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Dal Manicheismo a Bin Laden

I MECCANISMI CHE CONDIZIONANO LA RAGIONE ED ESCLUDONO LA TOLLERANZA

Indagine sull’intransigenza


Jun 23 2003 12:00AM - C. SARCIA'


(Rieti)

 

In questo breve saggio affronto il problema della reciproca accettazione tra le Chiese dei cristiani separati e la Chiesa cattolica, attraverso l’esame degli ostacoli che si frappongono al rapporto di fiducia che dovrebbere esistere tra credenti dello stesso Dio e progessanti Scritture provenienti dalla medesima fonte: Bibbia ed Evangeli. Partendo dall’esperienza manichea di Sant’Agostino e dalla filosofia di Platone, un’escursione tra Chiese Cristiane, Chiesa Cattolica e Fedeli.

(1) Le Forme di Intransigenza

IL MANICHEISMO  è la religione fondata dal persiano Mani nel III secolo che fissa le sue basi su rigidi principi di intransigenza e di intolleranza, la cui essenza può compendiarsi nel concetto di una assoluta separazione tra bene e male.

Mani era facilitato nella predicazione del messaggio religioso da lui inventato perché si rivolgeva a popoli di varie religioni (mazdei, cristiani, ebrei, induisti e buddisti) particolarmente disposti all’accoglimento di ogni messaggio religioso, cioè i popoli stanziati nella regione mesopotamica. La diversità delle etnie e dei credi religiosi di quei popoli fece avvertire a Mani l’esigenza di una sintesi unificatrice. Le teorie pensate da Mani appaiono come una miscela di riferimenti biblici, credenze popolari, elementi naturali visibili, accostati argutamente tra loro per essere resi credibili e far presa sulla coscienza umana, sulle paure cosmiche e sulla impenetrabilità dei concetti astratti formulati nel quadro della sacralità. Si parla di sincretismo manicheo orientato in senso gnostico, oppure basato sulla conflittualità tra il Bene ed il Male. Si tratta di un sincretismo che descrive l’uomo insieme arbitro e artefice del processo cosmico e della sua salvezza, che accoglie tutto il pensiero espresso dalle spiritualità  delle diverse culture cui è destinato e che viene usato da Mani per esprimere il suo concetto di dualismo ridotto a dimensione umana. Mani diede vita ad un’organizzazione gerarchica ecclesiastica fondata su eletti assistiti da uditori. I primi, organizzati in maestri, vescovi e preti (anziani), dovevano essere capaci di “rinunciare alla vita” ed abbracciare la condizione ascetica o monastica; gli uditori, cui veniva riconosciuta, a differenza degli eletti, l’incapacità di opporsi alla perpetuazione della specie, erano quindi destinati a tramandare la conoscenza (gnosi) alle future generazioni che avrebbero poi prodotto nuovi eletti. L’obiettivo delle teorie manichee era quello di rendere tutti gli uomini eletti con la prospettiva di una specie di eutanasia generativa finale.

Sant’Agostino fu per dieci anni uditore, si convertì al Cristianesimo e combatté i manichei.

L’ORTODOSSIA. Il termine ortodossia, derivato dal greco “retta opinione”, definisce la dottrina di una religione nella sua forma primitiva predicata nell’insegnamento del suo fondatore e nei termini più integri e genuini in cui viene conservata dal corpo sacerdotale che la trasmette ai fedeli. L’ortodossia è la forma più larvata di intransigenza, perché parte dall’intenzione saggia e propositiva di fissare i canoni della dottrina per impedire errate interpretazioni e quindi una pericolosa deriva della fede. Ma come abbiamo visto nel corso dei secoli, l’irrigidimento sulle diverse interpretazioni dottrinali, talvolta appoggiato dal potere politico,  è stato causa di fratture che hanno dato luogo a persecuzioni, divisioni e separazioni. E’ comunque legittima l’esigenza di ogni religione di conoscere i termini della “retta dottrina” ed anche per il cristianesimo si pose il problema della definizione dei cardini di questa conoscenza. Parallelamente all’acquisizione da parte del cristianesimo primitivo di concetti e termini propri di altre tradizioni culturali, si andò sviluppando l’esigenza di fissare fin dagl’inizi l’ambito e il senso in cui essi venivano adoperati, nonché la specificità dei loro contenuti, dando luogo alla caratteristica dialettica fra ortodossia ed eterodossia.

