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La modifica del quadro geopolitico del Mediterraneo alla fin del 1200

I VESPRI SICILIANI

La rivolta di Palermo blocca le ambizioni di Carlo d’Angiò


09/06/2023 - Massimo Iacopi


(Assisi PG)

QUELLA VOLTA CHE I SICILIANI INSORSERO

“A morte i Francesi !” Il 30 marzo 1282 Palermo si solleva contro il suo sovrano, Carlo d’Angiò: ha inizio un vero massacro. In un mese la rivolta guadagna tutta l’isola e mette in ginocchio il più temibile dei principi dell’Occidente. Certuni hanno voluto vedere dietro i Vespri Siciliani un complotto internazionale contro il potente Carlo d’Angiò. Pietro III d’Aragona in particolare, poteva essere preoccupato per le mire di conquista dei Capetingi nel Mediterraneo. Sembra piuttosto che l’iniziativa della rivolta debba attribuirsi agli stessi Siciliani, fatto che contribuirà anche all’affermazione di una identità siciliana.Secondo la cronaca anonima “La Rivolta di Sicilia”, questa sarebbe stata la risposta di Pietro III (1240-1285), conte di Barcellona, Re d’Aragona e di Valenza, alla proposta di cacciare Carlo I d’Angiò (1226-1285) dal trono di Sicilia, avanzatagli da Giovanni da Procida (1210-1298), uno dei suoi consiglieri: “Sei pazzo ..? … Non sai che la Casa di Francia domina il mondo intero ed in particolare il re Carlo ? Come potrebbe un signore di così piccola potenza, come lo sono io, trovare i mezzi per opporsi a lui”Questa cronaca ci lascia capire lo stupore che colpisce gli spiriti del tempo di fronte all’incredibile rovescio che subirà poi il re capetingio.Il 30 marzo 1282, lunedì di Pasqua, scoppia a Palermo la rivolta, che doveva poi chiamarsi dei “Vespri Siciliani”, a causa dell’ora del suo inizio, alla fine del pomeriggio. Secondo le cronache contrarie a Carlo I, regnava sull’isola a partire dal 1266, anno della conquista, un sentimento di odio contro il nuovo sovrano e contro i franco - provenzali ai suoi ordini. Gli abitanti della Sicilia si trovavano ridotti ad una “intollerabile schiavitù” da parte “dell’Anticristo del Regno di Sicilia”. Egli aveva sguinzagliato “dei lupi voraci nei (loro) ovili”Infatti Egli non smetteva di esigere imposte e requisizioni. L’aristocrazia siciliana si vedeva umiliata. I baroni indigeni venivano trattati come “cani”. I cittadini di Palermo e le donne palermitane subivano numerose ingiurie da parte delle soldatesche. Ed è proprio a Palermo che si verifica, il 30 marzo, l’offesa che fa traboccare il vaso, durante lo svolgimento di una festa animata. Con la scusa di cercare delle armi nascoste, un soldato francese ne approfitta per cacciare delle mani indiscrete sotto le vesti e sul seno di una giovane aristocratica. Un oltraggio decisamente insopportabile.Bartolomeo di Neocastro da Messina (morto nel 1295), contemporaneo della rivolta ed autore di una preziosa cronaca latina sui fatti, riporta nel dettaglio la reazione dei palermitani. L’impudente venne assassinato sul campo. Poi, “poiché le armi mancavano, i giovani corsero a raccogliere delle pietre. Il popolo si solleva. E’ l’inizio di un vero massacro, tutti gridavano e si sentivano nell’aria un risuonare di terribili grida: Che muoiano i Galli (1). A morte ! I Rivoltosi non si fermano davanti a nulla: occorreva che non rimanesse più nulla “della discendenza (dei Francesi) in città. I nascondigli svelarono quelli che erano ricercati. Catturati furono tutti immolati nelle case e trafitti di spada sulla pubblica piazza. La grazia venne rifiutata persino al sesso femminile e non venne rispettata neanche l’età. Le mogli perirono per colpa dei mariti. Le giovani donne morirono per colpa