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RE HASSAN II DEL MAROCCO Autocrate enigmatico e spietato, rimasto in carica per 38 anni dal 1961 al 1999 10/12/2024 - Massimo Iacopi (Assisi PG) RE HASSAN II DEL MAROCCO Questa è l’analisi della vita di un re-sultano, Mulay (principe) Sidi (signore) Hassan, Comandante dei credenti, che ha regnato dal 3 marzo 1961 al 23 luglio 1999, per ben 38 anni sul Marocco. Un personaggio autocrate, enigmatico, spietato con gli oppositori, che ha espresso le caratteristiche della sua doppia educazione (islamica e francese). Cresciuto con una educazione allo stesso tempo islamica e francese, non si è mai allontanato da questa doppia influenza. Ha instaurato in Marocco una vera autocrazia, domando l’opposizione con una dura repressione. Alla sua morte ha lasciato un paese stabile, ma esangue. Il Re Hassan II (1929-1999) ha regnato 38 anni, da 2 marzo 1961 al 23 luglio 1999. Un regno che ha modellato il Marocco indipendente di oggi. Decano dei dirigenti africani nel 1999, ha avuto diritto a dei funerali grandiosi, riunendo a Rabat una pleiade di grandi dirigenti del mondo, da Bill Clinton (1946- ) a Jacques Chirac (1932-2019), passando attraverso il presidente algerino Abdelaziz Buteflika (1937-2021). Ma questo personaggio ha anche custodito e coltivato un suo “giardino segreto”, al punto che la sua esistenza resta largamente sconosciuta al grande pubblico, compreso quello marocchino. Ad eccezione di una agiografia su comando, scritta da un universitario della famiglia alauita (“La Dimensione di un Re”) e pubblicata nell’agosto 1999, nessuna biografia fino ad oggi è riuscita a chiarire le molteplici sfaccettature di un personaggio enigmatico, temuto durante il suo regno ed ancora oggi controverso. A differenza di questa letteratura marocchina in genere agiografica, altri scritti molto violenti sono stati invece pubblicati da autori stranieri, specialmente francesi, fra i quali “Il Re nostro amico” di Gilles Perrault o Peyroles (1931-2023) rappresenta un esempio tipico e completo: il lavoro in effetti imbastisce in maniera molto polemica un processo al re marocchino ed ai suoi plurimi attentati ai diritti dell’uomo. In effetti, solo negli anni 1990 la questione del Marocco sotto Hassan II è diventata un argomento di dibattito nell’opinione pubblica europea, proprio perché, secondo alcuni dati, questo regno avrebbe prodotto quasi il doppio delle vittime create dalla Presidenza di Augusto Pinochet (1915-2006) in Cile: un totale di circa 60 mila persone (fra morti, scomparsi, prigionieri politici, ecc.) secondo l’Associazione marocchina dei diritti umani. Come spiegare questa particolare benevolenza nei confronti del regime marocchino? Per dare una prima risposta è opportuno ricordare che il Marocco è stato, durante la guerra fredda, un fedele e sicuro alleato del mondo occidentale e, inoltre, che la stretta cooperazione mantenuta con la Francia gli ha evitato “inutili” polemiche. D’altronde Hassan II ha saputo impiegare tutto il suo “savoir faire” nel mantenere il suo paese in alone di discrezione, che lasciava filtrare unicamente la sua stabilità, la bellezza dei suoi paesaggi ed il rude “attaccamento” dei suoi abitanti. Dopo la morte del re e la nascita di una stampa di espressione pluralista, emergono nello stesso Marocco, dei primi timidi dibattiti pubblici sul regno di Hassan II e pertanto appare opportuno effettuare alcune riflessioni su questo sovrano nel momento in cui sono stati aperti gli archivi del “Quai d’Orsay” (Ministero degli Esteri Francese; in particolare gli archivi della Direzione del Protettorato e degli archivi diplomatici) e che sono stati pubblicati più di 10 mila pagine di discorsi e scritti ufficiali di questo personaggio. Per comprendere questa complessa personalità, conviene rifarsi alle condizioni della sua formazione in un paese sotto protettorato francese. Nato il 9 luglio 1929 nel Meshuar (recinto del Palazzo Reale) di Rabat, Sidi (signore in arabo) Hassan è il primo figlio del Sultano Mohammed V (1909-1961), messo sul trono nel 1927 dalle autorità francesi per la sua apparente