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Una Grande Potenza Gendarme del Mondo

GLI STATI UNITI D’AMERICA

Una Potenza dalla forza strepitosa che mostra talvolta debolezze da Gigante coi piedi d’argilla


23/02/2020 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

GLI STATI UNITI D’AMERICA

La salute dell’economia americana è sistematicamente oggetto di commenti ammirati ed allarmistici. Ad ogni nuova crisi economica si riaccendono le polemiche ed i pronostici sulla fine dell’era americana. Anche quest’ultima crisi non è bastata a mettere mortalmente in crisi l’aquila americana che continua a volare sul mondo, mentre, peraltro, sembra aver lasciato molte più scorie nelle altre economie, specie quella europea. Analisi e possibili risposte.

Come ci sono cicli economici esistono, con ogni evidenza, anche cicli giornalistici. La salute dell’economia americana risulta, in tale contesto, oggetto di commenti che, a seconda dei punti di vista, gli pronosticano o prospettive edificanti o crolli esemplari. Ogni volta che gli osservatori si entusiasmano sul loro progresso tecnologico - l’invio di un uomo sulla Luna nel 1969 o il lancio di internet negli anni 1970 -, subito dopo, però, essi predicono la loro inevitabile e prossima caduta, come nel 1957, allorché Mosca lancia lo Sputnik, o nel 1971, quando cessa la convertibilità del dollaro con l’oro, oppure, agli inizi degli anni 2000, quando scoppia la bolla internet e che vengono rivelate le turpitudini di Enron, Worldcom (intreccio perverso fra mafie e finanze). Negli ultimi tempi, la nuova crisi finanziaria d’oltre atlantico ha contribuito a rilanciare le speculazioni sul declino degli Americani, ma, come al solito, anche se molti analisti hanno giudicato questa recente crisi di una natura diversa dalle precedenti, l’aquila americana, anche questa volta, non ne è risultata mortalmente ferita

Quale declino ?