dei padri ed i bambini ancora muti vennero strappati al seno materno”. In definitiva, il massacro dei franco - provenzali é sistematico e non risparmia neanche i religiosi. Nel giro di un mese la rivolta si espande a tutta l’isola. Alla fine di aprile Messina si affianca ai rivoltosi. A partire dalla fine del mese di agosto l’intervento armato di Pietro III d’Aragona, principale sostegno esterno della sommossa, consente agli insorti di conseguire il successo definitivo. Pietro si fa proclamare Re di Sicilia il 4 settembre 1282 e come tale avanza pretese su tutto il regno di questo nome, vale a dire la Sicilia ed il Sud d’Italia fino a Napoli. Anche se gli Aragonesi non arrivano a sloggiare la Casata d’Angiò, dalla parte continentale dello stato, il successo finale è certamente considerevole.Come si spiega una crisi così brutale e repentina ? Un fatto è però certo che la rivolta dei Vespri basta da sola a rovinare i colossali progetti di Carlo I d’Angiò ed a mettere in ginocchio un principe che, nel 1282, rimaneva “sul mare e sulla terra come il più temuto di qualsiasi altro re cristiano”, tanto per usare la formula del cronista Giovanni Villani (1275-1348) fiorentino .Fratello più giovane di Re Luigi IX di Francia (1214-1270), Carlo aveva ricevuto il Maine e l’Angiò come appannaggio, da cui il nome di Angioini attribuito alla sua discendenza. Molto rapidamente gli appetiti di conquista di Carlo lo portano verso lo spazio mediterraneo. Nel 1246 diviene Signore della Provenza e di Forcalquier. Da quella posizione Carlo si ritaglia successivamente un dominio ad Asti in Piemonte ed in tale veste si viene a trovare in una posizione favorevole per difendere la Santa Sede contro il pericolo rappresentato dalla Casa imperiale degli Staufen o degli Hohenstaufen (Svevia).Il Regno di Sicilia è il pomo della discordia nella rivalità fra il Papato e l’Impero. Gli Hohenstaufen, nel 1194, rivendicando già come dinastia imperiale il Regno d’Italia (nord e centro d’Italia), si erano impadroniti del Regno di Sicilia, circondando in tal modo lo Stato della Chiesa. Il conflitto raggiunge il suo acme sotto il regno di Federico II di Hohenstaufen (1220 - 1250). Nel 1258 Manfredi di Hohenstaufen (1232-1266), figlio bastardo di Federico II, si fa eleggere a sua volta Re di Sicilia ai danni di suo nipote Corradino (1252-1268). Egli riesce a crearsi una rete di alleanze in tutta l’Italia, mettendo in evidenza le sue mire imperiali. Roma viene a trovarsi nuovamente presa in una tenaglia.Da lungo tempo il Papato desiderava liberarsi definitivamente degli Hohenstaufen e soprattutto di impedire per l’avvenire il ripetersi di tali situazioni e cioè la preponderanza di un monarca siciliano sul Regno d’Italia. Il papato, giudicandosi titolare del diritto di disporre del Regno di Sicilia come di un feudo della Chiesa, decide con Papa Clemente IV (1190-1268) di investirne il fratello del re di Francia, Carlo d’Angiò, con il mandato di conquistare il regno. Quest’ultimo, in contropartita, accetta di limitare le sue ambizioni sul resto d’Italia e soprattutto di non brigare per ambizioni imperiali. In tal modo, Carlo I prende la testa della crociata contro Manfredi e, raggiunto nel 1266 il centro Italia, sbaraglia il suo rivale il 26 febbraio nella battaglia di Benevento, divenendo padrone del Regno di Napoli. Tuttavia, a partire del 1267, Corradino di Svevia, riesce a sua volta ad organizzare delle nuove alleanze in Italia ed una nuova ondata di rivolte nel Regno di Sicilia. Ma il tentativo svevo finisce miseramente il 23 agosto 1268 e con Corradino, decapitato a Napoli sulla pubblica piazza, termina l’epopea