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L’ETERNA PRECARIETA’ DEGLI EQUILIBRI NEL SUD DEL CAUCASO Una regione da sempre crocevia di sbocco delle tensioni fra gli Stati russo, turco ed iraniano 21/01/2023 - Massimo Iacopi (Assisi PG) EQUILIBRI PRECARI NEL SUD DEL CAUCASO “Montagna di lingue”, il Caucaso del Sud si situa sull'intersezione della Russia, della Turchia e dell'Iran. Nel cuore di un arco di crisi dai Balcani all'Asia centrale, laddove gli antichi imperi di Russia, d'Iran e di Turchia si sono affrontati da diversi secoli. Se la dominazione imperiale russa e sovietica ha forgiato una base comune, la prospettiva di una integrazione economica fra questi Stati appare un pallido miraggio. Più di 70 lingue recensite dal geografo greco Strabone, tre importanti conflitti (Abkhazia, Ossezia del Sud, Alto Karabagh) fanno di questo istmo montagnoso un mosaico etnico confessionale, associato ad una terra cerniera fra il Mar Nero ed il Mar Caspio, fra l'Europa e l'Asia, fra Russia e Medioriente, fra islam e cristianità. Tre secoli di conquiste e di pacificazione hanno consentito ai Russi di consolidare il loro dominio nella regione e di cacciare i Persiani dall'altra parte delle rive del fiume Araxe, agli inizi del XIX secolo. Al momento, la regione del Sud del Caucaso con il crollo dell'URSS, è ridiventata il terreno di sfida della rivalità russo-turca. Traiettorie divergenti all'ombra degli imperi Con il recupero delle indipendenze nel 1991, lo spazio sud caucasico si é aperto nuovamente alle sfide geopolitiche internazionali, riaccendendo le antiche divergenze. La perestroika inaugurata da Mikhail Gorbacev (1931-2022) provoca una esplosione dei nazionalismi, mantenuti sotto una campana di vetro per circa 70 anni. Il Caucaso del Sud a quel punto si infiamma di nuovo e conflitti territoriali di natura postcoloniale, che si immaginavano congelati, entrano nuovamente in ebollizione nell'Alto Karabagh, in Abkhazia e nell'Ossezia del Sud. Per gli Armeni, la questione del Karabagh e della sua autodeterminazione fa parte integrante di uno stato sovrano e di una uscita accelerata dall'URSS, il cui potere risultava fautore dello statu quo. Ma a causa della sua isolata posizione geografica (enclave nell'Azerbaigian) e di fronte alla ripresa di un panturchismo costituito dall'asse Ankara - Baku, Erevan si guarda bene dal rompere gli ormeggi che la collegano alla nuova Federazione di Russia. L'accordo del 1992 comporta, in tale contesto, lo spiegamento di forze russe lungo le antiche frontiere sovietiche (frontiere armeno-turche ed armeno-iraniane), consentendo in tal modo ad Erevan di neutralizzare la minaccia turca e di consolidare i suoi sforzi per garantire alle forze locali del Karabagh la vittoria di fronte agli Azeri. Ma la protezione russa comporta un prezzo, perché si accompagna ad una inesorabile rinuncia all'aspirazione di una sovranità in cambio della sicurezza. Nel 1997, Mosca e Erevan concludono una alleanza difensiva. Un anno più tardi, il presidente armeno Levon Hacobi Ter-Petrossian (1945- ) viene costretto alle dimissioni dall'alla dura della sua coalizione ostile ad un piano di pace nel Karabagh, proposto dall'OSCE, sulla base di mutue concessioni. Il momento chiave avviene nel 1999 quando l'esecutivo armeno viene abbattuto da un commando terrorista che si era infiltrato nel recinto del Parlamento: l'Armenia perde, nella data del 27 ottobre, il suo Primo Ministro ed il suo Presidente del Parlamento, portatori di una vera visione dello Stato. A partire da questa data, la dipendenza energetica, economica e di sicurezza nei confronti del grande fratello russo non fa altro che accrescersi, mentre il cattivo governo, il sistema oligarchico e l'assenza di una soluzione pacifica nel Karabagh condizionano lo sviluppo economico ed accentuano una emigrazione di massa, che ha negative influenze sulla demografia. Nello spazio di 30 anni, l'Armenia perde 1,5 milioni di persone, fra le quali le forze vive della nazione, tanto