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Il calcolo sbagliato circa le aspirazioni del Popolo del Giglio (magico?)

LA CONGIURA DEI PAZZI

Nel XV Secolo a Firenze l’imprudente tentativo di scippare il potere alla Signoria dei Medici


31/12/2019 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

Nel Rinascimento, le terre del Nord e Centro Italia sono governate da due tipologie di Signorie: i “Principati” e le Repubbliche. I Principati erano governati da un signorotto il cui potere si giustificava con un principio dinastico più o meno legittimo (a Ferrara e Modena con gli Este o a Milano con gli Sforza), mentre nelle Repubbliche questo potere risultava diluito in un certo numero di Consigli che controllavano un esecutivo ridotto (come nel caso del Doge a Venezia). Ma succede, nell’uno e nell’altro caso, che il funzionamento delle istituzioni si blocchi. Si pone a quel punto la necessità di trovare, con urgenza ed acutezza, un mezzo sicuro ed efficace che ridia al sistema la sua fluidità originale. Alla fine del secolo la brillante Firenze del 1400 non sfugge alla regola, infatti nel 1470 la famiglia dei Medici ha inceppato tutti i rotismi dello Stato. In linea di principio, il sistema di potere locale a Firenze è il più repubblicano fra tutti quelli dell’epoca: tutti i cittadini, mediante tiro a sorte, possono accedere alle magistrature, ma questa procedura appare concettualmente opaca e sfumata. Per essere cittadino, non è sufficiente pagare le tasse: i soli a beneficiare a pieno diritto di questo privilegio - gli statuali beneficiati - sono gli uomini il cui genitore o nonno è stato già tirato a sorte per le magistrature superiori (fra le quali, in particolar modo, la Signoria, che alloggia al Palazzo Vecchio nel cuore della città). Il numero di questi cittadini privilegiati rimane, pertanto, fluttuante, tanto più che le liste stabilite dagli accoppiatori (temibili funzionari che obbediscono alle logiche del potere costituito), senza alcun controllo piazzano in un sacchetto (la borsa) i nomi scelti da loro stessi, ciascun nome scritto su un foglio, dal quale poi si tirano a sorte quelli dei futuri magistrati.

Un segreto ben custodito

I Medici, che controllano perfettamente questi meccanismi, fanno di tutto perché questi preziosi accoppiatori siano persone di loro fiducia. In tal modo, essi possono controllare senza difficoltà la composizione dei principali consigli, evidentemente con gran danno delle famiglie concorrenti e fra queste quella aristocratica dei Pazzi. Questi, derivati da un antico lignaggio - uno dei loro antenati aveva partecipato alla prima crociata e la famiglia dispone di una magnifica cappella nella Chiesa di Santa Croce -, nutrono un profondo disprezzo per i Medici, plebei e banchieri, i “nuovi ricchi” arroganti che governano la città ormai da tre generazioni: con Cosimo il Vecchio (1389-1464), Piero il Gottoso (1416-1469) ed, al momento, con Lorenzo il Magnifico (1449-1492). Fatto più grave, il conflitto fra le due famiglie supera il contesto italiano: i Pazzi risultano legati al Papato, mentre i Medici, alla ricerca di appoggi esterni, si sforzano di mantenere le migliori relazioni possibili con la Francia (nel caso specifico il re Luigi XI (1423-1483)). Nella primavera del 1478, i Pazzi, convinti di non riuscire a scalzare i Medici per mezzo di vie legali, decidono di passare all’offensiva e lanciarsi in una congiura, della quale abbiamo la fortuna e la possibilità di conoscere i dettagli, grazie al racconto che ne hanno fatto il poeta - pro Medici - Angelo Poliziano (1454-1494) e Nicolò Machiavelli (1469-1527) nella sua Storia di Firenze. Per i Pazzi, gli uomini da abbattere sono i giovani eredi della famiglia Medici: Giuliano (1453-1478) e soprattutto suo fratello Lorenzo, il vero capo della famiglia, che, dice Machiavelli, “voleva che tutto passasse fra le sue mani e che tutto dipendesse da lui”. La congiura, inizialmente fiorentina, estende le sue ramificazioni fino a Roma e si sviluppa fino a comprendere cinquanta elementi, “cosa miracolosa” agli occhi dello stesso Machiavelli, poiché nonostante il numero dei congiurati, il segreto viene mantenuto fino alla sua esecuzione: nel gruppo ci sono evidentemente i Pazzi, diretti dal vecchio Iacopo (1423-1478), ma anche i loro alleati tradizionali, oltre ad amici della famiglia, come i Salviati (la madre di Iacopo era una Salviati), l’arcivescovo di Pisa.

