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LA RUSSIA CONQUISTA IL CAUCASO SENZA RIUSCIRE A DOMINARLO Terra di scontri tra fanatici religiosi, a metà ‘800 il Caucaso viene occupato dallo Za 02/10/2923 - Massimo Iacopi (Assisi PG) LA RUSSIA CONQUISTA IL CAUCASO SENZA RIUSCIRE A DOMINARLO Regione “cerniera” fra l’Europa il vicino Oriente e l’Asia, cade completamente nelle mani dei Russi verso la metà del 1800. Una regione dove la guerra è un misto di fanatismo e tradizione, di cui i Russi, e non solo, ancora oggi ne continuano a fare ampiamente le spese. Il Caucaso situato in una zona cerniera fra l’Europa, il vicino Oriente e l’Asia del Nord è stato, nel corso dei secoli, luogo privilegiato di espansione e di scontro fra gli imperialismi russo, ottomano e persiano. Regione ricca di diversità etniche, linguistiche e religiose ha recentemente ripreso, dopo 70 anni di ibernazione sovietica, il filo della sua storia conflittuale, marcata specialmente dalle lotte del 1700 – 1800 condotte dalla Russia zarista per la conquista dell’area. Sul versante settentrionale del Grande Caucaso - formidabile barriera montuosa dal Caspio al Mar Nero, irta di cime, le cui vette più elevate superano i 5 mila metri (Elbruz, Kasbek) - si trovano, disseminati nelle steppe che separano il Volga dal Don, gli Adigeti, i Circassi (islamizzati nel 1600), i Karachais (Caraci), i Balkari, i Kabardi, gli Osseti, gli Ingusci, i Ceceni e, più ad est, gli Avari, i Laki ed i Lesgi del Daghestan. Nel versante sud troviamo invece tre gruppi principali, i Georgiani, gli Armeni e gli Azeri, scaglionati da ovest ad est nella regione del Transcaucaso, un vasto solco traversato dal fiume Rioni ad ovest e dalla Kura ad est e nel Piccolo Caucaso. I Georgiani però devono convivere nel nord est del loro territorio con gli Abkazi, installati nella montagna e nel litolare del Mar Nero all’interno di Sukumi, con gli Osseti del Sud e con gli Adzari, a sud, al confine con la Turchia. E’ a partire dalla fine del 1600 che i Russi danno inizio alla marcia verso queste regioni meridionali, una progressione lenta ma inesorabile ed irresistibile. La Georgia a quel tempo era divisa in tre piccoli reami, quello di Kartli con capitale Tiblisi e di Kakezia (tributari dell’Impero persiano), quello di Imerezia (dipendente dalla Sublime Porta di Felicità di Istanbul, insieme alla Abkazia) e quello di Mingrelia e di Guria, rivieraschi del litorale del Mar Nero. Le regioni più ad oriente risultano sottomesse a Kanati mussulmani, vassalli della Persia. Dopo la caduta del Kanato di Astrakan (1556), la frontiera russo persiana viene fissata sul fiume Terek. La sicurezza delle steppe fra il Don ed il Volga, la spinta ai mari caldi verso il Mar Nero, dove i Turchi conserveranno la Crimea fino alla fine del 1700 e l’esistenza, al di là del Grande Caucaso, delle popolazioni cristiane della Georgia e dell’Armenia, delle quali la Russia si sette protettrice, costituiscono almeno tre importanti ragioni che spingono i sovrani di San Pietroburgo ad allargare a sud i loro domini. Al di là della debolezza intrinseca del “grande malato”, l’Impero Ottomano e delle difficoltà in cui si dibatte la Persia dei Kadgiari, Caterina II (1729-1796) ed i suoi consiglieri immaginano per l’Impero zarista una spinta in direzione della costa cilicia della Turchia, laddove una volta prosperava la piccola Armenia, oppure in direzione dell’Irak o dell’altipiano iranico. Ciascuna di queste ipotesi risulterebbe in condizione di permettere alla Russia, prigioniera della sua immensa continentalità, di rompere l’accerchiamento e di accedere ai tanto agognati mari caldi. Le guerre condotte contro la Sublime Porta dal 1768 al 1774 (acquisto di Azov e dei territori fra il Bug ed il Dnieper ed isolamento della Crimea) e quelle dal 1787 al 1792 consentono l’annessione della Crimea (Krim) e del territorio sul Mar Nero fino al Caucaso, nonché l’eliminazione dell’ultimo Kanato tataro in terra di Russia. Di notevole interesse ed istruttiva, in questo caso, una vecchia tattica applicata dai Russi. Una volta ottenuto l’isolamento del paese di loro interesse, fanno in modo di far accedere al potere un uomo al loro servizio. Naturalmente il popolo rifiuta il nuovo governante e si solleva e “l’uomo di paglia”, secondo una commedia ed un copione ampiamente