Le prime tappe nel cammino verso la formazione di un’ortodossia vera e propria, ovvero di una codificazione dottrinale vincolante per la totalità della Chiesa, sono riscontrabili già nelle stesure più recenti del Nuovo Testamento. Nel corso del II secolo, per combattere lo gnosticismo e fissare le definizioni della dottrina cristiana, furono definite tre regole fondamentali della fede ortodossa: il Credo battesimale, il canone del Nuovo Testamento e la successione apostolica dell’episcopato. Le controversie sulla missione di Cristo e sulla teoria della Trinità, nei secoli successivi contribuirono in modo determinante al consolidamento dell’ortodossia con le definizioni dogmatiche dei concili ecumenici, diventate non solo la norma dottrinale della Chiesa, ma addirittura leggi dello Stato (pubblicazione dell’editto di Teodosio, anno 381).

Con il riconoscimento di valore normativo dato alle definizioni dei primi sette concili ecumenici dal primo Nicea (anno 325) al secondo Nicea (anno 787) da parte delle Chiese Orientali Ortodosse, si attua la stabilizzazione dottrinale del cristianesimo nel periodo antico della storia della Chiesa. Così, mentre la Chiesa orientale congela e stabilizza le posizioni dell’ortodossia, quella d’Occidente continua la sua azione per la salvaguardia dell’ortodossia, ma i suoi contenuti proseguono in un ininterrotto, ulteriore processo storico i cui esiti vengono garantiti dall’autorità del magistero ecclesiastico.

Questa incessante fase di indagine porta alla rottura, nel secolo XVI, dell’unità confessionale della Chiesa d’Occidente, per cui si realizza anche nelle Chiese sorte dalla Riforma luterana, la necessità di risolvere una serie di controversie teologiche intorno ai punti nodali del pensiero di Lutero che comporta una ricerca dell’ortodossia, che si consolida sui catechismi di Lutero, sulla formula di concordia, ma soprattutto sugli antichi simboli apostolici. L’ortodossia protestante è caratterizzata dalla metodica elaborazione intellettuale della teologia della Riforma e, in generale, da un rigoroso attaccamento alla retta dottrina. Nel medesimo periodo, nell’ambito delle Chiese riformate, si sviluppa anche un’opera determinante di codificazione dottrinale che ha lo scopo di delimitare i canoni della teologia calvinista. Nel secolo XVIII, tanto lo sviluppo delle correnti pietistiche, quanto il razionalismo critico del pensiero illuminista, portarono alla dissoluzione dell’ortodossia protestante che andò concentrandosi su posizioni di conservatorismo teologico impedendo lo sviluppo del pensiero protestante.

L’INTEGRALISMO è un indirizzo politico che tende ad integrare in seno ad uno stesso movimento ideologico diverse correnti o fazioni facendo riferimento ai principi comuni. Il termine nasce nell’ambito della politica, ma viene istintivamente trasferito all’ambito religioso quando la religione assume particolare rilevanza nella formulazione di un’ideologia politica, com’è avvenuto nel mondo islamico. Nel cattolicesimo l’integralismo indica il tentativo di rivendicare l’applicazione più rigorosa e completa dei principi della dottrina cattolica e delle direttive del magistero della Chiesa in ogni campo della vita pubblica. In particolare, in Italia, dopo la II guerra mondiale, sono definite integraliste le posizioni di quegli uomini politici cattolici contrari ad ogni forma di compromesso, di accordo o di alleanza con i partiti dichiaratamente laici per ideologia e dottrina e, naturalmente, in primo luogo con il partito comunista.

IL FONDAMENTALISMO definisce storicamente due movimenti religiosi: nella riforma luterana distingue il gruppo che cercò di enucleare dal credo di Lutero le verità “fondamentali” per metterle alla base del tentativo di “unificare le numerose sette” che erano sorte in quell’epoca; negli USA prendono il nome di fondamentalisti i protestanti più vicini ai cattolici che hanno enucleato alcune verità di fede quali l’inconfutabilità delle Sacre Scritture, la verità dei miracoli descritti nella Bibbia, la nascita di Cristo dalla Vergine e la sua resurrezione, da contrapporre alle tendenze razionaliste e moderniste. Alcuni fondamentalisti sono però rimasti vittime del millenarismo.