docilità. Sua madre Lalla Abla, splendida donna di una tribù dell’Alto Atlante, è stata offerta a suo padre, secondo la tradizione, dal “Glaui”, Pasha di Marrakesch. Contrariamente a suo padre, Sidi (signore) Hassan non viene educato nella città medievale di Meknes ed in tal modo riesce a sfuggire alle limitazioni di questa “città proibita”, oltre che al suo protocollo ed ai suoi fasti di altra epoca. In effetti, per ordine del Residente francese, generale Louis Lyautey (1854-1934), la capitale del protettorato è stata spostata a Rabat, da sempre capitale politica del regno. Il giovane principe vi soggiorna in un palazzo sospeso nel tempo: un mondo chiuso sul quale regna suo padre, dove vivono a stretto contatto i membri della corte, le donne del vasto harem, i servitori di ogni genere (fra i quali il buffone che maltratta i principi), i consiglieri, la guardia nera, gli schiavi (tuergas) al servizio del makhzen (l’apparato di stato del Sultano), qualche notabile e vizir (ministri). I figli illegittimi della famiglia regnante e dei grandi feudali frequentano i giovani aristocratici “ben nati”, in un sistema nel quale intrighi e vita di corte si frammischiano continuamente. Ma la vera sede del potere si trova qualche centinaia di metri di distanza nella Residenza Generale francese. Lontano dai saloni marocchini e dalle feste antiquate, i Direttori Generali del Protettorato, assicurano l’amministrazione del paese, la manutenzione delle sue strade, delle scuole, delle reti, con una volontà di razionalizzare e di efficacia. Gli ingegneri del genio civile francese (Pont et Chaussées) regnano da padroni. Mulay (il “principe”) Hassan si confronta, durante la giovane età con i due versanti del mondo in cui vive. A palazzo egli viene cresciuto nella tradizione (il Sultano è estremamente severo con i suoi figli) e riceve una solida educazione coranica. Ma egli ottiene anche il diritto di uscire, specialmente nella città coloniale di Rabat, a quel tempo parzialmente interdetta agli “indigeni”. Hassan è senza dubbio il primo principe a frequentare le spiagge situate a sud della città ed approfitta dei regali e delle vetture che suo padre, amante della modernità, gli offre. Egli viaggia spesso al seguito del Sultano, recandosi a più riprese a Parigi (1930, 1931, 1937). Suo padre, che aveva difficoltà con la lingua francese, offre a Mulay Hassan i mezzi per trattare con la potenza coloniale: dopo avergli dato una governante ed un precettore francese, lo iscrive ad una Scuola francese in Normandia (Les Roches), istituto dove si ritrovano molti giovani aristocratici europei. Ma la guerra impedisce la sua partenza per la Francia e per questo motivo viene creato, con l’aiuto del Residente, il Collegio Imperiale, che apre i suoi battenti nel 1942. Mulay Hassan vi frequenta la sua scolarità secondaria. I suoi professori ed il direttore, scelti con cura sulla base della professionalità, ne fanno un fine conoscitore della lingua e della letteratura francese. Mulay Hassan beneficia anche delle lezioni di un trio “nazionalista” marocchino, imposto dal padre Maometto V con grande disappunto delle autorità coloniali: esso è costituito da Mohammed El Fassi (1908-1991), professore di arabo, da Sidi Mohammed Bargach o Barkat (1948 - )), incaricato degli studi umanistici e da un giovane diplomato in matematica Mehdi Ben Barka (1920-1965), leader del nazionalismo magrebino. Essi lo portano al diploma liceale (baccalaurea) nel 1948, in una strana atmosfera, dove si vedono i professori attribuirgli il massimo voto in tutte le materie, nonostante una sua differente conoscenza delle materie ed una evidente debolezza negli studi matematici. Nel 1948 il giovane principe inizia i suoi studi di diritto a Rabat, che conclude a Bordeaux nel 1951: suo padre voleva dotarlo di una formazione giuridica, proprio come quasi tutti i giovani notabili della sua generazione. Sotto la discreta sorveglianza dei “servizi” francesi, Mulay Hassan conduce in Francia una vita da studente rilassata e festosa. Hassan resterà fortemente impregnato da questa doppia formazione, non effettuando mai, al contrario