che il rinnovamento generazionale risulta in serio pericolo. A partire dagli inizi degli anni 2000, l'essenziale dei settori strategici dell'economia armena passa nelle mani dei Russi. Questi ultimi rappresentano i fornitori esclusivi dell'Armenia in armamenti, proprio in un momento il paese, dalle deboli risorse viene impegnato in una corsa agli armamenti, scatenata dall'Azerbaigian, che progressivamente si è trasformato in repubblica petrolifera. Contrariamente all'Armenia ed alla Georgia, il paese azero ha tolto ogni spazio all'opposizione. Passato il trauma della sconfitta di fronte a forze armene, meno numerose, male equipaggiate, ma decisamente molto motivate, Heydar Aliyev (1923-2003), riprende in mano il paese, dopo una parentesi populista e panturchista del suo predecessore Abulfaz Elçibay (1938-2000), al potere dal 1992 al 1993. Due priorità contano per questo dirigente pragmatico: preparare la rivincita contro gli Armeni, che occupano illegittimamente circa il 15% del suo territorio internazionalmente riconosciuto ed affrancarsi dalla tutela del grande vicino russo che esercita diverse leve di pressione su Baku. Occorre ancora, in maniera preliminare, che l'Azerbaigian possa rimettere in sesto la sua economia il cui PIL é caduto del 60% dal momento dell'indipendenza. Per poter realizzare tutto questo diventa necessario e preliminare modernizzare le infrastrutture petrolifere, una necessità vitale, sia sul piano esterno, ma anche su quello interno, tenuto conto dell'impatto sempre più importante della crescita demografica. Immediatamente dopo alla presa di potere di a Baku nel 1993, Aliyev apre il paese ai maggiori petrolieri occidentali per rilanciare la produzione, trascurata dai Sovietici, per ridinamizzare l'economia del paese e per consolidare la sua indipendenza, liberandosi dal monopolio esercitato fino a quel momento da Mosca sulle sue risorse energetiche. Baku può contare in quel momento sul sostegno degli USA che vi intravvedono un mezzo per affondare un cuneo fra la Russia ed i suoi margini meridionali. Ma anche del Regno Unito, che si installa nel paese attraverso la British Petroleum. Nel luglio del 2006, viene attivato l'oleodotto BTC, che collega Baku al porto turco sul Mediterraneo di Ceyhan, via Tbilisi. Esso collega il Mar Caspio al Mediterraneo, facendo in modo di aggirare il territorio armeno. Effettuato questo passo decisivo, il rapporto di forze (economia, difesa demografia) che oppone Baku all'Armenia evolve nettamente a vantaggio di quest'ultima. Dieci anni più tardi, la Corte Costituzionale dell'Azerbaigian approva alcuni emendamenti costituzionali, proposti dal presidente Aliyev, che prevedono, tra figli altri, l'allungamento del mandato presidenziale da 5 a 7 anni, come anche la creazione delle cariche di primo vice presidente e di vice presidente. Questi due cambiamenti hanno lo scopo di accrescere il potere di Aliyev sulle strutture politiche nazionali. Ma le relazioni annodate con la Turchia, alcuni partenariati occidentali (con Israele, Regno Unito) ed asiatici (Pakistan, Kazakistan, …) favoriscono l'Azerbaigian nella sua azione diplomatica, che si mette in evidenza con una politica efficace nell'ambito di forum multilaterali al fine di far tacitare tutte le critiche loro indirizzate nei riguardi di carenze nel campo dei diritti dell'uomo. L'Azerbaigian, geloso della sua indipendenza, diffida delle organizzazioni di integrazione promosse dalla Russia e non desidera, nel contempo, approfondire i suoi legami con l'UE e la NATO con i quali coopera nel contesto del partenariato orientale per la pace. Da parte sua, la Russia, che ha perduto la sua unica base di radar a Gabala, nel nord dell'Azerbaigian, sin dal 2012, mantiene una leva di pressione attraverso la presenza del suo contingente di forze per il mantenimento della pace schierato nel Karabagh, dal momento del cessate il fuoco del novembre 2020. La rendita accaparrata da una ristretta fascia di potere, una economia di rendita