In questo breve saggio affronto il problema della reciproca accettazione tra
le Chiese dei cristiani separati e la Chiesa cattolica,
attraverso l’esame degli ostacoli che si frappongono al rapporto di fiducia che dovrebbere esistere tra credenti dello stesso Dio e progessanti Scritture provenienti dalla medesima fonte: Bibbia ed Evangeli. Partendo dall’esperienza manichea di
Sant’Agostino e dalla filosofia di Platone, un’escursione tra Chiese Cristiane,
Chiesa Cattolica e Fedeli.
(1) Le Forme di Intransigenza
IL
MANICHEISMO è la religione fondata dal
persiano Mani nel III secolo che fissa le sue basi su rigidi principi di
intransigenza e di intolleranza, la cui essenza può compendiarsi nel concetto
di una assoluta separazione tra bene e male.
Mani era
facilitato nella predicazione del messaggio religioso da lui inventato perché
si rivolgeva a popoli di varie religioni (mazdei, cristiani, ebrei, induisti e
buddisti) particolarmente disposti all’accoglimento di ogni messaggio
religioso, cioè i popoli stanziati nella regione mesopotamica. La diversità
delle etnie e dei credi religiosi di quei popoli fece avvertire a Mani
l’esigenza di una sintesi unificatrice. Le teorie pensate da Mani appaiono come
una miscela di riferimenti biblici, credenze popolari, elementi naturali
visibili, accostati argutamente tra loro per essere resi credibili e far presa
sulla coscienza umana, sulle paure cosmiche e sulla impenetrabilità dei
concetti astratti formulati nel quadro della sacralità. Si parla di sincretismo
manicheo orientato in senso gnostico, oppure basato sulla conflittualità tra il
Bene ed il Male. Si tratta di un sincretismo che descrive l’uomo insieme
arbitro e artefice del processo cosmico e della sua salvezza, che accoglie
tutto il pensiero espresso dalle spiritualità
delle diverse culture cui è destinato e che viene usato da Mani per
esprimere il suo concetto di dualismo ridotto a dimensione umana. Mani diede
vita ad un’organizzazione gerarchica ecclesiastica fondata su eletti assistiti
da uditori. I primi, organizzati in maestri, vescovi e preti (anziani),
dovevano essere capaci di “rinunciare alla vita” ed abbracciare la condizione
ascetica o monastica; gli uditori, cui veniva riconosciuta, a differenza degli
eletti, l’incapacità di opporsi alla perpetuazione della specie, erano quindi
destinati a tramandare la conoscenza (gnosi) alle future generazioni che
avrebbero poi prodotto nuovi eletti. L’obiettivo delle teorie manichee era
quello di rendere tutti gli uomini eletti con la prospettiva di una specie di
eutanasia generativa finale.
Sant’Agostino
fu per dieci anni uditore, si convertì al Cristianesimo e combatté i manichei.
L’ORTODOSSIA.
Il termine ortodossia, derivato dal greco “retta opinione”, definisce la
dottrina di una religione nella sua forma primitiva predicata nell’insegnamento
del suo fondatore e nei termini più integri e genuini in cui viene conservata
dal corpo sacerdotale che la trasmette ai fedeli. L’ortodossia è la forma più
larvata di intransigenza, perché parte dall’intenzione saggia e propositiva di
fissare i canoni della dottrina per impedire errate interpretazioni e quindi
una pericolosa deriva della fede. Ma come abbiamo visto nel corso dei secoli,
l’irrigidimento sulle diverse interpretazioni dottrinali, talvolta appoggiato
dal potere politico, è stato causa di
fratture che hanno dato luogo a persecuzioni, divisioni e separazioni. E’
comunque legittima l’esigenza di ogni religione di conoscere i termini della
“retta dottrina” ed anche per il cristianesimo si pose il problema della
definizione dei cardini di questa conoscenza. Parallelamente all’acquisizione
da parte del cristianesimo primitivo di concetti e termini propri di altre
tradizioni culturali, si andò sviluppando l’esigenza di fissare fin dagl’inizi
l’ambito e il senso in cui essi venivano adoperati, nonché la specificità dei
loro contenuti, dando luogo alla caratteristica dialettica fra ortodossia ed
eterodossia.