di un Habib Bourguiba (1903-2000) o di un Messali Hadj (1898-1974), leader nazionalisti, rispettivamente tunisino ed algerino, una vera scelta verso la modernità politica (fosse anche autoritaria), per non rinunciare alla tradizione politico religiosa, base della legittimazione del suo potere. L’uomo Hassan, civettuolo, spendaccione, vestito dai più grandi sarti del mondo, amante di belle donne e dei piaceri della vita moderna, non lascerà mai la sua cultura mussulmana classica, che, al contrario, saprà utilizzare per imporsi e disarmare i suoi avversari. Questa dimensione “schizofrenica” si ritrova nelle sue passioni politiche, che fanno del personaggio un Sultano medievale operante nel XX secolo, secolo di cui domina perfettamente i segreti e le risorse della modernità. Il giovane diplomato di ritorno a Rabat deve far fronte a delle sommosse, specialmente il complotto guidato dalla “camarilla” facente capo al residente generale francese, deciso a rovesciare a qualsiasi costo il “Sultano dell’ Istiglal” (1), sospettato di complicità con i nazionalisti. Il 20 agosto 1953, Mohammed V viene deposto, arrestato e posto, insieme ai suoi due figli, su un aereo militare in partenza per la Corsica. Questo evento crea nel Marocco l’unanimità intorno al Sultano. Si organizza immediatamente una resistenza urbana e successivamente rurale, duramente represse. Ma la rivolta di Constantinois, del 20 agosto 1955, provoca il voltafaccia delle autorità francesi che, per potersi concentrare in Algeria, cedono sul Marocco. Il 16 novembre 1955, il ritorno trionfale del Sultano a Rabat, apre la via ad una indipendenza negoziata. Il 2 marzo 1956 la Francia firma l’indipendenza del Marocco sotto la direzione del Sultano Mohammed V che, nell’agosto 1957, si proclama re. Alla sua morte, il 3 marzo 1961 Mulay Hassan diviene Hassan II. Questa intronizzazione avviene sotto cattivi auspici. C’è chi pena che questo trono sarà inevitabilmente spazzato via come quelli di Istanbul, del Cairo o di Tunisi. In effetti, una larvata guerra civile inizia a scuotere il Marocco, già dai primi anni del suo regno. Nel marzo 1965 delle sommosse sollevano la città di Casablanca. Problemi scolastici degenerano a causa della miseria urbana del paese, dando sfogo alle disillusioni coltivate dopo l’indipendenza. L’insurrezione dura tre giorni e provoca centinaia di morti. Hassan II dichiara, citando le scritture religiose, che egli è “pronto a sacrificare un terzo della popolazione per salvarne i due terzi”. Gli spiriti anche i più semplici hanno perfettamente compreso che questa dichiarazione non ha soltanto una virtù pedagogica ma …. Sempre nella stesso anno 1965, scoppia l’affare Ben Barka (2). Questo dirigente socialista dell’opposizione marocchina, una delle grandi figure con Fidel Castro (1926-2016) della Tri-continentale e del terzomondismo, viene ritenuto responsabile dei disordini che hanno messo in pericolo il trono. Viene “prelevato” il 29 ottobre 1965 in piena Parigi ed il suo corpo non sarà più ritrovato. Questo doloroso crimine di stato non sarà mai chiarito, ma l’implicazione diretta del Palazzo e dei servizi segreti marocchini non lascia spazio a molti dubbi. Riusciti a fuggire dalla Francia dopo l’operazione, il ministro degli Interni, Mohammed Oufkir (1920-1972), braccio destro di Hassan II ed il capo dei servizi segreti, il suo aiutante Ahmed Dlimi (1931-1983), vengono condannati in Francia qualche mese più tardi. Dopo 10 anni di regno, il potere di Hassan II non è risulta ancora consolidato: il regime rischia di cadere in occasione dei putsch del 1971 e 1972. Per due volte gli alti quadri militari dell’esercito, vero pilastro del regno, passano il “Rubicone” ed ogni volta il putsch fallisce, ma l’inevitabile repressione decapita l’Esercito ed arriva nel 1972 persino a costringere Mohammed Oufkir ad un suicidio “di lealtà”, ... Hassan II inizia, a quel punto, pazientemente (e senza scrupoli), l’opera di consolidamento delle basi del suo potere assoluto. Il recupero del Sahara occidentale, possedimento spagnolo, dopo la Marcia Verde del 6 novembre 1975, costituisce il momento