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Una perla linguistica

Oggi come oggi

Tema di studio per un paradigma del confronto illimitato


Feb 16 2004 12:00AM -


(Rieti) Devo essere sincero: non so da dove cominciare. Mi sono cacciato in un bel pasticcio. Lo sgomento è tale che non riesco a produrre in tempo reale una dose di adrenalina sufficiente a riattivare le funzioni degli sfinteri, rilassati per l’emozione di dover trattare un tema senza capo ne coda, un argomento di quelli che oscurano millenni di storia ed avviliscono l’evoluzione letteraria di interi popoli. Ma devo almeno provare. Veniamo quindi al dunque. Che significa “oggi come oggi”? “Che ci azzecca?” direbbe il Tonino nazionale. E perché non applicare il paradigma ad altri termini del parlare quotidiano? Tanto la traccia è la medesima ed uguale risulta lo sforzo di attribuirvi un significato plausibile. Il principale veicolo di diffusione delle nuove espressioni del linguaggio è la televisione; da questo formidabile strumento di comunicazione i compunti telecronisti e i compenetrati soggetti intervistati, spesso e volentieri non mostrano alcun riguardo nel propiziarsi l’attenzione degli ascoltatori esordendo con espressioni del tipo “oggi come oggi” per introdurre considerazioni scomode che riassumono generalmente un malessere, uno stato d’animo, una moda. In realtà si tratta di una versione piagnucolosa dell’argomento in discussione che da una parte vuole sottrarsi alla responsabilità della denuncia, dall’altra ammicca all’indirizzo dei responsabili del non meglio identificato problema sociale in trattazione. E già! Oggi come oggi, chi ce lo fa fare? A cosa vale impegnarsi, prodigarsi, assumere, desumere, constatare, programmare? Oggi come oggi, si sa, è tutto inutile! Nichilismo assoluto? Forse. Ma prima di ricorrere alle filosofie di derivazione positivista per spiegare le caratteristiche di un elemento linguistico che non ha nulla di culturale, ma che aiuta ad individuare una ben determinata categoria di soggetti, è bene soffermarsi sull’analisi del fenomeno che ormai non si accontenta di sedimentare nei livelli culturali medio bassi, riconosciuti tali anche in virtù delle espressioni che ne contraddistinguono il linguaggio, ma travalica e si espande, fino a coinvolgere ignari personaggi che inconsapevolmente, “oggi come oggi”, cioè “lunedì come lunedì”, vengono risucchiati dall’onda montante dell’acquiescenza e del plagio. Poniamoci allora una domanda semplice: perché soltanto “oggi come oggi” e non anche “domani come domani” o “ieri come ieri”? Ed ancora: bisognerebbe poter spiegare come possa essersi verificata l’introduzione nel linguaggio di questo ineffabile paradigma la cui validità sociale ed ideologica concorre a rendere comprensibile un concetto ai meno dotati e riesce a coinvolgere nella discussione un uditorio che altrimenti non si sarebbe mai lasciato coinvolgere in un discorso che contiene aspetti tanto compromettenti da dover essere sussurrato o mascherato dietro una adeguata dose di indeterminatezza temporale e sociale, qual’è appunto l’espressione “oggi come oggi”. E’ evidente che ci troviamo di fronte ad una insulsaggine elevata al rango di considerazione preventiva, poiché predispone il terreno alla riflessione in ordine alla considerazione che seguirà. Perché non estenderne dunque la profondità del significato alle discipline umanistiche e scientifiche? Poteva Cesare come Cesare non passare il Rubicone? E Meucci come Meucci, poteva non inventare il telefono? E così via, passando per ogni materia dello scibile. Spero riusciate a compenetrarvi delle difficoltà che certi soggetti possono incontrare quando vogliono a tutti i costi attualizzare un’opinione corrente e renderla comprensibile all’interlocutore onde trascinarne i convincimenti nel solco delle loro opinioni e quindi elevarne il tono fino a renderle nobili. Ecco dunque svelata la funzione cogente dell’espressione più insignificante del linguaggio parlato della nostra epoca. C’è da inchinarsi. Purtroppo non sapremo mai chi ha inventato questa considerazione inconcludente. Peccato che il Nobel venga assegnato, per un numero limitato di discipline, ad autori ben determinati e riconosciuti, altrimenti, era fatta: nessuno avrebbe osato negare l’ambìto riconoscimento a chi per primo avesse depositato l’alto concetto, magari proteggendone la diffusione con un adeguato brevetto. Ma se questa è la filosofia, dove ci condurrebbe la sua generalizzata applicazione se non a comporre un’arida elencazione di paragoni e confronti che, partendo dalla dimensione temporale dell’oggi come oggi, si estendesse a tutti i termini del linguaggio umano? Andando avanti senza limiti, infatti, si giungerebbe alla saturazione delle espressioni, senza però riuscire ad esprimere altro concetto se non quello del confronto illimitato di ogni soggetto con sé stesso. Insomma, una teoria infinita di oggi come oggi, l’anno scorso come l’anno scorso, il mare come il mare, il cielo come il cielo, sua sorella come sua sorella, ecc.. A ben vedere, non c’è limite all’applicazione del futile assioma. Ma la questione fondamentale rimane quella del reale significato che gli si attribuisce. D’accordo. Si tratta di un modo per attaccare bottone in uno scompartimento ferroviario o nella sala d’attesa del dentista: “Oggi come oggi, di smog si può morire!”; “Oggi come oggi, la politica è diventata una scusa!”; “Oggi come oggi, se mi capitasse un fatto analogo, saprei ben io cosa fare!”. Inoffensive considerazioni, direte voi. Ma perché, sempre e soltanto, “oggi come oggi” e non “dopodomani come dopodomani” ? In fondo, al giorno d’oggi, visto come vanno le cose, che ci sarebbe di male?

 

 

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