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Il Paese delle Cupole Potere & Cittadini Jul 9 2006 12:00AM - C. SARCIA' (Rieti) Quando si parla di cupole si
pensa quasi sempre alle cupole mafiose, cioè ai gruppi dirigenti delle
organizzazioni criminali facenti capo alla mafia siciliana, alla camorra
napoletana, alla ‘ndrangheta calabrese ed alla sacra corona unita pugliese. C’è
un posto singolare in Sicilia dove un connubio tra arte normanna, bizantina ed
araba ha realizzato intorno al 1142-43 degli elementi architettonici suggestivi
costituiti da cupole. Mai un’espressione monumentale fu più indicata per
illustrare una terra che delle “cupole” è la patria. Si tratta della chiesa di
San Giovanni degli Eremiti a Palermo e delle piccole chiese della Martorana e
San Cataldo. I distinguo però sono
d’obbligo. L’immagine della cupola è quella di un monolite composto di pezzi
ben incastrati tra loro, ognuno dei quali si regge in virtù dell’influenza che
esercitano su di esso i pezzi vicini e nel quale tutti i pezzi insieme formano
e reggono l’intera struttura. Un vero esempio di architettura edilizia che
unisce la semplicità organizzativa alla complessità del progetto. Una volta costruita, la
cupola è destinata a durare; se anche e talvolta qualche tassello dovesse
essere rimosso, difficilmente verrebbe meno la forza di coesione che tiene
uniti tutti gli altri pezzi. Così, ogni cupola è una costruzione idonea a
durare nel tempo, a sopportare qualsiasi genere di sollecitazioni e ad essere
riparata in caso di danneggiamenti, tant’è che, eseguita l’eventuale
riparazione, la cupola ritorna alla sua primitiva stabilità. ♠ Ma l’argomento che ci occupa
non riguarda le cupole progettate e costruite dagli architetti, ma quelle
realizzate intorno agli interessi personali e privati facenti capo ad una casta
o comunque ad un gruppo di potere. La distinzione tra caste di
professionisti e caste di boiardi è molto flebile, anche perché il “sistema
casta” si realizza in modo sintomatico intorno ad ogni potere costituito ed in
ogni settore organizzato e organizzabile dai quali, la classe che detiene il
potere, non necessariamente anche classe dirigente, trae vantaggi per se stessa
e per i suoi adepti. Gli Ordini professionali, ad esempio, sono arroccati sulle
loro posizioni di potere e sostengono a spada tratta la loro contrarietà ad
ogni forma di liberalizzazione delle professioni, ma anche di facilitazione
delle procedure per l’abilitazione delle nuove leve all’esercizio della
professione. Basta spostarsi in Europa
per scoprire tutto un altro mondo, nel quale viene assicurata a tutti i
laureati la possibilità di esercitare la professione con maggiori garanzie che
non da noi. La farsa dell’esame per essere abilitati all’esercizio della
professione, così come viene condotta in Italia è il peggio del peggio. Solo a
Roma, qualcosa come 7.200 candidati, che il prossimo anno lieviteranno a oltre
8.000! In Italia i praticanti avvocati non hanno voce e
posto nei Consigli dell’Ordine: sono degli “incapaci” e non godono neanche di
rappresentanza. I militari eleggono i loro rappresentanti nei Cobar, i
praticanti avvocati non eleggono nessuno. Le garanzie riguardo alla corretta
conduzione della pratica forense sono teoriche e sono rimesse alla sensibilità
deontologica del titolare dello Studio. Non voglio credere alla “diceria
dell’untore” che correrebbe sul web secondo cui gli elenchi degli abilitati
siano precostituiti. Si può scommettere però che coloro che svolgono la pratica
negli Studi quotati, raramente sostengono l’esame più di una volta. Il manuale
di deontologia è una specie di Bibbia che viene tirata fuori dal cassetto solo
per redarguire quei pochi che vengono “scoperti” a commetterla grossa. L’Ordine degli avvocati
francese assicura le massime garanzie sia agli utenti dei servizi forniti dagli
iscritti che allo Stato percettore dei tributi. In Italia non si è neanche
riusciti a realizzare un modello organizzativo uguale per tutti gli Ordini
professionali. Tanto per fare qualche esempio: i laureati in medicina accedono
tutti indistintamente alla professione, sostenendo un esame puramente formale
che li abilita nel giro di qualche mese dopo la laurea. Si tratta di
professionisti abilitati a “giocare” con la vita umana. Al contrario, per la
maggioranza dei laureati in giurisprudenza, l’acquisizione del “crisma” di
avvocato rimane una chimera e la concessione del patrocinio legale è soggetta a
forti limitazioni territoriali e temporali, nonché di valore e di competenza. L’Ordine dei giornalisti ha
invece realizzato due elenchi, uno per i professionisti ed uno per i
pubblicisti, concedendo ad entrambe le categorie la garanzia di esercitare la
professione fino al limite pensionabile e con la possibilità anche per i
pubblicisti di diventare direttore responsabile di giornali e periodici. I
pubblicisti vengono anche convocati nelle assemblee ed eleggono i loro
rappresentanti. con diritto di voto. Non si può negare che il
funzionamento degli Ordini formi in Italia in una vera e propria jungla di
“cupole” che gestiscono, ciascuna, un potere formidabile, protette da un
impianto legislativo che non consente intrusioni, adattamenti o modifiche. I recenti provvedimenti
governativi di liberalizzazione, paradossalmente adottati in questi giorni da
un Governo di sinistra, appaiono un parziale tentativo populista, piuttosto che
il preludio ad un riassetto generale ed organico di tutta la materia. Lo
sciopero indetto dagli avvocati conferma il sospetto di un’azione condotta ad
oltranza per difendere un potere smisurato e non negoziabile. Tutti noi, addetti ai
lavori, sappiano però che sulla cultura giuridica e sulla capacità degli
iscritti si possono avanzare più di una riserva. Si è assistito nelle aule e
nelle camere di consiglio a figure barbine che gridano vendetta. Il praticante,
vero autore degli atti in discussione e capace di illustrarne i contenuti e di
concludere per le richieste, è relegato dalla norma in un angolo, senza voce,
né potere perché bollato come “incapace”. Nella medesima stanza un collega
avvocato, intronizzato al posto d’onore, darà prova della sua lieve ignoranza,
supponendo che il “reclamo” al Collegio avverso un’ordinanza di rilascio sia la
medesima cosa di un ricorso al Giudice dell’esecuzione. Un altro collega
avvocato suppone invece che la chiamata in causa del terzo sia prerogativa
dell’attore, in ogni stato e grado del processo ed assimila tale istituto alla
declaratoria di “litis consortio necessario” di competenza del Giudice. Ma,
tant’è… quelli citati, sono casi isolati da attribuire a legali abilitati ad
esercitare la professione “con licenza di uccidere” perché appartengono ad una
“casta” che, comunque, continuerà a gestire un potere smisurato, molto simile a
quello gestito dalle cupole italiane di cui andrò trattando. L’anomalia più
assordante consiste nel fatto che i praticanti avvocati sono per legge dotati
di una capacità limitata che diminuisce di giorno in giorno, fino a sparire del
tutto allo scoccare del quinto anno di patrocinio. Spiace, però, osservare che
i motivi di opposizione alle liberalizzazioni posti a sostegno della
preclusione non si reggono davvero, specie quando si osserva che il titolare
della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei
servizi pubblici essenziali debba ricordare agli avvocati le norme sul
preavviso che deve precedere lo sciopero e sulla sua durata. ♣ La diffusione delle cupole all’interno delle
organizzazioni politiche ed amministrative pubbliche, il loro diffondersi a
livello di sistema, con capacità di influenzare le scelte e di condurre il
controllo sulla gestione, è talmente capillare e stabilizzata che c’è da
domandarsi se non sia, il sistema “cupola”, la conseguenza naturale della
gestione del potere pubblico, ossia una sorta di ineludibile sbocco che la
