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La legge della domanda e dell’offerta sovvertita da provvedimenti non sostenibili

LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE ALEGGIA SULLE INCAUTE POLITICHE EUROPEE

Il DPE 2022 approvato ieri del Governo apre interrogativi sul futuro italo-europeo


20/10/2021 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

L’OPPORTUNITA’ D'INDEBITARE ANCORA IL PAESE CON UN ALTRO DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA IN PASSIVO

La fine della pandemia preoccupa gli economisti. A fronte di una offerta ancora debole e soprattutto non “stimolata” da adeguati investimenti governativi, sarebbe necessario concentrarsi sull’effetto che potrebbero avere sull’economia mondiale i colossali debiti affrontati dagli Stati per sostenere la situazione interna, atteso che il deficit accumulato, combinato con il prevedibile lancio sul mercato dei risparmi dei privati, potrebbe provocare una colossale inflazione senza il sostegno di adeguati investimenti. Gli economisti non sono concordi sui provvedimenti da intraprendere e tuttavia l’Europa e Governi  programmano ulteriori spese senza la necessaria copertura finanziaria. L’apertura della sequenza post COVID 19, materializzata dalla campagna di vaccinazioni ed il miglioramento della situazione sanitaria, risulta altresì segnata da numerosi interrogativi posti da numerosi economisti circa un eventuale ritorno dell’inflazione. A riguardo si fronteggiano due diverse scuole di pensiero: secondo i Keynesiani, guidati dall’economista americano Joseph Eugene Stiglitz (1943- ) l’inflazione non sarebbe altro che un fazzoletto rosso agitato dai liberali per controbilanciare i piani di rilancio governativi ed il sostegno alla domanda (1). A loro credito occorre obiettivamente riconoscere che, dopo il 2008 e la crisi dei subprimes, né gli episodi di creazione monetaria (o quantitative easing) lanciati dalle banche centrali, né i piani di rilancio programmati dagli Stati non si sono tradotti in una insorgenza dell’inflazione, al di là degli obiettivi previsti. Ancora nel 2020, i prezzi al consumo sono, secondo questa logica, rimasti al passo: +0,3 % nella zona euro e 2,3% negli USA. Ecco dunque a che punto siamo dopo 20 anni. Ma allora il campo liberale e gli economisti “dell’offerta” hanno comunque torto se continuano a suonare il campanello d’allarme ? Un fascio di indizi, tutti nella stessa direzione, lasciano pensare che quello che fino a questo momento sembrava impossibile potrebbe diventare pericoloso oggi. Un po’ ovunque, in tutto il mondo sviluppato, la crescita dei salari sembra nuovamente accelerarsi. I prezzi delle materie prime si infiammano (fino al 91% in un anno per quanto riguarda, ad esempio, i materiali ferrosi), così come anche il prezzo del barile di petrolio (ormai sopra gli 80 dollari e mai così vicino ai 100 dollari dal 2014). Le enormi masse finanziarie pubbliche (1900 miliardi di dollari da parte americana, 750 miliardi di euro da parte europea) oltrepassano le perdite di produzione private indotte dal forzato arresto dell’economia. Allo stesso tempo, il risparmio accumulato durante il confinamento (anch’esso considerevole ed in parte in via di tesaurizzazione da parte dei possessori) si mette ad irrigare il circuito dell’economia, dove viene ad aggiungersi ai salari dei consumatori. In effetti, c’è effettivamente da temere che un tale surplus di domanda non trovi di fronte una equivalente offerta – si disegna in questo caso lo scenario del surriscaldamento, ovvero il terreno fertile dell’inflazione, che sembra, d’altronde, già anticipare i mercati finanziari negli USA nel solco del piano di Joe Biden (1942 - ). Se l’ipotesi di un ritorno dell’inflazione è da prendere sul serio, è, anche soprattutto, perché essa potrebbe essere ipotizzata - almeno temporaneamente - dai banchieri centrali e dai governi come una alternativa alle imposte, per diminuire numericamente ed artificialmente il valore del debito pubblico (2). L’inflazione presenta, in questo caso, qualcosa di vantaggioso per gli Stati meno virtuosi, che aumentano i prezzi e le entrate fiscali, mentre nello stesso tempo consentono di rimborsare il debito con una moneta parzialmente erosa nel suo potere d’acquisto, a danno dei risparmiatori e degli stessi consumatori. L’accrescimento incontrollato dei debiti pubblici generato dalla gestione del COVID 19 potrebbe, pertanto, cedere il posto, all’uscita della crisi, ad una monetizzazione dei risparmi, mai vista in precedenza. Questa strategia, preconizzata dai discepoli di John Maynard Keynes (1883-1946), non risulta senza costi per gli agenti economici (aumento dei costi delle transazioni e degli aggiustamenti, effetti ridistributivi dei prestatori nei confronti dei debitori, conseguenze nocive, alla fine, sul finanziamento delle imprese e sulla crescita economica, ecc.). Per finanziare il debito pubblico, sarebbe meglio iniziare una riforma della fiscalità a favore della produzione e alleggerire gli eccedenti di bilancio attraverso una revisione del perimetro di intervento dello stato, piuttosto che basarsi sul pilotaggio dell’inflazione, che in questa specifica situazione particolare potrebbe risultare, sempre più, rischiosa. In definitiva, sarebbe opportuno un intervento tendente a stimolare la produzione più che la domanda, in modo da raffreddare il più possibile il fenomeno inflattivo. Non mi sembra che questa logica sia stata sufficientemente recepita anche dal nostro governo che, nel suo documento di programmazione economica per il prossimo anno, ha previsto ben 9 miliardi per stimolare la domanda e solo 8 miliardi per sostenere la produzione. Che l’economista Draghi sia diventato ostaggio della sua stessa maggioranza ?...

NOTE

(1) Stiglitz Joseph E., “Arretons de paniquer au sujet de l’inflation” (Smettiamo di avere paura dell’inflazione), Les Echos, 17 giugno 2021;

(2) Vedasi ad esempio: Levy-Garboua Vivien e Maarek Gerard, “Il ritorno dell’inflazione”, da Commentaire, n. 174.


 

 

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