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Il convertitore delle idee

Ovvero: La matematica delle opinioni

Qualunque numero sommato a se stesso dà un risultato uguale a quello sperato


Aug 22 2004 12:00AM - C. SARCIA'


(Portorecanati) Piero Ostellino sul Corriere di oggi ha superato se steso ed ha fornito la prova provata e definitiva della sua conversione al liberalismo. Oltre che assicurare l’archiviazione della sua antica passione per la rivoluzione sovietico-cinese pare abbia anche del tutto digerito le teorie marxiste-leniniste e quelle nazi-fasciste e con esse le finalità che si prefiggevano i relativi regimi; solo che, per Ostellino, le finalità dei due mostri storici sarebbero identiche. E’ evidente che, dopo le cure giovanili di dottrina di sinistra, non è facile perdere il vizietto dell’inquinamento delle conclusioni, l’oggettività va a farsi sfottere e si ripiomba nella confusione più totale, alla faccia delle conversioni e dei liberali. Per quanto tempo sia trascorso da quando il Piero nazionale inviava le sue corrispondenze da Mosca descrivendo le bontà del Paradiso sovietico, io non ho dimenticato la forza persuasiva dei suoi scritti, né la logica stringente delle sue argomentazioni. Ero un giovanotto interessato agli eventi che determinavano nel dopoguerra la ricostruzione d’Italia, tanto che sacrificavo volentieri quei pochi spiccioli che riuscivo a rimediare per acquistare un giornale; non lo stesso e non tutti i giorni. Ricordo che da studente compravo volentieri l’Espresso che non era ancora un rotocalco, coi suoi bei foglioni di carta bianca e buona, di misura superiore a quella degli altri giornali, un po’ repubblicano, un po’ liberale e un po’ radicale; ricordo poi l’Europeo, già in anticipo sui tempi, ma ancora un po’ bigotto; c’era anche una discreta quantità di settimanali di satira politica che rappresentavano una vera spina nel fianco dei governicchi che si succedevano a Palazzo Chigi al ritmo di uno all’anno: Il Becco Giallo, il Travaso, e qualche altro ancora. Uno di questi coniò l’espressione: “Piove, Governo benzinaro”, per sottolineare lo scarso gradimento degli Italiani per gli aumenti ricorrenti delle accise sulla benzina. Ma torniamo a Piero Ostellino, corrispondente dall’Urss. Lui era più vecchio di me e i soldi li aveva; era giornalista e molti settimanali e quotidiani di sinistra se ne contendevano le corrispondenze che esaltavano ed enfatizzavano la metropolitana, l’ordine pubblico, l’organizzazione, la disciplina del popolo, lo sport, la cultura. Erano servizi impegnati, da cui trapelava il pelo lungo della menzogna, di quella menzogna che si sarebbe arrestata dopo qualche decennio per la cortezza delle gambe e per il difetto di lubrificazione cerebrale (i Gulag non hanno mai convinto nessuno; semmai hanno costretto molti a convincersi). Checchè ne possa sfacciatamente ancora dire Cossutta. Ormai però il fosso che separava la cultura della libertà dalla cultura dell’oppressione è stato in parte colmato. Siamo nel 2004 e pare anzi che non sia mai successo nulla e che si fosse già tutti d’accordo fin dall’inizio. Insomma, si scherzava. Per carità, quello che scrive oggi Ostellino è un saggio critico di tutto il rispetto su alcuni aspetti della Costituzione italiana, degno di esser letto, anche se non del tutto nuovo. Ne condivido ogni parola. Aprirei però uno spazio di critica anche su altre storture ed omissioni della nostra Costituzione, delle quali Ostellino non parla. Sono d’accordo sull’aberrante presupposto su cui si baserebbe la Repubblica, cioè il lavoro: brutto espediente per introdurre tutta una serie di limitazioni e di sistemi sociali di marca social-comunista (dice Ostellino, condivisi dagli eredi di Gentile). Ma vogliamo dire a questo punto che la Repubblica si sarebbe dovuta fondare sull’istituzione famiglia? Se una qualunque società umana non si