degli Hohenstaufen nella storia. Dopo la vittoria, Carlo scatena una dura repressione contro i suoi sudditi infedeli. I traditori impenitenti vengono tutti giustiziati senza pietà e le loro donne e bambini posti in prigione. In cambio, i fedeli franco-provenzali del suo seguito si vedono distribuire i feudi confiscati ed i principali incarichi pubblici. Le rivalità politiche, che per lungo tempo avevano lacerato l’Italia e si erano cristallizzate in due campi opposti, guelfi, partigiani del Papato, e ghibellini, partigiani dell’Impero, vedono, quasi dappertutto, nel 1267, la vittoria dei primi con Carlo come loro capo.Ma le ambizioni del principe angioino non si fermano alla sola Italia. L’espansione verso est e la liberazione della Terra Santa (2) erano di fatto i suoi grandi sogni. Nel 1277 Carlo assume il titolo di Re di Gerusalemme, cedutogli da Maria d’Antiochia (1145-1182) e fa contemporaneamente occupare S. Giovanni d’Acri, come base potenziale di una riconquista di Gerusalemme contro gli “Infedeli”. Tra l’altro, egli voleva anche ristabilire l’autorità dei latini sul trono di Bisanzio, per imporre l’unità della Chiesa ai Greci scismatici e per favorire una futura crociata contro l’Islam. Nel 1282 Carlo concentra la sua flotta a Messina, in vista di un assalto imminente contro l’Impero greco, previsto per la primavera del 1283. Le imprese dell’Angiò appaiono come un contributo decisivo all’unità ed alla difesa della cristianità. Dopo il suo intervento in Italia con la benedizione del Papa, egli si presenta agli occhi dei suoi contemporanei come un crociato in servizio permanente effettivo. Nel 1268 Clemente IV lo descrive come il “pugile della Chiesa” ed il Papa Martino IV (1210-1285), Capo della Chiesa dal 1281, non esita ad assicurare il suo sostegno alla spedizione in preparazione contro i Bizantini. La pretesa origine carolingia dei Capetingi lo indica al popolo come “il secondo Carlo, il discendente di Carlo Magno”, un uomo certamente destinato a grandi imprese !Tuttavia l’espansione angioina, con le sue mire egemoniche, minaccia l’equilibrio delle forze nel Mediterraneo. Se Carlo dovesse concretizzare le sue ambizioni, le rotte marittime e terrestri con l’Oriente finirebbero inevitabilmente per ricadere nella sua sfera d’influenza. Questo timore serve però a rinforzare la solidarietà dei suoi avversari. A partire dagli anni 1270, il fronte ghibellino si ricostituisce in Italia settentrionale ed in tale contesto i possessi angioini in Piemonte vengono eliminati fra il 1275 ed il 1277.Fra i più risoluti oppositori di Carlo troviamo Pietro III d’Aragona, re dal 1276. Era da molti anni che la casa di Francia disturbava le ambizioni della dinastia catalano - aragonese. Questa aveva dovuto rinunciare, dopo la Crociata contro gli Albigesi (3) del 1209, ad estendersi al di là dei Pirenei. La Provenza, in particolare, governata da lungo tempo dai conti di Barcellona, gli era appunto sfuggita a favore dello stesso Carlo d’Angiò. Indubbiamente la confederazione catalano-aragonese aveva trovato un compenso alle delusioni patite nella Reconquista contro l’Islam spagnolo ed in una espansione marittima e commerciale a grande raggio verso il sud e l’est. Nel 1262 Pietro III, con il matrimonio fra con Costanza (1249-1302), la figlia di Re Manfredi di Sicilia, esplicita la sua ambizione mediterranea, ma ecco che Carlo viene nuovamente ad attraversare la sua strada, ponendosi come un temibile rivale ed occupando l’eredità siciliana che Pietro III reclamava in nome di sua moglie.Imparentato per parte di moglie agli Hohenstaufen, il Re d’Aragona si pone a capo del movimento