cruciale del regno (3). Concepita e lanciata dal Re, questa marcia di tre giorni rappresenta la sua ora di gloria. Celebrata da quel momento come un atto rifondatore del regime e come segno decisivo della “riunificazione” del Paese, essa è consistita, secondo l’iconografia ufficiale, mille volte propagandata, in un “gesto” di 350 mila marocchini inviati nel Sahara che attraversarono pacificamente, armati di vessilli e del Corano, la frontiera del Sahara occidentale spagnolo per far tornare il territorio alla “Madre Patria” (4). L’organizzazione era stata pianificata e condotta con grande maestria dallo stesso re, insediato per l’occasione nel sud del paese, e dalla forze armate reali. L’operazione suscita un forte sentimento patriottico e la Spagna abbandona il territorio, mentre i separatisti Saharaui, sostenuti dall’Algeria di Houari Bumedienne (Mohamed Boukherouba 1932-1978), rifiutano questa “annessione”. Ha inizio da quel momento una lunga guerra nel territorio. L’Algeria, che non ha digerito la sconfitta di Tinduf nel 1963 (la cosiddetta Guerra delle Sabbie) (5), vede nel Fronte Polisario dei Saharaui un mezzo per indebolire il suo vicino marocchino. I meccanismi della guerra fredda non sono molto lontani. Una guerra durissima ed interminabile (1975 - 1989) occupa stabilmente 200 mila marocchini nel Sahara. A questo punto la situazione politica interna del Marocco subisce una drastica semplificazione: o si è con il Re, in guerra contro l’Algeria ed il nemico della Patria o si è contro il Re e quindi traditore e conseguentemente escluso dalla comunità nazionale. Per 25 anni, dalla Marcia Verde alla morte di Hassan II (23 luglio 1999), la “democrazia hassaniana” si fonda su questo postulato. Il re mette in opera un formidabile apparato per distruggere le opposizioni, cosa che gli consente, in cambio di una promessa di maggiore democratizzazione, di regnare in maniera assoluta, se si eccettua il suo fedele Ministro degli Interni Driss Basri (1938-2007), diventato l’uomo tutto fare della monarchia. A questa fase fa seguito il periodo della repressione degli “anni di piombo” (1975 - 1990), che annichilisce la maggior parte delle opinioni e dei giudizi, e lascia la popolazione nello spavento e nella paura. I rapimenti, le sparizioni, gli arresti arbitrari e la tortura, vengono utilizzati da qualche decina di torturatori dei differenti servizi paralleli di polizia (almeno sei), più per far regnare il terrore e distruggere qualsiasi velleità di opposizione che per eliminare effettivamente gli avversari. L’opposizione e la società politica marocchina escono a pezzi dal regno di Hassan II. Sul piano economico e sociale l’azione del regime rimane mediocre. E’ pur vero che l’azione del re non ha per niente contribuito a riassorbire le difficoltà del paese, che di fronte ai problemi economici si scoraggiava. Potenza agricola, poco dotata di materie prime (ad eccezione dei fosfati nel Sahara), il Marocco ha visto svilupparsi soprattutto una economia di rendita. Mentre i vantaggi agricoli del paese andavano progressivamente riducendosi con la crescita della pressione demografica, il regime ha dovuto impiegare i fondi di bilancio proveniente dalla vendita dei fosfati per mettere in opera una industria basata sulla manodopera (agroalimentare, tessile, ecc.). Allo stesso tempo una crisi strutturale ha coinvolto il paese negli anni 1980, obbligando il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ad un intervento doloroso. In sintesi, se nel 1960 il Marocco superava, per quanto concerneva il prodotto per abitante, quello della Corsica, alla fine del secolo esso si riduce di ben quattro volte. Con 30 milioni di abitanti, il paese ha un prodotto lordo che equivale a quello di un grande gruppo industriale francese (tipo Carrefour), rendendo il Marocco il fanalino di coda del Maghreb. Se poi si giudica lo sviluppo del paese secondo l’indice di sviluppo umano (IHD), che tiene conto della speranza di vita, dell’alfabetizzazione e del livello di vita, il bilancio è ancora peggiore. Il Marocco soffre di un tasso di analfabetismo record: un adulto su due non sapeva