Le prime
tappe nel cammino verso la formazione di un’ortodossia vera e propria, ovvero
di una codificazione dottrinale vincolante per la totalità della Chiesa, sono
riscontrabili già nelle stesure più recenti del Nuovo Testamento. Nel corso del
II secolo, per combattere lo gnosticismo e fissare le definizioni della
dottrina cristiana, furono definite tre regole fondamentali della fede
ortodossa: il Credo battesimale, il canone del Nuovo Testamento e la
successione apostolica dell’episcopato. Le controversie sulla missione di
Cristo e sulla teoria della Trinità, nei secoli successivi contribuirono in
modo determinante al consolidamento dell’ortodossia con le definizioni
dogmatiche dei concili ecumenici, diventate non solo la norma dottrinale della
Chiesa, ma addirittura leggi dello Stato (pubblicazione dell’editto di
Teodosio, anno 381).
Con il
riconoscimento di valore normativo dato alle definizioni dei primi sette
concili ecumenici dal primo Nicea (anno 325) al secondo Nicea (anno 787) da
parte delle Chiese Orientali Ortodosse, si attua la stabilizzazione dottrinale
del cristianesimo nel periodo antico della storia della Chiesa. Così, mentre la Chiesa orientale congela e
stabilizza le posizioni dell’ortodossia, quella d’Occidente continua la sua
azione per la salvaguardia dell’ortodossia, ma i suoi contenuti proseguono in
un ininterrotto, ulteriore processo storico i cui esiti vengono garantiti
dall’autorità del magistero ecclesiastico.
Questa
incessante fase di indagine porta alla rottura, nel secolo XVI, dell’unità
confessionale della Chiesa d’Occidente, per cui si realizza anche nelle Chiese
sorte dalla Riforma luterana, la necessità di risolvere una serie di
controversie teologiche intorno ai punti nodali del pensiero di Lutero che
comporta una ricerca dell’ortodossia, che si consolida sui catechismi di
Lutero, sulla formula di concordia, ma soprattutto sugli antichi simboli
apostolici. L’ortodossia protestante è caratterizzata dalla metodica
elaborazione intellettuale della teologia della Riforma e, in generale, da un
rigoroso attaccamento alla retta dottrina. Nel medesimo periodo, nell’ambito
delle Chiese riformate, si sviluppa anche un’opera determinante di
codificazione dottrinale che ha lo scopo di delimitare i canoni della teologia
calvinista. Nel secolo XVIII, tanto lo sviluppo delle correnti pietistiche, quanto
il razionalismo critico del pensiero illuminista, portarono alla dissoluzione
dell’ortodossia protestante che andò concentrandosi su posizioni di
conservatorismo teologico impedendo lo sviluppo del pensiero protestante.
L’INTEGRALISMO
è un indirizzo politico che tende ad integrare in seno ad uno stesso movimento
ideologico diverse correnti o fazioni facendo riferimento ai principi comuni.
Il termine nasce nell’ambito della politica, ma viene istintivamente trasferito
all’ambito religioso quando la religione assume particolare rilevanza nella
formulazione di un’ideologia politica, com’è avvenuto nel mondo islamico. Nel
cattolicesimo l’integralismo indica il tentativo di rivendicare l’applicazione
più rigorosa e completa dei principi della dottrina cattolica e delle direttive
del magistero della Chiesa in ogni campo della vita pubblica. In particolare,
in Italia, dopo la II
guerra mondiale, sono definite integraliste le posizioni di quegli uomini
politici cattolici contrari ad ogni forma di compromesso, di accordo o di
alleanza con i partiti dichiaratamente laici per ideologia e dottrina e,
naturalmente, in primo luogo con il partito comunista.
IL
FONDAMENTALISMO definisce storicamente due movimenti religiosi: nella riforma
luterana distingue il gruppo che cercò di enucleare dal credo di Lutero le
verità “fondamentali” per metterle alla base del tentativo di “unificare le
numerose sette” che erano sorte in quell’epoca; negli USA prendono il nome di
fondamentalisti i protestanti più vicini ai cattolici che hanno enucleato
alcune verità di fede quali l’inconfutabilità delle Sacre Scritture, la verità
dei miracoli descritti nella Bibbia, la nascita di Cristo dalla Vergine e la
sua resurrezione, da contrapporre alle tendenze razionaliste e moderniste.
Alcuni fondamentalisti sono però rimasti vittime del millenarismo.
