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STORIA DELL’ANTICO DETTO “VOX POPULI VOX DEI” Acuino di York lo dedica a Carlo Magno con un significato diverso da quello apparente 05/03/2022 - Massimo Iacopi (Assisi PG) UN DETTO CREATO DAL FRATE INGLESE ACUINO PER CARLO MAGNO Probabilmente ideata da certo Acuino di York per l’Imperatore Carlo Magno del quale era Consigliere, l’espressione nasce e viene diffusa ammiccando ad un significato che a quel tempo poteva essere di attualità e di utilità per l’Imperatore, ma che nel corso dei secoli perse di effetto nel senso attribuitogli dal suo autore, passando alla storia con il significato letterale che in effetti vi si esprime. Carlo Magno non disponeva effettivamente di un eloquio maestoso, come del resto poteva dirsi dei Carolingi in genere. Per fortuna, il suo consigliere Alcuino di York aveva il senso delle espressioni che marcano gli spiriti e con questa espressione intese ammonire il suo sovrano affinché ascoltasse “Vox Populi” con una certa “precauzione”. Vox populi vox Dei (la voce del popolo è la voce di Dio), un curioso adagio venutoci da Medioevo che viene oggi utilizzato per giustificare le tesi più contraddittorie, dalla democrazia diretta, al culto dei sondaggi, dalla libertà d’espressione, alla giustizia popolare. La paternità della formula viene generalmente attribuita ad Alcuino di York (circa 735-804), il saggio consigliere anglo-sassone di Carlo Magno (742-814) fatto che, tra l’altro, non è del tutto dimostrato ! Verso il 798, mentre risponde ad una serie di domande erudite inviategli dal sovrano, Alcuino scrive: “Il popolo deve essere diretto secondo le leggi divine e non essere obbedito … Non bisogna ascoltare quelli che non smettono di dire: “La voce del popolo è la voce di Dio”, in quanto le vociferazioni di una folla di individui è sempre vicina alla follia”. Come dire, che Alcuino non difende in alcun modo la Vox Populi ! ed, anzi, al contrario, egli incoraggia Carlo Magno a rinforzare il regime della teocrazia reale, ovvero, il governo di Dio sulla terra, attraverso il solo re dei Franchi. Sarebbe stato interessante conoscere qualcosa di più su quelli che erano i contestatori di Alcuino, quelli che, con ogni probabilità, dovrebbero aver concretamente creato l’espressione, ma, purtroppo, la storia non ce li ha ricordati. In ogni caso, è evidente che il consigliere imperiale risulta infastidito da questa espressione, tanto più che i suoi consigli hanno delle conseguenze dirette sulla politica di Carlo Magno. Nel corso degli anni 790, l’imperatore governa con un autoritarismo crescente e nel suo palazzo di Aquisgrana il monarca fa persino installare il suo trono nella tribuna della Cappella Palatina, proprio sotto la rappresentazione del Cristo nella cupola ed al di sopra dello spazio riservato al popolo. Con questo gesto ideologico, egli vuol comunicare a tutti di essere il solo ascoltatore diretto della voce di Dio, fatto che l’autorizza a comandare il suo popolo, sia sul piano spirituale, che su quello temporale. Prevale il principio del consenso Nel 798, l’espressione “Vox Populi, Vox Dei” suona, dunque, come una critica ai nuovi orientamenti del regime carolingio. Forse è stata propagata da alcuni aristocratici che si ricordavano del tempo in cui il giovane Carlo Magno ascoltava ancora la volontà dei Grandi, in occasione delle assemblee annuali degli uomini liberi. Nell’espressione vi si possono anche intravvedere le possibili recriminazioni di una parte dell’episcopato, che si preoccupa nel vedere Carlo Magno decidere da solo anche sull’ortodossia cristiana o sulla modifica del testo del Credo, per sostenere il suo scontro diplomatico con Bisanzio. Gli avversari di Alcuino hanno buon gioco nell’avvalersi di una tale citazione, dalle evidenti assonanze bibliche. Di fatto nel Libro d’Isaia, tradotto in latino da San Girolamo (Sofronio Eusebio Girolamo, 347 circa-420), si trova la frase: “Vox populi de civitate, vox de templo, vox Domini”, ovvero “La voce del popolo che viene dalla città, la voce che proviene dal Tempio, è la voce del Signore”. (Isaia, 66, 6). L’espressione, condensata, diventa quindi: Vox Populi, Vox Dei”. Mentre Carlo Magno afferma di imitare i re del Vecchio Testamento, ecco dunque pervenirgli una parola che dovrebbe invitarlo a riflettere ! E se nessuno sogna di convertire