IL FANATISMO è caratterizzato dall’esaltazione religiosa dovuta ad un forte convincimento della propria fede che si fonda sull’intolleranza verso ogni forma di interpretazione dottrinaria diversa, all’interno della stessa religione, o nei confronti di altri credi. Ne abbiamo traccia storica in tutti i tempi e in tutte le religioni. Si manifesta come scissionismo all’interno di una religione o come persecuzione contro i fedeli della religione altra, ce viene percepita come antagonista e portatrice di pericoli per gli adepti, che escono dai luoghi di culto e si trasformano in giustizieri. E’ caratterizzato dall’intransigenza e sostenuto dallo scopo dichiarato di correggere le storture della religione ufficiale, ma ancor più dell’interpretazione che ufficialmente viene data alle scritture, ai dogmi ed alle espressioni della fede ed è sostenuta, non dal proselitismo o dalla predicazione dei principi dottrinari e di culto elaborati all’interno del gruppo di fanatici, ma da attività delittuose che si estrinsecano nella persecuzione cruenta e nel martirio di chi non si allinea. La controriforma luterana fu caratterizzata dal fanatismo, Hammas è un’organizzazione di fanatici, ancora oggi nella zona ad est dell’isola di Timor gruppi di fanatici islamici perseguitano i Cristiani, Giovanna d’Arco era il capo di una formazione di fanatici, i gruppi islamici algerini che sgozzavano gli islamici tiepidi erano fanatici; l’oganizzazione terroristica Al Qaeda è una formazione fondata sul fanatismo, il capo terrorista Bin Laden ed i suoi numerosi adepti sono fanatici; così i Talebani e gli Imam sunniti.

L’AGNOSTICISMO è un termine filosofico che indica il rifiuto di accettare soluzioni dogmatiche o teoriche a problemi religiosi e di fede. L’agnosticismo teologico è una corrente che nel valutare l’esistenza di Dio, si attiene esclusivamente a ciò che è comprensibile dalla mente umana in base a procedimenti istintivi; i Libri Sacri e la Tradizione vengono adoperati per negare, piuttosto che per affermare. L’agnosticismo prende atto della debolezza della ragione umana  e di conseguenza afferma la trascendenza del concetto di Dio. Nella fase illuminista gli agnostici si opposero all’esaltazione della ragione, negando che l’uomo avesse la capacità di giungere all’acquisizione persino delle semplici verità di ordine naturale. Gli agnostici vengono compresi fra gli intransigenti e gli intolleranti proprio per la loro incapacità di accettare il benché minimo contraddittorio, persino sull’esigenza di divino che proviene dall’individuo.

IL RADICALISMO  sorge in Inghilterra intorno ai secoli XVII e XVIII e si diffonde rapidamente nel continente. Recepisce le istanze individualistiche e libertarie dei movimenti religiosi dissidenti e delle correnti filosofiche illuministiche, per ottenere dapprima una più equilibrata distribuzione del potere nello Stato e successivamente maggiore democrazia attraverso il suffragio universale e la riforma elettorale. La formula radicale è comunque caratterizzata da un estremismo culturale e rivela maggiormente la sua intransigenza in Francia, dove si richiama soprattutto ai principi rivoluzionari noti come gli “immortali principi dell’89”.

(2) Le Riflessioni di Sant’Agostino

L’esperienza vissuta da Sant’Agostino come uditore manicheo fa maturare in lui alcune considerazioni spirituali e teologiche, assolutamente innovative per la sua epoca, ancora attuali ed in parte non ancora del tutto risolte o addirittura avanzate rispetto al pensiero di san Paolo. Agostino rimane influenzato dalle teorie manichee specie da quella sulla concezione pessimistica della condizione umana e, pur combattendo il manicheismo, dopo la sua conversione al Cristianesimo, ne elabora i contenuti circa la sostanza dei concetti di bene e di male, ma sempre nel quadro della filosofia platonica dalla quale egli è affascinato.

Agostino ha avuto il pregio, dopo aver ampiamente discettato sulle ragioni  a sostegno dei dogmi, di saper concludere con l’affermazione che l’uomo non può capirli e semmai li capirà, questo potrà avvenire soltanto nel faccia a faccia del suo spirito con Dio dopo la morte. Così sul mistero della Trinità.

Ma l’opera più sconvolgente di Agostino rimane “Confessiones” che è un ripensamento della sua vita dalla nascita alla conversione scritto sotto la luce del rapporto fra uomo e Dio e che risulta un libro di intima emozione in cui si alternano in modo a volte sconcertante i fatti con le discussioni psicologiche, filosofiche ed esegetiche sul tempo, sulla memoria e sull’interpretazione delle Scritture; vi si mescolano stili raffinati, invenzioni letterarie ed espressioni immediate del sentimento che realizzano una delle opere più moderne dell’antichità che non ha mai cessato di attrarre i lettori di ogni epoca.