ghibellino e molti della sua fazione lo incoraggiano all’azione. Gli esuli del Regno di Sicilia si accalcano alla sua corte ed, in breve, assumono intorno a lui posizioni di rilievo. Fra questi, appunto, il caso di Giovanni da Procida, vecchio cancelliere di Manfredi, nominato Cancelliere d’Aragona, ma anche Ruggero di Lauria (1245-1305), fratello di latte di Costanza di Hohenstaufen, che diventerà un grande ammiraglio ed uno dei motori della guerra dei Vespri.La maggioranza degli esiliati del regno di Sicilia chiedono ed ottengono asilo presso Pietro III. Dispersi dalla Germania all’Ifrikia (4) (nord Africa), essi costituiscono la spina dorsale dell’internazionale ghibellina, che mantiene accesa la fiamma della riscossa. Questo ambiente fornisce anche gli agenti che mantengono il contatto con l’opposizione all’interno del Regno di Sicilia e che sostiene l’alleanza di tutti i nemici di Carlo I.In primo luogo, Pietro III si riavvicina ai Bizantini. Da lungo tempo in conflitto con Carlo, Bisanzio lavora anch’essa a destabilizzarlo e tra l’altro le minoranze greche sopravvissute nel Regno di Sicilia, erano perfettamente in condizioni di appoggiare l’azione dei bizantini.Ma allora i Vespri in questo contesto sono una macchinazione internazionale con a capo Pietro III ? L’autore anonimo della Rivolta di Sicilia sembra evocare un complotto condotto da Pietro III che unisce le forze esterne ai congiurati dell’interno e nel cui scenario Giovanni da Procida gioca il ruolo di grande cospiratore. E’ proprio lui quello che incita il Re d’Aragona a vendicarsi dei Capetingi ed attraverso una serie di viaggi segreti avrebbe convinto i baroni siciliani a rialzare la testa.L’ipotesi di un complotto condotto dall’elite aristocratica siciliana non poteva che piacere ai partigiani della casa d’Angiò, come ad esempio a Giovanni Villani. Questi, in effetti, racconta nella sua cronaca del tradimento subito da Carlo I, ma questa ipotesi non appare tuttavia sostenibile.Certamente dal 1281 Pietro III stava effettuando dei notevoli preparativi militari, sotto la copertura ufficiale di una prossima missione per attaccare le terre dell’Islam. Il 28 giugno 1282, tre mesi dopo i Vespri, egli sbarcava nel territorio di Costantina, non lontano da quelle della Sicilia. Alla fine di agosto, il Re d’Aragona lascia le coste africane in direzione dell’isola, chiamatovi dalle rivolte in atto. Il 30 sbarca a Trapani ed il 4 settembre viene proclamato Re di Sicilia a Palermo.Tra l’altro Pietro III era convinto del suo buon diritto sul Regno di Sicilia e la stessa isola, eccentrica rispetto ai possedimenti angioini e controllata da un ridotto numero di franco - provenzali, sembrava il miglior punto d’appoggio per condurre un attacco. L’occupazione della Sicilia andava incontro anche agli interessi marittimi e commerciali dei catalani sulle rotte dell’est.Rimane comunque il fatto che appare poco verosimile che il Re d’Aragona abbia potuto premeditare e scatenare a distanza la sommossa del 30 marzo 1282, anche se poi ha saputo sfruttarla al meglio. Ma per inquadrare meglio i Vespri occorre anche tenere conto che il vecchio baronato siciliano si trovava troppo indebolito, non solo a causa delle confische angioine, ma anche per l’effetto della precedente politica di Federico II. Ciò nondimeno Pietro III subisce la fulminea condanna del papa, che scende in campo a difesa del suo vassallo angioino e nel 1285 deve affrontare la crociata d’Aragona diretta dal Re di Francia in persona. Tuttavia, nulla è in grado di arrestare l’avanzata dei Siciliani e dei Catalani. A partire dal 1282 essi invadono la Calabria. Nel 1284 