IL
FANATISMO è caratterizzato dall’esaltazione religiosa dovuta ad un forte
convincimento della propria fede che si fonda sull’intolleranza verso ogni
forma di interpretazione dottrinaria diversa, all’interno della stessa
religione, o nei confronti di altri credi. Ne abbiamo traccia storica in tutti
i tempi e in tutte le religioni. Si manifesta come scissionismo all’interno di
una religione o come persecuzione contro i fedeli della religione altra, ce viene
percepita come antagonista e portatrice di pericoli per gli adepti, che escono
dai luoghi di culto e si trasformano in giustizieri. E’ caratterizzato
dall’intransigenza e sostenuto dallo scopo dichiarato di correggere le storture
della religione ufficiale, ma ancor più dell’interpretazione che ufficialmente
viene data alle scritture, ai dogmi ed alle espressioni della fede ed è
sostenuta, non dal proselitismo o dalla predicazione dei principi dottrinari e
di culto elaborati all’interno del gruppo di fanatici, ma da attività
delittuose che si estrinsecano nella persecuzione cruenta e nel martirio di chi
non si allinea. La controriforma luterana fu caratterizzata dal fanatismo,
Hammas è un’organizzazione di fanatici, ancora oggi nella zona ad est dell’isola
di Timor gruppi di fanatici islamici perseguitano i Cristiani, Giovanna d’Arco
era il capo di una formazione di fanatici, i gruppi islamici algerini che
sgozzavano gli islamici tiepidi erano fanatici; l’oganizzazione terroristica Al
Qaeda è una formazione fondata sul fanatismo, il capo terrorista Bin Laden ed i
suoi numerosi adepti sono fanatici; così i Talebani e gli Imam sunniti.
L’AGNOSTICISMO
è un termine filosofico che indica il rifiuto di accettare soluzioni
dogmatiche o teoriche a problemi religiosi e di fede. L’agnosticismo teologico
è una corrente che nel valutare l’esistenza di Dio, si attiene esclusivamente a
ciò che è comprensibile dalla mente umana in base a procedimenti istintivi; i
Libri Sacri e la Tradizione
vengono adoperati per negare, piuttosto che per affermare. L’agnosticismo
prende atto della debolezza della ragione umana
e di conseguenza afferma la trascendenza del concetto di Dio. Nella fase
illuminista gli agnostici si opposero all’esaltazione della ragione, negando
che l’uomo avesse la capacità di giungere all’acquisizione persino delle
semplici verità di ordine naturale. Gli agnostici vengono compresi fra gli
intransigenti e gli intolleranti proprio per la loro incapacità di accettare il
benché minimo contraddittorio, persino sull’esigenza di divino che proviene
dall’individuo.
IL
RADICALISMO sorge in Inghilterra intorno
ai secoli XVII e XVIII e si diffonde rapidamente nel continente. Recepisce le
istanze individualistiche e libertarie dei movimenti religiosi dissidenti e
delle correnti filosofiche illuministiche, per ottenere dapprima una più
equilibrata distribuzione del potere nello Stato e successivamente maggiore
democrazia attraverso il suffragio universale e la riforma elettorale. La
formula radicale è comunque caratterizzata da un estremismo culturale e rivela
maggiormente la sua intransigenza in Francia, dove si richiama soprattutto ai
principi rivoluzionari noti come gli “immortali principi dell’89”.
(2) Le Riflessioni di Sant’Agostino
L’esperienza
vissuta da Sant’Agostino come uditore manicheo fa maturare in lui alcune
considerazioni spirituali e teologiche, assolutamente innovative per la sua
epoca, ancora attuali ed in parte non ancora del tutto risolte o addirittura
avanzate rispetto al pensiero di san Paolo. Agostino rimane influenzato dalle
teorie manichee specie da quella sulla concezione pessimistica della condizione
umana e, pur combattendo il manicheismo, dopo la sua conversione al
Cristianesimo, ne elabora i contenuti circa la sostanza dei concetti di bene e
di male, ma sempre nel quadro della filosofia platonica dalla quale egli è
affascinato.
Agostino
ha avuto il pregio, dopo aver ampiamente discettato sulle ragioni a sostegno dei dogmi, di saper concludere con
l’affermazione che l’uomo non può capirli e semmai li capirà, questo potrà
avvenire soltanto nel faccia a faccia del suo spirito con Dio dopo la morte.
Così sul mistero della Trinità.
Ma
l’opera più sconvolgente di Agostino rimane “Confessiones” che è un
ripensamento della sua vita dalla nascita alla conversione scritto sotto la
luce del rapporto fra uomo e Dio e che risulta un libro di intima emozione in
cui si alternano in modo a volte sconcertante i fatti con le discussioni
psicologiche, filosofiche ed esegetiche sul tempo, sulla memoria e sull’interpretazione
delle Scritture; vi si mescolano stili raffinati, invenzioni letterarie ed
espressioni immediate del sentimento che realizzano una delle opere più moderne
dell’antichità che non ha mai cessato di attrarre i lettori di ogni epoca.
