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La destra non esiste Siamo tutti di sinistra Dec 11 2005 12:00AM - (Rieti) Aristotele definisce l’uomo
un “animale politico” per natura. Si tratta di un’affermazione dal valore
simbolico che introduce però considerazioni di elevato
spessore in fatto di politica ed offre un quadro dell’epoca del filosofo di
grande civiltà e compostezza, quale ai tempi nostri non si riscontra. La politica è la fucina
delle aspettative dell’uomo; aspettative tradotte in
linguaggio, confrontate e argomentate da opposte posizioni. Sotto questo
profilo, è sempre condivisibile il pensiero di Aristotele,
perché vi si definisce il concetto e vi si profila il fatto della politica,
attribuendo nel contempo a questa espressione un ruolo necessario agli
individui per realizzare la società civile. Quando in un consesso la
politica assume aspetti di intolleranza o viene in
qualche modo a cessare il suo esercizio o vene meno la sua funzione di
confronto costruttivo, l’individuo si trova ad essere privato di una
prerogativa che ne nobilita la condizione. La società che in origine aveva sperimentato la dialettica della politica come mezzo
per giungere a soluzioni sociali mediamente tollerabili, si deprime ed il suo
ruolo, da coagulante che era, si fraziona in frange concorrenti la cui opera
arresta l’evoluzione. Nei casi aberranti, la tirannia prende
il posto della politica, la società si disgrega e le istanze sociali vengono
soffocate o mantenute vive solo grazie alla reazione. La politica pura ha la
funzione ideale di esaurire gli antagonismi nella dialettica, con lo scopo di
convincere o indurre l’altro a sposare le proprie idee o ad accettare le proprie soluzioni. Ma le molte
ragioni dell’individualismo e dell’interesse personale a danno dell’interesse
sociale, producono l’eccessivo frazionamento della politica, con risultati del
tutto lontani dai propositi dichiarati. Prevalgono quindi gli antagonismi,
aumenta il numero delle proposte di soluzione delle attività destinate al
conseguimento del benessere sociale e la politica perde il ruolo di istruzione, di indirizzo e di guida; in una parola la
politica viene privata della funzione educativa sulle masse, a totale
detrimento delle attività umane. “In politica bisogna guarire i mali, non vendicarli”, diceva Napoleone III. Ed
aveva ragione. Nessuno è mai entrato in politica per contribuire al benessere
sociale; la molla che spinge è generalmente quella dell’interesse personale.
C’è una rara pubblicazione, Il progetto aristotelico
fondato sulla sublimità della politica, intesa come arte nobile che deve
illuminare l’intelletto del popolo, che ne deve esaminare i bisogni e
progettarne il futuro, non ha più alcuna possibilità di
essere realizzato; certamente a causa degli antagonismi che la politica in sé
accende, ma anche perché il quadro sociale moderno è sempre più riferibile alle
masse antagoniste, animate da istanze legate al territorio, alla sopravvivenza,
alla religione e alle risorse, senza alcun rispetto per le ragioni dell’altro. Una descrizione attuale
delle problematiche legate alla politica strategica mantenuta tra le nazioni
l’ha rilasciata lo statista Henry Kissinger nel suo libro “Gli anni della Casa
Bianca”: “Le superpotenze si comportano un po’ come due ciechi armati fino ai
denti, che si aggirano cautamente dentro una stanza: ognuno crede che l’altro
ci veda benissimo, e che da un momento all’altro lo ammazzerà. Ognuna delle due parti dovrebbe sapere che
l’incertezza, il compromesso, l’incoerenza sono spesso la vera essenza della
politica; eppure ognuna di esse tende a credere che l’altra sia dotata di
fermezza di propositi, preveggenza,
coerenza politica, che pure sono nettamente smentite dall’esperienza.” Kissinger è un Aristotele dei nostri tempi, perché ha interpretato in
modo realistico la politica e l’ha assunta
non come fenomeno, ma come pratica di garanzia collettiva affidata però
alla prudenza dei governanti. La politica non è una branca
della cultura umana di cui discettare nei consessi, ma è una responsabilità,
poiché produce effetti, sempre più spesso effetti
negativi, che si riversano sulla comunità e sull’individuo, imbrigliandone
l’intelletto fino a renderlo passivo. Ciò malgrado, la politica è
necessaria e lo è persino la sua degenerazione. La degenerazione della politica
consacra la sua funzione proprio quando tocca il fondo; quello è infatti il segnale che il popolo attende per destituire gli
inetti e scacciare i corrotti. La necessità della politica
si dimostra con l’esigenza dell’individuo di continuare ad esercitare le
garanzie che riguardano i diritti legati alla persona umana, alla sua dignità,
alle sue speranze di giustizia ed all’esigenza di
libertà. Per molti secoli la politica
è stata appannaggio di poche persone, munite di un apprezzabile bagaglio storico,
culturale ed economico, che offrivano garanzie alla comunità. Pur parteggiando,
com’è naturale, per una o l’altra delle figure
impegnate nella politica, la popolazione si affidava totalmente e con fiducia a
quella che sembrava più in grado di gestire le emergenze sociali contingenti.
