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SIRIA E LIBANO – UN MANDATO DI PURA REALPOLITIK Complice il Trattato di Sevres la Francia realizza l’antica strategia dei Romani: “Divide et Impera” 28/02/2020 - Massimo Iacopi (Assisi PG) Dopo la 1^ Guerra Mondiale, la Francia si vede attribuire, nel 1920, un mandato sulla Siria ed il Libano dalla Società delle Nazioni. Fra gli argomenti a giustificazione della tutela francese - al di là della vittoria sugli Ottomani e della logica coloniale che suggerisce la necessità e l’opportunità per le giovani nazioni che siano “guidate verso l’autonomia” - troviamo in primo piano una missione specifica rivendicata dalla Francia, quella della protezione dei Cristiani d’Oriente. In tal modo, l’instaurazione di questi Mandati sono la conseguenza delle Capitolazioni di Francesco I (accordi che proteggevano gli Occidentali nell’Impero Ottomano) e gli interventi iniziati dopo la guerra di Crimea e susseguenti agli episodi di violenze interconfessionali, specie nel Monte Libano ed a Damasco nel 1860. Questa politica, seguita dalla Francia laica e repubblicana, viene difesa con molto vigore dai gruppi di pressione in territorio francese, che riuniva commercianti, universitari e cristiani cattolici, molto spesso legati ai maroniti libanesi. Per capire la posizione francese occorre fare un passo indietro nel tempo. Nel 1913, quelli che vengono chiamati ancora oggi “nazionalisti arabi” si riuniscono nel loro 1° Congresso, proprio a Parigi. Tutti questi, che vedono confluire fautori dell’indipendenza delle province arabe dell’Impero o sostenitori della decentralizzazione amministrativa, vogliono lanciare un avvertimento alla Sublime Porta di Istanbul ed appoggiarsi sul sostegno francese per conseguire la loro desiderata emancipazione. E’ proprio nel filone dello stesso slancio autonomista, ma anche esasperati dalla politica condotta dai “Giovani Turchi” nelle province durante la 1^ Guerra Mondiale, che una frangia di questi nazionalisti si associa, nel 1916, all’appello di Feysal Ibn Husayn o Hussein, l’Hashemita (1855-1933), alla rivolta contro gli Ottomani, anche nella speranza fatta loro intravvedere da Londra sulla possibilità di creare un regno arabo. I combattenti dell’esercito arabo, si insediano a Damasco. Nel marzo 1920, il Congresso Nazionale siriano proclama l’indipendenza della Siria, comprendendo anche la Palestina e la Transgiordania e sceglie l’emiro Feysal Ibn Hussein, come sovrano del regno arabo. Nel frattempo, le forze armate francesi si insediano nel Libano, a partire dal mare che esse controllano. La costa e l’interno della “Grande Siria” vengono, de facto, a ritrovarsi divise. Gli Arabi presi in un doppiogioco Parallelamente, in Europa vengono condotti negoziati per i trattati di pace. Le popolazioni delle province arabe dell’Impero ottomano vengono consultate nel 1919, attraverso la Commissione King-Crane, i cui risultati verranno pubblicati solo nel 1922, ma il cui tenore generale viene immediatamente compreso: essi si oppongono in larga maggioranza a qualsiasi presenza europea e contestano la Dichiarazione Balfour (mirante a stabilire un focolare ebreo in Palestina). Eppure, i mandati francese sulla Siria ed il Libano e britannico sulla Palestina e l’Irak, stabiliti durante la Conferenza di Sanremo del 25 aprile 1920, vengono sovente presentati come il risultato di “soluzioni concertate”. Indubbiamente, durante le conferenze, sono state ascoltate numerose delegazioni in rappresentanza delle forze locali ed è incontestabile che l’emiro Feysal, come il patriarca maronita, siano stati personaggi, che hanno rappresentato rivendicazioni molto diverse. Ma l’Accordo Feysal- Clemenceau - che riconosce il mandato sulla Siria, in cambio di una protezione dell’indipendenza del paese nelle frontiere riconosciute dalle conferenze di pace - viene percepito dalle popolazioni locali come un tradimento e fortemente contestato, specialmente dall’esercito arabo. La Francia è, quindi, costretta ad imporsi in Siria con la