Eppure non si finirebbe di enumerare i fondamenti intatti della potenza americana. In primo luogo le risorse del loro spazio, in particolare il loro food power, da cui dipende ancora l’alimentazione del pianeta. Dal momento che, nel 2007, essi decidono di moltiplicare per 5 la loro produzione di etanolo per la trazione, i prezzi dei cereali hanno iniziato a crescere sensibilmente. Il territorio dal quale essi possono trarre le ricchezze del suolo e del sottosuolo supera d’altronde le loro frontiere e si estende, grazie all’ALENA, al Messico ed al Canada, due importanti paesi produttori di energia. In secondo luogo la potenza delle sue imprese. La produzione delle loro filiali all’estero rappresenta circa il triplo delle loro esportazioni. Questo non accade senza contropartite: una parte della produzione viene rimpatriata oltre Atlantico e contribuisce alle difficoltà della loro industria. Questa constatazione consente, tuttavia, di valutare con una certa relatività il regresso degli USA e lo sviluppo dei loro concorrenti: il 90% delle esportazioni cinesi di materiale informatico sono l’effetto di aziende straniere, fra le quali numerose marche americane (1). Da ultimo la loro capacità di innovazione. In questo campo, l’intervento dello stato non si discute ed alimenta lo sfogo principale della ricerca mondiale - quasi il 40% delle spese mondiali. Il brain drain (drenaggio dei cervelli) contribuisce alla supremazia americana e fornisce il 15% degli ingegneri al paese. Ben altre prove potrebbero essere portate a sostegno della tesi appena avanzata: il dinamismo demografico che dovrebbe permettere agli USA di ammortizzare la crisi della crescita del numero dei “pensionati”, che, invece, minaccia l’Europa di oggi e la Cina di domani; le qualità di una manodopera, che lavora 1800 ore per anno (contro le 1500 ore mediamente lavorate in Europa) e che si piazza in testa nel mondo per quanto riguarda la produttività; il pragmatismo dell’amministrazione che, ben lungi dall’immagine falsamente diffusa “dell’ultraliberalismo”, interviene pesantemente nell’economia - per sostenere la crescita, per contrastare l’acquisto di imprese strategiche e per mantenere la superiorità tecnologica del paese. Tutto questo tuttavia non convince quelli che propendono per il “declino”. Essi si focalizzano su qualche elemento, peraltro indiscutibile. Il deficit della bilancia commerciale estera, l’indebitamento, il debole tasso di risparmio. Le loro tesi sono state riassunte brillantemente dal sociologo Emmanuel Todd (1951- ) (2). Secondo questi, gli Americani si sono allontanati dalla produzione di beni materiali; essi preferiscono importarli. E per finanziare questi acquisti essi sono costretti ad operare sul mondo un “prelevamento imperiale, che passa attraverso il loro sistema finanziario, ma occorre che il resto del pianeta accetti questo prelevamento. Per questo, Washington ha fatto valere a suo tempo lo sforzo compiuto per difendere il “mondo libero” ed i diritti dell’uomo. Questo argomento ha ormai perduto parte del suo valore con la fine della guerra fredda, tanto più che la crescita delle disuguaglianze, contraddice i valori democratici, ai quali gli Americani si rifanno. In ogni caso, quando ne hanno bisogno, gli USA stampano nuova carta moneta con la quale acquistano i beni e servizi per le proprie esigenze interne, aumentando in tal modo il debito, … in mano ai loro creditori.  Questa analisi va direttamente all’essenziale, ovvero alla capacità degli USA di mobilitare le risorse del pianeta a loro vantaggio. In realtà, dietro il flusso economico, l’esame di quelli che propugnano il declino smaschera i rapporti di forza politici e le giustificazioni ideologiche, ma forse esso pecca per eccesso, perché l’analisi sembra sottovalutare i fondamenti della potenza economica americana. Essa si focalizza sulle industrie tradizionali che, è vero, hanno subito un arretramento, il tessile inizialmente, l’acciaio ieri e l’automobile oggi, al punto che la General Motors si è trovata sull’orlo del fallimento, come la Bethlehem Steel nel 2001. Tuttavia, durante questo periodo sono nate, nella sola Silicon Valley, Hewlett Packard, Intel, Apple, Atari, Fairchild, Sun Microsystems, Oracle, Cisco, Yahoo, ecc.. L’apparato produttivo americano si basa ora sulla tecnologia e sui servizi; non si tratta indubbiamente di beni materiali, che provoca un certo disprezzo da parte dei nostalgici del “mattone” e della “morchia” del petrolio. Il loro controllo permette comunque agli USA di orientare a loro vantaggio i flussi di denaro, di tecnologia e di informazioni di tutto il pianeta. Essi non si accontentano di dominare gli oceani, essi controllano l’insieme degli elementi fluidi dell’economia e costituiscono, in tal modo, la prima talassocrazia high tech della storia. L’analisi dei fautori del declino, porta peraltro a delle conclusioni radicali sulla crisi economica che attanaglia oggi il paese. E’ pur vero che il crollo del sistema finanziario ha rivelato dei disequilibri sui quali si appoggiava la crescita degli USA, in particolare, l’eccesso di indebitamento. Questo fatto può determinare la perdita di fiducia nel loro modello di sviluppo e potrebbe rendere più difficile nel futuro il “prelevamento imperiale” di cui parla Emmanuel Todd. Queste domande appaiono giustificate, ma la risposta appare troppo affrettata. Il solo elemento certo di oggi, la crisi partita dagli USA, che tocca oggi il mondo intero, smentendo la tesi degli analisti che pensavano che l’Asia si sarebbe emancipata dagli USA. Peraltro, Wall Street ha subito uno shock decisamente meno brutale di quello sofferto dalle altre borse mondiali. Infine, il dollaro ha paradossalmente subito un apprezzamento dall’inizio della crisi. Potrebbe persino accadere che gli Americani possano subire meno degli altri gli effetti di una crisi che essi stessi hanno provocato !!! La storia non è nuova al ripetersi di tali eventi.