stessa natura umana realizza ogni qualvolta l’individuo si trova per qualsiasi
motivo a dover gestire un mandato popolare da cui possono trarsi benefici per
tornaconto personale. C’è anche una fervida
letteratura che nasce dalla saggezza dei popoli, condensata in proverbi e detti
popolari, che riassume il concetto dell’inevitabilità del coinvolgimento insito
e presente nella gestione del potere: “Il mugnaio si sporca di farina; Cu’ avi
mannira mancia ricotta.” Gli esempi sarebbero
innumerevoli, come innumerevoli sono le occasioni adatte e le organizzazioni
soggette: il reclutamento nei corpi militari e paramilitari, le assunzioni
nell’impiego pubblico, nelle aziende di Stato e negli enti locali in genere, la
formazione delle graduatorie nei concorsi, l’assegnazione dei punteggi e
l’attribuzione dei posti, il rilascio di permessi, licenze ed autorizzazioni,
l’accesso a finanziamenti pubblici. Tutto ciò che contiene o
amministra una necessità, un bisogno, un diritto, entra inevitabilmente nella
sfera di gestione di una sorta di cupola che pur non essendo riconducibile ipso
facto a quelle di stampo mafioso, in effetti funziona in modo simile e tale da
apparire come un circolo chiuso che si adopera per conseguire una utilizzazione
del pubblico ufficio e delle norme che lo regolano per scopi di indirizzo degli
effetti dell’esercizio del potere verso una direzione predeterminata,
concordata tra una ristretta cerchia di addetti ai lavori, a beneficio di pochi
legati da vincoli solidi ai pubblici amministratori costituenti appunto la
cupola. La cupola talvolta è fine a
se stessa, cioè non si propone necessariamente il fine di ricavare un illecito
beneficio dalla concessione del diritto dovuto, ma si libera come effetto della
produzione contingente di una manifestazione di devianza che generalmente si
coniuga nella formula: “funzione/potere” da una parte, “bisogno/sottomissione”
dall’altra. In questi casi si realizzano effetti che derivano da una sorta di
sadismo naturale che il funzionario statale manifesta nell’espletamento del suo
incarico e che si proiettano nel rapporto tra “l’ intransigente detentore del
potere” che esercita la funzione, ed il cittadino comune, qualificato
nell’immaginario del funzionario come “suddito o questuante, sgradito ed
inopportuno”. In questi casi il malcapitato cittadino è percepito come
scocciatore, maleducato, prepotente, insolente, noioso e offensivo, e la sua
ostinata ricerca di un contatto piano e favorevole, appare inaccettabile e non
meritevole di tolleranza. Si tratta di situazioni che si verificano soprattutto
quando i due personaggi sono separati da uno sportello o da una scrivania. Si dirà che siamo di fronte
ad una patologia del rapporto tra potere pubblico e interesse privato, ma si
tratta di una patologia purtroppo molto
diffusa, che viene usualmente giustificata dai sindacati, e dagli stessi
contravventori, con i bassi stipendi, il cumulo di lavoro, il personale scarso,
le infrastrutture inadeguate, i mezzi sorpassati. A monte di tutto c’è però il
potere assoluto, a discendere invece, l’esposizione agli umori estemporanei e
talvolta meteorici dei kapò dell’amministrazione pubblica, che si cerca di
neutralizzare con i comportamenti utilitaristici, con i richiami alla malattia
o alla famiglia, con la pantomima volta a far apparire il “questuante senza
diritti” rispettoso del suo ruolo di essere inferiore, servile e adulatore,
nella remota speranza di riuscire almeno a smuovere i meccanismi ancestrali
della pietà, della solidarietà e della cooperazione che pare alberghino in ogni
uomo. La semplice funzione
amministrativa si trasforma dunque in strapotere, anche attraverso gli spazi
che vengono forniti dalla farraginosità e incompletezza delle leggi, quasi
sempre – specie negli ultimi decenni – scritte da un legislatore bizzarro,
ambiguo e incompetente. Quando, ad esempio, non si riesce a capire dalla norma
se un certo atto da iscrivere a ruolo paga o no il contributo unificato e se lo
paga, quale debba essere l’importo, chi decide è il Cancelliere. Si comprende
bene quale possa essere la portata del potere esercitato in questi casi. Quando, più in generale e
senza riferimenti ad una specifica amministrazione, ad un simile potere si
accompagnassero richieste illecite di doni o di altre prebende, in cambio di
servizi dovuti, allora si entrerebbe direttamente nelle fattispecie delittuose
previste e punite dal codice penale, quali la concussione e la conseguente
corruzione, che finalmente dimostrerebbero che il sistema “cupola” si è ormai
instaurato e radicato anche nei bassi livelli della pubblica amministrazione. Ogni cupola ha un capo
supremo riconosciuto e indiscusso, attorno al quale ruotano fidati
fiancheggiatori, i quali a loro volta si avvalgono di tirapiedi, portaborse,
ruffiani e procacciatori di affari. Il tutto forma una cupola solida,
resistente alle sollecitazioni, che talvolta si può anche permettere di perdere
pezzi, poi prontamente rimpiazzati per ripristinare la primitiva solidità e
intoccabilità della cupola. Attenzione, però, quando in
un luogo, “privilegiato” dall’esistenza di una cupola, viene a mancare il
leader, cioè il capo indiscusso in grado di gestire l’organizzazione per
capacità soggettive e per maestria acquisita, si verifica spontaneamente la
formazione di piccole cupole di settore, operanti in modo autonomo e
dissociato, legate comunque da una sorta di solidarietà passiva di non
invasione degli spazi di manovra delle cupole contigue, che solo talvolta
entrano in conflitto tra loro provocando la crisi del sistema. ♥ Osservando con distacco il fenomeno cupola, potrebbe
sembrare, in apparenza, che l’operato delle cupole in fondo non provochi
vittime, ma che si limiti a soddisfare la sete di potere e di ricchezza dei
suoi appartenenti, senza ledere alcun interesse pubblico o privato. In realtà
questo genere di cupole non è dissimile da quello mafioso ed i danni che esso
provoca in capo agli esclusi ed ai vessati sono del tutto simili a quelli
provocati dalle cupole mafiose vere e proprie. Prendiamo ad esempio le
mafie delle assunzioni per concorso o per chiamata diretta, cui va assimilata
la selezione dei volontari per l’ammissione nei corpi militari e paramilitari,
nelle accademie militari, nelle scuole di formazione professionale, nelle
università a numero chiuso. Ebbene, chi viene assunto senza avere titoli, né
meriti, né preparazione, né cultura, né capacità, non fa altro che partecipare
alla realizzazione di un vero e proprio illecito che dà luogo ad un indebito
arricchimento in danno di coloro che, pur possedendo titoli, meriti, cultura e
capacità, sono stati scartati per favorire un incapace. Questo problema esiste
e si verifica ogni qualvolta viene bandito un concorso, si dia corso a delle
selezioni attitudinali o si debba stilare una graduatoria per titoli e/o esami,
oppure quando ci siano da assegnare posti nel settore pubblico e nelle aziende
pubbliche privatizzate. In questi casi scatta una
forte sinergia tra pubblici amministratori e rappresentanti sindacali e tra i
rappresentanti sindacali di una estrazione politica e gli altri di colore
diverso. Nelle amministrazioni
pubbliche privatizzate la progressione in carriera, i passaggi di ruolo, i
trasferimenti e comunque la mobilità, nonché la collocazione nelle graduatorie
mediante assegnazione di titoli, sono gestiti in conclave da tutte insieme le
componenti predette, con una prevalenza decisionale del sindacato sul gestore
pubblico, il quale appare supino, letteralmente adagiato sulle conclusioni dei
sindacalisti. Non si giustifica tanto asservimento e, di fatto, gli
accomodamenti illeciti che vengono operati per far lievitare i punteggi dei
concorrenti privilegiati affiliati alla cupola, vengono realizzati mediante
l’attribuzione di falsi titoli o mediante interpretazioni fumose e divaricate