permeabile alla “malattia olandese” (1), non impedisce a Baku di raggiungere risultati significativi e di resistere a diversi contrattempi. Il BTC, che fino al 2017 trasporta milioni di barili di petrolio, verrà ben presto affiancato da un altro gasdotto: il Baku - Tbilisi – Erzurum. La Russia replica a questa iniziativa, costruendo una derivazione che aggira a nord la Cecenia e con il Nord Stream. Nonostante tutto questo, la Russia ha perduto il monopolio del transito. La guerra delle pipelines danneggia l'Armenia, sistematicamente aggirata e l'apporto tecnologico consente un salto in avanti spettacolare alla produzione del petrolio azero che fornisce al paese entrate considerevoli. Il ruolo della Georgia La Georgia, sollecitando nel 1783 un protettorato dal suo potente vicino per garantire la sicurezza del paese contro le invasioni ottomane e persiane, ha fatto entrare il lupo russo nei suoi pascoli, finendo per essere annessa nel corso dell'anno 1800. Da allora, la continua ricerca di un patronato occidentale, capace di bloccare la spinta russa, resta una costante della politica georgiana. Contrariamente all'Armenia, isolata, la Georgia dispone di diverse possibilità per mezzo della sua geografia e della sua posizione di via di transito dei gasdotti. La rivoluzione delle rose del 2003 mette fine al post sovietismo (ma non alla corruzione). Il paese che aveva conosciuto un periodo di guerra civile e di caos nel periodo immediato all'indipendenza, conferma la sua collocazione nell'euroatlantismo, percepito come una assicurazione vita, a danno dell'amputazione di circa il 20% del suo territorio, controllato indirettamente dalla Federazione della Russia. La guerra russo-georgiana del 2008, incentrata essenzialmente intorno all'Ossezia del Sud ha posto un colpo d'arresto alle ambizioni di Tbilisi di recuperare i territori che sfuggono al suo controllo dopo la caduta dell'URSS, ad eccezione dell'Adjaria, a maggiorità mussulmana. Tbilisi gioca oggi la carta del riavvicinamento con l'Unione Europea (un accordo di associazione é stato firmato nel 2014) e con alcune strutture della NATO. L'accesso della Georgia allo statuto di membro a pieno titolo dell'Alleanza Atlantica pone comunque grandi interrogativi e rimane ancora oggi indefinito, come un personaggio dell'Arlesiana, in quanto la NATO tempera in permanenza le richieste georgiane, pur offrendo “condizioni speciali” alla Georgia (approfondimento della cooperazione nel settembre 2014, apertura di un centro di addestramento della NATO, ecc.). La Russia conta molto oggi sulla “stanchezza atlantica di Tbilisi per rinforzare la sua influenza: in effetti, la dirigenza georgiana risultano sempre più deluse dalle esitazioni della NATO, da dopo la guerra del 2008. La questione dell'adesione alla NATO ed alla UE ha assunto un nuovo slancio all'indomani dell'invasione dell'Ucraina. Ma la Georgia rimane un paese vulnerabile nel contesto della guerra in Ucraina e dall'eventualità che il Mar Nero si trasformi nuovamente in un lago russo. La Georgia, avendo annodato un partenariato stretto con i vicini mussulmani (Turchia ed Azerbaigian) in una relazione di interdipendenza, Tbilisi considera l'Armenia come una via di accesso verso l'Iran e l'India ed il Medio Oriente. Se le questioni della minoranza armena di Djavakhia e della confisca dei beni della Chiesa apostolica armena da parte del clero georgiano costituisce ancora un motivo di frizione, il momento appare favorevole per approfondire le relazioni bilaterali commerciali ed economiche, ancora al di sotto del potenziale esistente fra i due vicini. Nel 2020, la Georgia aveva esportato beni per 185 milioni di dollari ed importato dall'Armenia circa 86 milioni di dollari (nello stesso periodo le importazioni dall'Azerbaigian sono state di 441 milioni di dollari); il commercio bilaterale armeno georgiano non riguarda i servizi. Tanto che le condizioni non sono ancora favorevoli affinché Tbilisi possa giocare un ruolo di mediazione fra Baku ed