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Da Eraclito a Bothoul

COSA NE SO IO DELLA GUERRA

La riflessione di un sociologo francese sul fenomeno della guerra e della pace nella società


22/06/2022 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

COSA NE SO IO DELLA GUERRA

Questo breve saggio vuole presentare una riflessione sul fenomeno della guerra e della pace nella società, partendo da una citazione tratta da un libro “La guerra, cosa ne so io ?” 1959 del polemologo francese Gaston Bothoul (1896-1980), che viene spesso attribuita al filosofo greco ad Eraclito. Lo spettacolo della sollevazione delle città della Ionia contro Dario I (nell’anno -499), che ha dato origine alle guerre mediche, ha forse ispirato ad Eraclito (- VI / -V secolo) questa considerazione, di cui la guerra in Ucraina mostra con ogni evidenza la sua crudele attualità. Citazione di grande respiro, dalle molteplici interpretazioni: la sua cruda formulazione non sorprende molto nella bocca di questo padre del pensiero dialettico, ammirato anche da Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Il fatale concatenamento delle guerre e delle paci assume le sembianze di una legge d’evoluzione determinista, che regola lo sviluppo degli affari del mondo. Appare sorprendente l’inversione dei termini della proposizione: d’accordo che le guerre sfocino inevitabilmente in una pace più o meno giusta; ma Eraclito, affermando che ogni pace determina una nuova guerra, mette l’accento proprio sull’esame della pace, della sua natura e delle sue condizioni di instaurazione. Del resto, di quale pace si tratta?! Una pace di tipo cartaginese alimenta il risentimento, questo motore sconosciuto della storia: la pace firmata dopo Zama non ha, infatti, impedito la III Guerra Cartaginese (1871) e di Versailles (1919-20) hanno seminato i germi di guerre future. La pace armata (bellicosa, secondo l’espressione dello storico francese Raymond Aron, 1905-1983) resta comunque lorda di minacce, come lo evidenzia ancora l’attuale situazione della Corea. La guerra cova proprio sotto la … pace. Allo stesso modo, la pace civile (pace interna di uno Stato), resa fragile dalle lotte intestine e dalle “forze della notte”, può sfociare su una guerra civile. Anch’essa portatrice di rischi di internazionalizzazione del conflitto, come l’ha già dimostrato la Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Guerre a catena, guerre ineluttabili. Molti pensatori lo credono, prestandole persino delle virtù. Ma, credo si possa rimanere comunque d’accordo su un fatto: solo una pace di qualità respinge lontano lo spettro della guerra. In effetti, i Trattati di Westphalia (1648) ed il Congresso di Vienna (1815), frutto di lunghi negoziati (rispettivamente quattro anni e nove mesi) e di compromessi ragionevoli, fondati sul diritto hanno aperto la via a decenni di stabilità in Europa. Ma la pace attraverso il diritto, cui faceva riferimento Huig de Groot o Grotius (1583-1645) rimane, purtroppo, una costruzione fragile, in quanto, incessantemente, la guerra ha il “vizio” di ritornare a galla: la Pace di Nicias (nell’anno -421), conclusa per 50 anni fra Sparta ed Atene, è durata appena tre anni. Non meno di 130 conflitti hanno avuto luogo dalla creazione dell’ONU, dal quale ci si augurava che avrebbe potuto costituire una tappa decisiva verso la “pace universale”, sogno mai abbandonato dai grandi pensatori come Immanuel Kant (1724-1805) nel 1795. La guerra sarebbe, a questo punto, la norma di una specie di “stato di natura” delle relazioni internazionali e la pace l’eccezione? Eraclito lascia intendere che la frontiera fra la guerra e la pace è, per natura, fluida e sfumata. Il generale Carl von Clausewitz (1789-1831), nella sua opera Vom Krieg (Della Guerra), affermerà, in modo diverso, senza mezzi termini, che la “la guerra non è mai un atto isolato … la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”. Ma nel periodo sovietico si arriverà ad affermare, senza pudore, che “la pace non è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi” per la realizzazione del socialismo. Da quanto sopra deriva l’attuale indeterminatezza semantica: la guerra non viene più nominata (“avvenimenti” in Algeria; “operazione militare speciale” in Ucraina) e soprattutto non viene più dichiarata (l'aggressiione russo-tedesca in Polonia, l'aggressione giapponese a Pearl Harbour, le aggressioni NATO in Iraq, Serbia, Libia, Afghanistan, l'aggressione russa in Ucraina). La pace viene sempre più raramente firmata: il conflitto si ferma, ma il fuoco continua a bruciare sotto la cenere. Lo scienziato scrittore inglese Mark Leonard (1974- ; autore di The Age of Unpeace, 2021) ci dice che stiamo vivendo nel mondo globalizzato di oggi l’era della a-pace, una specie di zona grigia che non è più pace ma che non è ancora una guerra: ma bisogna pur sempre ricordare che una “pace impossibile” significa quasi sempre una “guerra probabile”. In tale contesto, guerra e pace si inscrivono in un continuo, in un concatenamento logico ed implacabile. Eraclito trasforma questa contraddizione nella stessa struttura dell’evoluzione. La tragedia ucraina smentisce crudelmente il progressismo e l’ottimismo del politologo Francis Fukuyama (1952- autore della La fine della storia e l’ultimo uomo, del 1992) e marca la fine “della storia” come conclusione idealizzata della pace e della democrazia, universali. La citazione di Eraclito che prefigura, invece, questo “ritorno della storia” deriva da un pensiero complesso; all’opposto del pensiero binario occidentale egli associa i contrari. Allo stesso modo, la sua concezione duale del tempo (secondo gli Ebrei il tempo è insieme lineare e circolare) associa successione (come in Occidente) e ciclo (come in Asia), come l’eterno ritorno delle stagioni. Dopo tutto, il filosofo greco é vissuto proprio nella città di Efeso, esattamente sul limite geografico di questi due mondi: Occidente ed Asia.


 

 

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