delle norme giuridiche e contrattuali. Il risultato è simile a quello che si
osserva nelle cupole mafiose quando i detentori del potere impongono le scelte
strategiche per ottenere illeciti profitti attraverso l’impoverimento degli
strati sociali esclusi dai legami con la cupola. ♦ Nel corso della cosiddetta
Prima Repubblica, la politica nazionale aveva orientato le istituzioni
pubbliche verso una sorta di protettorato, una specie di gestione clientelare
che comunque dava la facoltà a molti di
avvicinare i vertici delle cupole, con possibilità di ottenere favori
immeritati. Certe assunzioni clientelari seriali, eseguite cioè in gran numero
traendo i neoassunti dal corpo dei residenti in un territorio determinato,
fanno ormai parte della letteratura politica nazionale. Ne sopravvive comunque un
esempio a Ceppaloni, dove ogni domenica schiere di postulanti si recano alla
Villa di Mastella per consegnare petizioni finalizzate alla concessione di un
posto di lavoro statale. Mi chiedo se è dalla durata
del Governo Prodi, che dipenderanno le prossime assunzioni di secondini,
cancellieri, ufficiali giudiziari e uscieri ministeriali che, guarda caso,
potrebbero in gran parte risultare residenti a Ceppaloni e dintorni. Per non parlare delle famose
pensioni di invalidità distribuite a pioggia negli anni scorsi in un Meridione
ripiegato su se stesso e privato delle iniziative di formazione e investimento
che avrebbero potuto in tanti anni modificarne radicalmente il costume e
l’economia. Non si può dire che non sia stata l’opera instancabile di più di
una cupola a concretare uno sconcio di tale genere. Il sistema cupolare nel
passato della Prima Repubblica ha coinvolto tutto il cosiddetto Arco
Costituzionale, quasi legittimando ogni costituente politico dell’Arco stesso,
indipendentemente dalle prerogative ideologiche e dalle premesse storiche, a
gestire il potere mediante l’abuso istituzionalizzato. Quelli di sinistra ad
esempio hanno sempre preteso dai loro seguaci una reale sudditanza ideologica
ed una stretta militanza politica che andava necessariamente dimostrata con la
partecipazione assidua alle attività di partito e con l’accettazione supina
delle scelte dei capi locali. I cosiddetti moderati, più
superficialmente, hanno più che altro guardato alla provenienza della
sollecitazione. Ma quasi sempre l’intermediario che segnalava alla cupola un
caso da risolvere, coincideva con uno dei componenti della cupola stessa. Era
un modo come un altro per dissimulare i ruoli di ciascun componente e per
filtrare le sollecitazioni. La sinistra, più
accortamente, si accontenta di esercitare il suo potere ideologico
direttamente, a partire dai bassi livelli, ed a tal fine si è dotata di un
apparato periferico, tuttora funzionante, facente capo ad un’unica cupola
rappresentata dal partito. Mi piace qui riprendere una
mia vecchia teoria secondo la quale il sistema “raccomandazione”, che ha avuto
in Italia la sua massima espansione nei passati cinquant’anni di era
repubblicana, derivasse dall’influenza diretta esercitata dalla Chiesa sul
partito cristiano democratico. Il riferimento era alla pratica della preghiera
cui sono stati abituati i cristiani dalla Chiesa per chiedere ai santi le
grazie più varie; a Napoli, persino quella di ricevere ispirazione nella scelta
dei numeri del lotto vincenti. Ebbene, proprio ieri, in una strada di
Cittaducale, ho preso cognizione dell’esistenza di una chiesa del XV secolo
dedicata proprio a “Santa Maria dei Raccomandati”. Davvero una grandiosa
rivelazione che conferma la mia teoria! La cupola istituzionale più
solida ed intoccabile è però costituita dai due rami del Parlamento. I
parlamentari degli opposti schieramenti si scannano infatti su qualsiasi
argomento, mantengono vivi l’odio e il disprezzo che derivano loro dalle
divisioni trasversali con cui coltivano la tensione sociale e che risalgono ad
antichi episodi dei quali in massima parte non esistono più neanche i
testimoni. Eppure, quando si tratta di bloccare leggi idonee a contrastare
adeguatamente l’evasione fiscale, o quando si discutono provvedimenti di
aumento dei loro stipendi e delle loro ferie, sono tutti spudoratamente
d’accordo. All’unanimità. Semplice conflitto di interessi, o esercizio di un
potere smisurato in danno dei cittadini ed a proprio beneficio, e quindi cupola assimilabile a quelle di
stampo mafioso? C’è ancora una cupola poco
nota agli Italiani che è quella delle auto blu concesse per tutta la durata
della loro vita terrena agli ex presidenti della Camera dei Deputati; da Zanone,
presidente per soli due mesi, alla Pivetti che ha anche chiesto ed ottenuto
un’auto blu idonea a trasportare anche le carrozzine dei pargoli nati
dall’eclettica ex presidentessa. In tutto si favoleggia di qualcosa come 600
auto blu, con relativi conduttori coperti da indennità per qualsiasi
destinazione piaccia agli ex presidenti raggiungere, nonché liberate dalle
spese dei consumi, della manutenzione e degli annessi e connessi,…lavatura e
stiratura (direbbe Totò). ♠ Dal sistema delle cupole non
è rimasta esclusa neanche la Chiesa ed in fatto di partecipazione di alti
prelati alle cupole politiche e finanziarie, ci sono esempi che hanno svelato
le strane attività di vescovi e di cardinali. Abbiamo infatti avuto modo di
osservare come la Chiesa sia stata spesso parte attiva e propositiva del
sistema delle cupole. Il caso di Mons. Marcincus
ne è esempio lampante; mentre il caso del Cardinal Giordano si colloca
addirittura tra le aberrazioni. Ingiustificabile anche la vicenda americana che
ha svelato i sistemi spiccioli di “copertura” degli alti prelati malati di
pedofilia. E non va neanche trascurata l’attività di alcune organizzazioni
ecclesiastiche impenetrabili, solidamente orientate al conseguimento ed
all’esercizio di un potere non espressamente dichiarato, che fanno spesso capo
direttamente al Vaticano e di cui è dato conoscere soltanto qualche vaga
informazione sfuggita al segreto canonico. Mi riferisco all’Opus Dei,
all’organizzazione dei Gesuiti, a Comunione e Liberazione, alle oscure connessioni
tra Vaticano e banda della Magliana ed in genere a tutti i movimenti di
evangelizzazione e di servizio (cursillos, focolarini, neocatecumenali,
comunità di base, ecc.), organizzati in forma piramidale, che sfruttano il
potere che deriva loro dall’azione sistematica di coartazione delle coscienze e
di influenza dei comportamenti e delle decisioni, che si attuano attraverso
programmi di sottomissione psicologica studiati a tavolino da equipes di
esperti specializzati operanti sotto l’attenta supervisione di sacerdoti
appositamente selezionati. ♣ Ormai il sistema delle
cupole si è diffuso capillarmente nella società nazionale. Non ci vuole una
grande capacità immaginativa per intravedere nel “caso Parmalat” i disegni di
una organizzazione di tipo mafioso finalizzata all’arricchimento dei
compartecipi, a danno dei risparmiatori. Forse i più stenteranno a
credere che il Sig. Calisto Tanzi, con il suo aspetto distinto e la sua erre
moscia, possa aver impersonato la parte
del padrino in una storia che, per come è stata organizzata, per come è stata
condotta, per quanto è durata e per i frutti che ha assicurato ai suoi
compartecipi ai vari “livelli”, possiede sfacciatamente connotati più che
mafiosi. Tanzi elaborava il piano insieme ai suoi stretti collaboratori:
“raschiare quanto più denaro possibile dalle tasche dei beoti risparmiatori
mediante cessione di azioni senza copertura finanziaria e di obbligazioni prive
di garanzie”. I proventi sparivano poi nei buchi neri dei paradisi fiscali
tropicali. Ma affinché l’enorme truffa potesse realizzarsi era necessaria
l’opera assidua ed interessata dei procacciatori di affari, degli intermediari
e soprattutto delle banche scelte per emettere i titoli fasulli. I poveri risparmiatori
venivano così inconsapevolmente truffati e spogliati di tutti i loro risparmi.