Dallo studio delle opere di Agostino si può ricavare il concetto secondo cui alcune sue riflessioni hanno anticipato di circa un millennio le esternazioni rinascimentali di Bruno e Savonarola, cui solo l’Illuminismo darà più tardi un vero valore etico. Ed appare evidente che al suo tempo esistevano le medesime esigenze di ordinaria umanità che ancora oggi caratterizzano l’uomo e che per secoli sono state etichettate dalla Chiesa Cattolica come ostacolo alla frequentazione delle pratiche di culto e all’esternazione della fede.

Secondo il principio della “verità interiore” formulato da Agostino, il compito dell’educatore (sacerdote) è quello di portare alla luce quella verità che esiste nell’animo umano e che è il segno della presenza divina nell’uomo.  E’ sufficiente questo concetto, ormai attuale ai nostri tempi e assolutamente rivoluzionario ai tempi in cui visse Agostino (354-430), ad elevare la condizione dell’esistenza umana ed a far considerare l’uomo quale soggetto di diritti  nei cui confronti il sacerdote deve indirizzare la sua cura e il suo rispetto.

Il Maestro è Cristo, dice Sant’Agostino, ed il sacerdote ha solo il compito di preparare l’ambiente all’azione del “Maestro interiore” che è in ogni uomo.

Secondo Agostino, l’opera educativa deve essere vitale e lontana dai formalismi delle istituzioni; il sacerdote deve accostarsi al fedele con amore e umiltà e così facendo egli compie il ministero che gli è stato affidato e realizza e perfeziona sé stesso.

Le speranze dei fedeli di vedere adeguati i canoni cattolici al diritto naturale ed alle aspettative spirituali della persona, non sono dunque comparse nei tempi moderni, ma hanno caratterizzato tutta la storia del Cristianesimo e sono state evidenziate ed affrontate fin dagli albori del Cristianesimo da Sant’Agostino oltre che da teologi, filosofi e  ricercatori.

(3) Un Concilio Ecumenico Vaticano III

L’età e le condizioni fisiche di Papa Giovanni Paolo II rendono ormai vane le speranze di vedere proclamato a breve termine un nuovo Concilio Ecumenico che affronti i nodi rimasti irrisolti per tanti secoli nel rapporto tra la Chiesa ed i fedeli e tra la Chiesa Cattolica e le altre Chiese Cristiane.

Volendo azzardare l’ipotesi che a succedere a Giovanni Paolo II possa essere un Papa afro-asiatico, si può ragionevolmente presupporre che un evento così inaspettato e rivoluzionario potrebbe costituire premessa valida per una riforma sostanziale della Chiesa Cattolica. Potrebbe quindi considerarsi prossima, più di quanto si possa immaginare, la proclamazione di quel Concilio Ecumenico Vaticano III, da più parti auspicata, che dovrebbe soprattutto risolvere i problemi che agitano oggi i fedeli e il clero e che a ben vedere hanno assottigliato sia la schiera dei fedeli che quella degli operatori del culto e che dovrebbe affrontare radicalmente le questioni che sono sul tappeto ormai da anni.

Un Concilio oggi, dopo le incomprensioni e i danni creati dal Concilio Ecumenico Vaticano II, dovrebbe riesaminare e chiarire le interpretazioni dottrinali e le modifiche seguite agli ultimi due e compensare i quattro secoli di assoluto silenzio che li hanno preceduti, durante i quali l’arbitrio, la violenza ed i mali la cui eco non si è ancora sopita,  hanno caratterizzato l’azione della Chiesa nel mondo.

La proclamazione dell’infallibilità del Papa e dell’assunzione in cielo del corpo di Maria, madre di Dio, sono stati due provvedimenti utili nel contesto in cui si sono potuti realizzare, ma con ogni probabilità sarebbe necessario rivederli alla luce delle mutate condizioni del mondo e delle mutate esigenze della Chiesa.

Un Concilio oggi, dopo l’esperienza papale di Giovanni Paolo II, sarebbe sicuramente produttore di iniziative e di progetti in grado di accelerare il già maturo processo di evoluzione in senso ecumenista del Cristianesimo e di adeguare le strutture formali, ma soprattutto quelle ideologiche, della Chiesa ai tempi moderni e all’accresciuta consapevolezza dell’uomo attuale che in breve tempo ha modificato radicalmente, in senso peggiorativo,  il modo di sentire la fede e la cognizione di sé stesso.