Dallo studio delle opere di Agostino si può ricavare il
concetto secondo cui alcune sue riflessioni hanno anticipato di circa un
millennio le esternazioni rinascimentali di Bruno e Savonarola, cui solo
l’Illuminismo darà più tardi un vero valore etico. Ed appare evidente che al
suo tempo esistevano le medesime esigenze di ordinaria umanità che ancora oggi
caratterizzano l’uomo e che per secoli sono state etichettate dalla Chiesa
Cattolica come ostacolo alla frequentazione delle pratiche di culto e
all’esternazione della fede.
Secondo il principio della “verità interiore” formulato
da Agostino, il compito dell’educatore (sacerdote) è quello di portare alla
luce quella verità che esiste nell’animo umano e che è il segno della presenza
divina nell’uomo. E’ sufficiente questo
concetto, ormai attuale ai nostri tempi e assolutamente rivoluzionario ai tempi
in cui visse Agostino (354-430), ad elevare la condizione dell’esistenza umana
ed a far considerare l’uomo quale soggetto di diritti nei cui confronti il sacerdote deve indirizzare
la sua cura e il suo rispetto.
Il Maestro è Cristo, dice Sant’Agostino, ed il sacerdote
ha solo il compito di preparare l’ambiente all’azione del “Maestro interiore”
che è in ogni uomo.
Secondo Agostino, l’opera educativa deve essere vitale e
lontana dai formalismi delle istituzioni; il sacerdote deve accostarsi al
fedele con amore e umiltà e così facendo egli compie il ministero che gli è
stato affidato e realizza e perfeziona sé stesso.
Le
speranze dei fedeli di vedere adeguati i canoni cattolici al diritto naturale
ed alle aspettative spirituali della persona, non sono dunque comparse nei
tempi moderni, ma hanno caratterizzato tutta la storia del Cristianesimo e sono
state evidenziate ed affrontate fin dagli albori del Cristianesimo da
Sant’Agostino oltre che da teologi, filosofi e
ricercatori.
(3) Un Concilio Ecumenico Vaticano III
L’età e
le condizioni fisiche di Papa Giovanni Paolo II rendono ormai vane le speranze
di vedere proclamato a breve termine un nuovo Concilio Ecumenico che affronti i
nodi rimasti irrisolti per tanti secoli nel rapporto tra la Chiesa ed i fedeli e tra la Chiesa Cattolica
e le altre Chiese Cristiane.
Volendo
azzardare l’ipotesi che a succedere a Giovanni Paolo II possa essere un Papa
afro-asiatico, si può ragionevolmente presupporre che un evento così
inaspettato e rivoluzionario potrebbe costituire premessa valida per una
riforma sostanziale della Chiesa Cattolica. Potrebbe quindi considerarsi
prossima, più di quanto si possa immaginare, la proclamazione di quel Concilio
Ecumenico Vaticano III, da più parti auspicata, che dovrebbe soprattutto
risolvere i problemi che agitano oggi i fedeli e il clero e che a ben vedere
hanno assottigliato sia la schiera dei fedeli che quella degli operatori del
culto e che dovrebbe affrontare radicalmente le questioni che sono sul tappeto
ormai da anni.
Un
Concilio oggi, dopo le incomprensioni e i danni creati dal Concilio Ecumenico
Vaticano II, dovrebbe riesaminare e chiarire le interpretazioni dottrinali e le
modifiche seguite agli ultimi due e compensare i quattro secoli di assoluto
silenzio che li hanno preceduti, durante i quali l’arbitrio, la violenza ed i
mali la cui eco non si è ancora sopita,
hanno caratterizzato l’azione della Chiesa nel mondo.
La
proclamazione dell’infallibilità del Papa e dell’assunzione in cielo del corpo
di Maria, madre di Dio, sono stati due provvedimenti utili nel contesto in cui
si sono potuti realizzare, ma con ogni probabilità sarebbe necessario rivederli
alla luce delle mutate condizioni del mondo e delle mutate esigenze della
Chiesa.
Un
Concilio oggi, dopo l’esperienza papale di Giovanni Paolo II, sarebbe
sicuramente produttore di iniziative e di progetti in grado di accelerare il
già maturo processo di evoluzione in senso ecumenista del Cristianesimo e di adeguare
le strutture formali, ma soprattutto quelle ideologiche, della Chiesa ai tempi
moderni e all’accresciuta consapevolezza dell’uomo attuale che in breve tempo
ha modificato radicalmente, in senso peggiorativo, il modo di sentire la fede e la cognizione di
sé stesso.