sperimentato, fa “appello al fraterno aiuto russo”. Naturalmente questi corrono immediatamente in soccorso del malcapitato, sulla base anche del rispetto dei trattati in vigore, vi si installano durevolmente, sostituendo il governante in carica ed assumendo il potere. Di fatto, nel 1777, i Russi aiutano Chahin o Shahin Giray (1745-1787) a rovesciare il Khan legittimo della Crimea, Devlet IV di Arslan Giray (morto ad Istanbul nel 1781), il primo, sentendosi poi minacciato dall’interno nel suo potere, chiama in aiuto i Russi, che nel 1779 accorrono ed annettono la Crimea. Continuando nella sua azione, l’Impero russo nel 1774 conquista l’Ossezia e la fondazione, nel 1784, di Vladikavkaz (la “Dominatrice del Caucaso”, che prenderà poi il nome di Ordzonikidze), la dice lunga sulle vere intenzioni degli Zar. Sulla riva occidentale del Caspio avanzano nella stessa epoca fino a Derbent, proprio all’altezza dello stretto passaggio che collega le steppe del nord alla regione di Baku. Inoltre, nel 1783, lo Zar georgiano Eraclio (Irakli) II Bragation (1720-1798), sentendosi minacciato da un vicinato mussulmano ostile, firma con i Russi un trattato di Protettorato ed una guarnigione russa prende stabile sede a Tiblisi. Purtroppo negli anni seguenti, gli avvenimenti europei, la spartizione della Polonia e la Rivoluzione francese spostano l’attenzione dello Zar ad Ovest e la guarnigione russa in Georgia viene ritirata. Del fatto, ne approfitta nel 1795 lo Shah di Persia, per saccheggiare la capitale georgiana. La reazione russa non si fa attendere e nel 1796 viene occupato l’Azerbaigian ed a partire dal 1801 lo Zar Alessandro I, dopo aver annesso all’Impero i Regni di Kakezia e di Kartli, procede alla conquista dei Principati di Mingrelia, di Guria, d’Abkazia e di Imerezia (ovvero tutta la Georgia). All’est, Baku viene occupata nel 1806 e le guerre condotte, dal 1806 al 1812 contro la Persia e dal 1804 al 1813 contro al Turchia, consentono il consolidamento delle posizioni acquisite. Nel 1813 il Trattato di Golestan consegna nelle mani dello Zar il Karabak e gli emirati di Erevan e di Nakhicevan, mentre nel 1828, il Trattato di Turkmarchai, che pone fine ad un nuovo conflitto iniziato due anni prima, assegna ai Russi tutta la parte settentrionale dell’Azerbaigian. Infine nel 1829, il Trattato di Adrianopoli, che pone fine ad un ennesimo conflitto con l’Impero Ottomano, obbliga il Sultano a riconoscere tutte le conquiste russe effettuate nell’ovest del Caucaso. Il consolidamento russo nella regione si precisa nel 1819, con la fondazione della città di Grozny (la “Terribile”) e con la costruzione della famosa “strada militare della Georgia” che collega Valdikavkaz a Tiblisi, lungo il corso del Terek ed i passi di Darial (Dar i Alan = Passo degli Alani) e del Colle della Croce a 2.400 metri d’altezza. Mentre i cattolici, in linea generale accettano di buon grado di entrare a far parte dell’Impero Russo, che li libera da una secolare soggezione all’Islam, le popolazioni mussulmane, specie le turcofone, sono, al contrario, refrattarie e tenteranno con tutti i mezzi di evitare di farsi assorbire. I Kabardi e gli Abkazi, rimasti a lungo indipendenti, accettano rispettivamente nel 1820 e 1829 la dominazione russa, ma occorrerà arrivare fino al 1850 per avere ragione della resistenza dei Circassi, molti dei quali, come peraltro gli Azeri ed altre popolazioni mussulmane, saranno costretti a rifugiarsi nelle terre dell’Impero Ottomano. Ma è proprio nella catena del Grande Caucaso che i Russi troveranno le più grosse difficoltà, specie nella regione del Daghestan, dove l’imam Chamyl o Shamil (1797-1871), affiliato all’ordine dei Naqsbandi (1), una sorta di eroe da romanzo cavalleresco, guiderà per oltre trent’anni una feroce resistenza all’invasore russo. Lo storico militare e generale russo Nikolaj Nikolayevic Golovin (1875-1944) arriverà a dire a riguardo di questo capo di montanari, paragonato a volte ad Abd el Kader: “Noi non abbiamo mai avuto dei nemici così selvaggi e pericolosi”. Chamyl, nato nel 1799 a Gimry, nel nord del Daghestan, dal gruppo degli Avari, era dotato di una corporatura ed una forza fisica straordinaria ed era animato da una grande senso di “pietas”. Membro della confraternita Sufita (2) dei Naqsbandi, egli aderisce alla dottrina del Muridismo (3), un movimento