Le case regnanti facevano da collante ed i destini della nazione procedevano
verso traguardi che sostanzialmente avvicinavano i regnanti al popolo, nel
senso proprio della legittimazione reciproca. L’avvento dei regimi cosiddetti
democratici e repubblicani ha mutato radicalmente le prospettive della
politica. Robert Louis Stevenson, scrive nel suo “Familiar Studies of Men and Books”: “La
politica è forse l’unica professione per la quale non si considera necessaria
nessuna preparazione specifica”. Non è una considerazione confortante;
tuttavia bisogna ammettere che non si tratta di una espressione
diffamatoria, né di un luogo comune. Questa convinzione è ormai radicata
nell’intelletto del cittadino medio, non solo italiano. Purtroppo questa
consapevolezza non scalfisce le coscienze degli addetti alla politica, i quali
si gingillano, si beano, perseverano, insistono e discettando dei più vari e
articolati argomenti, spesso senza rendersi conto delle conseguenze del loro
discettare; si esercitano in attività di puro antagonismo ideologico, talvolta
anche negando in risultati e le realizzazioni
dell’avversario, se non addirittura contrastandone l’esecuzione in corso
d’opera, anche a danno dei cittadini. Questo non è “fare politica”, ma
assassinio sociale. Gli schieramenti della
politica, per convenzione, hanno ormai da tempo assunto connotazioni di indirizzo statico alle quali “dovrebbero” (il
condizionale è d’obbligo) corrispondere una specifica ideologia, un preciso programma,
un corredo di modalità che potrebbero, in caso di prevalenza, assicurare il
buon governo. Si tratta soltanto di una convenzione. Gli schieramenti politici
si accapigliano su ciò che viene fatto, su come viene
fatto, su cosa si sarebbe dovuto fare e sulle conseguenze di ciò che è stato
fatto. Ciascuno schieramento si identifica con il
settore dell’anfiteatro in cui siede, per cui si parla di estrema sinistra, di
sinistra, di sinistra moderata di centrosinistra, di centro, di centrodestra,
di destra moderata, di destra, di estrema destra. Si contano almeno nove
schieramenti politici, ma in realtà, contando i gruppi indipendenti e la
miriade di proliferazioni separate dagli schieramenti ordinari, si giunge a più
del doppio di gruppi parlamentari, con un'unica prospettiva: la rissa, ossia la
fine della politica, ossia la difficoltà di governare in alternativa
all’incapacità di governare. Tra l’altro, dovendo i programmi governativi
coincidere necessariamente con i bisogni della gente, sono redatti e contengono
le medesime iniziative programmatiche, indipendentemente dalla fazione che li
pensa e li elabora. La partita si giocherà sulle modalità e sulle scelte di realizzazione dei programmi da parte di ciascuno
schieramento. Ogni scelta andrà ad interagire direttamente con i bisogni
dell’individuo il quale, indipendentemente dallo schieramento in cui milita, sa bene cosa è meglio o peggio per lui. La soluzione sta infatti nel compromesso che è figlio della voglia di
governare. Quanto più grande è la voglia di governare,
tanto più sarà disposta la politica ad accettare il compromesso. Se il
compromesso alla fine costringerà la politica a perseguire gli obiettivi che la
gente si aspetta vengano perseguiti ed a realizzare i
fini dichiarati nei programmi con delle modalità conformi alle aspettative della gente, le
politiche si assomiglieranno sempre di più e gli schieramenti saranno mantenuti
in vita soltanto per rispettare la convenzione sociale, ma senza appagare
alcuna specifica necessità di tutela dell’ideale politico. Ecco dunque emergere una
prospettiva di valenza epocale: la destra e la sinistra non esistono più.
Esistono le esigenze sociali ed il politically correct. Ognuno vorrebbe dire,
ma non dice; pensa una cosa , ma ne dichiara un’altra.
