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Interferenze con il libero convincimento del Giudice

Oltre ogni ragionevole dubbio


Oct 31 2005 12:00AM - Avv. Riziero Angeletti


(Rieti) Titolo originale: Il libero convincimento del Giudice e il difficile cammino verso l'«oltre ogni ragionevole dubbio»

«L’ordinamento costituzionale non annovera tra i principi fondamentali della giurisdizione quello del “libero convincimento del giudice”, ma sancisce invece l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali», con questa enunciazione Giovanni Canzio apre il proprio intervento nella raccolta “Il libero convincimento del giudice penale - Vecchie e nuove esperienze” (Ed. Giuffrè, 2004). Si apre tra mille difficoltà un lungo percorso che senza ombra di dubbio conduce al recupero della civiltà. Tra mille difficoltà perché mettere da parte l’infinito spazio del “libero convincimento” per approdare al ristretto ambito dell’ «oltre il ragionevole dubbio è opera che non va giù alla maggior parte dei giudici. In fondo, asserire che gli indizi sono gravi, precisi e concordanti è assai agevole per una penna abile e sagace. Così la pagliuzza si vede e si amplifica mentre la trave che acceca scompare. Condurre il processo penale affinché i dubbi (“ragionevoli”) scompaiano alla vista del giudicante è ovviamente un compito difficile, a volte assai arduo, spesso anche irraggiungibile ma proprio perché tale consente di giungere più vicino alla verità. Assistiamo costantemente all’inversione dell’ordine meccanico dell’interpretazione legislativa: il giudizio nella maggior parte dei casi si conclude sulla scorta di indizi, nel bene o nel male, in favore o contro l’imputato; è raro leggere sentenze che ci convincono della colpevolezza o dell’innocenza sulla base di “prove”. Quando poi si tratta di sentenze assolutorie il riferimento al secondo comma dell’art. 530 C.P.P. abbonda. Si assolve per indizio negativo. La regola diventa nuovamente eccezione. Ragionare in termini di “ragionevole dubbio” non è ricercare nello scibile delle prove acquisite al processo ogni dubbio possibile (ogni attività umana conduce a sollevare almeno un dubbio) ma è vincere su se stessi anche contro le proprie intime convinzioni o anche contro la propria scienza, è il giungere al momento del decidere se alzare o meno il pollice avendo «l’incrollabile convinzione sulla verità dell’accusa», non è quindi l’ombra o il fumus del dubbio, ma la serenità e la limpidezza dell’orizzonte probatorio. Ogni dubbio che segna una duplicità di interpretazioni va letto sempre nel favore dell’imputato, «il giudice deve rinunciare alle convinzioni che si formano nel crogiuolo del suo spirito, alle sue intuizioni, emozioni, sentimenti: ciò che la legge gli impone è di stabilire se le prove presentate dall’accusa, oggettivamente considerate, lasciano spazio a dei dubbi, anche se questi dubbi non sono “sostanziali”, “gravi”, “seri”, “ben fondati”, “argomentati”, purché non si tratti di dubbi immaginari, possibilità remote, ombre di dubbio». Queste affermazioni, tratte dall’opera di Federico Stella “Giustizia e Modernità” ci trovano profondamente concordi, convinti come siamo della necessità di avvicinarci nel più breve tempo possibile ad un nuovo modo di vedere la giustizia penale ed affrontare il processo con la dignità propria della civiltà dell’uomo contemporaneo. Non mi stancherò mai di ricordare l’emblematica vicenda che ha visto protagonista il noto sportivo americano O.J. Simpson, il quale, accusato di aver ucciso la moglie Nicole e il suo nuovo compagno, venne assolto in sede penale e condannato al risarcimento dei danni in sede civile. Un componente della giuria, tale Anise Aschenbach, richiesta di un parere sull’esito del giudizio, tenne a precisare che secondo il suo punto di vista, con ogni probabilità, O.J. Simpson era colpevole del delitto ascrittogli ma che «la legge non permetteva una sentenza di colpevolezza». Se nel processo Simpson si fosse ricercata la verità secondo il principio del “libero convincimento” non vi sarebbe stato dubbio in ordine alla manifestazione del voto per la colpevolezza dell’imputato, ma ai giurati era stato chiesto di dire «se le prove dell’accusa dimostrassero, oltre ogni ragionevole dubbio, che la donna e il suo nuovo compagno erano stati uccisi dall’imputato». A questa domanda non poteva che darsi risposta negativa: i dubbi esistevano ed anche se a carico dell’imputavano militavano forti indizi di colpevolezza il solo dubbio che un innocente potesse essere privato della libertà personale imponeva una decisione di non colpevolezza. Ecco cosa vuol dire superare la propria intima convinzione e il personale giudizio. Vincere sé stessi per il bene della civiltà. Una recente decisione della Corte d’Assise di Milano (18 Aprile 2005, n.ro 6), in relazione ad un caso di omicidio ha tenuto a precisare: «Qualunque sentenza di condanna o di assoluzione a carico dell’imputato, indipendentemente dal livello di gravità della contestazione mossa nei suoi confronti, deve essere fondata su prove certe ed inconfutabili, tali da ingenerare nel giudice un convincimento immune da ogni ragionevole dubbio. Gli eventuali indizi raccolti a carico dell’imputato possono solo eccezionalmente essere posti a fondamento di una condanna o di una assoluzione, qualora rispondano ai requisiti di cui all’art. 192 co. 2 C.P.P.». Sulla base di tale principio la Corte ambrosiana assolveva un imputato di omicidio volontario a carico del quale militava la sua propria confessione stragiudiziale, resa alla moglie pochi giorni dopo il fatto, nonché gli accertamenti esperiti presso un gestore di telefonia mobile, da cui si evinceva che al momento del fatto l’imputato si trovava nei pressi del luogo in cui era stato commesso il delitto. Sono assolutamente certo che quando il Giudice si convincerà che l’applicazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio costituisce la regola del giudizio e non l’eccezione, potremmo ritenerci veramente un popolo fortunato.

 

 

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