Il dollaro, il dollaro ed il dollaro

Gli Usa potrebbero uscire dalla crisi a nostre spese ? La domanda ne provoca un’altra: possono essi restare una economia dominante, quella che fissa le regole e che ne approfitta per orientare a suo vantaggio il funzionamento del pianeta ? Essi dispongono di questo potere a partire dalla 2^ Guerra Mondiale. Questa egemonia si appoggia su tre punti fondamentali: il dollaro, il dollaro e il dollaro.  Il dollaro che consente agli Americani di pagare e di indebitarsi con la loro moneta; è il “privilegio del debito senza lacrime”, messo in evidenza già negli anni 1960. Il dollaro che sostiene i loro consumi e quindi la loro crescita ed il loro mercato del lavoro. Il dollaro, infine, che facilita l’acquisto delle materie prime, di beni ed attrezzature, delle imprese e delle tecnologie del resto del mondo ed attraverso il quale viene operato il “prelevamento imperiale” sopraccitato.  Questa situazione è stata messa in opera nel 1944 con gli Accordi di Bretton Woods, che hanno reso la moneta verde il riferimento del sistema monetario mondiale. In contropartita, gli USA si impegnavano ad assicurare la sua convertibilità in oro: la loro Banca Centrale, la FED, doveva scambiare in oro i dollari presentati dalle altre banche centrali. Nel 1971, il Presidente Richard Nixon (1913-1994) arriva a sbarazzarsi anche di questo “fastidioso” vincolo. Da allora il dollaro rimane allo stesso tempo la moneta degli USA e la moneta del mondo, ma i due contraenti non sono più su un piano di parità: gli USA fabbricano i dollari e li spendono, gli altri li ricevono e li “ammucchiano”, finendo per dare ragione alla frase del segretario di Stato USA, John Bowden Connally (1917-1993), che, negli anni 1970, diceva apertamente “il dollaro è la nostra moneta ed il vostro problema !!” Dal 1971, il mondo non è più obbligato a fare del dollaro la moneta di riferimento e pur tuttavia esso continua a farlo per almeno tre ragioni.  In primo luogo, la forte ripresa del 1983 provoca una ripresa di fiducia negli USA. Il ritorno ad una crescita sostenuta, i guadagni di produttività, i profitti elevati vi contribuiscono, ma anche l’influenza delle teorie liberali e la capacità dei finanzieri che moltiplicano le “innovazioni” (3). Come, in effetti, lo ha spiegato Ben Shalom Bernanke (1953- ), presidente della FED, “non sono gli USA che si indebitano ma il resto del mondo che concede loro dei prestiti. In ogni caso, dopo la grande crisi della fine della decade degli anni 2000, tutti di nuovo facevano a gara per pronosticare un prossimo crollo della moneta verde, ma i successi dell’economia americana sotto la presidenza Donald Trump (1946- ), della fine della decade 2010, hanno ridato nuovo slancio al dollaro ed al sistema che sottintende. Inoltre il dollaro non ha incontrato dal 1971 veri rivali. Non lo è stato il marco tedesco, in quanto la Germania temeva la sua internazionalizzazione ed i rischi di inflazione che avrebbe potuto provocare; non lo è stato l’ECU, che nella pratica non era una vera moneta; non lo è stato lo yen giapponese, che non era sostenuto da un sistema finanziario aperto e potente; non lo è l’Euro e neppure, evidentemente gli embrioni abortiti di moneta mondiale come il DTS. Lo sarà in futuro la moneta cinese ? Ma, soprattutto, i partners degli USA non hanno alcun interesse ad un crollo del dollaro. I Cinesi minacciano a volte di diversificare le loro riserve monetarie e di liberarsi di una parte dei loro buoni del Tesoro americano. Ma se essi li vendono, il dollaro inevitabilmente perde valore con il conseguente corollario del crollo delle loro esportazioni verso gli USA. In effetti negli ultimi anni i Cinesi hanno speso molti dei loro dollari per acquisti strategici in Africa e per grandi progetti, ma la situazione generale non sembra, al momento essere particolarmente cambiata. Ognuno dipende da tutti gli altri nell’economia mondiale: rifiutare di accettare il dollaro nel pagamento di acquisti americani, significherebbe uccidere un “mercato dalle uova d’oro”, ovvero gli USA e precipitare l’intero pianeta nel caos. I produttori cinesi, inoltre hanno assoluto bisogno dei consumatori americani per mantenere il loro sviluppo. Le recenti vicende dei dazi lo stanno chiaramente a dimostrare ! !