Un crimine che ha poco a che vedere con la semplice bancarotta fraudolenta o
con la truffa, ma che assume i contorni di una modalità mafiosa raffinata e
spietata, capace di creare un gran numero di vittime, non diversamente dalle
cupole mafiose vere e proprie. La forza persuasiva
esercitata dalla minaccia mafiosa è qui surrogata dalla forza persuasiva
esercitata dalla fiducia generata dall’immagine del Tanzi, capo indiscusso di
una cupola costruita in tanti anni di lavoro solo in apparenza onesto. Infatti
all’inizio della vicenda, nelle interviste, i risparmiatori frodati
manifestavano persino il loro sbigottimento ed il loro smarrimento per
l’accaduto e si auguravano, increduli, che venissero salvati almeno i posti di
lavoro. Santa innocenza! Altre analoghe
considerazioni valgono per la cupola Unipol, ormai passata sotto silenzio. I
media, lo sappiamo, sono in maggioranza orientati verso la sinistra per cui,
passata la fase cruda delle intercettazioni telefoniche sui vari Fassino, Fiorani, Fazio, tutto il clamore si
è spento, coperto poi dalla politiche e dal referendum. Lorsignori, comunisti
d.o.c., facevano pagare ai clienti 30 euro al mese di spese di conto corrente.
Questi soldi illegittimamente sottratti a povera gente fedele al partito e
perciò stesso clienti dell’Unipol. Gli ingenti capitali così raccolti, venivano
trafugati e trasformati o riciclati in affari personali della cupola che li
gestiva in nome e per conto propri. La cosa che sconcerta è che
i clienti così truffati hanno continuato a votare comunista, evidentemente
convinti che i soldi sono andati al partito. Altre considerazioni si
possono esprimere sul recentissimo caso nato intorno alla equivoca figura di
Moggi che ha coinvolto la Juventus ed altre squadre di calcio. Anche qui si
avverte con prepotenza la presenza di una cupola mafiosa sfrontata ed audace,
se vogliano, anche più spregiudicata della cupola facente capo a Tanzi, perché
alla frenesia di rastrellare ingenti capitali da fare sparire all’estero, si
sono aggiunti atti sicuramente riconducibili a responsabilità penale specifica,
costituiti da intimidazioni, sequestri di persona, truffe, ricatti,
intimidazioni, ecc. Il panorama è talmente vario
ed articolato che bisognerà attendere la conclusione delle indagini per trarre
conclusioni accettabili. Il padrino è chiaramente il Sig. Moggi. I suoi
atteggiamenti, le sue parole, il suo tratto, sono più spregiudicati e meno
raffinati di quelli usati dal Tanzi. Quest’ultimo, a volte, appariva persino
rassicurante; mentre il Moggi si presenta chiaramente come un audace
avventuriero. Moggi è ormai indicato a
chiare lettere da tutto il firmamento del calcio italiano e straniero come il
capo di una cupola che gestiva il sorteggio degli arbitri e quindi i destini di
alcune squadre in particolare, e più in generale, del calcio italiano. Le curve dei tifosi,
talvolta rumorosi e talvolta violenti, servivano da schermo di copertura. Come
da schermo legittimante servivano le trasmissioni tipo “Quelli che il calcio…”
o “Il processo di Biscardi”. Gli arbitri, si sa, sono per antonomasia
“cornuti”. Che differenza volete ci possa essere tra un arbitro che sbaglia
naturalmente ed uno che sbaglia perché lo hanno obbligato o addirittura pagato
per farlo? Nessuna: sono entrambi cornuti. Così, la cosa sarebbe potuta andare
avanti ancora chi sa per quanti anni. Nel frattempo alcune squadre
fallivano, altre venivano retrocesse in serie B o C ed
il calcio andava a ramengo, fino alla completa istituzionalizzazione
dell’illecito sportivo celebrato sugli schermi televisivi e nei campi di
calcio, di violenza in violenza, di doping in doping, provocando la squalifica
di società, tifoserie, calciatori e spettatori. Il caso Moggi, come tanti
altri in Italia, ha rivelato l’esistenza di una organizzazione di tipo mafioso,
organizzata realisticamente in forma di cupola, nella quale uno decideva, altri
approvavano ed altri ancora eseguivano, con la conseguenza del dissesto
economico di alcuni e dell’illecita produzione di altissimi redditi in tasca ad
altri. A margine di tale turpe organizzazione, si svolgevano trattative ad uso
e consumo di balordi camuffati da giornalisti o da manager, e si distribuivano
prebende e favoritismi per tacitare gli scontenti e far divertire i nani e le
ballerine. Diciamo comunque che gli
elementi di colpevolezza sono scaturiti dalle “registrazioni” telefoniche
eseguite capillarmente dalle società di telecomunicazione operanti sul
territorio nazionale senza alcun divieto o controllo da parte del Garante per
la privacy. A queste registrazioni, all’occorrenza, i magistrati hanno accesso
libero ed incondizionato, con la sola variante del cambio di nome:
“intercettazioni” anziché “registrazioni”. Tant’è vero che dopo qualche ora le
loro trascrizioni integrali vanno a finire sui giornali. Apprendiamo così che a
Padre Fedele “piace” leccare la nutella con quel che c’è sotto ed altre amenità
che davvero non avrebbero rilievo alcuno nelle inchieste. Non si è mai riusciti,
neanche dopo esaustivi dibattiti parlamentari,
a comprendere chi sono i responsabili che consentono ai giornalisti di
pubblicare i testi delle conversazioni più intime dopo qualche ora
dall’acquisizione da parte dei P.M. Ricordiamo, oltre alle
conversazioni intime di Padre Fedele con le sue amiche, anche quelle di Fassino
e di Fazio con in vertici di Unipol e dello
stesso Moggi coi vari dirigenti arbitrali. Non è forse anche questa una
inquietante cupola di irresponsabili autorizzati in proprio a fare strame della
vita privata e delle libertà dei cittadini?
Ma il suo funzionamento di questa cupola è talmente coperto che non si è
mai riusciti a risalire ai responsabili. ♥ A questo punto, siamo
costretti a fare un’amara considerazione: la presenza dello Stato in Italia è
carente, in tutti i settori ed a tutti i livelli! Com’è potuto succedere? Tra
il 1968 ed il 1975, lo Stato austero e solido, nato dal sacrificio dei morti
sui fronti monarchici e nelle ridotte repubblichine, nonché dei morti ammazzati
in nome della Liberazione nazionale, in realtà, in nome delle “vendette”
private eseguite porta a porta anche contro i testimoni innocenti, è
progressivamente perito. Lo Stato, così come era
stato progettato nella Carta Costituzionale, sorretto dai propositi di una
solida e morigerata gestione delle risorse nazionali, ha completato il suo ciclo. Dapprima sotto i distinguo ed i
divieti incrociati tra gli affiliati della Balena Bianca ed i Rossi;
successivamente, e definitivamente, sotto la coltre delle connivenze scaturite
dal “compromesso storico”, ma soprattutto della tornata brigatista degli anni
Settanta. Allorché nell’ordinamento nazionale, che ha finito col realizzare un
socialismo reale camuffato da pentapartito, sono state accettate leggi pensate
nei ridotti delle Botteghe Oscure ed adottate dal corpo legislativo con il
beneplacito dei Parlamenti e dei Governi di centrosinistra, si è incrinato il
patto di solidarietà nato dalla tolleranza e dal compromesso. Lo scopo occulto
perseguito dalle sinistre è comunque rimasto sempre quello di concludere
l’egemonizzazione dello Stato progettata da Gramsci ed avviata con il
referendum “Monarchia-Repubblica”. Egemonizzazione ormai conseguita con
esasperante precisione e senza risparmio di colpi, i cui effetti colpiscono con
precisione stupefacente i cittadini indifesi, mentre favoriscono gli adepti e
gli accoliti appartenenti alle sinistre. Berlusconi, che ha occupato
per cinque anni, con i suoi collaboratori, i posti di Governo, non ha invero
compreso nulla del momento storico italiano e di ciò che serviva al Paese, per
cui ha perduto tutte le occasioni per adottare i provvedimenti di
liberalizzazione di cui aveva bisogno il Paese, e fare veramente chiarezza nei
fatti. Non sapremo mai se si sia trattato di un disegno “criminoso” che
presupponeva la stupidità della maggioranza degli elettori, oppure, di una vera
e propria incapacità politica e amministrativa della classe dirigente del Polo
