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ERA IL 1258 QUANDO BAGHDAD CADEVA SOTTO I COLPI DEI MONGOLI Hamas ed Hezbollah usati con l’obiettivo di imporre il dominio sciita in Medio Oriente 05/03/2024 - Massimo Iacopi (Assisi PG) ERA IL 1258 QUANDO BAGHDAD CADEVA SOTTO I COLPI DEI MONGOLI Introduzione Dal 29 gennaio al 10 febbraio 1258, le truppe del nipote di Gengis Khan, assediano la città dei califfi Abbasidi (1). Bagdad viene saccheggiata, rasa al suolo, i suoi abitanti massacrati, a partire dallo stesso califfo. Così finisce il regno degli Abbasidi e la spinta espansiva dell'Islam. Si narra che l'acqua del fiume Tigri, che avvolgeva Baghdad, sia diventata inizialmente rossa a causa del sangue delle vittime del saccheggio mongolo e quindi nera, come conseguenza dell'inchiostro dei libri che vi sarebbero stati gettati. La conquista di Bagdad da parte di Mongoli, il 12 febbraio 1258, viene generalmente descritta come una duplice inseparabile catastrofe, che segna, non solo la caduta del califfato abbaside, ma anche la fine di una civiltà, quella dell'islam classico, caduta nelle mani di combattenti infedeli, i Mongoli. L'avvenimento risulta indubbiamente sanguinoso e traumatico, ma un recente studio minuzioso sui racconti che si riferiscono all'assedio, ha evidenziato una polarizzazione significativa dei loro autori, a seconda della loro posizione personale nei confronti del califfato abbaside e della sovranità mongola. La caduta di Bagdad e quella del califfato vengono considerate come inseparabili, fatto che spiega il contraccolpo dell'evento nella memoria degli storici sunniti. Ma procediamo per gradi. In effetti, alla fine del XII secolo, Temujin, un abile capo militare dell'Asia centrale, riesce a riunire sotto la sua autorità tutte le tribù della Mongolia, assumendo il titolo di Gengis Khan (Capo Supremo). Un esercito potente e disciplinato, in costante divenire organizzativo, gli consente di conquistare una buona parte della Cina, prima di rivolgersi contro il mondo islamico. Due decenni dopo la sua morte, avvenuta nel 1227, i suoi discendenti affrontano i principali poteri dell'Oriente mussulmano, nell'Asia centrale, quindi nell'Iran ed in Anatolia. (Massimo Iacopi) All'assalto della setta degli Assassini Uno dei nipoti di Gengis Khan, Hulegu, viene incaricato di farla finita con un ramo degli Sciiti Ismaeliti, i famosi “Assassini” (da Hashishin), che posseggono una cinquantina di fortezze nella montagne dell'Iran, ma soprattutto di ottenere la sottomissione del califfo abbasside di Baghdad. Ma quest'ultimo si rifiuta di fornire contingenti per combattere gli Ismaeliti. Fra il 1252 ed il 1257, Hulegu riesce ad aver ragione degli Assassini ed a conquistare la loro capitale, la fortezza di Alamuth (posta oggi nelle montagne a nord di Teheran), A quel punto, i Mongoli proseguono la loro marcia su Bagdad, che, peraltro, avevano già assediato varie volte, senza successo, specie nel 1245. Nello specifico, quando i Mongoli vogliono conquistare una città procedono sempre alla stessa maniera. In primo luogo, essi inviano degli emissari per reclamare la sottomissione assoluta dei poteri locali: se questi accettano, gli abitanti vengono risparmiati e la città viene normalmente sottoposta a tributo. In caso di rifiuto, l'esercito mongolo assedia drasticamente la città e nel giro di qualche settimana, la fame spinge alla resa gli abitanti, che vengono spietatamente massacrati, mentre la città “ribelle” viene sottoposta a saccheggio sistematico. L'Iran ha già abbondantemente sperimentato e pagato questa maniera di procedere dei Mongoli nel corso delle conquiste del 1250 e Baghdad non sfugge alla regola. Hulegu