catturano, durante la battaglia navale di Napoli il figlio di Carlo I, erede al trono. Le galere di Pietro III, comandate da Ruggero di Lauria, diventato dal 1283 Ammiraglio dei paesi della corona di Aragona, infliggono una sconfitta irreparabile alle navi angioine, assicurandosi in breve del controllo di Malta e di Pantelleria. L’avventura siciliana si rivela tuttavia e molto presto ben al di sopra delle possibilità della Corona aragonese. Alla morte di Pietro III, nel 1285, uno dei suoi figli riceve il regno di Sicilia e l’altro il Regno d’Aragona. Certamente nel 1291, Giacomo II (1267-1327) riesce nuovamente a riunire i troni d’Aragona e di Sicilia, ma a partire dal 1295 egli abbandona l’isola a favore della Santa Sede.Ma sono, in effetti, proprio i Siciliani a decidere della loro sorte. Rifiutando di ritornare sotto il dominio degli Angioini, essi scelgono come Re, nel 1296, il fratello di Giacomo II: Federico III d'Aragona (1272-1337), accettando, in tal modo, una recrudescenza del conflitto, stavolta contro Carlo d’Angiò e Giacomo II d’Aragona.Questa determinata volontà dei Siciliani di prendere in mano il loro destino non manca peraltro di una sua logica. Alcuni contemporanei della rivolta del 1282 evocavano già, per spiegare il fenomeno, come lo scoppio dell’odio spontaneo di una popolazione oppressa era stato scatenato dal malgoverno angioino. E’ in questi termini che si esprime Bartolomeo di Neocastro, passato agli Aragonesi dopo aver servito con gli Angioini. E questa é anche la stessa presentazione che ne fa Dante, molto ostile ai Capetingi. Il grande poeta stigmatizza nei suoi celebri versi la “mala signoria che colpisce sempre al cuore dei popoli soggetti” e che “spinge Palermo a gridare: che muoia, che muoia !”Ma anche questa spiegazione non appare sufficiente. La presenza di ufficiali e di vassalli franco-provenzali non era effettivamente così importante da suscitare, da sola, una possente crisi di rigetto contro l’invasore. Per certi aspetti, l’affermazione di “mala signoria”, denunciata da Dante, appare non completamente condivisibile. Carlo era, in effetti, mosso da una reale volontà di ben governare i suoi domini ed i suoi sudditi. In questa ottica, egli ha cercato di restaurare nel suo regno la struttura relativamente autoritaria e efficiente di Federico II di Hohenstaufen (Svevia) (1194 -1250). Tale regime implicava, tra l’altro, una pesante fiscalità, specie sulle esportazioni di cereali, fatto questo che poteva dispiacere non poco a tutti quelli che traevano vantaggi dal commercio delle derrate.Di fatto, la restaurazione di questo sistema di governo risulta particolarmente sgradito in Sicilia, che proprio in quegli anni stava uscendo da un periodo di profonde trasformazioni della sua attività rurale e della sua organizzazione politica. Ed è proprio in questa direzione che andrebbero individuate le cause principali della rivolta del 1282, cioè in una situazione sociale interna siciliana in piena evoluzione.In quel periodo, in effetti, il panorama dell’agricoltura dell’isola aveva subito una evoluzione fondamentale e delle profonde trasformazioni. Si assiste ad un notevole progresso delle produzioni remunerative ed estensive: greggi e mandrie (ovini, suini ed in particolare bovini), ma soprattutto i cereali; allo stesso tempo i villaggi (casali) subiscono un processo di spopolamento a beneficio delle città e dei grossi borghi. Questo fenomeno, allontanando i coltivatori dal suolo, favorisce le grandi aziende a fini commerciali come le Masserie. Queste si trovano principalmente nelle mani dei borghesi, che affittano le terre dei latifondi ed animano