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Resoconto sui cittadini europei La questione del latte Feb 18 1999 12:00AM - C. SARCIA' (Rieti) Ho letto con un certo
interesse la relazione del sig. Giorgio Vaccari a pag. 8 di Mondo Sabino del 18
febbraio, se non altro perché il tema Europa era stato
anche da me, toccato nella medesima pagina, nel quadro di una conferenza
organizzata dal Lions Club di Antrodoco. Non mi è sfuggito
lo sfogo dai toni appassionati del sig. Vaccari in
favore dell’agricoltura italiana, ma in particolare a sostegno dei produttori
siciliani colpiti di recente dai provvedimenti della Commissione Europea in
materia di quote latte. Non posso non
notare che il sig. Vaccari, probabilmente a ragione del suo cognome, ha
evidentemente votato la sua esistenza alla difesa di
un animale tanto utile all’uomo, la vacca, appunto. Vorrei
però dire al sig. Vaccari che dal suo articolo traspare un’acredine non
solo nei confronti delle personalità che con la loro presenza illustravano la
tavola rotonda di cui egli riferiva nell’articolo, ma soprattutto verso la
nascente Europa. E vorrei anche dirgli che le
eventuali responsabilità dell’Italia, nel contesto di un’Europa che ci riguarda
sempre di più, ma che spesso viene trascurata, non possono di certo essere
addebitate alle personalità il cui coinvolgimento nella politica nazionale ed
estera risale, nel caso specifico, a meno di un anno fa. Paradossalmente,
le maggiori responsabilità potrebbero forse ricercarsi nelle condotte degli
stessi produttori. Capisco che ognuno sente e vede quel che vuole sentire e vedere, e che è nella natura dell’uomo ricercare
negli altri le colpe dei propri disastri. Non sarà quindi una generica tavola
rotonda sui trattati di Maastricht a far cambiare idea ad un
antieuropeista come, mi sembra di capire, sia il sig. Vaccari che
giustamente si preoccupa del destino di qualche centinaio di vacche e relativi
applicati, ma probabilmente non ha avuto modo di conoscere qualche particolare
significativo della storia dell’agricoltura siciliana. Forse le motivazioni della protesta contro l’esecrato
provvedimento europeo potrebbero essere ricercate
nell’atteggiamento con cui la generalità dei produttori italiani di latte si è
da sempre posta di fronte all’Europa, considerandola piuttosto una vacca da
mungere che non un club di partners, nel quale si riceve e si dà, tributando
agli altri il medesimo rispetto che si pretende per sé e che generalmente si
riserva ad amici e collaboratori. Questa volta sono in primo piano le vacche siciliane e
vorrei, da Siciliano, raccontare al sig. Vaccari un episodio che ebbi modo di rilevare personalmente nei primi anni Sessanta.
All’epoca, non solo in Sicilia, si era
in pratica ancora nel “dopoguerra”: l’industria italiana progrediva, sia pure
con lentezza, ma per l’agricoltura le cose non andavano particolarmente bene,
in modo particolare al Sud. Le risorse erano limitate, i salari bassi, i
contributi statali non coprivano le maggiori spese, le garanzie erano minime e
i produttori escogitavano espedienti per far quadrare i bilanci e ricavare più
utili dalle loro attività. Io ero ancora un ragazzo, ma già
l’Europa mi interessava moltissimo. Sono nato a
Scordia, grosso Centro, in provincia di Catania, notoriamente produttore di ottime arance, e mi piaceva seguire con interesse, come
del resto faccio ancora oggi, le notizie relative alla promozione dei prodotti
siciliani nel mondo. Le arance di Scordia venivano esportate persino in America, ma in special modo
coprivano la richiesta dei vicini Paesi mitteleuropei. La supremazia siciliana
durò fino a che non si sviluppò la concorrenza della Spagna, della Grecia e del
Marocco e fintantoché non si affacciarono sul mercato i prodotti israeliani. Si diceva, ricordo, che Israele
era riuscito a cavare l’acqua dal deserto, trasformandolo in un “giardino” e
che era diventato un temibile concorrente per tutti i produttori mediterranei.
Anche le nostre piantagioni di arance erano chiamate
dai Siciliani “giardini”, con la differenza che in Sicilia tutta l’acqua che
Israele aveva fatto sgorgare dai sassi, non c’era e, quella poca che c’era, era
oggetto di particolari attenzioni da parte della cosiddetta “mafia dei
giardini”. Vengo al sodo. Per cercare di battere la
concorrenza, i produttori siciliani abbassarono i prezzi ed in mancanza di una adeguata produzione, a causa della penuria di acqua da
irrigazione, ricorsero allo stratagemma di riempire le cassette da esportazione
con arance di piccola taglia, completando l’ultimo strato con arance della
migliore qualità e pezzatura. Il giochetto durò poco. Gradualmente le commesse vennero dirottate sugli altri Paesi del Mediterraneo,
produttori, è vero, di arance di qualità meno pregiate, ma sostanzialmente più
affidabili dei produttori siciliani che avevano, con quella stupida ribalderia,
distrutto l’immagine delle arance più pregiate del mondo, riuscendo
stupidamente a peggiorare la loro situazione economica, piuttosto che
migliorarla. Forse la migliore strategia sarebbe stata quella di incrementare
moderatamente i prezzi e mantenere invece alto il livello della qualità
destinata all’esportazione. Non desidero con ciò accreditare i miei conterranei come
gente inaffidabile e truffaldina. Dietro quei comportamenti c’era la povertà,
l’ignoranza, la scarsa avvedutezza e, forse, la presunzione che i destinatari
di quei “sarchiaponi” fossero in realtà più fessi di
quanto apparissero nel loro immaginario. Da allora sono passati molti anni e si sono raggiunti più
alti livelli di redditività e qualitativi. I successivi e più intensi rapporti
con i popoli vicini hanno fatto maturare le coscienze ed hanno accresciuto la
cultura della cooperazione e dello scambio. Proprio per questo non è difendibile la posizione di chi con
la frode e con il sotterfugio tenta di far lievitare i propri guadagni
illegalmente, lesinando proprio sulla lealtà verso i partners che dovrebbe invece imporsi come base del sogno europeo che
insieme si sta cercando di realizzare.
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