forza ed a Maysalun, nel luglio 1920, le truppe del generale Henri Joseph Gouraud (1867-1946) infliggeranno una pesante sconfitta agli irredentisti siriani, abbandonati dai loro sostenitori britannici. Il re Faysal, da parte sua, viene costretto a ripiegare in Irak ed a porsi sotto la protezione inglese. Nella regione sotto tutela francese, l’instaurazione dei mandati passa preliminarmente con la frammentazione del territorio (divide et impera). Fra il 1920 ed il 1922 vengono definite 5 province: lo Stato di Damasco, lo Stato d’Aleppo, lo Stato dei Drusi, il territorio degli Alawiti ed il Grande Libano. Una parte del territorio sotto mandato viene reso autonomo, il Sangiaccato di Alessandretta/ Iskenderun, rivendicato dai Turchi ed ai quali verrà restituito nel 1937. Molto rapidamente, la Francia accorda al Grande Libano la sua autonomia, fedele alla sua alleanza con quelli che allora venivano chiamati i “vecchi libanesi”, cristiani della montagna, protetti dalla Francia da lunga data ed abitanti della vecchia mutassarrifyya autonoma dell’Impero ottomano. Questo Grande Libano comprende la montagna, Beyrut e la fascia costiera, oltre al Djebel Amil a sud, popolato in gran parte da Sciiti e da Drusi e la città sunnita di Tripoli al nord. Così articolato, questo territorio costituisce uno Stato affidabile, che si emancipa progressivamente dal suo vicino federale, la Siria. Le altre entità costituiscono delle suddivisioni semi autonome, regione nelle quali la Francia cerca di sviluppare una vita politica e sociale locale, appoggiandosi, in particolar modo, sui notabili e sui proprietari terrieri. Questa politica mira esplicitamente a contrastare le solidarietà che si erano espresse contro l’Impero ottomano ed a mettere la parola fine alla politica araba condotta sin dal 1916, sotto l’egida britannica. Alla visione cartografica delle frontiere e delle entità regionali si associa una riunione della società per confessioni religiose. Il caso degli Alawiti risulta particolarmente evidente. Le autorità francesi creano nel 1922, il “Territorio degli Alawiti”, sul modello del Grande Libano, annettendo le città costiere, storicamente separate dalla montagna alawita, strictu senso, oltre a due città dell’interno, a maggioranza sunnita, Homs ed Hama (alle quali occorre associare la città di Tripoli, inserita nel Grande Libano). Il territorio si incentra su Latakia e finirà anche per denominarsi, nel 1930, “Territorio di Latakia”. Divide et impera Questa divisione confessionale dello spazio e delle clientele non si preoccupa di tracciare frontiere esatte di una comunità, ma ha lo scopo di consolidare una dominazione ed anche, nel caso degli Alawiti, a consolidarlo, senza che ci siano state rivendicazioni in tal senso. Questi ultimi non hanno un atteggiamento omogeneo di fronte all’insediamento dei Francesi in Siria. Uno di essi, Saleh al-Alì (1884-1950), risulta uno dei più vigorosi oppositori del mandato, prima di essere vinto nel 1921. Altri, come il profeta-pastore Suleyman al-Murshid (1907-1946), colgono l’occasione per proclamare la loro autonomia e per costruire una identità specifica basata specialmente sulla religione. Questo processo di affermazione identitaria trova il suo sbocco provvisorio nel riconoscimento, nel 1936, della setta alawita, come mussulmana, da parte del Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al Husseini (Husayni) (1897-1974). Gli Alawiti, spesso poveri e protetti dalla Francia, forniscono, tra l’altro, molti arruolati nell’esercito francese del Levante, prima di assumere il ruolo che oggi tutti conoscono nell’ambito dell’esercito siriano. In questo modo, il mandato francese cerca di riprodurre in Siria il sistema dell’organizzazione libanese, risultato di una costruzione concertata fra le comunità confessionali locali organizzate ed i loro collegamenti in Francia. La conquista del territorio da parte dei Francesi risulta rapida e si appoggia sulle alleanze e le divisioni esistenti e di cui Parigi è abile ad utilizzare. In effetti, il