esige preliminarmente la resa del califfo ed a fronte del suo rifiuto si porta con le sue truppe nell'Alta Mesopotamia, dirigendosi direttamente sulla capitale dei califfi. Le truppe mongole che partecipano a questa spedizione, agli inizi del 1258, sono numerose ed esperte: oltre ai contingenti mongoli, eccellenti cavalieri, nonché abili arcieri, esse prevedono combattenti Armeni, georgiani, persiani e turchi, altre a contingenti di mussulmani mercenari. Un migliaio di artiglieri cinesi accompagnano l'esercito, che vengono utilizzati nell'impiego delle macchine di guerra, in particolar modo, alle catapulte, che costituiscono il loro strumento d'eccellenza nel corso degli assedi. I Mongoli esplorano il terreno circostante, piazzano le loro macchine da guerra, ammassano le munizioni (ad es. pietre per le catapulte), costruiscono torri per osservare l'interno dei bastioni avversari ed iniziano a lanciare i loro proiettili, al lugubre suono dei loro tamburi di guerra. Essi bloccano l'approvvigionamento della città, come anche ogni possibile via di fuga: di fatto non ci sarà quartiere per gli abitanti. Ma chi sono i miserabili assediati senza scampo?... La maggioranza sono i cittadini della città, ma anche contadini delle campagne circostanti che hanno cercato rifugio dietro le mura della città. D'altronde, Hulegu non era riuscito ad aver ragione di Bagdad nel 1245 e non era scontato a priori che questa volta egli sarebbe riuscito ad avere la meglio e non sarebbe stato costretto, ancora una volta, a rinunciare all'assedio. Però a città, questa stavolta, risulta poco preparata per difendersi da un assedio in piena regola. Essa viene da diversi anni di cataclismi di tutti i tipi: piene del Tigri; rivolte confessionali, che hanno richiesto notevoli sforzi militari per reprimerle e persino poche settimane prima dell'assedio, sunniti e sciiti di diversi quartieri si sono affrontati violentemente all'interno della stessa città. Il califfo regnante, Al Mustasin (in carica dal 1242) é un personaggio di scarsa caratura, scialbo, totalmente preso dalle sue distrazioni private: le sue truppe, che non ricevono regolarmente la loro paga, si rivolgono contro gli abitanti di Bagdad e mostrano scarsa volontà di combattere. Gli autori sunniti posteriori accusano il visir sciita del califfo di averlo mal consigliato e di aver patteggiato con il nemico: ma questa ipotesi sembra più il frutto di un odio confessionale e della ricerca di un capro espiatorio. Tradimento a parte, stavolta l'assedio mongolo ha la meglio. Il 10 febbraio 1258, un bastione della città, cede sotto i colpi dell'artiglieria sino-mongola. Il califfo lascia il suo palazzo e si arrende. Hulegu, a questo punto, pianifica nei dettagli la distruzione della capitale abbasside: ogni settore viene affidato ad uno dei suoi generali, che ha carta bianca per saccheggiare e far passare gli abitanti a fil di spada. Il massacro che ne consegue va avanti per una settimana. La violenza é terribile ed obbedisce agli ordini del capo mongolo ed alla fine si salverà dal massacro solo qualche gruppo specifico di abitanti. (Massimo Iacopi) Gli scampati al massacro I Cristiani, si dice, sono stati salvati per l'intervento della sposa di Hulegu, una principessa nestoriana; gli Ebrei di Bagdad; alcuni Sciiti; i mercanti del Khorasan o ancora qualche notabile (questi ultimi in collegamento con i Mongoli, ricevono un salvacondotto in cambio della loro sottomissione ed al pagamento di un tributo. Anche altri cittadini di Bagdad riescono a salvarsi: si tratta di artisti, di calligrafi, di artigiani di talento e di amministratori di valore, che i Mongoli prenderanno al loro servizio. Il bilancio