(4) La
Politica di Giovanni Paolo II
In
questi giorni, in Bosnia, l’ennesima richiesta di perdono del Papa. In
proposito si ha l’impressione che le richieste di perdono da lui esternate in
varie occasioni siano state in fondo un’iniziativa personale del Papa ed una
Sua privata esigenza spirituale, non condivisa dalle gerarchie ecclesiastiche
le quali in grande maggioranza non lo hanno mai seguito, né incoraggiato, in
queste istanze di riconciliazione.
Ogni
volta che la Sua
presenza poteva rammentare a quei popoli fatti storici di particolare rilevanza
che coinvolgevano l’operato della Chiesa, il Papa puntualmente li ricordava
nelle sue visite e li classificava senza falsi pudori come imperdonabili errori
commessi dalla Chiesa Cattolica nei confronti di quelle etnie. Nella visione del Pontefice le frequenti ed
insistenti richieste di perdono hanno voluto evidenziare la capacità della
Chiesa di essere umile, di saper implorare il perdono per i propri errori e
soprattutto la volontà di mostrare al mondo che nel seno di una struttura
qual’è la Chiesa,
a ragione ritenuta ancor oggi rigida e implacabile sia nei confronti dei suoi
pastori che nei confronti dei fedeli, esista veramente la capacità di produrre
quell’amore che viene da Essa indicato come comandamento imprescindibile della
cultura cristiana.
Il
Papa, per effetto del suo ruolo, peraltro affermato e sostenuto dogmaticamente
dai Vescovi Cattolici, rappresenta teoricamente la voce ufficiale ed il
pensiero unico del Cattolicesimo. Però, alle tante richieste di perdono del
Papa non sono mai seguiti provvedimenti concreti di eliminazione dalla pratica
del culto di quegli ostacoli che si frappongono al realizzarsi degli obiettivi
dell’ecumenismo o di archiviazione di quei retaggi che tuttora sostengono
strutture organizzative e principi, conservati nei secoli pressoché immutati,
che originarono i fatti storici per i quali il Papa chiede oggi perdono, ma che
sopravvivono nella formazione del Clero e nei comportamenti e che continuano ad
inquinare i rapporti tra Clero e Fedeli.
La Chiesa
cattolica “resiste” alle istanze di ammodernamento e riconfigurazione degli
schemi e delle direttive, pur se questi ammodernamenti sono stati in buona
parte teorizzati nell’ultimo Concilio e suggeriti da questo Papa nella
filosofia delle sue richieste di perdono, nei suoi discorsi fondamentali
pensati e scritti personalmente e nella
sua politica generale che ha avuto origine nel bel mezzo della vicenda storica
da lui vissuta nel suo Paese e che egli ha esaltato e ricordato anche dopo il
disfacimento del comunismo. Cosa diversa appaiono i pronunciamenti papali nelle
lettere encicliche e nei documenti ufficiali che nascono nelle segreterie
vaticane con il contributo di specificità cardinalizie cui non sempre il Papa può
sottrarsi e che restano quindi legati alle antiche strutture canoniche e
legislative ed ai medesimi regolamenti ecclesiastici che sono immutati da
secoli. Paradossalmente quelle strutture hanno solo cambiato nome, ma sono le
medesime che in passato hanno prodotto i fatti per i quali il Papa oggi chiede
perdono.
(5) La Restaurazione
Nell’ultima
lettera enciclica “Ecclesia de Eucharistia” indirizzata dal Papa ai vescovi, ai
presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici,
sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa, si è forse realizzata, in netta
opposizione alla faticosa opera condotta da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II,
la restaurazione del fondamentalismo cattolico. Un fatto questo assolutamente
inaspettato per i Fedeli.
Rimane
difficile comprendere come il Papa abbia deliberatamente voluto compiere, con
la promulgazione di questa enciclica, un fondamentale “passo indietro” rispetto
alle premesse anticipate durante tutto il suo pontificato e sostenute dalle
aspettative dei Cattolici e dalle speranze dei Protestanti.
Sull’altro
versante avviene un fatto epocale: gli Ebrei ortodossi si aprono ad un
possibile riconoscimento dell’esistenza trascendente di un Messia storico già
“venuto”, pur evidenziando l’immanenza della dicotomia manifestata dalle
Scritture nei concetti biblici di Messia Salvatore e di Messia Re (cfr. Adriano
Socci, “il Giornale” 1 luglio 2003).