in un certo senso una “nuova economia”. Sul piano politico la decadenza politica dell’isola specie nelle città e soprattutto a Palermo, la vecchia capitale del regno, contribuisce ad aumentare l’amarezza delle elites. Dopo la morte di Federico II il potere politico si é spostato sul continente e Carlo II d’Angiò (1254-1309) non é nemmeno stato incoronato a Palermo, secondo la tradizione. La città si trova ormai relegata al rango di capoluogo della “Provincia (Giustiziariato) al di là del Salso”, mentre la “Provincia al di qua del Salso” vede Messina come metropoli e capoluogo. La situazione se da un lato alimentava un sentimento di umiliazione, dall’altro privava i Siciliani dei proventi derivanti dalla presenza del governo centrale.Questo deficit era tanto più mal sopportato dal momento che i vantaggi dell’amministrazione provinciale esulavano in gran parte dalla competenza delle aristocrazie locali. Le piazzeforti erano tenute dagli occupanti stranieri ma anche, a livello intermedio, il sistema era retto da uomini venuti dal “continente”, in particolare amalfitani. Questi, specialisti di problemi finanziari e fiscali, erano gli appaltatori delle entrate reali. Pertanto alla vigilia dei Vespri, il patriziato siciliano era entrato in una fase di netto contrasto e di concorrenza con questi personaggi.Il sollevamento del 1282 è da considerare quindi, ed in larga misura, come un sussulto delle forze vive dell’isola, delle città e delle grosse borgate che si sono lanciate nell’avventura della rivolta ben prima dell’alleanza con Pietro III. Al loro interno le rivendicazioni fiscali ed economiche si sono fuse con la speranza di un recupero del potere politico ed il processo di urbanizzazione aveva contribuito a consolidare i sentimenti comunitari e ad accrescere l’influenza degli italiani originari del continente, specialmente i Lombardi, venuti in gran numero ad installarsi in questa prospera isola successivamente alla riconquista sull’Islam.Città e borghi, seguendo l’esempio dell’Italia Centrale e del Nord, specie nel decennio dal 1250 dopo la morte di Federico II, erano percorse dall’aspirazione alle libertà e da un sentimento di autonomia. Carlo I, tuttavia, aveva tollerato una certa autonomia municipale, anche se modesta. Con l’episodio dei Vespri la Sicilia va incontro ad un formidabile slancio comunale. Nelle agglomerazioni si formano autentici comuni guidati da capitani eletti dal popolo. Questi centri di potere tentano di trasformare l’isola in una federazione di comuni chiamata “Comune di Sicilia”, ma l’intervento catalano - aragonese mette fine a questa esperienza. Le comunità conservano comunque una maggiore autonomia. In definitiva, i Vespri Siciliani non sono stati solamente una rivolta, ma bensì anche una vera rivoluzione sociale, proprio perché lo scontento diffuso e le soluzioni politico amministrative sperimentate avevano concorso per un risveglio dell’identità collettiva siciliana. Questo patriottismo in gestazione riempie il racconto di Bartolomeo di Neocastro, che parla di “prodezze dei siciliani già a suo tempo compiuti contro i Galli”. L’uscita di cronache come la sua, redatte da siciliani, è indubbiamente molto significativa. La “Ribellione di Sicilia” presenta un interesse particolare, anche e soprattutto per la sua redazione in dialetto siciliano ! Questa scelta, in effetti, simbolizza il completamento di un processo di italianizzazione dell’isola, per lungo tempo divisa fra tre civiltà: araba, greca e latina. La continuazione della guerra rinforza ugualmente la coesione ideologica del paese intorno al ghibellinismo: di fatto per contenere gli