leggere nel 1999, ponendo il paese al 125° posto nella graduatoria mondiale dell’IHD. In realtà, nel paese si confrontano due realtà: quella delle città, il cui livello di sviluppo equivale a quello di città o paesi come la Tunisia, la Libia o la Colombia e quella delle campagne, dove si vive ancora, come diversi secoli prima, nella penuria e nella precarietà; il suo livello di sviluppo è paragonabile a quello dell’Africa centrale. In definitiva, Hassan II ha lasciato un paese stabile, ma esangue. Malgrado le previsione, a partire dal 1965, di catastrofe economica, di crisi politica e di rivolta sociale, il Marocco ha saputo resistere alla tentazione del caos. Questa stabilità si spiega anche in ragione della complessa personalità del re. Hassan II ha saputo, in effetti, stabilizzare il suo potere per il suo “caro popolo” e propagandare la sua figura autoritaria e paterna a capo della società patriarcale. Per questo ha saputo usare con finezza le sue parole ed il suo talento, con un dovizioso ricorso alle tecnologie moderne della comunicazione (radio, televisione, stampa, fotografia, …) Questo “padre” è peraltro presente dappertutto attraverso i suoi ritratti (che bisogna mostrare in ogni luogo pubblico sotto pena di azione di polizia), che lo ritraggono in tutte le situazioni della sua vita pubblica e privata. Questa sottile azione ha avuto un effetto così grande che sono stati a migliaia a piangere la sua morte, specie fra i 20 milioni di abitanti (due terzi della popolazione) nati sotto il suo lungo regno, per i quali egli incarnava la figura del padre potente ed autorevole. Certamente l’emozione ha colpito soprattutto il popolino delle città, ma sono stati tutti i Marocchini nel loro insieme a reagire vivacemente quando, dopo la morte del re, la stampa, specie francese, ha espresso commenti ed animosità fino a quel momento dissimulati. In effetti, nonostante i commenti poco favorevoli dopo la morte, Hassan II è stato molto di più che un monarca tirannico ed autoritario ed “a fortiori” molto di più di un oggetto di esotismo per le riviste europee. Egli ha guidato il “suo popolo” sotto la sua ferula, attraverso numerosi eventi drammatici ed in un contesto demografico ed economico difficile (specie la grande siccità degli anni 1980 - 1984 e degli shock petroliferi del 1973 e del 1979, drammatici per un paese privo di risorse energetiche). Il superamento di tutti questi pericoli, sofferti molto duramente dalla maggioranza della popolazione, é stata possibile per l’abilità politica del re, abilità che tutti i suoi avversari gli hanno riconosciuto. Egli ha saputo, in ogni circostanza, giocare tutte le sue molteplici opportunità offerte dalla sua speciale situazione: da sultano, da erede di una dinastia militar feudale medievale, da “tiranno orientale”, da re assoluto (alla Luigi XIV di cui si riteneva emulo, per aver saputo sfidare la feudalità), da despota illuminato, ma anche da autocrate, nel senso contemporaneo del termine, da giurista di formazione, legato alle forme di un potere apparentemente costituzionale. In effetti, Hassan II si mostrava molto fiero di aver dotato nel 1962 il suo regno della sua 1^ Costituzione, una Costituzione di apparenza democratica (suffragio diretto, parlamentarismo, responsabilità del Governo davanti al Parlamento), che, peraltro, negava alla base la separazione dei poteri. L’articolo 10 della costituzione, ancora in vigore nonostante diverse riforme, istituzionalizzava la figura di “Comandante dei Credenti” (Amir al Munimin). Non per nulla questa monarchia di diritto divino è stata battezzata “Monarchia alla Hassan”, avendo lo stesso re capito la necessità di mostrare agli occhi del mondo la natura democratica del regime. Ma allora come si può qualificare il regime di Hassan II ? Né totalitario, né fascista e neanche dittatura militare, anche se, in effetti, è stato il regime di uno solo, autocrate, secondo una vecchia tradizione politica. Il re si è dotato di mezzi di informazione e di repressione ben superiori a quelli dei suoi antenati, specie grazie alle moderne tecnologie. In definitiva, Hassan II è stato