Allora,
sorge il sospetto che il Papa abbia firmato, senza averne del tutto valutato le
conseguenze, una lettera enciclica manipolata o addirittura scritta dai solerti
paladini dell’isolamento, padroni di una
Chiesa che continua a proclamare il suo primato senza lasciare alcuno spazio
per un fruttuoso dialogo; questo genere di paladini sono i sostenitori del
perpetuarsi di un modello spirituale obsoleto, dominato da un potere temporale
immenso, benché mascherato da uno Stato con una modesta estensione
territoriale, che contrasta con le dottrine evangeliche e con i principi
basilari del perdono e della riconciliazione.
La
promulgazione dell’enciclica “Ecclesia de
Eucharistia” è recente, eppure i provvedimenti di sospensione “a divinis” in Germania sono seguiti alla
promulgazione dell’enciclica con una tempestività veramente sospetta. Altre ne
seguiranno, in Gran Bretagna e Stati Uniti. Il cardinale Ratzinger, per il
ruolo di capo del Sant’Uffizio che ricopre, è ispiratore ed autore
dell’enciclica ed contemporaneamente il responsabile giuridico delle
sospensione o riduzioni allo stato laicale dei prelati dissidenti o innovatori
delle pratiche di fede. Non basta una verniciata alla facciata per sostituire
le ideologie antiumane con i principi di rispetto della persona. I Comunisti si
sono dati il nome di Democratici, ma non è cambiato molto nell’approccio che
essi manifestano di fronte ai diritti del cittadino ed alle modalità di
governo. Il Sant’Uffizio ha dissimulato la vecchia e squalificata facciata che
richiamava immagini di torture e inquisizioni, dietro l’esigenza di coltivare
la “dottrina della fede”. In realtà poco è cambiato. Si sono attenuate le
forme, ma la sostanza segue le vecchie strade del clericalismo immobile e
ottuso. I secoli trascorrono lenti, ma la Chiesa continua a predicare bene ed a razzolare
male. Come del resto ha sempre fatto.
(6) Le Vocazioni
Clero
in crisi e mancanza di vocazioni, oltre che inadeguatezza e scarsa credibilità
dei sacerdoti stranieri ordinati in fretta e immessi nelle parrocchie per
supplire alle notevoli vacanze sacerdotali, hanno definitivamente allontanato
dalle pratiche di fede quegli sparuti gruppi di fedeli che, sia pure per tradizione, continuavano a frequentare,
sia pure farisaicamente, la
Chiesa, malgrado il difetto di consenso radicato nelle loro
coscienze. In realtà servono missionari anche qui, in Italia e specialmente al
bar sotto casa, oltre che a Timor Est o più lontano.
I
tentativi di far acquisire l’abitudine alle pratiche della fede e di renderle
quindi naturali, condotti dai laici appartenenti agli svariati “movimenti di
evangelizzazione”, sono stati ovunque un fallimento, a causa della
testimonianza negativa dei laici, ma anche e soprattutto a causa della
testimonianza ancor più negativa offerta da sacerdoti senza scrupoli,
incaricati di sostenere quegli stessi movimenti. E’ necessario operare un
radicale cambiamento della condizione personale del sacerdote e rielaborare il
rapporto tra sacerdote e fedele su basi
di reciproco rispetto e lealtà.
(7) Gli Ostacoli
I
principali ostacoli all’inversione del fenomeno della carenza di vocazioni e
della fuga dei “fedeli” dalle pratiche di fede sono rappresentati da due nodi
sostanziali che la Chiesa
conosce bene, ma che si rifiuta di sciogliere o di affrontare e che da secoli
costituiscono il maggiore ostacolo alla riunificazione delle Chiese Cristiane.
Un primo ostacolo è rappresentato dal divieto di contrarre matrimonio imposto
ai sacerdoti; un altro è costituito dal mantenimento della forma inquisitoria
nella pratica della confessione penitenziale, che contrasta con i principi
fondamentali di libertà e di tutela della persona. Persino i criminali possono
avvalersi della “facoltà di non rispondere” quando vengono interrogati dai P.M.
Tra l’altro non è neanche assimilabile alle procedure adottate dalla Giustizia
ordinaria l’atto penitenziale della confessione dei peccati. La Giustizia ordinaria si
propone di individuare e punire, non di perdonare, i comportamenti delittuosi
che danneggiano i beni e le persone costituenti la società. L’aver equiparato
le procedure dell’atto penitenziale a quelle della Giustizia ordinaria, ha di
fatto allontanato dal confessionale e dalla pratica penitenziale tutti quegli
individui provvisti di una sensibilità spirituale che non consente loro di
adottare pratiche autoassolutorie o comportamenti sleali o ipocriti. Piuttosto
che assumere comportamenti diretti a sottrarsi ad una confessione umiliante, il
fedele ha preferito allontanarsi dalle pratiche di fede perché i principi di
libertà e rispetto della persona cui la società moderna lo ha abituato
contrastano con quelli imposti da una dottrina ecclesiastica che in questo non
è sostenuta neanche dal Vangelo e che ormai appare sorpassata e quindi non
condivisibile.