il futuro imperatore ai meriti della democrazia partecipativa, almeno lo invitano a rispettare le regole del gioco politico, al momento prevalenti. Di fatto, l’immagine grandiosa dell’incoronazione reale avrebbe la tendenza a far dimenticare che nel Medioevo il principio del consenso prevaleva di norma su qualsiasi forma di legittimità. Il padre di Carlo Magno, Pipino il Breve (714-768), ha indubbiamente ricevuto l’unzione del papa nel 754, ma egli deve la sua corona ad una elezione popolare che era avvenuta tre anni prima. Orbene una tale abitudine doveva essere molto di più di un semplice dispositivo profano, derivato da una pretesa tradizione germanica. I suffragi dei peccatori vengono ignorati L’elezione alla vox populi risulta da un dispositivo cristiano. Forse Cristo non ha detto: “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò la in mezzo a loro” (Matteo, 18,20) ? Da allora, ogni assemblea solenne dei Cristiani verrà considerata ispirata da Dio. Sotto il regno di Carlo il Calvo (843-877), i teologi arrivano a dichiarare che ogni nuovo re risulta, si voluto dal Cielo, ma che la sua designazione si manifesta sulla terra attraverso il consenso dei Grandi riuniti intorno alla sua persona. Anche i vescovi devono la loro carica ad una elezione che riunisce il clero ed il popolo della loro città. In questa procedura, destinata a far venire alla luce la volontà divina, tutto si riduce ad una questione di interpretazione. Nel 991, ad esempio, Gerberto d’Aurillac (futuro papa Silvestro II, 940-1003) viene costretto a porre dei “distinguo” in una sua lettera circolare: “Certamente, ogni vox populi non è la voce del Signore ed, in una elezione, bisogna registrare solamente i voti … di quelli che sono puri e non corrotti”. In definitiva, votando in questo modo, non si dovrebbero contare i voti dei peccatori, che certamente non esprimono la voce di Dio. Gerberto, basandosi su questo originale principio, ha la gioia di annunciare a tutti la sua designazione a nuovo arcivescovo di Reims; in quanto il suo avversario Arnoul o Arnolfo (prima del 967-1021), anch’egli eletto, ha visto invalidata la sua nomina dalla base della “disonestà” dei suoi elettori ! Nonostante le manipolazioni, sempre possibili, il ricorso alla vox populi risulta frequente nel corso del Medioevo. In tal modo vengono celebrati come santi tutti i defunti che sono stati designati come tali dal consenso popolare, anche se, certamente, il clero organizza la liturgia e valida o squalifica determinati culti. Il Papato vuole anch’egli dire la sua parola nelle nuove canonizzazioni: un tale intervento, ancora timido nel X secolo, diventa sistematico a partire dal XIII secolo. Va, nondimeno, sottolineato che la procedura romana si basa sulla raccolta di testimonianza, ma, indirettamente, è ancora la vox populi che continua a designare i nuovi santi. Nel XIII secolo, lo sviluppo della teologia pontificia ed il consolidamento delle monarchie nazionali cominciano a rendere dubbie le manifestazioni non controllate dal sacro. L’espressione trasmessaci da Alcuino rimane, tuttavia, in uso ed anzi conosce un momento di ripresa e di interesse a partire dall’epoca moderna. Nel XIX secolo la si ritrova nella penna di tutti i fautori dei regimi politici rappresentativi. Diventata successivamente sospetta di clericalismo, la citazione si vede sempre più spesso amputata della sua seconda parte. A quel punto rimane solamente la Vox Populi intesa oggi come l’onnipotente opinione pubblica, mentre, in effetti, l’orecchio dei medievali era, al contrario, orientato solamente verso la parola divina. Per concludere queste poche linee vale anche la pena ricordare la espressione Nihil de principe, parum de Deo, una sentenza nata in tempi moderni e probabilmente sotto regimi di assolutismo, ma che molto si avvicina ai concetti di Alcuino di York. In effetti, la frase raccomanda alla gente di evitare, nelle conversazioni, di trattare di argomenti politici e religiosi che potrebbero infastidire e/o dispiacere alle autorità costituite. L’espressione vuole affermare, sottolineando con gli avverbi nihil (niente) e parum (poco), proprio il fatto che, su questa terra, può risultare altamente pericoloso esprimere giudizi più sull’operato di un sovrano o di un potere che sull’operato divino.
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