(4) La Politica di Giovanni Paolo II

In questi giorni, in Bosnia, l’ennesima richiesta di perdono del Papa. In proposito si ha l’impressione che le richieste di perdono da lui esternate in varie occasioni siano state in fondo un’iniziativa personale del Papa ed una Sua privata esigenza spirituale, non condivisa dalle gerarchie ecclesiastiche le quali in grande maggioranza non lo hanno mai seguito, né incoraggiato, in queste istanze di riconciliazione.

Ogni volta che la Sua presenza poteva rammentare a quei popoli fatti storici di particolare rilevanza che coinvolgevano l’operato della Chiesa, il Papa puntualmente li ricordava nelle sue visite e li classificava senza falsi pudori come imperdonabili errori commessi dalla Chiesa Cattolica nei confronti di quelle etnie.  Nella visione del Pontefice le frequenti ed insistenti richieste di perdono hanno voluto evidenziare la capacità della Chiesa di essere umile, di saper implorare il perdono per i propri errori e soprattutto la volontà di mostrare al mondo che nel seno di una struttura qual’è la Chiesa, a ragione ritenuta ancor oggi rigida e implacabile sia nei confronti dei suoi pastori che nei confronti dei fedeli, esista veramente la capacità di produrre quell’amore che viene da Essa indicato come comandamento imprescindibile della cultura cristiana.

Il Papa, per effetto del suo ruolo, peraltro affermato e sostenuto dogmaticamente dai Vescovi Cattolici, rappresenta teoricamente la voce ufficiale ed il pensiero unico del Cattolicesimo. Però, alle tante richieste di perdono del Papa non sono mai seguiti provvedimenti concreti di eliminazione dalla pratica del culto di quegli ostacoli che si frappongono al realizzarsi degli obiettivi dell’ecumenismo o di archiviazione di quei retaggi che tuttora sostengono strutture organizzative e principi, conservati nei secoli pressoché immutati, che originarono i fatti storici per i quali il Papa chiede oggi perdono, ma che sopravvivono nella formazione del Clero e nei comportamenti e che continuano ad inquinare i rapporti tra Clero e Fedeli.

La Chiesa cattolica “resiste” alle istanze di ammodernamento e riconfigurazione degli schemi e delle direttive, pur se questi ammodernamenti sono stati in buona parte teorizzati nell’ultimo Concilio e suggeriti da questo Papa nella filosofia delle sue richieste di perdono, nei suoi discorsi fondamentali pensati e scritti  personalmente e nella sua politica generale che ha avuto origine nel bel mezzo della vicenda storica da lui vissuta nel suo Paese e che egli ha esaltato e ricordato anche dopo il disfacimento del comunismo. Cosa diversa appaiono i pronunciamenti papali nelle lettere encicliche e nei documenti ufficiali che nascono nelle segreterie vaticane con il contributo di specificità cardinalizie cui non sempre il Papa può sottrarsi e che restano quindi legati alle antiche strutture canoniche e legislative ed ai medesimi regolamenti ecclesiastici che sono immutati da secoli. Paradossalmente quelle strutture hanno solo cambiato nome, ma sono le medesime che in passato hanno prodotto i fatti per i quali il Papa oggi chiede perdono.

(5) La Restaurazione

Nell’ultima lettera enciclica “Ecclesia de Eucharistia” indirizzata dal Papa ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici, sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa, si è forse realizzata, in netta opposizione alla faticosa opera condotta da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, la restaurazione del fondamentalismo cattolico. Un fatto questo assolutamente inaspettato per i Fedeli.

Rimane difficile comprendere come il Papa abbia deliberatamente voluto compiere, con la promulgazione di questa enciclica, un fondamentale “passo indietro” rispetto alle premesse anticipate durante tutto il suo pontificato e sostenute dalle aspettative dei Cattolici e dalle speranze dei Protestanti.

Sull’altro versante avviene un fatto epocale: gli Ebrei ortodossi si aprono ad un possibile riconoscimento dell’esistenza trascendente di un Messia storico già “venuto”, pur evidenziando l’immanenza della dicotomia manifestata dalle Scritture nei concetti biblici di Messia Salvatore e di Messia Re (cfr. Adriano Socci, “il Giornale” 1 luglio 2003).