fonda sull’istituzione famiglia, nasce con un tumore che ne determinerà il fallimento. Da questa grave omissione, deriva un’altra omissione ancora più grave che riguarda i diritti dei minori e di diritto dei minori alla famiglia. Metterei non pochi paletti alla facilità con cui la gente si sposa e scoraggerei con decisione le separazioni dei coniugi con prole. Di pari passo, fisserei i criteri per la formazione del cittadino e darei un riconoscimento giuridico alle fonti deputate ad impartire l’insegnamento dell’educazione civica; istituirei addirittura delle prove obbligatorie di idoneità all’esercizio dei diritti civili. Mi riferisco ai luoghi, agli organi e alle modalità attraverso cui si dovrebbe giungere alla «costruzione» del cittadino onesto e del capofamiglia responsabile. Penso quindi alla famiglia, alla scuola, all’oratorio (laico o religioso, purché sviluppi i sentimenti di solidarietà e la morale) ed alla caserma. E l’articolo 52 della Costituzione che fine ha fatto? Reintrodurrei l’obbligo di prestare tutti, ragazzi e ragazze, il servizio militare di leva, inoipinatamente abolito, imponendo addirittura un contributo spese da parte delle famiglie in grado di erogarlo. Siamo giunti al punto. Ad Ostellino, con tutto il rispetto, vorrei dire che sono d’accordo sul fatto che la nostra Costituzione è frutto di indicibili compromessi; questa Costituzione, dopo che ha creato sessanta anni di guai, andrebbe profondamente modificata ed adeguata a quella degli stati più moderni ed avanzati. Ma vorrei che Ostellino convenisse sul fatto che quello che manca nella nostra Costituzione è soprattutto l’impegno di dare al cittadino, prima che la libertà e la democrazia, la maturità civica e politica, il senso del dovere, il coraggio di affermare i propri diritti e vorrei vedere realizzato il sogno di ogni Italiano: l’istituzione delle sedi dove far valere questi diritti senza il danno delle lungaggini che hanno caratterizzato questo sessantennio e senza le beffe delle prese per i fondelli. La nostra è una finta Costituzione che permette persino di gettare nel cestino i risultati dei referendum; quelli che proclamarono, senza alcun equivoco, che fosse inserito nell’ordinamento il concetto di responsabilità del giudice (86% di Si!), del quale non si è saputo più nulla o quelli che pronunziarono solennemente l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. La nostra è anche una Costituzione che ha permesso per sessant’anni che i sindacati non si costituissero in organismo istituzionale, com’è nel dettato costituzionale rimasto inapplicato, eludendo l’obbligo di rendere alla Corte dei Conti i bilanci. Una Costituzione fantoccio dunque, che si regge in piedi sull’ignoranza dei suoi cittadini e sul silenzio di chi dovrebbe renderli edotti o pretenderne l’esecuzione, ma preferisce approfittare della situazione (i sindacati per fortuna stanno a sinistra, al centro e a destra). Una Costituzione che dovrebbe reggersi sulla dignità e sull’inattaccabilità delle sue norme, afflitta dai malanni derivanti dall’enunciazione di principi inquinati e tra loro contrastanti, che mortifica i cittadini riducendoli ad entità astratte senza possibilità concrete di far valere i propri diritti e che attribuisce ad alcuni poteri smisurati (magistrati) e ad altri (politici di mestiere ed amministratori della “res pubblica”) una sorta di fungo protettivo che assicura loro lauti stipendi e pensioni d’oro. Questa Costituzione, i cui articoli non contengono alcun accenno alle figure dei responsabili, ma che fissano soltanto i presupposti dell’irresponsabilità, ha peraltro permesso un’abnorme crescita del debito pubblico, giunto ormai ad uno stadio fallimentare, che sta portando la nazione a concludere una parabola che ha del folle e del farsesco ed il cui epilogo sarà la paralisi delle istituzioni ed il disordine, derivante dai conflitti di