delle devastazioni risulta molto difficile da stabilire: la conquista di Bagdad ha provocato diverse decine di migliaia di morti, secondo gli autori mongoli: 200 mila secondo lo stesso Hulegu; da 800 mila a più di 1 milione, secondo i cronisti mussulmani posteriori. La città viene rasa al suolo in più parti e le sue ricchezze sono interamente saccheggiate. Rapidamente Hulegu cerca di ricostruirla. Nel giro di qualche mese, egli fa riaprire i mercati, rialzare i principali edifici e nomina gli amministratori ed un governatore per la sua gestione. Le madrasse (2), le moschee ed i santuari riprendono le loro attività. Sotto la dinastia degli Ilkhanidi (3), di cui Hulegu é il primo sovrano, Bagdad ritrova una certa prosperità ed un discreto dinamismo intellettuale ed artistico. Essa non sarà più la capitale di un impero, ma una città più modesta, una piccola capitale di provincia, fino alla fondazione del moderno stato dell'Iraq, nel corso del XX secolo. (Massimo Iacopi) La Storia si ripete La ricerca storica che precede, condotta con passione dal Generale Massimo Iacopi, arriva a proposito per arricchire la visione di ciò che potrebbe succedere oggi nello scacchiere mediorientale per iniziativa dell’Iran, la nazione a guida sciita che si sta ormai rivelando la vera minaccia per il mondo cristiano occidentale. Ciò che infatti è successo in Medio Oriente dal 1948 ad oggi ha radici lontane, anzi lontanissime, non estranee appunto alla ricerca del Generale Iacopi di cui sopra. Una storia che può considerarsi prodromica rispetto ai fatti che si profilano in Medio Oriente dove da secoli si snoda una serrata competizione per la supremazia religioso-politica dei Sunniti sugli Sciiti e viceversa. E’ evidente che l’affiorare delle istanze non proprio dissimulate dell’Iran sull’intero scacchiere, soprattutto in funzione anti Turchia ed anti Arabia Saudita, nascono in un momento di evidente debolezza occidentale, evidenziato dal frettoloso disimpegno americano dall’Iraq prima e dall’Afghanistan dopo, ma soprattutto dalla tiepida reazione all’invasione del Donbas ed alla precedente annessione della Crimea da parte russa, che non hanno prodotto un interesse diretto degli USA nella questione, se non quello di fornire all’Ucraina carri, missili, armi e munizioni, piuttosto che aerei e unità militari combattenti. A margine di tutto ciò, quello che sta vivendo in primis l’Europa è davvero un momento di particolare preoccupazione. I Paesi Occidentali, già indeboliti dalle sanzioni imposte alla Russia dall’UE per scoraggiare l’invasore dell’Ucraina ed i venti di guerra totale che cominciano a spirare con insistenza e che condizionano nel bene e nel male UE e Cina, non lasciano tranquilli i relativi popoli, ormai abituati a sonnecchiare indisturbati dopo quasi 80 anni di pace. Gli USA, di fatto, a quanto pare non più gendarmi del mondo e tra l’altro congelati dalle imminenti elezioni del Presidente che potrebbero riservare sgradite sorprese, nonché la Cina, in apparenza interessata al predominio del commercio globale, ma con un occhio molto aperto sulla eventuale prossima vulnerabilità di Taiwan, con al suo fianco preoccupanti spettatori quali Iran, Emirati Arabi, Egitto, Russia, Etiopia, India, Sud Africa, Brasile. Senza tacere di Germania e Giappone che si stanno riarmando, consci del fatto che, se gli USA allentano le redini e la Russia continua a rivendicare la sovranità sui territori russofoni incidentalmente liberatisi a causa dell’implosione dell’URSS, diventa non più procrastinabile costituire un efficace deterrente contro le minacce crescenti. Per non farci mancare nulla, ad incutere altra preoccupazione, la triste e inaspettata