Allora, sorge il sospetto che il Papa abbia firmato, senza averne del tutto valutato le conseguenze, una lettera enciclica manipolata o addirittura scritta dai solerti paladini dell’isolamento, padroni  di una Chiesa che continua a proclamare il suo primato senza lasciare alcuno spazio per un fruttuoso dialogo; questo genere di paladini sono i sostenitori del perpetuarsi di un modello spirituale obsoleto, dominato da un potere temporale immenso, benché mascherato da uno Stato con una modesta estensione territoriale, che contrasta con le dottrine evangeliche e con i principi basilari del perdono e della riconciliazione.

La promulgazione dell’enciclica “Ecclesia de Eucharistia” è recente, eppure i provvedimenti di sospensione “a divinis” in Germania sono seguiti alla promulgazione dell’enciclica con una tempestività veramente sospetta. Altre ne seguiranno, in Gran Bretagna e Stati Uniti. Il cardinale Ratzinger, per il ruolo di capo del Sant’Uffizio che ricopre, è ispiratore ed autore dell’enciclica ed contemporaneamente il responsabile giuridico delle sospensione o riduzioni allo stato laicale dei prelati dissidenti o innovatori delle pratiche di fede. Non basta una verniciata alla facciata per sostituire le ideologie antiumane con i principi di rispetto della persona. I Comunisti si sono dati il nome di Democratici, ma non è cambiato molto nell’approccio che essi manifestano di fronte ai diritti del cittadino ed alle modalità di governo. Il Sant’Uffizio ha dissimulato la vecchia e squalificata facciata che richiamava immagini di torture e inquisizioni, dietro l’esigenza di coltivare la “dottrina della fede”. In realtà poco è cambiato. Si sono attenuate le forme, ma la sostanza segue le vecchie strade del clericalismo immobile e ottuso. I secoli trascorrono lenti, ma la Chiesa continua a predicare bene ed a razzolare male. Come del resto ha sempre fatto.

(6) Le Vocazioni

Clero in crisi e mancanza di vocazioni, oltre che inadeguatezza e scarsa credibilità dei sacerdoti stranieri ordinati in fretta e immessi nelle parrocchie per supplire alle notevoli vacanze sacerdotali, hanno definitivamente allontanato dalle pratiche di fede quegli sparuti gruppi di fedeli che, sia pure  per tradizione, continuavano a frequentare, sia pure farisaicamente, la Chiesa, malgrado il difetto di consenso radicato nelle loro coscienze. In realtà servono missionari anche qui, in Italia e specialmente al bar sotto casa, oltre che a Timor Est o più lontano.

I tentativi di far acquisire l’abitudine alle pratiche della fede e di renderle quindi naturali, condotti dai laici appartenenti agli svariati “movimenti di evangelizzazione”, sono stati ovunque un fallimento, a causa della testimonianza negativa dei laici, ma anche e soprattutto a causa della testimonianza ancor più negativa offerta da sacerdoti senza scrupoli, incaricati di sostenere quegli stessi movimenti. E’ necessario operare un radicale cambiamento della condizione personale del sacerdote e rielaborare il rapporto tra sacerdote e fedele  su basi di reciproco rispetto e lealtà.

(7) Gli Ostacoli

I principali ostacoli all’inversione del fenomeno della carenza di vocazioni e della fuga dei “fedeli” dalle pratiche di fede sono rappresentati da due nodi sostanziali che la Chiesa conosce bene, ma che si rifiuta di sciogliere o di affrontare e che da secoli costituiscono il maggiore ostacolo alla riunificazione delle Chiese Cristiane. Un primo ostacolo è rappresentato dal divieto di contrarre matrimonio imposto ai sacerdoti; un altro è costituito dal mantenimento della forma inquisitoria nella pratica della confessione penitenziale, che contrasta con i principi fondamentali di libertà e di tutela della persona. Persino i criminali possono avvalersi della “facoltà di non rispondere” quando vengono interrogati dai P.M. Tra l’altro non è neanche assimilabile alle procedure adottate dalla Giustizia ordinaria l’atto penitenziale della confessione dei peccati. La Giustizia ordinaria si propone di individuare e punire, non di perdonare, i comportamenti delittuosi che danneggiano i beni e le persone costituenti la società. L’aver equiparato le procedure dell’atto penitenziale a quelle della Giustizia ordinaria, ha di fatto allontanato dal confessionale e dalla pratica penitenziale tutti quegli individui provvisti di una sensibilità spirituale che non consente loro di adottare pratiche autoassolutorie o comportamenti sleali o ipocriti. Piuttosto che assumere comportamenti diretti a sottrarsi ad una confessione umiliante, il fedele ha preferito allontanarsi dalle pratiche di fede perché i principi di libertà e rispetto della persona cui la società moderna lo ha abituato contrastano con quelli imposti da una dottrina ecclesiastica che in questo non è sostenuta neanche dal Vangelo e che ormai appare sorpassata e quindi non condivisibile.