competenza e dai contrasti legislativi. Il colpo decisivo sarà inferto dalla “devolution” che nessuno vuole, tranne una sola parte politica, il cui progetto parte proprio dal disordine istituzionale, attraverso cui si prefigge di raggiungere l’obiettivo, per il momento soltanto accantonato, della secessione. Diciamole queste cose, non facciamo finta di non sapere, di non vedere e di non capire. L’altra abnorme incongruenza costituzionale che Ostellino non ha trattato, ma che da sessant’anni provoca danni enormi, nel disinteresse dei ministri di polizia, dei magistrati e dei Parlamenti, è l’istituzione delle Regioni, in particolare quelle a Statuto speciale, prima fra tutte quella siciliana, che sono il prezzo del ricatto storico della politica, il prezzo del tradimento di alcuni Italiani contro altri, il vero ostacolo a rendere “una” l’Italia. L’istituzione delle Regioni a Statuto speciale, e la successiva istituzione delle altre Regioni, ha gettato le basi per la frantumazione del Paese e per un aumento indiscriminato della spesa pubblica, ma ha soprattutto creato, nel caso della Sicilia, uno Stato nello Stato che ha favorito nei fatti la sopravvivenza della più grossa organizzazione malavitosa mondiale, divenuta, a sua volta, guida di tante altre organizzazioni gemelle disseminate nel mondo. Cuffaro lo ha detto chiaramente in questi giorni, lucido, persino beffardo e sardonico: “Non vi sta bene che abbiamo legalizzato il raddoppio dei consiglieri regionali mediante la creazione di “cloni” con tanto di potere e di retribuzione, raddoppiando la spesa? Sbagliate voi ad interessarvi delle “cose nostre”. Noi siamo il Governo di una Regione a Statuto speciale e la Costituzione ci riconosce prerogative simili a quelle di uno Stato; l’esercizio di queste prerogative è dunque insindacabile”. In sintesi Cuffaro ha detto: “Facciamo come ci pare!” E nessuno, credo, abbia replicato, o gridato allo scandalo. Nessuno ha annunciato verifiche o provvedimenti legislativi. Sta di fatto che la Sicilia, dal dopoguerra in poi, gestisce una macroscopica “devolution”, pagata coi soldi degli Italiani (non si finisce mai di pagare il prezzo del tradimento), senza assicurare un vero progresso alle genti siciliane, senza far crescere in loro il sentimento d’italianità, senza far maturare la coesione con il resto della Nazione e senza attenuare di un pelo la pratica strisciante dell’abuso generalizzato, che anzi è divenuto regola istituzionale (Cuffaro docet!). E sia chiaro: nessuna regione è immune dall’abuso, neanche la Val d’Aosta. Piero Ostellino individua le storture di questa inqualificabile Costituzione, non nei compromessi tra De Gasperi e Togliatti, ma nei residui fascisti di cui era permeata la rappresentanza politica conservatrice e moderata del primo dopoguerra e nelle istanze collettiviste dei rappresentanti delle masse lavoratrici filo-comuniste e, giustamente, dice che bisognerebbe rifarla, ma non tocca minimamente il vero tasto dolente della questione, che abbiamo visto materializzarsi nei fallimenti delle bicamerali, fino a quella ultima di D’Alema. Il problema è che oggi mancano nel nostro sfortunato Paese i Costituenti; mancano, cioè, gli uomini con lo spessore che dovrebbero avere in genere i Costituenti. La figura del Costituente non può essere politica, né politicizzata, ma non può essere soltanto tecnica. Il Costituente deve avere insieme lo spessore culturale di uno statista, di un mediatore e di un tecnico, ma soprattutto deve essere imparziale: i diritti dei cittadini non sono né di destra, né di sinistra. Concludendo, fino a che il cittadino sarà considerato soltanto un pretesto per tenere in piedi lo Stato e per mantenere al potere la classe politica, non ci potranno essere nuove Costituzioni e qualunque esperienza in tal senso è destinata a fallire.

 

 

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