Con
queste premesse, la partecipazione effettiva al Sacrificio della S. Messa viene
di fatto ostacolata, ma anche la semplice presenza in Chiesa comporta dei
rischi cui alla lunga il fedele si sottrae, pur nascondendo nell’animo il
desiderio di partecipazione. Il fedele
si limita quindi ad una presenza diplomatica ed al momento della
distribuzione delle Particole rimane al suo posto e prova disagio perché viene
additato all’interno della Comunità come soggetto indegno di assumere
l’Eucaristia perché la sua astensione viene percepita come conseguenza del
fardello di colpe inconfessabili che grava sulla sua coscienza.
La
conseguenza successiva è la diserzione dalle pratiche del culto.
Spiace
ricordare che negli anni passati, i problemi veramente rilevanti per i Vescovi
furono soltanto quelli di abbreviare l’intervallo di tempo fra la consumazione
di cibo e bevande e l’assunzione dell’Eucaristia. Come se quello fosse il
problema della fuga dei Fedeli dalle Chiese. Mai fu affrontato il problema vero
che era ed è quello della necessità di produrre norme ed esercitare controlli a
tutela di una condotta della confessione da parte dei sacerdoti rispettosa
della dignità personale dei penitenti.
La
confessione, salvo illuminati casi di sacerdoti intelligenti e rispettosi
appunto della dignità degli individui, ha mantenuto per tanti secoli una forma
che fu elaborata in epoche storiche oscure e nel corso di regimi ecclesiastici
totalitari certo non più proponibili. Però la Chiesa, per molti aspetti, non ha registrato i
cambiamenti epocali che hanno cambiato l’Umanità e continua ad umiliare i
fedeli indagando sulle loro coscienze ed allontanandoli dalle pratiche
religiose. La confessione, così come venne concepita in origine, secondo la
maggior parte dei sacerdoti prevede ancora oggi l’elencazione di pensieri,
parole, opere ed omissioni cui, sotto la responsabilità morale e spirituale del
penitente, potrebbe essere attribuito valore di peccato, veniale o mortale.
Eppure il significato evangelico della confessione è rimasto intatto nelle
scritture fin dalle epoche delle persecuzioni: la confessione della fede era
sufficiente ad ottenere la grazia ed il martirio che ne seguiva era il mezzo
per il raggiungimento della santità. A questo significato è ancor oggi legato
il concetto di confessione e la presenza del fedele nella comunità, meglio se
integrata dalla sollecitazione del sacerdote che ricorda all’assemblea le occasioni
di peccato, dovrebbe essere sufficiente
a meritare la partecipazione al sacrificio dell’eucaristia.
Viene da
pensare che una preselezione accurata dei propri comportamenti non solo è
impossibile, ma presupporrebbe il possesso sia da parte del penitente che da
parte del ministro del culto di una coscienza distorta e coartata disponibile
ad attribuire valenza di peccato ad una impalpabile ed incommensurabile mole di
“atti peccaminosi” in grado di coprire l’intera esistenza dell’individuo,
minuto per minuto. La vita intesa come peccato. Ma se fosse vero ciò, si
starebbe lottando contro la natura. Ma penso ci possa essere un approccio
diverso che dia dignità all’uomo sacerdote e all’uomo penitente e fedele.
L’atto
penitenziale si concretizza già con la semplice ammissione davanti al ministro,
o davanti alla Comunità di aver mancato all’osservanza dei Comandamenti di Dio
e soprattutto al comandamento dell’amore che li riunisce tutti. Purché tale
atto venga accompagnato da sincera contrizione e dalla promessa di non più
ricadere nelle stesse colpe e di riparare (obbligatoriamente quando é
possibile) al danno provocato. Ci deve poi essere la richiesta che gli vengano
rimessi i peccati come egli contestualmente li rimette ai suoi detrattori
(obbligatoriamente, a pena di esclusione perpetua dal beneficio). La procedura
di rito inquisitorio che il sacerdote applica al penitente dopo che questi ha
confessato di aver peccato, di pretendere l’enumerazione delle singole mancanze
e talvolta chiederne anche i particolari, si colloca quindi in un ambito di
abuso morale e di sopraffazione psicologica che sono sicuramente al di fuori
della legge umana e che con la legge divina non hanno sicuramente nulla a che
fare; una tale procedura vanifica le conquiste di libertà compiute dal genere
umano nei confronti di tutti i regimi totalitari e sopraffattori cui la Chiesa non fu certo
estranea.