Con queste premesse, la partecipazione effettiva al Sacrificio della S. Messa viene di fatto ostacolata, ma anche la semplice presenza in Chiesa comporta dei rischi cui alla lunga il fedele si sottrae, pur nascondendo nell’animo il desiderio di partecipazione. Il fedele  si limita quindi ad una presenza diplomatica ed al momento della distribuzione delle Particole rimane al suo posto e prova disagio perché viene additato all’interno della Comunità come soggetto indegno di assumere l’Eucaristia perché la sua astensione viene percepita come conseguenza del fardello di colpe inconfessabili che grava sulla sua coscienza.

La conseguenza successiva è la diserzione dalle pratiche del culto.

Spiace ricordare che negli anni passati, i problemi veramente rilevanti per i Vescovi furono soltanto quelli di abbreviare l’intervallo di tempo fra la consumazione di cibo e bevande e l’assunzione dell’Eucaristia. Come se quello fosse il problema della fuga dei Fedeli dalle Chiese. Mai fu affrontato il problema vero che era ed è quello della necessità di produrre norme ed esercitare controlli a tutela di una condotta della confessione da parte dei sacerdoti rispettosa della dignità personale dei penitenti.

La confessione, salvo illuminati casi di sacerdoti intelligenti e rispettosi appunto della dignità degli individui, ha mantenuto per tanti secoli una forma che fu elaborata in epoche storiche oscure e nel corso di regimi ecclesiastici totalitari certo non più proponibili. Però la Chiesa, per molti aspetti, non ha registrato i cambiamenti epocali che hanno cambiato l’Umanità e continua ad umiliare i fedeli indagando sulle loro coscienze ed allontanandoli dalle pratiche religiose. La confessione, così come venne concepita in origine, secondo la maggior parte dei sacerdoti prevede ancora oggi l’elencazione di pensieri, parole, opere ed omissioni cui, sotto la responsabilità morale e spirituale del penitente, potrebbe essere attribuito valore di peccato, veniale o mortale. Eppure il significato evangelico della confessione è rimasto intatto nelle scritture fin dalle epoche delle persecuzioni: la confessione della fede era sufficiente ad ottenere la grazia ed il martirio che ne seguiva era il mezzo per il raggiungimento della santità. A questo significato è ancor oggi legato il concetto di confessione e la presenza del fedele nella comunità, meglio se integrata dalla sollecitazione del sacerdote che ricorda all’assemblea le occasioni di peccato, dovrebbe  essere sufficiente a meritare la partecipazione al sacrificio dell’eucaristia.

Viene da pensare che una preselezione accurata dei propri comportamenti non solo è impossibile, ma presupporrebbe il possesso sia da parte del penitente che da parte del ministro del culto di una coscienza distorta e coartata disponibile ad attribuire valenza di peccato ad una impalpabile ed incommensurabile mole di “atti peccaminosi” in grado di coprire l’intera esistenza dell’individuo, minuto per minuto. La vita intesa come peccato. Ma se fosse vero ciò, si starebbe lottando contro la natura. Ma penso ci possa essere un approccio diverso che dia dignità all’uomo sacerdote e all’uomo penitente e fedele.

L’atto penitenziale si concretizza già con la semplice ammissione davanti al ministro, o davanti alla Comunità di aver mancato all’osservanza dei Comandamenti di Dio e soprattutto al comandamento dell’amore che li riunisce tutti. Purché tale atto venga accompagnato da sincera contrizione e dalla promessa di non più ricadere nelle stesse colpe e di riparare (obbligatoriamente quando é possibile) al danno provocato. Ci deve poi essere la richiesta che gli vengano rimessi i peccati come egli contestualmente li rimette ai suoi detrattori (obbligatoriamente, a pena di esclusione perpetua dal beneficio). La procedura di rito inquisitorio che il sacerdote applica al penitente dopo che questi ha confessato di aver peccato, di pretendere l’enumerazione delle singole mancanze e talvolta chiederne anche i particolari, si colloca quindi in un ambito di abuso morale e di sopraffazione psicologica che sono sicuramente al di fuori della legge umana e che con la legge divina non hanno sicuramente nulla a che fare; una tale procedura vanifica le conquiste di libertà compiute dal genere umano nei confronti di tutti i regimi totalitari e sopraffattori cui la Chiesa non fu certo estranea.