delle Libertà. Sta di fatto che in questi giorni stiamo assistendo al colmo dei
colmi: il Governo Prodi, pur nelle obiettive difficoltà di mantenere salda la
sua maggioranza, il primo luglio ha sfornato un decreto contenente una miriade
di provvedimenti a di pura marca liberista, molti dei quali promessi per cinque
anni dal Cavaliere e però rimasti inattuati. E’ il colmo che i provvedimenti
che gli Italiani si aspettavano da Berlusconi, vengano invece attuati proprio
dai vituperati “comunisti”. Ma al distratto Berlusconi
succedeva anche altro. Il suo Governo presentava le leggi, il parlamento le
approvava, ma subito dopo, passata l’euforia del successo ed il trionfalismo
dei contenuti, gli amministrativi infiltrati dall’egemonia comunista le
modificavano radicalmente attraverso i regolamenti di esecuzione, talvolta
anche con lo strumento del decreto ministeriale convertito in legge, quindi
senza che gli agitprop dell’opposizione se ne assumessero la responsabilità. Uno dei casi più eclatanti e
vergognosi riguarda il comma 53 dell’art. 1 della finanziaria per il 2005,
varata da Berlusconi nel dicembre del 2004. La volontà politica espressavi
riguardava la riammissione in servizio con il grado e la funzione
precedentemente ricoperti, di tutti i dirigenti militari e civili dello Stato
che avevano lasciato anticipatamente il servizio per difendersi nei processi
conclusi con la loro assoluzione. Tra questi c’era anche il Giudice
Carnevale. La volontà politica
berlusconiana espressa con precisione zaratustriana in quel comma 53 venne
invece proditoriamente frantumata e coartata da solerti funzionari
ministeriali, evidentemente organizzati in cupola che furono capaci di emanare
regolamenti di attuazione contenenti termini del tutto opposti a quelli
edittali, con il risultato che quasi nessuno dei predestinati riuscì a
rientrare in servizio e quei pochi che ci riuscirono, dovettero accettare di
perdere il grado conseguito prima del collocamento a riposo senza che poi lo
potessero riottenere. Sono evidenti le carenze
mostrate dai Segretari di Stato del Governo Berlusconi, ed è altrettanto
evidente il risultato dell’opera sottile e distruttiva attuata dalle cupole annidate nei ministeri che con il loro lavoro
raffinato e spietato hanno conseguito scopi oscuri mirati alla disarticolazione
del consenso, a danno del Governo in carica che neanche se n’è accorto. In effetti Il Governo,
facente capo all’eclettico e imbattibile Berlusconi, era intento ad inventare
capitoli di finanza creativa, alcuni dei quali semplicemente stupefacenti. Uno
dei tantissimi riguarda l’abolizione del ricorso gerarchico contro le determinazioni
di invalidità civile, che è stato rimpiazzato con il ricorso in via giudiziale
davanti al giudice del lavoro. Durata media del processo: due anni. In questo
modo Tremonti e la sua cupola sono riusciti a rinviare di qualche anno il
pagamento di pensioni di invalidità con il semplice loro “congelamento” nelle Cancellerie dei
Tribunali italiani. ♦ La dissoluzione dello Stato
è cominciata molti anni fa ed è passata anche attraverso le riforme
scolastiche. Più deleteria di tutte, la riforma del ministro della P.I. Misasi,
passata alla storia come riforma dei “misasini”, con la quale fu praticamente
introdotto il “sei politico”. Riforme come questa, hanno soprattutto provocato
la deriva del sapere e della conoscenza ed hanno instaurato e legalizzato
l’ignoranza istituzionale. Alle riforme scolastiche si
sono accompagnate altre più deleterie riforme, quali l’introduzione del
divorzio e la legalizzazione dell’aborto. Si plaudì da più parti, anche da
parte cattolica, alla finalmente raggiunta parità tra i sessi, volutamente
sorvolando sulle ricadute che avrebbero inesorabilmente modificato in peggio la
solida struttura sociale basata sulla famiglia, sulla civiltà contadina e sulla
piccola impresa. Il concetto di famiglia è stato
lentamente demolito ed il perimento della famiglia ha dato luogo a fenomeni di
accoppiamento pseudo-familiare e di ripudio della maternità. Oggi si paventa
addirittura la legalizzazione dell’unione tra persone dello stesso sesso. E’
recentissima la notizia delle concessioni sociali fatte dal presidente
regionale gay Vendola, in Puglia, alle coppie di fatto. Frattanto i Governi si sono
succeduti a ritmo sostenuto, perdendo la loro forza di incidere sulle scelte
popolari e dando l’avvio alla deriva istituzionale, con la definitiva
legittimazione del “sistema cupola” il cui stile organizzativo, adottato in
ogni livello della politica, ha contaminato l’intero sistema amministrativo. Va
da sé che “Chi pratica con lo zoppo impara a zoppicare”. La storia di Tangentopoli
dovrebbe essere riscritta per intero. La verità, se non in qualche raro caso,
ad esempio quello chiarissimo del ministro liberale della sanità De Lorenzo, in
realtà non è mai stata svelata per intero. Oltre ai morti suicidi ed al
“tintinnio di manette” bisognerebbe registrare anche connivenze inconfessabili,
veli di pietà, impostazioni personalizzate delle indagini, influenze
presenzialiste e distinguo, operati dalla magistratura. Sta di fatto che le
indagini ed i processi che ne sono seguiti, ma soprattutto la ribalta mediatica
che li ha accompagnati, hanno impresso una decisiva virata al sistema della
politica, orientandolo verso la realizzazione di nuove e più efficienti cupole
per la gestione del potere politico e amministrativo eliminando quasi del tutto
i pericoli di nuove paralisi del sistema. Emergono infatti rari casi dal
panorama nazionale dello strapotere incontrollato degli amministratori della
cosa pubblica: uno, quello di Lady ASL a Roma. Si è infatti decisamente
passati dal “pizzo”, nelle inchieste su tangentopoli definito eufemisticamente
“tangente”, alla “consulenza”, legalizzando un illecito penale e amministrativo
attraverso una procedura che ha messo al riparo da indagini e incriminazioni
sia i componenti delle cupole politiche, sia i loro intermediari, compresi
prestanome e le teste di legno. Bisogna attribuire comunque
a Prodi la paternità del sistema delle consulenze miliardarie, inventato e
sperimentato proprio da lui mediante la creazione di quell’oggetto misterioso
che si chiama “Nomisma”, che possiamo definire una vera e propria truffa
all’italiana, il cui scopo è quello di creare ricchezza nelle tasche dei
partecipanti al progetto. Infatti, se ci pensiamo bene, una cosa è la dazione
di danaro fatta nelle mani di un fedele emissario della cupola, altra cosa è il
passaggio di denaro quale compenso per una prestazione, sia pure fumosa ed
impalpabile, come la consulenza. Nel
primo caso si tratterà di una tangente, quindi di un corpo privo di
legittimità, censurabile sotto ogni aspetto ed
impossibile da occultare, anche se nello specifico ha goduto di
coperture ideologiche sotto l’appellativo fumoso di “finanziamento illecito ai
partiti” (mai provato fino in fondo). Nel secondo si tratterà
invece di un onorario, ossia di un compenso per una prestazione professionale
regolarmente fatturata, ma che ad una indagine approfondita, volendo, potrebbe
rivelare la fragilità del progetto, considerata la forzatura che lo sostiene
costituita dal nesso di causalità tra l’onorario astronomico e la prestazione
inconcludente e superficiale. In ogni caso, una presa per i fondelli bella e
buona, in cui la presa è esercitata dai partecipanti alla cupola, mentre i
fondelli sono comunque e sempre quelli degli Italiani. In entrambi i casi tuttavia
si tratta di una semplice manovra di distrazione di fondi provenienti dal
bilancio degli enti pubblici, in sostanza dallo Stato, a favore di appartenenti
a vario titolo a ben architettate cupole politico affaristiche. ♠ La prova evidente della
gravità degli illeciti e del volume di atti illeciti compiuti ai danni dello
Stato è costituita dalle proporzioni macroscopiche del deficit di bilancio, la
cui entità è direttamente proporzionale, nello specifico, al valore complessivo