un re a due facce. Il suo lato oscuro non viene solamente dalla ragione di stato, ma anche dalla dimensione personale, narcisista. che spesso prende il sopravvento sulla politica. Hassan II si è mostrato capace di una crudeltà spietata (vedi il caso dell’eliminazione della famiglia Oufkir). A seguito di un colpo di stato nel 1972, di cui il potente Ministro della Difesa era stato l’istigatore e per questo fucilato sul campo, la moglie ed i suoi sei figli in tenera età sono stato segregati per 19 anni, in condizioni spaventose (6). La sorte riservata agli aviatori che hanno partecipato ai due putsch del 1971 e del 1972, imprigionati nel bagno penale di Tazmamart, è altrettanto spaventosa (7). Ma l’uomo presenta anche un lato aperto, anche se questo assolutismo di diritto divino prende spesso forme di dispotismo illuminato. Il re ha affascinato i suoi incensatori o turiferari stranieri, con azioni di grido ed una libertà di toni, tanto più significativa, proprio perché non temeva nessuna contestazione interna. La Marcia Verde del 1975, condotta nel solco di una lotta anticoloniale ed antifranchista, gli ha guadagnato un’eco favorevole in tutto il mondo. Egli ha soprattutto saputo presentarsi come un uomo di pace in Medio Oriente: Hassan e stato l’unico capo di stato arabo, a parte Anwar el Sadat (1918-1981), ad inviare delle truppe a sostegno degli Arabi nella guerra dell’ottobre 1973, ma anche l’uomo del dialogo con Israele, arrivando persino a ricevere Shimon Peres (1923-2026) nel 1986 ad Ifrane, nel Medio Atlante. Egli ha rinnovato questo exploit diplomatico in occasione della guerra del Golfo del 1990 - 1991, schierandosi a fianco degli Americani. Questo gioco altalenante, in politica estera, lo rende un indispensabile elemento di collegamento fra Oriente ed Occidente. Hassan, l’uomo che ha lasciato Oufkir vendere decine di migliaia di ebrei marocchini ad Israele (per qualche decina di dollari ad individuo, il Marocco ha “offerto” questa popolazione ad Israele che desiderava accrescere la sua popolazione a fronte dei Palestinesi) (8) si avvale della “provenienza marocchina” della più importante componente della comunità israeliana (fino all’arrivo degli ebrei russi). Hassan II cerca, in questo modo, di strumentalizzare gli ebrei marocchini in esilio, che devono servire le logiche della sua politica mediorientale. Egli si avvale normalmente di consiglieri ebrei, ma, allo stesso tempo, presiede il Comitato Al-Quds, fondato nel 1967 per sostenere la causa araba in occasione della guerra dei sei giorni, come anche l’Organizzazione della Conferenza Islamica, che raggruppa 45 stati appartenenti al mondo mussulmano. Questa posizione fa guadagnare una grande importanza al Marocco ed al re agli occhi degli USA, dell’Europa e di Israele, che si avvalgono di questo personaggio coraggioso e “visionario”. In questo contesto i diritti dell’uomo all’interno del Marocco appaiono come un fatto secondario, tanto più che l’opposizione ufficiale ha finito per accettare le regole del gioco scritte dal Palazzo e che l’islamismo nel paese appare sotto controllo. In realtà, l’islamismo si sviluppa in Marocco come nel resto del Maghreb, ma si metterà in evidenza solo dopo la morte di Hassan II, a partire dal 2000. Diviene a quel punto chiaro che in Marocco nel corso degli anni 1980 - 1990, l’islamismo ha preso il controllo dell’Università, dei Sindacati e dei quartieri popolari. Esso emerge sulla scena politica alla fine del decennio del XX secolo, attraverso un partito politico legale (il PJD), successivamente nelle grandi manifestazioni (specie contro Israele): le elezioni politiche del settembre 2002 lo fanno apparire come una delle maggiori forze politiche del paese. La “Baraka” reale (la sua grazia divina), che gli ha permesso di sfuggire a diversi attentati, nel 1971, 1972 e 1983, arriva a persuadere gli scettici, lasciando ad un pugno di oppositori all’estero la preoccupazione di condurre la lotta contro il “despota”. E ci vorrà la forza del libro di Gilles Perrault per portare un attacco mediatico molto forte al monarca nel 1990. Gli ultimi anni costituiscono, in