La confessione, articolata secondo la prassi che le gerarchie ecclesiastiche deliberatamente mantengono, malgrado il progresso dei popoli, la diffusione dei sistemi di governo democratici e la liberazione delle coscienze, non è altro che una umiliante imposizione in contrasto con lo stesso messaggio evangelico che ha inteso rispettare fin dalle origini l’essere umano ed il suo diritto naturale alla sua libera determinazione.

I Fedeli risolvono questa stortura storica inammissibile disertando dapprima la confessione e successivamente le altre pratiche del culto, con la conseguenza per la Chiesa di avere allontanato i fedeli dalla fede e modificato in senso ateista la società.

(8) La Riconciliazione

Per innescare il processo di riconciliazione tra i Cristiani sarebbero necessari da parte Vaticana almeno due atti fondamentali e dimostrativi della determinazione di voler ascoltare su un piano di pari dignità le ragioni del contrasto e della volontà di analizzare ed attualizzare i motivi storici che produssero le separazioni ed ammettere gli errori fondamentali commessi dai reggitori della Chiesa Cattolica dell’epoca. Alla luce dell’evoluzione oggi compiuta dal genere umano tutti questi fatti apparirebbero molto meno che un ostacolo alla riconciliazione.

In una fase successiva, attraverso una dichiarazione reciproca di perdono, come ci ha insegnato il Papa in questi anni, si potrebbe giungere ad una riconciliazione militante ed operativa. Non è vano riflettere sul fatto che la religione cristiana si basa proprio sul perdono e sulla riconciliazione. La Chiesa in questo campo dovrebbe dare dei segnali forti.

Innanzitutto dovrebbe saper congelare nelle mani di apposite Commissioni di studio congiunte (ce ne sono tante già all’opera, ma non hanno mandato di fare concessioni particolari) i temi che alimentano tuttora il dissidio fra la Chiesa Cattolica e le Comunità Cristiane protestanti, dissidenti e separate. In secondo luogo dovrebbe rinunciare, in quanto effetto di una determinazione umana, forse necessaria nel momento storico che la produsse, alla infallibilità del Papa ed al suo primato in senso teologico. Ormai di fatto  i pronunciamenti papali sono sempre più il frutto di un’ampia condivisione da parte dei Cardinali e dei Vescovi. Nulla cambierebbe se le decisioni teologiche e della fede fossero trasferite al Sinodo dei Vescovi che probabilmente articolerebbe queste competenze attraverso lavori preparatori di specifiche Commissioni, procedendo poi alle determinazioni con maggioranze qualificate. Il primato del Papa si potrebbe affermare facilmente in quello di riferimento unico per tutti i Cristiani. Il divieto al Clero di contrarre matrimonio nel corso dei secoli ha generato più mali di quelli che avrebbe generato se fosse stato mantenuto; si pensi ai tanti suicidi, trovatelli, infanticidi, sacrilegi, pedofilia, pratiche omosessuali, rapporti fra religiosi, testimonianze negative, pettegolezzi, scomuniche, sospensioni “a divinis” e anemizzazione delle vocazioni.

Anche le modalità con cui viene ancora oggi condotta la confessione hanno causato l’allontanamento di grandi masse di fedeli dalla pratica della Confessione ed incentivato l'accostamento al sacramento del'Eucaristia  di gente che non pratica più la confessione, per abitudine o per il convincimento che possa essere liberamente omessa e sostituita con un'autoassoluzione dai peccati, anche gravi. E’ su questo quindi che il Papa ed i Vescovi devono ragionare ed è su questo che si giocherà il futuro della nostra civiltà, in una delle fasi più critiche e drammatiche per il genere umano, caratterizzata da una parte dal depauperamento delle risorse e dalla crescente islamizzazione dei territori occidentali del mondo e dall’altra da una sempre crescente fame di Dio che senza una profonda rivoluzione Conciliare è destinata a rimanere tale o addirittura ad essere soddisfatta da altre religioni pret-a-porter... ossia senza obblighi morali ed iompegni particolari se non quello di apparire..


 

 

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