della spesa sostenuta per il finanziamento delle opere pubbliche iniziate e mai
terminate, che si trovano disseminate in tutto
il territorio nazionale, per lo più, opere inutili, spesso e volentieri
progettate su terreni non idonei e quasi sempre realizzate con materiali
scadenti. Il programma televisivo
“Striscia la notizia” ne è da tempo diventato la ribalta. Ebbene, la semplice
somma aritmetica degli sprechi realizzati dalle cupole periferiche per ottenere
l’illecito arricchimento dei loro adepti, darebbe un risultato sicuramente
superiore all’intero disavanzo pubblico. Questi sono solo alcuni
spunti per misurare la consistenza dell’opera disgregatrice compiuta dal
sistema delle cupole, sfuggito ormai ad ogni controllo perché frutto di un
corpo legislativo che ha estromesso dalle indagini di P.G. fin dai primi anni
Sessanta gli Agenti e gli Ufficiali della Polizia Giudiziaria, cioè i navigati
marescialli dei Carabinieri, concentrandolo nelle mani di giovani magistrati
freschi di concorso. Tutto iniziò nel 1964. Si
paventò allora la realizzazione di un potere eccessivo nelle mani dell’Arma dei
Carabinieri. Il commento inascoltato dei marescialli dei Carabinieri di allora
fu: “Ci hanno legato le mani!”. Il risultato della “legatura
delle mani” è quello odierno, di un paese letteralmente in mano alle cupole di
ogni ordine e grado, con un bilancio che ha toccato un passivo ormai
irrecuperabile ed una evasione fiscale senza precedenti. Un paese nel quale le
istituzioni vanno alla deriva e la società è ogni giorno di più illustrata da
eventi poco rassicuranti per i cittadini e per il futuro della nazione. Il deficit mastodontico del
bilancio nazionale è chiaramente frutto del “lavoro” sottile e minuzioso
realizzato dalle cupole politiche e amministrative, conniventi con le cupole
disseminate localmente, quando di stampo mafioso, quando similari, i cui
interessi si sono congiunti ed intrecciati (aveva visto giusto Caselli) per
realizzare sinergie tra cupole periferiche e cupole centrali. Più in generale,
sono poi venuti meno i controlli. Le autonomie sono colpevolmente servite ad
evitare i controlli sull’operato delle cupole periferiche, lasciate “vivere” e
prosperare, con un tacito accordo che ha coinvolto ogni livello della politica
e dell’amministrazione pubblica e realizzato un potere smisurato in mano a
pochi. Il reato inventato nel corso
dei processi di tangentopoli, di “sostegno esterno ad una organizzazione
mafiosa”, andrebbe interamente riscritto e modificato nella sua enunciazione,
in reato di “connivenza paritetica tra cupole di stampo mafioso, cupole
politiche e cupole amministrative, sinergicamente orientata a realizzare
l’illecito arricchimento dei suoi appartenenti, lo sfruttamento organizzato
dello Stato e l’impoverimento dei ceti sociali emarginati e indifesi”. Il Paese manca soprattutto
del senso dell’autorità. Dal dopoguerra, fino all’inizio degli anni ’70, la
funzione dell’autorità era esercitata dalle istituzioni attraverso i suoi
dirigenti, la cui costante e capillare azione realizzava una atmosfera di
sicurezza sociale che convinceva le generazioni e le coinvolgeva nel compimento
del loro dovere insegnando loro, prioritariamente, a trasmettere ai discendenti
gli stessi principi. Oltre alla mancanza di autorità nelle istituzioni, si
registra oggi una manifesta incompetenza a gestire la cosa pubblica ed insieme una tracotante pretesa di
essere autorizzati a gestire tutto il potere possibile ed esercitabile.
Insomma, il senso dell’autorità è stato sostituito da un sentimento ormai
radicato nei comportamenti degli operatori pubblici: la “cosa pubblica” viene trattata e gestita come “cosa propria”, con una involuzione nel rapporto pubblico-privato
che si espande capillarmente in un progetto ampio e organizzato ormai
introiettato e digerito nel sentire di chi gestisce tutto il potere come “cosa nostra”. Il presupposto di questa
trama è la formazione di una base di
tacito consenso, realizzata mediante l’interdipendenza tra istituzioni
pubbliche e organizzazioni mafiose, attraverso la tessitura di una rete di
rapporti e di connivenze che si ottengono con lo scambio di favori, il cui
risultato tende all’abuso ed alla sopraffazione per mezzo della violenza morale, psichica ed esistenziale
esercitata: sulle masse, con la stasi del progresso; sul singolo cittadino,
ogni volta che questi ha bisogno dello Stato. Osserviamo ormai di
frequente che il potere politico ed amministrativo si è frammentato in tante
cupole, disseminate in ogni istituzione ed in ogni centro di potere, negli
uffici pubblici e nei pubblici servizi. Neanche l’iniziativa privata sfugge al
decadente disegno della trasformazione in cupole della società attiva; per
cui anche gli investimenti privati, le
assunzioni ed i licenziamenti sono divenuti una sorta di merce di scambio tra
organizzazioni politiche e sindacali ed organizzazioni private, i cui effetti
puntano decisamente a confondere le responsabilità onde ottenere l’
irresponsabilità collegiale che solleva i componenti dalle responsabilità dei
dissesti e delle bancarotte in ogni ambito e da ogni addebito. ♣ Il caso Parmalat costituisce
di per sé un modello convincente: si parla di oltre 250 indagati e di un buco
di 14 miliardi di Euro: una vera e propria cupola. Una indagine (tardiva) che
ha coinvolto i proprietari ed i vertici dirigenziali della Parmalat e delle sue
derivate, ma anche le banche, ciascuna con una rappresentanza ben nutrita ed
assortita di dipendenti, di direttori di filiale e di promotori finanziari, in
un guazzabuglio organizzativo e istituzionale che offre la misura del
decadimento strutturale che ha coinvolto la nostra società nell’epoca che ci
riguarda. Non parliamo delle
magistrali connivenze tra Governi, sindacati e FIAT, che hanno visto l’azienda
automobilistica di Stato intascare finanziamenti pubblici senza limite sotto il
ricatto del licenziamento in blocco di masse di lavoratori. Ricordiamo tra le
ultime, le pressioni esercitate dal sindacato ed orchestrate dall’ancora
vivente Cavalier Giovanni Agnelli, con le manifestazioni di Termini Imerese in
Sicilia e di Arese nel casertano. Si è trattato di investimenti statali a fondo
perduto che hanno fatto lievitare il deficit del bilancio senza che la FIAT
abbia poi realizzato un vero impegno nella progettazione e quindi nella
produzione. La massima industria automobilistica nazionale non è stata infatti
capace di contrastare le massicce importazioni di auto “fuoristrada” giapponesi
e sud coreani. Bastava semplicemente progettare e realizzare un mezzo analogo a
quelli provenienti dai mercati orientali, competitivo nel prezzo e nel modello,
in grado di creare lavoro, concorrenza e vera ricchezza, in tasca agli Agnelli,
nel calcolo del PIL e nel Bilancio dello Stato. Non è forse legittimo
sospettare che nel delittuoso disegno di non produrre fuoristrada si siano
annidate le manovre di una cupola con tentacoli nazionali e internazionali, che
ha incassato nutrite tangenti, o qualcosa di simile, pagate dalle case
costruttrici orientali, non si saprà mai a chi, tali da far tacere qualsiasi
iniziativa di orgoglio nazionale sia a livello industriale che di Governo? Un breve accenno alla
maxicupola realizzata dai partiti e dai sindacati della prima repubblica con la
cosiddetta legge “Mosca” (dal nome del suo primo firmatario), che rappresentò
il mezzo “legale” per costringere lo Stato a “sanare” un gran numero di
rapporti di lavoro, molti dei quali mai posti in essere, mediante
l’attribuzione di versamenti previdenziali “virtuali” cui non corrispose alcuna
somma realmente versata dai partiti e dai sindacati, a favore di sedicenti
impiegati nelle sezioni di partito e negli uffici del sindacato, mediante
esibizione di certificati e dichiarazioni rilasciati dai responsabili a livello
locale, che diedero luogo al pagamento di pensioni di anzianità che gravano tuttora, e graveranno ancora per
anni, sul bilancio. La cosa potrebbe sembrare