effetti, un momento di svolta nel regno. Avendo bisogno del sostegno politico (specie nel Sahara) e finanziario degli Occidentali, il re recupera lentamente il tempo perduto e conduce finalmente il paese sulla via della liberalizzazione, promessa nel 1975. I diritti dell’uomo acquisiscono diritto di cittadinanza e le prigioni vengono vuotate ad ondate. Ed è proprio a qualche mese dalla sua morte che il re “autorizza” una alternanza governativa ai suoi oppositori storici dell’USFP (Unione Socialista delle Forze Popolari); nel 1998, nomina alla guida del governo un antico nemico della monarchia, il socialista Abderrahman Yussufi (1924-2020). Questa alternanza politica aveva lo scopo di assicurare la tranquillità della sua successione nel 1999. Scommessa riuscita: gli oppositori socialisti escono cambiati dalla esperienza di governo ed il trono si ritrova rinforzato. Spetta però al figlio di Hassan II, Muḥammad as-sādis o Mohammed VI (1963 - ), di affrontare le vere sfide di: risolvere l’affare del Sahara sul piano internazionale e di affrontare la questione islamista, trovando, nel contempo, una via per una forte crescita economica. NOTE 1. Imprimerie Nationale à Rabat. 2. L'Istiqlal è il partito nazionalista marocchino, fondato nel 1944. 3. Gerbaud Sophie, «L’affaire Ben Barka : suite et fin», L’Histoire n° 266, pp. 23-24. 4 L’anniversario della Marcia Verde, dopo questi fatti, diviene giorno festivo, rientrando nel novero delle feste nazionali del Marocco. 5: Nell’ottobre 1963 era scoppiato un conflitto fra il Marocco e l'Algeria (la “Guerra delle Sabbie”) e tuttavia il Marocco comincia ad impadronirsi della parte orientale del Sahara. 6. Oufkir Fatima, Les jardins du roi, Paris, Lafont, 2000. 7. Cf. A Marzouki, Tazmama, Cellule 10, Paris, Paris Méditerranée, 2000. 8. Cf. Bensimon Agnès, Hassan II et les Juifs. Histoire d'une émigration secrète, Paris, Le Seuil. CRONOLOGIA 1912, 30 marzo : trattato di Fèz che inaugura il protettorato francese sul Marocco. 1929, 9 luglio : nascita di Mulay Hassan nel palazzo di Rabat. 1953, 20 agosto : deposizione del sultano Mohammed V, seguito dal suo esilio con i suoi figli. 1955, 16 novembre : ritorno dall’esilio del Sultano. 1956, 2 marzo : indipendenza del Marocco. 1961, 3 marzo : morte di Mohammed V. Intronizzazione ufficiale di Hassan II. Questa data rimarrà quella della festa del trono durante tutto il regno. 1963, 29 luglio: repressione del “complotto del 1963” (5 mila militanti arrestati e smantellamento dell’UNFP :Unione socialista delle forze popolari). 1963, 21 agosto : nascita del principe ereditario Sidi Mohammed 1963, ottobre : “Guerra delle sabbie” a Tinduf fra Marocco ed Algeria 1965, 29 ottobre: rapimento dell’oppositore del Re, Ben Barkà, a Parigi. 1971, 10 luglio : fallito colpo di stato di Skhirat. 1972, 16 agosto: colpo di stato del Boeing. Morte d'Oufkir. 1975, 6 novembre: inizio della Marcia Verde; Il Marocco prende possesso del Sahara occidentale. Inizio del conflitto con gli indipendentisti saharaui del Fronte Polisario. 1976, 27 gennaio : inizio del conflitto con l’Algeria (campagna d'Amgala). 1998, 14 marzo : inizio del periodo dei governi di alternanza che preparano la successione dinastica. 1999, 23 luglio : morte di Hassan II presso l’Ospedale Avicenna di Rabat, accessione al trono di Mohammed VI BIBLIOGRAFIADALLE I., Le Règne d’Hassan II, Paris, Maisonneuve & Larousse, 2001. El-ALAOUI I. B., La Dimension d'un roi, Hassan II, Paris, Fabert, 1999. HASSAN 2°, La Mémoire d'un roi (intervista con Éric Laurent), Paris, Plon, 1993. HUGHES S., Le Maroc d Hassan II, Monaco, Le Rocher, 2002. MONJIB M., La Monarchie marocaine et la lutte pour le pouvoir, Paris, L’Harmattan, 1992. PERRAULT Gilles: “Il Re nostro amico”, Paris Gallimard 1990; SMIM S., Oufkir, un destin marocain, Paris, Hachette Littératures, 2002. VERMEREN P., Histoire du Maroc depuis l'indépendarce, Paris, La Découverte, 2002; Le Maroc en transition, Paris, La Découverte, 2002. WATERBURY J., Le Commandeur des croyants. La monarchie marocaine et son élite, Paris, PUF, 1975.
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