Tutti hanno il loro posto nella chiesa

Viene deciso che l’assassinio di Giuliano e di Lorenzo avrà luogo in occasione di un banchetto in onore del cardinale Raffaele Riario Sansoni (1460-1521), il sabato 25 aprile 1478. Purtroppo, Giuliano farà sapere che non potrà partecipare al banchetto, a causa di una leggera ferita contratta durante una partita di caccia. A quel punto, i congiurati si riuniscono d’urgenza per prendere nuove deliberazioni e viene così deciso che l’attentato verrà spostato al giorno seguente, domenica 26 aprile, nella Chiesa di Santa Maria del Fiore, frequentata dai Medici. Anche in questo caso sorgono nuove complicazioni, perché l’assassino previsto, il capitano Giovambattista da Montesecco ( -1478), che non era un sicario, si ritira, rifiutandosi “di aggiungere il sacrilegio al tradimento”. Nuovo cambiamento di programma: Bernardo Bandini Baroncelli (1420-1479), un mercante, si incarica di pugnalare Giuliano, mentre Antonio da Volterra (1450-1478) ed un prete di nome Stefano da Bagnone (1418-1478), entrambi senza precedenti specifici, colpiranno Lorenzo. L’azione avrà luogo durante la Comunione, mentre Salviati ed i suoi uomini si impadroniranno di Palazzo Vecchio, sede del governo della città e che altri congiurati provvederanno a “sollevare il popolo”. Il giorno stabilito, tutti si trovano al loro posto nella chiesa, Giuliano e Lorenzo circondati dai loro assassini programmati. Nel momento previsto, Bernardo Bandini si getta su Giuliano, lo uccide con un colpo di pugnale al cuore e Francesco de’ Pazzi si accanisce sul suo cadavere fino a ferirsi da solo alla gamba. Tutto si svolge “meno bene” con Lorenzo: i due attentatori stabiliti, maldestri, riescono appena a colpirlo leggermente al collo. La loro vittima riesce a fuggire e corre a rifugiarsi nella Secrestia.  Bandini si lancia immediatamente all’inseguimento ed uccide nella corsa Francesco Nori (1430-1478), un amico di famiglia (la sua casata gestiva le attività bancarie dei Medici), che si era interposto, salvando Lorenzo. L’andamento degli eventi inizia però a sfuggire dalle mani dei congiurati: Lorenzo riesce a barricarsi solidamente nel sottosuolo dell’edificio ed i Fiorentini sono ben lungi dall’associarsi alla sommossa, mentre quelli che, stupefatti, avevano assistito all’attentato, inseguono gli assassini, senza dare alcun peso alle loro vane grida di “liberta”. I partigiani dei Medici uccidono senza respiro tutti i congiurati e li trascinano per le strade della città. Rimane la presa di Palazzo Vecchio. L’arcivescovo Francesco Salviati Riario (1443-1478) sale lungo le scale del palazzo, alleggerendo, a poco a poco, la sua scorta, che riceve il compito di assumere il controllo dei piani; egli arriva alla fine in piena riunione della Signoria, con un pretesto poco convincente, ma i membri del Consiglio percepiscono rapidamente il pericolo e lo uccidono immediatamente; in seguito, essi fanno appendere il suo corpo alle finestre che danno sulla Piazza della Signoria, insieme a quelle dei suoi ultimi tre compagni. I membri della scorta, catturati gli uni dopo gli altri, vengono gettati “ancora vivi” dall’alto delle finestre del palazzo. Inizia a questo punto la reazione ed il popolo contribuisce a massacrare gli alleati dei Pazzi: “Ovunque si vedevano le membra dei morti, sia infissi sulla punta delle armi, sia trascinati sul selciato”. Il popolo filo Medici penetra nel Palazzo dei Pazzi, dove vi trova Francesco, che tenta di rimettersi dalla ferita che si era procurato: egli viene condotto, immediatamente e senza alcun riguardo, al Palazzo Vecchio dove viene impiccato a fianco dell’arcivescovo. Nei giorni che seguono, vengono condannati senza sosta i Pazzi sopravvissuti; Iacopo de’ Pazzi, l’anima della congiura insieme al papa, catturato negli Appennini, viene successivamente condotto a Firenze, dove viene impiccato, mentre alcuni vicini provvedono a seppellirlo nella tomba dei suoi antenati. Ma tutto questo non risulta sufficiente: alcuni fiorentini provvederanno a riesumarlo “come un colpito da scomunica” e poi verrà nuovamente e sommariamente seppellito lungo le mura della città. Ma il corpo di Iacopo non conosce ancora la pace: esso viene nuovamente riesumato e trascinato nelle strade tirato con la stessa corda con cui era stato impiccato e quindi gettato nell’Arno; a valle alcuni ragazzi ripescheranno quello che rimane del suo corpo martoriato, lo faranno a pezzi e quindi, stufi, lo ributteranno nel fiume. Per quanto riguarda il capitano Giovambattista da Montesecco, egli sarà decapitato il 4 maggio seguente. Bernardo Bandini, infine, riuscirà a fuggire fino a Constantinopoli, dove riconosciuto, viene riportato a Firenze ed impiccato il 29 dicembre 1479, alla finestra del Palazzo del Capitano delle Guardie (il Bargello).

