e con gli affaristi politico-economico-finanziari della prima e della seconda Repubblica, Democrazia Cristiana in testa fino al 1992, Ulivo dopo i ribaltoni, la cui funzione principale è quella di fare da paravento alla ignobile tresca cattocomunista.

 

 

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