La forza della debolezza

Che cosa resta di queste argomentazioni oggi ? Entrambi conservano la loro pertinenza, ma potrebbero perderla a medio termine. In primo luogo, perché la crisi attuale sconvolge il modello americano; essa ingenera molti dubbi sullo stato di salute dell’economia americana. I risparmiatori, che posseggono, secondo la formula di Luigi Einaudi (1874-1961), “il coraggio del montone, le zampe della lepre e la memoria dell’elefante”, sono scottati dai sotterfugi finanziari che li hanno rovinati. Le banche d’investimento americane sono peraltro scomparse nella tormenta. Chi sarà disposto domani a piazzare i suoi risparmi o il suo patrimonio oltre Atlantico ? Anche se, come si è visto, il dollaro subisce un apprezzamento durante la crisi, questo fatto può rappresentare una prima incertezza che potrebbe minacciare la sua preminenza a medio termine. In ogni caso, va rilevato che l’economia americana con i provvedimenti introdotti dalla presidenza Trump ha recentemente conseguito il pieno impiego e le sue prospettive a breve termine non appaiono critiche, Il secondo aspetto concerne l’euro. Egli si è affermato a poco a poco a fianco del biglietto verde. Il dollaro rimane la moneta di fatturazione del commercio mondiale (intorno al 50%), quella delle riserve monetarie (circa due terzi di quelle mondiali) e quella delle operazioni sul mercato dei cambi (circa la metà). Per contro, l’euro è passato, dalla sua creazione, dal 20 al 25% delle riserve monetarie mondiali; le obbligazioni internazionali sono oggi formulate più che altro in euro, fatto che comprova la fiducia nella sua stabilità futura. Non è forse vero che l’euro, dopo essersi deprezzato fino al 2001, ha continuato ad apprezzarsi rispetto al dollaro, almeno sino a due anni fa ? Ma l’euro può sostituire il dollaro ? Certuni, come l’economista e politico Fred Bergsten (1941- ), l’hanno annunciato sin dalla sua creazione, prevedendo, erroneamente, il ribaltamento entro il 2010. Notevole preveggenza in ogni caso ? Il professore Benjamin Cohen (4) invita a rimanere prudenti. L’Euro soffre di problemi politici, ovvero delle divisioni dell’Unione: come la fiducia in esso non può rimanere scossa quando certi governi, fra i quali la Francia, si lamentano dell’Euro forte, mentre altri ritengono che il suo corso sia quello corretto ? L’affermazione dell’Euro passa attraverso l’instaurazione di una vera politica economica europea; fatto che ancora non esiste, ma la cui messa in cantiere avrebbe potuto essere accelerata dalla crisi di oggi e che al momento appare come una scommessa perduta. Rimane un ultimo argomento in favore del dollaro. Nessuno ha interesse al suo crollo, né che subisca una concorrenza troppo forte da parte dell’Euro. Le conseguenze del suo crollo sarebbero talmente gravi per i partners degli USA che essi si sono rassegnati a sostenerlo. Forse essi si ricordano dell’ultima volta in cui il sistema monetario internazionale è stato suddiviso fra due monete rivali: si trattava degli anni 1920, il dollaro che cominciava a sostituirsi alla lira sterlina e le primizie della crisi degli anni 1930, … Per certi aspetti, il dollaro è forte della sua debolezza, come la Russia del 1914 era ricca del suo indebitamento. Il resto del mondo, in special modo l’Asia, sostiene il dollaro perché si tratta di difendere il suo interesse economico. In definitiva, essi preferiscono pagare il “prelevamento imperiale”, piuttosto che rovinarsi il loro sistema di vita. Eppure i rapporti di forza fra le nazioni non sono sempre basati sulla pura economia mentre i rapporti fra gli uomini risultano dall’effetto della pura razionalità. La Cina non vuole semplicemente solo vivere meglio, il Brasile non aspira solamente ad esportare di più e, come l’India, non si augura esclusivamente di sradicare la miseria dal suo popolo. Spesso la pulsione e la logica di potenza si rivelano più forti della logica dell’interesse razionale. In effetti, se si dovesse instaurare un conflitto di grossa rilevanza fra questi paesi (Cina, India) con Washington, questi potrebbero essere tentati svendere i loro dollari, impiegando un’arma devastante anche per loro stessi. Ebbene, in questo caso il sistema attuale, basato sul dollaro, potrebbe veramente crollare.

NOTE

(1) Gilboy Gorge J., “Il mito dietro il miracolo della Cina” (The myth behind China’s miracle), Foreign Affaire, luglio-agosto 2004, con dati riferiti al 2003;

(2) Todd Emmanuel, “Dopo l’Impero” (Apres l’Empire), Gallimard, 2004;

(3) Come lo dirà con molta dose di humor un osservatore: innovare in questo campo significa trovare il mezzo di prestare del denaro a gente alla quale non si dovrebbe prestare. Ed oggi ne abbiamo visto e patito le conseguenze di questa insana logica;

(4) Cohen Benjamin J., “Perché l’euro non è in condizione di rimpiazzare il dollaro ?”. L’Economia Politica, ottobre 2003.


 

 

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