Angioini non c’era altra soluzione che consolidare l’alleanza con i ghibellini dell’Italia continentale. L’isola, per giustificare la sua disobbedienza alla Chiesa Romana, di colpo, fa buona accoglienza alla dissidenza religiosa dei francescani radicali. Questi ultimi seguivano una corrente profetica che nutriva credenza millenariste ed apocalittiche. Essi annunciavano una nuova era ed una riforma totale della chiesa e queste speranze discreditavano il Papa ed i suoi alleati guelfi.La tenacia della Sicilia nella lotta contro gli Angioini non si potrebbe comprendere senza ammettere l’esistenza ed il consolidamento di una identità comunitaria. Questa nuova situazione blocca di fatto lo sviluppo di una corrente pro angioina e per certi aspetti aiuta a compensare e superare la scomparsa delle conquiste della rivoluzione: di fatto le pressanti necessità organizzative della guerra impongono rapidamente la formazione e strutturazione di una potente aristocrazia militare e feudale e prima della metà del XIV secolo, conti e baroni hanno nuovamente il paese sotto la loro ferula. La guerra dei Vespri dura ben 20 anni. Nel 1302 la Pace di Caltabellotta tenta di mettere un termine definitivo al conflitto. Federico III rende agli Angioini le terre che occupava sul continente e promette di mantenere a titolo di vitalizio il potere sull’isola, con il semplice titolo di Re della Trinacria (antico nome della Sicilia). Nella realtà l’accordo si trasforma in una lunga tregua. Bisognerà attendere il 1373, con la Pace di Aversa, perché si arrivi ad una pace durevole. La monarchia angioina, che sotto il regno di Giovanni I (1343 - 1382) era entrata in una fase di forte declino, acconsente al distacco dell’isola, a vantaggio degli Aragonesi. I Regni di Sicilia e Continentale, ormai separati, avevano di fatto superato quella che potrebbe essere chiamata come una seconda “guerra dei cento anni”. Riguardo agli Angioini di Napoli, la loro posizione geopolitica subisce con la guerra dei Vespri un sensibile indebolimento. La rivolta apre uno spossante ciclo di lotte, a cominciare dagli infruttuosi tentativi di conquista diretti contro l’isola, il cui destino rimane per lungo tempo associato alla volontà di grandezza della monarchia angioina.In fin dei conti, non ci sarà più un seguito alla vasta politica mediterranea di Carlo I d’Angiò, che lascia alla sua morte una situazione catastrofica. Ci sarà un certo recupero con il Re Carlo II (1254-1285-1309) e quindi con Roberto (1309 - 1343), che restaureranno il loro prestigio su una parte dell’Italia continentale, anche se le loro ambizioni rimarranno ormai limitate a questo particolare ambito politico. Tuttavia, la dinastia angioina riuscirà comunque a conservare il suo Regno di Sicilia, con capitale Napoli, fino a Capo Lilibeo, fino alla sua estinzione naturale, con la Regina Giovanna 2^ (1373-1345).

NOTE

(1)  Il termine Galli era frequente in Italia per designare i Francesi

(2) Gerusalemme era stata perduta dal 1244. Il Regno di Gerusalemme si trovava praticamente ridotto alla sola enclave di S. Giovanni d’Acri sulla costa.

(3) La crociata contro gli Albigesi era stata decisa da Papa Innocenzo III contro gli eretici della regione di Albi e del sud della Francia. Pietro II d’Aragona interviene in aiuto del Conte di Tolosa contro Simone di Montfort. Questi trova la morte nel 1213 nel combattimento di Muret

(4) Nome arabo dell’Africa romana dalla Algeria, alla Tunisia ed alla Tripolitania.

BIBLIOGRAFIA

Catalioto L., Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Intilla, Messina, 1995


 

 

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