Le politica che ne risulta è una politica ambigua, non
credibile, parolaia e inconcludente che deprime l’elettorato, allontana le
speranze e in definitiva scontenta tutti. E’ pensiero comune che
chiunque vinca le elezioni, non cambierà nulla. Molti anzi pensano che potrebbe cambiare tutto, ma in peggio.
Tuttavia la politica è, sempre più, destinata a soddisfare le istanze sociali, per cui possiamo dire che siamo ormai tutti
di sinistra. Prodi, Berlusconi, Casini, Follini, Fini, poi ancora, C’è chi sogna ancora la
balena bianca. Nel ventre del grosso mammifero convivevano, come ha mostrato la
diaspora democratica cristiana, due anime: di diavolo e l’acqua santa. Le
conoscevamo le due anime della democrazia cristiana: quella dei “franchi
tiratori” dichiaratamente di sinistra, quella moderata, ma ugualmente ambigua e
inaffidabile, capace di qualificarsi di destra pur di non perdere l’elettorato,
salvo poi a fare l’occhiolino ai sanculotti cattocomunismi ed accettare il
compromesso. Si giunse persino a parlare di “compromesso storico”. In questo
particolare momento politico Mastella è l’elemento più esposto alla confusione
dei ruoli e delle ideologie. Lo abbiamo visto manovrare in modo sporco al tempo
dell’ormai famoso ribaltone; ora lo osserviamo con un piede nella staffa
berlusconiana, sotto lo sprone incalzante di Cirino Pomicino, l’infiltrato del
Cavaliere. Mentre Cossiga, il Presidente emerito e
l’inossidabile Andreotti, sono i reperti archeologici di un passato che meglio
impersona l’ambiguità della dissolta D.C. La differenza che viene portata a simbolo della incapacità di prevalere della destra
è la disparità nella cultura. La cultura viene sempre
indicata come un fenomeno prettamente di sinistra, con giustificazioni
sinceramente pretestuose. Se manca una cultura di destra, vuol dire che la cultura è un fenomeno che si verifica soltanto a
sinistra. Del resto, tutte le espressioni della cultura, prendono come spunto di ispirazione la sofferenza dell’uomo, i motivi sociali, il
lavoro, la lotta di classe. Ciò che rimane è paccottiglia da cassetta, buona
per l’intrattenimento del ceto medio e delle classi parassite. Ergo: tutti gli
uomini di cultura, anche quelli di destra, se ve ne sono, sono e si dichiarano
in realtà di sinistra. Lo si evince dagli argomenti
della loro ispirazione oltre che dalle frequentazioni e dalle ostentate
dichiarazioni schierate. Quelli di destra non lo sanno; anzi, non lo vogliono sapere. Ma è così. Del resto, il
movimento più di destra che l’Italia abbia mai conosciuto,
cioè il fascismo, nasce da una costola della sinistra socialista di Nenni.
Anche la tragica Repubblica di Salò era Sociale e il Movimento nato nel
dopoguerra e relegato per cinquanta anni fuori dall’arco
costituzionale era Sociale anch’esso. E Forza Italia,
non è forse socialista? Poi ci sono i Ferrara, i
Bondi, i Guzzanti, che adesso, senza troppa difficoltà, militano nelle fila di
Forza Italia, hanno militato nelle file del partito comunista e si sono
indottrinati alle Frattocchie, seduti sugli stessi banchi di Fassino &
Compagni. In conclusione. La destra è
un’illusione che in fondo non è mai esistita perché se andiamo a ben guardare,
siamo tutti di sinistra. Certamente questa è una rivelazione che andrebbe fatta
digerire anche a Bertinotti, Fassino, Prodi e Rutelli, spiegando loro che è perfettamente inutile prendersela con gli innocenti
compagnucci della parrocchietta. La soluzione sta nella concertazione, già
sperimentata in Venezuela e riproposta in Germania da Angela e Schöreder.
Concertazione che dovrebbe preludere alla pacificazione generale, ne più ne meno di come è riuscito a fare Franco in Spagna. Forse dopo questa
rivelazione la politica potrebbe riassumere il ruolo che Aristotele immaginava: un ruolo legato al destino dell’uomo in quanto
soggetto di diritti ed alla società quale palestra per l’esercizio di questi
diritti, in cui la politica sopperisce alle necessità dell’individuo
assicurandogli la completa partecipazione alle decisioni che lo riguardano,
senza gabbarlo, senza isolarlo e senza tentare di sottometterlo.
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