vicenda del 7 ottobre dello scorso anno a danno di Israele, pilotata in tutta evidenza dall’Iran, cui è seguita da parte di Israele la reazione punitiva tuttora in corso. E’ la prima volta che Israele si vede realmente minacciato nella sua stessa esistenza da un nemico impalpabile e viscido come Hamas, spalleggiato dagli Houthi e da Hezbollah, ma soprattutto dalle dichiarazioni pubbliche di parte iraniana che minacciano la distruzione totale di Israele. Intanto la pulizia etnica dei terroristi di Hamas procede alacremente, ostacolata dalla presenza ingombrante dei Palestinesi, colpevoli di non avere alcun luogo ove rifugiarsi, rifiutati da Egitto e paesi limitrofi alla Striscia di Gaza e quindi di trovarsi, loro malgrado, tra due fuochi: da una parte il fuoco disordinato e provocatorio degli intrappolati di Hamas che vendono cara la pelle in un gioco “gatto-topo”, non saprei dire quanto protetti dagli ostaggi israeliani che sembrano contare davvero poco nella visione, ormai contestata a livello globale oltre che in patria, di Benjamin Netanyahu e dall’altra dal fuoco spietato e caparbio di pura marca giudaica, delle truppe regolari di Israele decise a recidere la mala pianta del terrorismo anti israeliano. Era dal 1948 che, tra alti e bassi, si trascinava la serpeggiante ostilità contro l’Ebreo, considerato invasore della Palestina. Prima Arafat con l’OLP, poi al Fatah (4) e poi ancora Hamas, hanno interpretato i malumori di un popolo e di un territorio, quello palestinese, senza Nazione e senza Stato. La novità che si è appalesata con i fatti del 7 ottobre è costituita dall’intromissione determinata e spietata dell’Iran nel dissidio israelo-palestinese. Veniamo al punto. Gli osservatori delle strategie mediorientali, circa le manovre turche orchestrate dal sultano sunnita Recep Tayyip Erdoğan, le istanze subdole dell’Iran sciita, la confusione regnante in Libano, nello Jemen ed in Siria, appaiono finalmente in tutta la loro fosca pericolosità. Il dissidio più antico che percorre le citate popolazioni è quello tra Sciiti e Sunniti che ha inizio fin dalle primordiali origini della religione mussulmana. Le dottrine maomettane della prima ora erano sunnite in virtù del libro della Sunna predisposto da Maometto per regolare la vita dei fedeli. Ma la Sunna venne subito contestata dal genero di Maometto, Alì e dalla di lui consorte Fatima, figlia di Maometto, che diedero vita al movimento religioso rivoluzionario sciita. Il dissidio non si è più sanato e da secoli provoca conflitti fratricidi tra le due fazioni islamiche. In pratica rimasero fedeli a Maometto i Turchi, gli Arabi Sauditi, gli Iracheni, i Siriani, gli emirati arabi ed altri gruppi di minore importanza, contrastati dai paesi sciiti capeggiati dall’Iran. Nei secoli successivi, fra alterne vicende, le due fazioni entrarono più volte in conflitto. Sotto questo aspetto la ricerca del Generale Iacopi offre un efficace contributo che spiega come sia andato radicandosi il dissidio fra le due fazioni le quali, ancora ai nostri giorni, non perdono occasione per combattersi senza quartiere. Così Iraniani, Jemeniti, Siria, Libanesi e Curdi, col sostegno della ricchezza prodotta dai giacimenti petroliferi, si combattono per una improbabile supremazia sciita su quella sunnita e viceversa. In questo quadro, Israele rappresenta in realtà l’inaspettato terzo incomodo che, non solo è andato a turbare gli equilibri di un territorio e di un popolo, quelli palestinesi, tutto sommato marginali nella contesa islamica, ma è anche apparso il peggior male alle realtà medio orientali poiché si è imposto come vice-gendarme degli USA in forza dell’acquisita potenza bellica anche