politico religioso militare della fine del 1700, che chiamava i credenti alla Ghazavat (Guerra Santa). Questo movimento é contemporaneo del Wahabismo saudita (4), ma da questo differisce in maniera drastica ed in particolare conferisce un notevole risalto ed importanza ai rituali, specie alle danze, che, come è noto, sono totalmente estranee al movimento Hanbalita (5) dell’Arabia. A partire dal 1830 Ghazi Mullah (guida vittoriosa, 1793-1832), il capo (imam) del movimento muride, scatena l’insurrezione del Caucaso orientale contro i Russi e, minacciando direttamente la strada militare della Georgia, mette in crisi l’egemonia dello Zar sull’insieme della regione. Il Capo del movimento muride viene però ucciso in combattimento ed il suo successore l’imam Hamzad Beg (1789-1834) scompare a sua volta poco dopo. Il nostro Chamyl diviene così il terzo imam del movimento muride ed assume la guida della ribellione. Questi rivela rapidamente eccezionali qualità di capo di guerra. Riesce a reclutare ed organizzare metodicamente delle truppe ben inquadrate e disciplinate, fatto decisamente nuovo per le popolazioni montanare gelose della loro autonomia e refrattarie a qualsiasi autorità. Moltiplicando i colpi di mano e le imboscate, egli è sempre pronto a ripiegare all’interno ed al coperto delle grandi foreste, che coprono i versanti di montagne selvagge ed inospitali. Queste si trasformano in altrettante fortezze inaccessibili alle truppe russe, che non conoscono il terreno e soprattutto sono troppo poco mobili rispetto ai ribelli. I Russi subiscono pesanti perdite e si vendicano, (la storia si ripete), “ripulendo” letteralmente e deportando la popolazione dei villaggi, sospettati di appoggiare la resistenza. I ribelli, dal canto loro, riescono persino a condurre delle incursioni in profondità per liberare gli ostaggi tenuti dai Russi. L’imam Chamyl non riesce purtroppo ad estendere la rivolta anche all’ovest del Caucaso e la sua autorità non riesce ad espandersi oltre il ridotto ceceno e daghestano, dove, malgrado i sacrifici subiti, la popolazione gli rimane totalmente fedele per lunghi anni. Nel 1854 lancia persino una sfida diretta allo Zar, prendendo in ostaggio, nella zona di Tiblisi, diverse principesse russe, che saranno scambiate soltanto otto mesi più tardi. I Russi reagiscono con forze di notevole ampiezza, applicando una tattica di compartimentazione del terreno ed una tattica di controllo del territorio a “macchia d’olio”, che consentirà di separare i villaggi dalla guerriglia e raggiungere dei risultati importanti, “pacificando”, a poco a poco, la regione. Chamyl, vedendo gli effettivi delle sue truppe diminuire a vista d’occhio, in una regione ormai desolata e dove la guerriglia non ha più molte speranze di sopravvivere, nel 1859 si convince alla resa. I Russi trattano il coraggioso avversario con la più grande deferenza, che viene posto in residenza sorvegliata a Kaluga nei pressi di Mosca. Autorizzato a potersi recare in pellegrinaggio alla Mecca nel 1870, l’imam Chamyl vi morrà l’anno seguente, dopo un accoglienza, a dir poco trionfale. Una ultima rivolta agiterà negli anni 1877 – 78 il Daghestan, ma non avrà domani. L’acquisizione da parte russa del controllo di Batum sul Mar Nero nel 1878, a seguito di una nuova guerra con la Sublime Porta, lo sviluppo della ferrovia transcaucasica e la spinta derivante dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Baku, contribuiscono allo sviluppo ed alla prosperità dell’insieme della regione e nel 1900 Arthur Rimbaud (1854-1891), il poeta commerciante viaggiatore francese, potrà affermare che “La Russia è infinitamente più sicura con i suoi soggetti mussulmani del Caucaso che tutto sommato noi Francesi davanti ai nostri mussulmani algerini”. I ribelli muridi non sono stati certo vincitori, ma le loro rivendicazioni nazionali, fatte proprie dai Georgiani e dagli Armeni nel partito Dachnak e dagli Azeri nel partito Mussavat, creeranno non pochi problemi ai Russi negli anni seguenti. Questi però, secondo un loro consolidato modo di procedere, non esiteranno ad applicare il famoso assioma romano del “divide et impera” ed a creare antagonismi fra i vari e diversi popoli della regione. Dopo il fallimento dell’effimera Federazione indipendente della Transcaucasia, proclamata nel 1918 ed il successivo ritiro