Erevan. Una Unione Europea eterea ed impercettibile Un gran numero di attori internazionali risultano presenti nella regione da dopo l'indipendenza. L'ONU e l'OCSE si sono fortemente ingaggiate nell'area, il primo nel regolamento dei conflitti d'Abkhazia, la seconda nell'Ossezia del Sud e nell'Alto Karabagh (attraverso il Gruppo di Minsk, attualmente moribondo), ma senza grande successo. Regna una grande confusione una grande confusione di idee per quanto riguarda che cosa sia realmente e le competenze dell'OSCE, del Consiglio d'Europa (che raggruppa nel suo ambito le tre repubbliche transcaucasiche) e dell'Unione Europea, mentre un enorme numero di ONG occidentali pullulano in Armenia, in minor misura in Georgia e nell'Azerbaigian. Incaricate ufficialmente di promuovere i diritti dell'uomo, la pace nella regione o ancora lo sviluppo della democrazia, alcune di esse sono sospettate di operare in conformità con l'agenda SOROS (Open Society) o ancora peggio di condurre operazioni di spionaggio a vantaggio dei servizi di informazioni occidentali. Il Caucaso del Sud, sullo sfondo di tensioni interetniche, cristallizza le opposizioni e le appartenenze strategiche divergenti delle tre repubbliche transcaucasiche. Questo spazio, a suo tempo isolato, fra gli imperi russo ed ottomano, si inscrive nella vicinanza dell'Unione Europea che, a partire dall'allargamento del 2004 si trova in grandi difficoltà ad elaborare una strategia foriera di prospettive promettenti. Assenza di coerenza, aiuto umanitario poco coordinato, difficoltà di far fruttificare in capitale politico, investimenti eterogenei ed eterocliti caratterizzano oggi le relazioni di Bruxelles con le tre repubbliche. Eppure l'UE aveva impostato una architettura della sua politica caucasica, firmando nel 1999 Accordi bilaterali di Partenariato e di Cooperazione (APC) in una prospettiva di allargamento verso l'est. In occasione del grande allargamento dell'UE del 2004, era stata messa a punto una politica di vicinato sud caucasico, ma gli Europei si scontrano con le difficoltà di un insieme largamente disunito. La Russia, di fronte agli Europei, non esita a ricorrere ad una strategia di destabilizzazione regionale, per contrastare i progetti occidentali (guerra del 2008; sostegno tacito all'offensiva turco-azera del 2020 nel Karabagh), mentre il Regno Unito sembra agire da cavaliere solitario solo nei confronti dell'Azerbaigian, riprendendo, da parte sua, la tradizionale politica pro-azero del 1918, dettata dai suoi interessi nazionali e nel contesto (Rimland/Heartland) del contenimento della Russia. In questo grande gioco, la Russia dispone di numerosi atout. Essa resta in una posizione di quasi monopolio nelle forniture di energia al suo vassallo armeno, che ha dovuto, sotto le pressioni russe, rinunciare all'accordo di associazione con l'UE del 2013 per associarsi alla Unione Economica euroasiatica, mentre le relazioni russo-azere si sono considerevolmente riscaldate dopo l'arrivo al potere di Vladimir Putin (1952- ). Per memoria, Heydar, il padre e predecessore di Ilham Aliyev (1961- ), aveva diretto per molti anni il KGB azero prima di essere stato trasferito al Politburo a Mosca. Una affinità che consolida le relazioni fra Baku ed il Cremlino, mentre le relazioni armeno-russe vanno incontro ad un periodo di sfiducia e di turbolenza, dopo l'arrivo al potere del giornalista ed oppositore Nikol Pachinian nel 2018, attraverso un movimento di disobbedienza civica, rapidamente ribattezzato “rivoluzione di velluto”. Il dopo guerra dell'Alto Karabagh ha ridistribuito le carte a favore dell'Azerbaigian, spinto dalla fretta di massimizzare i suoi vantaggi, ottenendo il maggiore possibile di concessioni territoriali da parte dell'Armenia. La prospettiva del blocco delle importazioni di gas russo ha spinto gli Europei nelle braccia degli Azeri, in cambio di vantaggi nel regolamento del problema del Karabagh e nel rispetto della integrità territoriale dell'Azerbaigian. Questo è stato