datata e quindi ormai più pericolosa per il bilancio statale. Mi dispiace dover
rivelare che il sistema è ancora attuale ed opera nel silenzio più assordante,
a favore di imprenditori furbi e di pochi scrupoli. Parliamo di un aspetto
della cosiddetta legge “Biagi” vituperata dai comunisti e osannata da Tremonti
e Berlusconi. Da alcuni anni c’è il vezzo di frazionare la propria impresa in
tante piccole impresine, tutte dislocate nello stesso capannone. Cosa c’è di
male in fondo? Al massimo si evadicchia un po’. Ha autorizzato Berlusconi. Ma
non è che si evadicchia e poi basta. Il vezzo del frazionamento dell’azienda,
serve anche a porre in capo allo Stato il pagamento dei contributi
previdenziali per anni e anni. Talché uno potrebbe arrivare alla pensione senza
che il suo datore di lavoro abbia mai versato un centesimo. Vorrei dire: “una
lira”, ma non posso più, grazie a Prodi. Infatti, il titolare
dell’azienda assume a tempo indeterminato chiunque voglia e per due anni non
paga i contributi poiché se ne fa carico lo Stato. Si tratta di contributi
virtuali, come quelli ideati dall’On. Mosca. Ma cosa fa il furbo titolare
qualche mese prima che finisca la cuccagna della legge “Biagi”? Induce il
dipendente a presentare le sue “volontarie” dimissioni, quindi lo riassume in
un’altra delle aziendine da frazionamento ubicate nel medesimo capannone. E
così via, all’infinito, fino alla pensione. Ed io pago! Suggerisce Totò dalla
sua tomba. Non è lecito ipotizzare
l’esistenza di un comitato di affari istituzionale, o meglio di una cupola di
grosse proporzioni con ramificazioni territoriali nella quale lucrano in tanti
ed a tutti i livelli? C’è un’altra cupola
scandalosa, ignota ai più, che siede nientemeno che sugli scranni della corte
Costituzionale. La Costituzione italiana prevede che il Presidente della Corte
Costituzionale cambi ogni tre anni. Di fatto si verifica che il presidente
cambia invece ogni tre-quattro mesi. Il trattamento economico assegnato ad ogni
Presidente contiene tali e tanti benefici e prebende vitalizie che i signori
della cupola si tramandano un accordo tacito per cui viene eletto Presidente
sempre il membro più vicino ai limiti di età. E’ giocoforza quindi che il
fortunato eletto se ne vada in pensione dopo qualche mese con tutti gli onori,
nascondendo alla vista degli Italiani sotto l’ampio ermellino, le concessioni,
le buonuscite ed i vitalizi a carico dello Stato, previsti da un Regolamento
truffa che la dice lunga sulle cupole che corrodono da decenni il bilancio
dello Stato in misura abnorme ed inaccettabile. Per certi versi, le
scaramucce di sportello, dove la tracotanza dell’impiegato sgarbato e
menefreghista si scontra quotidianamente con le aspettative del cittadino vessato,
tartassato, deluso e perseguitato, non sono neanche da considerare elemento
diretto, costitutivo di cupole e cupolette, ma al massimo, una innocente
evasione dal sistema. Si tratta infatti soltanto
di fenomeni sociologici e comportamentali che investono la sfera personale, senza coinvolgere
direttamente l’istituzione. C’è comunque da lamentare, anche in questi casi, la
totale assenza di controllo e di supervisione da parte dell’autorità preposta,
per cui l’esercizio del potere che la catena gerarchica dovrebbe esercitare su
costoro attraverso il deterrente dell’organizzazione del lavoro, del controllo,
dell’autorità e della sanzione, è ormai venuto meno del tutto. E’ entrato in
uso al suo posto un sistema di deresponsabilizzazione, basato sul “chi se ne frega” e del “chi me lo fa fare”. Mancano le
sanzioni e manca soprattutto chi dovrebbe infliggerle e se questi c’è, gli
mancano il coraggio e la competenza. I capi infatti ci sono, ma
per quieto vivere, per continuare indisturbati a farsi i fatti propri, per
dedicarsi ai loro interessi, sorvolano, chiudono entrambi gli occhi, fanno
finta di non sapere. Talvolta sono anche conniventi o addirittura si servono
dei sistemi di deferenza applicati allo sportello a danno degli utenti,
affinché si creino le condizioni per far “crescere” il “bisogno” da gestire poi attraverso i
gangli della cupola, nelle cliniche private, presso i tecnici comunali con
studio privato, insomma nelle aree di sfruttamento collocate a margine e
finalizzate all’illecito arricchimento. Mi viene in mente un
giochetto che un mio “amico” (dagli amici ci guardi Iddio) faceva con gli
impiegati statali posti alle sue dipendenze. Aveva organizzato un calendario
delle malattie: tutti si ammalavano, ma a turni regolari e con presentazione di
regolari certificati medici rilasciati da medici regolari, talvolta anche
militari. Gli impiegati in falsa malattia, in compenso dedicavano una parte del
loro tempo “libero” a sviluppare gratuitamente lavori di muratura, idraulica,
imbiancatura e piastrellatura a beneficio del loro capo così sensibile ai loro
bisogni. Che cos’è questa se non una piccola cupola periferica? ♥ Andiamo invece a visitare
direttamente il fenomeno dell’ingerenza sindacale nelle decisioni e nelle
scelte che sarebbero di competenza della P.A., che volta a favorire in modo
illegittimo, con sotterfugi, raggiri, manovre sotterranee ed ogni sorta di
espediente, “i soliti noti”, penalizzando di contro coloro che mal ripongono la
loro fiducia nell’istituzione, con il doloroso risultato di essere
costantemente esclusi dai loro diritti. Ad esempio, il MIUR, ex
ministero della Pubblica Istruzione, sostanzialmente non è diretto dai
Direttori Generali, né governato dal Ministro, ma coartato dai sindacati. Le
idiosincrasie manifestate nel corso dell’ultima legislatura contro le riforme
del Ministro Moratti sono in realtà frutto di pura avversione politica ed
ideologica. Invero la Moratti si è limitata a condurre trattative estenuanti,
senza mai giungere ad una vera soluzione esaustiva del problema “riforma
scolastica”. Tra l’altro le riforme
attribuite alla Moratti, salvo quella del ripristino dell’anno di scuola
eliminato dal prof. De Mauro, erano già state effettuate, tali e quali, dal
compagno Berlinguer e confermate dal compagno De Mauro stesso (crediti
scolastici, laboratori, portfolio ed altre amenità). Queste riforme hanno
ridotto la scuola ad una fabbrica di “pezzi di carta” inutili e trasformato gli
insegnanti in un corpo che agisce in finta autonomia, ma disperdendo, questo
si, il modello educativo nazionale repubblicano e democratico costruito a
partire dal dopoguerra, a favore di progetti che sembrano parto delle ideologie
nichiliste. A proposito di MIUR: con il
Governo Prodi in carica non si sa più come chiamare il MIUR; forse si chiamerà
Min.Cul.Pop. di Fioroni & Co. I Sindacati, a seconda delle
stagioni, degli umori della moglie di uno dei segretari e della segnalazione
del fruttivendolo o del portiere, modificano il contratto nazionale collettivo,
anche in aperto contrasto con le leggi vigenti, e sulla base di estemporanee
modifiche, dettano ad ogni inizio di anno scolastico la nuova bozza di
Ordinanza Ministeriale sulla mobilità. Su questa ordinanza, incoerente nel
testo, viziata nella sostanza, scorretta nella forma, mai uguale a quella degli
anni precedenti, si fondano le insidie che a livello locale creano poi la base
per favoritismi e per reclami respinti . Se non è una cupola questa! I Signori del Sindacato riescono in questo modo: (1) a far precedere,
a parità di punteggio, i più giovani dai più vecchi, anche se la legge prevede
il contrario; (2) a far valere per alcuni insegnanti l’insegnamento effettuato
nelle scuole parificate e a non farlo valere per altri; (3) ad aggirare, con
l’invenzione dell’opzione, le norme sui trasferimenti da una provincia
all’altra, pur se create e condivise dagli stessi sindacati, per cui un
insegnante che “opta” può essere trasferito dopo un solo anno da una provincia
all’altra, mentre i fessi devono attendere tre anni. Riescono addirittura a far
attribuire punteggi sulla base di attestati che certificano la frequenza di
corsi senza valore, di solito rilasciati dietro compensi in danaro che vengono