Un monaco democratico al comando, ovvero dalla padella nella brace

Questo attentato complica per un lungo momento i rapporti dei Medici con il papa, che, oltre aver assistito all’impiccagione di un arcivescovo, sebbene colpevole, scomunica Lorenzo il Magnifico e si lancia nella guerra detta “dei Pazzi”, alleati nella circostanza con il re di Napoli, Ferdinando II d’Aragona (1468-1516), che non vedeva l’ora di menare le mani. Questa guerra volge rapidamente a svantaggio dei Fiorentini rimasti isolati. Luigi XI di Francia si commuove e ci viene a trovare, dicono certuni, alla vigilia della “prima guerra d’Italia”: solamente la minaccia sulle città d’Italia del sud, da parte delle truppe turche del Gran Visir Gedik Ahmed Pashà (morto nel 1482), che determina una lega sacra contro il turco, contribuirà a salvare Firenze da una critica situazione nel 1479. La congiura, indubbiamente, lascia tracce a Firenze: i Medici, sostenuti come lo sono stati, estendono il loro potere, creando in particolare un Consiglio manovrato dai loro partigiani ed incaricato della designazione di tutti i magistrati. In definitiva, per i cospiratori si tratta di un fallimento su tutta la linea, ma si tratta anche di una terribile lezione per tutti quelli che credevano il popolo fiorentino desideroso di riacquisire una “libertà”, che i Medici gli avrebbero confiscato. Ma sarà proprio questo popolo - che va dalla borghesia mercantile ai piccoli artigiani - attaccato ad un sistema poco rispettoso delle libertà pubbliche, ma che garantiva una prosperità generale, che provvede al massacro dei Pazzi. E se Machiavelli si interessa a questa congiura fallita, egli lo fa per evidenziare i fattori che ne hanno provocato il fallimento. Si tratta di un problema che egli ben conosce, in quanto egli, personalmente, nel febbraio 1513, è stato coinvolto in una congiura, che gli è valsa la tortura e l’esilio. Machiavelli vi consacra, inoltre, uno strano capitolo nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, dove mette in evidenza i pericoli corsi dai congiurati, prima, durante, e dopo la cospirazione. Fra i primi pericoli: quello del cambiamento di programma, che rovina il tentativo dei Pazzi, per l’imprevedibile assenza di Giuliano. Machiavelli, certamente, sembra prodigare consigli al prìncipe, preoccupato di evitare qualsiasi congiura nei suoi riguardi, pur emettendo avvertimenti ai cospiratori potenziali: “Non mi è sembrato opportuno tralasciare le congiure, essendo queste una cosa così pericolosa per i prìncipi e per i cittadini”. Ma, se il prìncipe è solidamente esperto, che dire del cittadino tentato dall’impresa e che ormai sa che non deve fidarsi della delazione, della perdita di coraggio dei suoi complici, di una carenza generalizzata di prudenza, di eventi inattesi, come, anche, dopo, della vendetta degli avversari sopravvissuti ? Siamo comunque al 1478 ed i Medici non avranno da temere da questa vendetta. Occorrerà attendere il 1494 e l’arrivo brutale a Firenze dei Francesi di Carlo VIII di Valois (1470-1498), per veder nascere una Repubblica “allargata”, in cui le magistrature si alterneranno con maggiore regolarità, di famiglia in famiglia. Il grande democratico sarà allora, 1494 al 1498, un monaco asceta ed illuminato, preoccupato di gestire Firenze come un convento, il domenicano Gerolamo Savonarola (1452-1498). Ma i Fiorentini, stanchi di vedersi imposta tanta virtù, lo impiccheranno legalmente, senza il bisogno di alcuna congiura: un tribunale, speditivo vi provvederà. Savonarola accetterà il suo castigo, che affronterà con grande coraggio, ma, ben sapendo che cosa i giovani della città erano capaci di infliggere ad un cadavere, chiederà che il suo corpo venga immediatamente bruciato. Cosa che gli sarà generosamente accordato.


 

 

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