nuclearizzata e del potente Servizio Segreto capace di tenere sotto controllo i paesi mediorientali nella loro totalità. Anche per questo è difficile spiegare come sia potuto accadere il disastro del 7 ottobre. Non si riesce infatti a capire come un dispositivo bellico e di sicurezza come quello israeliano abbia potuto non avvedersi di quanto Hamas, con l’assistenza militare dell’Iran e di Hezbollah, stava preparando nel non breve periodo di circa due anni. Oltre al fatto di non aver compreso che Hamas utilizzava i fondi Occidentali destinati al popolo palestinese per apprestare indisturbato il potente dispositivo fortificato sotterraneo, in tutto il territorio della Striscia di Gaza come si è poi visto nei reportage diffusi dagli organi di comunicazione mondiali. (Carmelo Sarcià - Direttore di Graffiti)NOTE (1) Abbasidi: Dinastia musulmana di califfi (750-1258), la più duratura del mondo medievale islamico; governò infatti dal 750, quando gli Abbasidi strapparono il potere agli Omayyadi, fino al 1258, quando Baghdad fu conquistata dai Mongoli. (2) Madrassa: Nei paesi musulmani, istituto d'istruzione media e superiore per le scienze giuridico-religiose musulmane; vi sono insegnati in particolare Corano e ḥadīth. Gli insegnamenti sono impartiti da professori regolarmente retribuiti a studenti che usufruiscono di vitto e alloggio per lo più nella madrassa stessa. (3) Ilkhanidi: Dinastia mongola che governò l'Iran, l'Iraq, il Caucaso e l'Anatolia dal 1256 al 1353, in un periodo contrassegnato da notevoli turbolenze interne (4) al-Fatàh Sigla rovesciata di Ḥarakat at-Taḥrīr al-waṭanī al-filasṭīnī (con l’omissione delle iniziali di al-waṭanī «nazionale»), movimento di liberazione nazionale palestinese. Costituito a partire dal 1957, soprattutto ad opera di Yasser Arafat, nel 1965 avviò la guerriglia contro Israele e dopo il conflitto del 1967 assunse l’egemonia all’interno dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Con le elezioni del 1996 prese il controllo del potere esecutivo e legislativo dell’Autorità nazionale della Palestina; decisiva nella seconda intifada (2000), perse poi consensi a favore di Ḥamas, da cui è stata sconfitta alle elezioni del 2006 e con cui negli anni successivi si è scontrata anche militarmente. Nel maggio 2011 al-Fatàh e Ḥamas hanno firmato un accordo di riconciliazione con la mediazione dell’Egitto, ma pochi mesi dopo Ḥamas ha riaffermato la sua posizione di forza nel negoziato con Israele concedendo la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit in cambio di quella di oltre mille prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Nel maggio 2014, dopo il raggiungimento di un’intesa tra al-Fatàh e Ḥamas, le due fazioni si sono accordate sulla nomina di R. Hamdullah a primo ministro del governo transitorio di unità nazionale, ufficialmente insediatosi il mese successivo; le dimissioni di Hamdullah, rassegnate nel giugno 2015 per l’impossibilità di rendere operativo l’esecutivo all’interno della Striscia di Gaza e i continui dissidi interni hanno portato al rinvio delle elezioni, mentre la Cisgiordania e Gerusalemme hanno visto un drammatico aumento della tensione, sfociato nel settembre 2015 in una nuova ondata di violenza, poi rientrata anche grazie al mancato appoggio delle principali organizzazioni politiche palestinesi. Un passo decisivo verso la riconciliazione è stato compiuto nel settembre 2017 con lo scioglimento dell’esecutivo di Ḥamas a Gaza e con l’accettazione da parte del movimento islamista delle condizioni poste dall'ANP, tra cui l’indizione di elezioni generali che comprendano anche Gaza e Palestina.
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