regno arabo è sostanzialmente sostenuto dalle aristocrazie urbane e da ufficiali che hanno alle dipendenze una truppa di origine popolare. Le tradizionali aristocrazie ottomane, appoggiandosi sulla loro clientela contadina e su collegamenti e legami realizzati sotto l’Impero, diventano alleati preziosi della Francia, che consente loro di restaurare il loro prestigio locale in un nuovo contesto e con pochi sacrifici. In seno agli stessi nazionalisti, la questione della forma dello Stato arabo e delle sue frontiere costituisce un argomento di discordia. Ciò nondimeno, alcune figure importanti incarnano la resistenza al sistema dei mandati: i damasceni Jamil Mardam Bey (1894-1960) o Shukri al-Quwwatli (1891-1967), il notabile di Homs e presidente del Congresso Nazionale siriano, Hashem al-Atassi (1875-1960), l’aleppino, Ibrahim Hananu (1869-1935) o Riadh al-Sulh (1894-1951), originari del sud del Libano. Nel 1920, dopo la sconfitta araba di Maylasun, i loro cammini si separano e le autorità mandatarie cercano di sottolineare e sfruttare le divisioni che si moltiplicano nel loro interno. Quando iniziano a diffondersi le voci relative all’accordo Clemenceau-Feysal, scoppiano rivolte un po’ ovunque sul territorio. Gli incidenti si moltiplicano nelle zone che si considerano abbandonate, specie quelle che sono state aggregate al Grande Libano senza consultazione: a Tripoli, nella Valle della Bekaa e nel Djebel Amil. Un ordine coloniale molto contestato Quando nel 1925 scoppia la più grande rivolta siriana contro il mandato, essa sembra contraddire tutta la politica di gestione del territorio introdotto dalle autorità francesi. E’ una comunità autonoma, quella dei Drusi, basandosi proprio sulla sua indipendenza, a lanciare una parola d’ordine di ribellione dagli accenti arabisti e pan siriani. Appare evidente, in quel momento, che l’appartenenza comunitaria, religiosa o regionale, non escludeva l’aspirazione ad una unità nazionale più vasta, né la contestazione di un ordine coloniale. Da quel momento, i Francesi inizieranno ad appoggiarsi ad una frangia di notabili nazionalisti ed a far emergere una concezione più repubblicana della politica in Oriente, lasciando il posto ai parlamenti ed assistendo all’elaborazione di contesti costituzionali e di sistemi politici molto differenziati nel Libano ed in quella che diventerà la Repubblica siriana unificata (1936). Nell’elaborazione di questa politica giocheranno un ruolo cruciale alcuni orientalisti. Fra questi, l’orientalista e teologo Louis Massignon (1883-1962) che, inviato nella regione nel 1927, giudica severamente la politica confessionale adottata e propone di allearsi con i notabili arabi, specialmente sunniti, per incamminarsi verso una progressiva autonomia della Siria e del Libano A partire dal 1936, la politica di divisione confessionale perde la sua importanza nella gestione del territorio siriano. La Francia gestisce il suo mandato, alternando periodi di negoziati con le aristocrazie locali e periodi di decisioni senza alcuna mediazione. In un paese dove comincia ad operare una vita politica organizzata intorno ai partiti, alle clientele ed una vita parlamentare dinamica, la potenza mandataria assume un atteggiamento ed una gestione paternalista, intervenendo, il più delle volte, con brutalità, non appena iniziano a formarsi alleanze che mettano in discussione la sua tutela. L’entrata in guerra contro la Germania, ma soprattutto la divisione dei Francesi fra i fautori di Vichy e la resistenza, costituisce, per i Siriani, l’occasione per aprirsi una strada verso l’indipendenza, che otterranno finalmente nel 1946. Nel frattempo, il generale Charles De Gaulle (1890-1970), nel maggio 1945, aveva fatto intervenire l’aviazione per reprimere il movimento indipendentista entrato in insurrezione. Di fatto, senza il pronto intervento dei Britannici a sostegno dei Francesi, in quella specifica circostanza, avrebbe potuto già avere inizio un’altra guerra coloniale.
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