La
confessione, articolata secondo la prassi che le gerarchie ecclesiastiche
deliberatamente mantengono, malgrado il progresso dei popoli, la diffusione dei
sistemi di governo democratici e la liberazione delle coscienze, non è altro
che una umiliante imposizione in contrasto con lo stesso messaggio evangelico
che ha inteso rispettare fin dalle origini l’essere umano ed il suo diritto naturale
alla sua libera determinazione.
I Fedeli
risolvono questa stortura storica inammissibile disertando dapprima la
confessione e successivamente le altre pratiche del culto, con la conseguenza
per la Chiesa
di avere allontanato i fedeli dalla fede e modificato in senso ateista la
società.
(8) La Riconciliazione
Per
innescare il processo di riconciliazione tra i Cristiani sarebbero necessari da
parte Vaticana almeno due atti fondamentali e dimostrativi della
determinazione di voler ascoltare su un piano di pari dignità le ragioni
del contrasto e della volontà di analizzare ed attualizzare i motivi
storici che produssero le separazioni ed ammettere gli errori fondamentali
commessi dai reggitori della Chiesa Cattolica dell’epoca. Alla luce
dell’evoluzione oggi compiuta dal genere umano tutti questi fatti apparirebbero
molto meno che un ostacolo alla riconciliazione.
In
una fase successiva, attraverso una dichiarazione reciproca di perdono, come ci
ha insegnato il Papa in questi anni, si potrebbe giungere ad una
riconciliazione militante ed operativa. Non è vano riflettere sul fatto che la
religione cristiana si basa proprio sul perdono e sulla riconciliazione. La Chiesa in questo campo
dovrebbe dare dei segnali forti.
Innanzitutto
dovrebbe saper congelare nelle mani di apposite Commissioni di studio congiunte
(ce ne sono tante già all’opera, ma non hanno mandato di fare concessioni
particolari) i temi che alimentano tuttora il dissidio fra la Chiesa Cattolica
e le Comunità Cristiane protestanti, dissidenti e separate. In secondo luogo
dovrebbe rinunciare, in quanto effetto di una determinazione umana, forse
necessaria nel momento storico che la produsse, alla infallibilità del Papa ed
al suo primato in senso teologico. Ormai di fatto i pronunciamenti papali sono sempre più il
frutto di un’ampia condivisione da parte dei Cardinali e dei Vescovi. Nulla
cambierebbe se le decisioni teologiche e della fede fossero trasferite al
Sinodo dei Vescovi che probabilmente articolerebbe queste competenze attraverso
lavori preparatori di specifiche Commissioni, procedendo poi alle
determinazioni con maggioranze qualificate. Il primato del Papa si potrebbe
affermare facilmente in quello di riferimento unico per tutti i Cristiani. Il
divieto al Clero di contrarre matrimonio nel corso dei secoli ha generato più
mali di quelli che avrebbe generato se fosse stato mantenuto; si pensi ai tanti
suicidi, trovatelli, infanticidi, sacrilegi, pedofilia, pratiche omosessuali,
rapporti fra religiosi, testimonianze negative, pettegolezzi, scomuniche,
sospensioni “a divinis” e
anemizzazione delle vocazioni.
Anche
le modalità con cui viene ancora oggi condotta la confessione hanno causato
l’allontanamento di grandi masse di fedeli dalla pratica della Confessione ed incentivato l'accostamento al sacramento del'Eucaristia di gente che non pratica più la confessione, per abitudine o per il convincimento che possa essere liberamente omessa e sostituita con un'autoassoluzione dai peccati, anche gravi. E’ su questo quindi che il Papa ed i Vescovi devono ragionare
ed è su questo che si giocherà il futuro della nostra civiltà, in una delle
fasi più critiche e drammatiche per il genere umano, caratterizzata da una
parte dal depauperamento delle risorse e dalla crescente islamizzazione dei
territori occidentali del mondo e dall’altra da una sempre crescente fame di
Dio che senza una profonda rivoluzione Conciliare è destinata a rimanere tale o addirittura ad essere soddisfatta da altre religioni pret-a-porter... ossia senza obblighi morali ed iompegni particolari se non quello di apparire..