introitati senza tanti scrupoli da organizzazioni di dubbia legittimità e di
scarsa serietà. I sindacati sono persino
riusciti a far lievitare in maniera iperbolica i punteggi corrispondenti al
servizio prestato nelle carceri dislocate sulle piccole isole o in montagna,
quando raddoppiando, quando triplicando il punteggio già artificiosamente
gonfiato. Così via esponendo, si
potrebbero constatare ancora tantissime storture causate dalle pressioni dei
sindacati, che il Ministero della Cultura Popolare non è stato in grado né di
regolare, né di contrastare, perché di fatto è connivente con i sindacati e non
considera che questa connivenza lo rende vittima del loro potere invasivo. Ebbene, per quanto mi
riguarda, ciò che viene fuori da siffatti “sistemi” di gestione ministeriale
possiede le caratteristiche della cupola di tipo mafioso. Infatti se andiamo a
frugare negli interessi reconditi che si celano dietro queste manovre, si
possono scoprire interessi spiccatamente privati che nulla hanno a che vedere
con la funzione sindacale o con la gestione di un ufficio pubblico qual è un
CSA provinciale. Ogni CSA appare infatti sempre più spesso come la sede della
coagulazione di interessi personalistici e clientelari, il cui perseguimento
non fa altro che privare di ogni diritto gli estranei alla cupola e favorire i
“figliocci” legati alla cupola da rapporti estranei all’interesse pubblico e
confligenti con esso. ♦ In ogni ufficio pubblico la
cupola si forma intorno al capo e si
consolida mediante l’esercizio di una stretta interdipendenza tra i diretti
collaboratori che concorrono ad attuare le direttive ricevute. I capi si alternano, ma la
cupola funziona a ritmo costante. Si sostituisce il pezzo mancante e tutto
torna come prima, in stretta sintonia con la teoria di Tomasi di Lampedusa,
come immortalata nel Gattopardo: ”Cambiare,
perché tutto rimanga come prima”. E’ di questi giorni
l’incredibile scoperta di una cupola di stampo mafioso veramente
insospettabile, diretta nientemeno che da un fantoccio, V.E. di Savoia. Con
lui, un nugolo di personaggi equivoci, secondo il P.M. di Potenza,
specializzati nello sfruttamento della prostituzione, nella gestione di
macchinette da gioco e video poker e versati nel traffico internazionale di
armi e in attività ancora da chiarire. Che squallore! Non avevamo proprio
bisogno di un erede al trono d’Italia di tale inqualificabile statura, peraltro
in combutta con il figlio e con il cugino di Bulgaria, divenuto repubblicano,
pur di sedere sulla poltrona del premier bulgaro. L’immagine più squallida è
comunque quella che ritrae l’intera famiglia Savoia. La si osserva nella posa
forzata, negli sguardi obliqui, nella smorfia che congela l’espressione dei
volti: un malcelato imbarazzo che rivela un disagio che la dice lunga sulla
distanza che separa i fasti di Corte da questa decadente immagine di affaristi
new age. Per alleggerire la tensione,
faccio una considerazione di carattere etico. La legge “Biagi”, a dispetto di
tutte le difese d’ufficio, è basata su un disegno che in piena coscienza
legalizza le scelte dell’iniziativa privata fino a consentire ad un qualsiasi
imprenditore di trasformare il suo staff di collaboratori in una cupola
autorizzata a decidere il destino dei lavoratori dipendenti, della loro
assunzione, del loro licenziamento, della loro retribuzione. Il cognome “Biagi” mi
richiama però alla mente una notizia circolata nei giorni scorsi, che dimostra,
se ce ne fosse bisogno, il tipo di coerenza che contraddistingue i politici
della sinistra italiana. Durante i cinque anni di
Governo Berlusconi i DS hanno costantemente affermato di voler cancellare la
legge Biagi in caso di acquisto del potere. Tutti, tranne Bertinotti ed i suoi affiliati,
comprendono che il risultato della cancellazione della legge Biagi sarà
comunque quello di far perdere posti di lavoro, sia pure precario, a molti
giovani e comunque di far aumentare il lavoro nero. Per quanto ne so, il lavoro precario si combatte e si
riforma con gli incentivi alle aziende ad assumere a tempo indeterminato, con
il contrasto del lavoro nero, con la lotta alla delocalizzazione, con gli
impedimenti alle importazioni cinesi e indiane, con la lotta senza quartiere
all’evasione fiscale. Orbene, dalle fila della
sinistra in questi giorni, insieme alla
conferma del proposito di cancellare la legge Biagi, è saltata fuori anche la
conferma del proposito, che del resto
non era una novità, di riassumere l’ultra ottuagenario Enzo Biagi alla Rai. Il risultato dei due
provvedimenti, tragicamente legati dal medesimo cognome “Biagi”, sarà quello di
sottrarre posti di lavoro ai giovani. Nel caso della riassunzione
del giornalista, favorendo il reingresso di un pensionato più che ottantenne,
si sottrae di fatto ad un giovane la possibilità di essere assunto. La stessa
cosa accadrà con la cancellazione della legge “Biagi”. Berlusconi dice che i DS
sono incoerenti e che raccontano bugie. Negativo! Questi due esempi, pur se
disastrosi nel merito per la rivelazione dei propositi governativi nei
confronti del mondo del lavoro giovanile, attestano una coerenza fenomenale,
persino sul cognome dei due provvedimenti annunciati: cancellare la Biagi e riassumere Biagi significa sempre e comunque
“togliere lavoro ai giovani”. In fondo, a ben vedere,
anche la Rai è organizzata in cupola e l’ammucchiata che ha formato il Governo
attuale, tra ricatti, distinguo e veti, sembra una cupola in fase di
autodistruzione. Per fortuna! Termino questa carrellata
sulle cupole di questo Paese infelice e sfortunato, conscio di aver esaminato
soltanto una minima parte del problema. Voglio però concludere con
un auspicio: gli Italiani, finto popolo,
notoriamente diviso, tant’è che da secoli riescono a farsi calpestare e
deridere dal primo che capita (ho solo parafrasato l’inno nazionale),
prima o poi probabilmente si
accorgeranno della necessità di accantonare tutti i motivi di dissidio che ne
mantengono le divisioni a tutto beneficio dei profittatori interni ed esteri. Non c’è Paese in Europa che
si presenti così imbevuto di odio sociale e di desiderio di rivalsa parallelo.
La Spagna si è pacificata quando era al potere lo stesso Franco che aveva
contribuito alle sue divisioni. La Francia è raccolta intorno alle sue
tradizioni ed i conflitti della rivoluzione del 1789 che l’anno “divisa” sono
ormai un pallido ricordo. Persino la Germania, sotto l’efficace azione di Kol ,
è riuscita a superare lo shock della divisione territoriale realizzandone
efficacemente la riunione territoriale, economica e politica. Non parliamo poi
dei legami interni che uniscono i popoli delle monarchie europee: Gran
Bretagna, Olanda, Belgio, Danimarca. Solo gli Italiani mantengono vive le loro divisioni! Le eterne divisioni del popolo italiano, uso per
atavico destino a mantenere vivi e accesi i conflitti trasversali tra fascisti
e comunisti, destra e sinistra, nord e sud, ricchi e poveri, colti e ignoranti,
cattolici e agnostici, pacifisti e guerrafondai, inquinatori e verdi, evasori
fiscali e lavoratori dipendenti, lavoratori precari e lavoratori a tempo
indeterminato, dovrebbero cedere finalmente il passo a più civili e concreti
propositi. Lottare l’un contro l’altro ostacola il progresso e
impedisce la crescita, inoltre gli effetti negativi del conflitto permanente si
trasferiscono sul destino dei figli di
questa nazione infelice. In questo terreno le cupole non si estingueranno mai e
ci sarà sempre una parte che sfrutterà l’altra, la impoverirà sempre di più e
si approprierà dei suoi diritti, di fatto riducendola in schiavitù. Quando in un Paese manca la libertà, non c’è
giustizia, si sono dispersi i valori, non si esercita l’autorità, si è disgregata la famiglia, la società ha
perso la sua immagine, allora vuol dire che il Paese è malato ed i sintomi
della schiavitù morale e sociale preavvisano l’approssimarsi di un’epoca di
tiranni.
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