l'oggetto dell'incontro tripartito a Bruxelles del 6 aprile 2022 fra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (1975- ) ed il presidente azero Ilham Aliyev ed il Presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel (1975- ). In cambio della rinuncia dell'Armenia, che ha perduto il suo ruolo di garante dell'integrità dell'Alto Karabagh, al diritto all'autodeterminazione della popolazione armena di questa enclave, l'UE prevede lo sblocco di un importante pacchetto di aiuti allo scopo di finanziare progetti di infrastrutture e di vie di comunicazione. La Russia, indebolita dalla guerra in Ucraina risulta in minor misura nelle condizioni di contenere la Turchia nel Caucaso del Sud, regione dove Ankara, spera di riprodurre il formato di Astana, ristabilendo una specie di condominio russo-turco che possa mantenere gli Occidentali ai margini dell'area. Da parte sua, la repubblica islamica d'Iran, che non vede di buon occhio i tentativi azeri di annettere il Siunik (sud del corridoio di Zanzegur armeno), catenaccio strategico del panturchismo. Ha stabilito una linea rossa, accrescendo le manovre non lontano dalla sua frontiera con l'Azerbaigian. Esiste una identità trancaucasica ? Nel maggio 1918 le proclamazioni indipendenza della Georgia, seguita dall'Azerbaigian e dall'Armenia, mettevano definitivamente fine all'effimera Federazione della Transcaucasia che é durata in tutto lo spazio temporale di qualche mese. Ognuno di questi nuovi stati presenterà al riconoscimento internazionale le rispettive frontiere con pretese nazionali antagoniste, esacerbando litigi fra i tre paesi, con una focalizzazione sulle dispute armeno-azere riguardanti lo statuto del Karabagh, del Siunik e del Nakhitchevan. Da parte loro, Armeni e Georgiani conducono una corta guerra per il controllo del Lori e della Djavakhia. Se la Georgia e l'Armenia hanno messo fine al loro litigio, l'Azerbaigian, che ha recuperato il controllo di una gran parte dell'Alto Karabagh nel corso del 2020, nutre progetti irredentisti nel Siunik (corridoio di Zangezur), sul lago Sevan e sulla stessa città di Erevan, considerate, a loro dire, come terre storicamente azere. Racconti antagonisti, alimentati da una storiografia nazionalista, elaborata a partire dagli anni 1960, costituiscono una sfida maggiore per le popolazioni future desiderose di ancorare la regione verso un avvenire comune. L'effimera Repubblica Federativa Transcaucasica, proclamata nel 1918, con capitale Tbilisi, non è riuscita a sopravvivere alla prova dei nazionalismi e di padrini esterni anch'essi animati da interessi antagonisti. In effetti, conflitti insolubili rinforzano la frammentazione di un'area, che ad un esame più accurato, presenta economie proprio non esattamente complementari, tanto che risulta quasi impossibile parlare di Caucaso del Sud come una vera regione. Un altro ostacolo all'integrazione dell'area è rappresentato dalla complessità interna sul piano nazionale e dalla debolezza istituzionale endemica dei tre stati, che li ha frenati nella risoluzione dei conflitti e ha permesso a nuove repubbliche autoproclamate di stabilire una autorità de facto. Queste ultime vedono nella riannessione alla Russia l'unica via di salvezza, come è stato a suo tempo dimostrato dalla richiesta formulata dall'Ossezia del Sud (anche se non si può escludere a priori lo zampino del lupo russo) e le aspirazioni dell'Alto Karabagh, praticamente abbandonato dall'Armenia, spingono per una accelerazione di una loro reintegrazione nel girone di Mosca. Mentre la guerra in Ucraina vede saltare in pezzi i fragili equilibri, il momento sembra propizio per la ricomposizione di un nuovo Caucaso, teatro di cooperazione concorrenziale russo-turca e nel quale la Russia ed i suoi alleati andranno incontro ad una perdita di influenza. In ogni caso, a prescindere dall'esito dei conflitti, per l'area rimane sempre valido lo storico detto di Brenno: “Guai ai vinti!...”.
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