degli Inglesi, risaliti fino a Baku dalla Mesopotamia, le diverse nazionalità del Caucaso, minacciate dalle ambizioni della Turchia kemalista, i cui dirigenti non sono stati di certo, in termini di pulizia etnica, degli ingenui apprendisti stregoni, saranno costrette a rinunciare alla loro indipendenza ed associarsi, con l’aiuto “fraterno” dell’Armata Rossa, al nuovo insieme sovietico …, fino a quando, nel 1991, l’inatteso crollo dell’Impero Sovietico viene nuovamente ad aprire una ulteriore pagina della loro storia, certamente esaltante, ma anche piena di incertezze. Dal crollo del colosso sovietico nascono sette repubbliche nell’ambito della Federazione russa e più precisamente: l’Adigezia, il Karacevo - Cerkessia, il Kabardino - Balcaria, l’Ossezia settentrionale, l’Inguscezia, la Cecenia ed il Daghestan. Nel resto del Caucaso sorgono tre stati indipendenti: la Georgia, l’Armenia e l’Azerbaigian e due stati semi indipendenti: l’Abkhazia, a danno della Georgia ed in Nagorno (alto) Karabak, a danno dell’Azerbaigian, oltre ad una regione di difficile controllo come l’Ossezia meridionale per i Georgiani. In tutta l’area iniziano una serie infinita di conflitti interetnici (Cecenia, Nagorno Karabak, Abkazia, Ossezia meridionale) per i quali non è facile prevedere una conclusione a breve termine, né una facile soluzione, per l’evidente intreccio etnico, religioso e di interessi ivi esistente. Insomma una vera polveriera ad orologeria che non mancherà ripetutamente di esplodere. NOTE (1) Naqsbandyia: Confraternità sufita del Caucaso, originaria dell’Asia Centrale, che aderiva alla dottrina del Muridismo e che ha avuto una grande influenza nella resistenza mussulmana contro i Russi. Fondata nel 1300 da Mohamed Baha al Din Naqsbandi (1317 - 89). Si diffuse in India nel XVIII secolo e nell’Impero Ottomano (XIX secolo) grazie al ramo della Confraternita fondato da Ahmad Sirhindi (1564 - 1624), che affianca alla visione mistica anche un invito all’applicazione della Legge islamica, assumendo pertanto anche una forte connotazione politica. Diffusa in Turchia, Caucaso, Turkestan, Siria, Cina e Kazakistan; (2) Sufismo: da Sufi “Vestito con tonaca di cotone”. Dottrina esoterica e spirituale dell’Islam che si appoggia quasi esclusivamente sull’esperienza mistica dei Sufi e risultante dalla pratica dell’ascetismo. Dottrina mistica seguita a partire dai primi secoli dell’Egira, conta fra i Sufi la maggioranza dei Santi venerati dall’Islam. Condannati dal Califfato Abbasside con l’esecuzione nel 922 di Al Halladj e poi riconciliati, il movimento ha avuto un grande sviluppo. Degenerato in esoterismo ed, a volte, in Marabuttismo e Fachirismo. (3) Muridismo: Movimento politico religioso mussulmano, fondato verso la fine del 1700 da Ghazi Mullah, che chiamava i credenti alla Ghazavat (guerra santa) contro gli invasori ed infedeli russi e che dava notevole risalto ai rituali ed alle danze. Guidato da un Imam ha avuto un grande rilievo nel Caucaso. Un movimento analogo fu fondato nel 1890 nel Senegal dallo Sceicco Ahamadou Bamba (1852 – 1924) con il principio che il lavoro è un mezzo di santificazione altrettanto valido che la preghiera. Hanno la loro città santa a Toubà (Senegal) e considerano la Jihad come una azione non violenta. La donna gioca un ruolo fondamentale nella società. Contestato da certe confraternite di Sufi; (4) Wahabismo: da Mohamed Abd al Wahab (1703 – 1792). Fondamentalismo mussulmano. Dottrina di ispirazione hanbalita, predicata in Arabia, tendente al rigetto di tutte le innovazioni, specie dei filosofo, delle confraternite e del culto dei santi, per un ritorno alle sorgenti vere della tradizione. Predica una interpretazione rigorosa e letterale della Sharja. Movimento puritano di riforma dell’Islam, alleato alla famiglia Saudita, esercita dalla fine del 1700 una influenza decisiva nel regno saudita, del quale è la religione ufficiale. E’ la dottrina più esportata nel mondo mussulmano dagli anni 1970 (5) Hanbalita: Scuola coranica fondata da Ibn Hanbal, morto nell’855. E’ la scuola più rigida ed intransigente. Limita la valutazione del giurista e rifiuta il principio analogico (qiyas), basandosi esclusivamente sul Corano e sulla Sunna, in ossequio al principio che Dio è il solo ed autentico legislatore.
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