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Stato Chiesa - Parte Seconda

Le lotte radicali contro lo Stato sordo e una Chiesa surreale - Parte II

Aborto. Sperimentazione embrionale. Eutanasia.


Dec 30 2006 12:00AM -


(Rieti)
Parte Seconda
Altro discorso vale per l’eutanasia. Ad essere onesti, non è vero che manchi nel sentimento umano e nella morale naturale il principio secondo cui possa essere considerato lecito un intervento esterno all’ essere vivente, atto a provocarne la morte, quando tale intervento miri ad alleviarne le sofferenze, nel presupposto che sia svanita ogni speranza di guarigione. Nella coscienza dell’individuo è presente da sempre, e non soltanto quale frutto di un’esigenza naturale, il principio del diritto del sofferente, uomo o animale, di interrompere la propria sofferenza. Questo principio è applicato senza riserve sugli animali, per i quali l’ordinamento non ha mai statuito divieti alla soppressione umanitaria della loro vita. Così per il cavallo azzoppato, ma anche per gli altri animali domestici irrimediabilmente malati. In tempo di guerra abbiamo conosciuto la pratica del colpo di grazia somministrato indifferentemente agli uomini e agli animali gravemente feriti. Anche nelle esecuzioni capitali mediante fucilazione abbiamo appreso dalla storia e dalle cronache che esse hanno avuto come necessario compendio la somministrazione “pietosa” del colpo di grazia nei casi di ferite insufficienti a provocare la morte istantanea del fucilato. Voglio anche ricordare un fenomeno in uso nelle comunità degli elefanti, consistente nella “pratica”, sia pure a livello istintivo, che porta gli animali vecchi e sofferenti a trasferirsi spontaneamente presso i cosiddetti “cimiteri degli elefanti”. Non diversa è l’usanza dei saggi popoli del “paese dalle ombre lunghe”, nel circolo polare artico, di condurre sul pack i loro vecchi infermi per lasciarli morire nel modo più indolore possibile (una sorta di terapia del freddo). Nelle organizzazioni di intelligence poi, gli agenti segreti vengono usualmente dotati di capsule al cianuro masticabili, da ingerire in caso di cattura, in grado di condurli ad una rapida morte che li sottragga alle sofferenze della tortura cui sarebbero inevitabilmente sottoposti dagli agenti avversari interessati a carpire loro segreti di stato inviolabili. Inoltre, nell’ordinamento della cristianissima Italia esiste ormai da oltre venti anni una sorta di eutanasia crudele e barbara, introdotta con la scandalosa legge canaglia che consente l’aborto, cioè la soppressione di feti viventi affidata ai medici delle strutture pubbliche, che possono comunque avvalersi della facoltà dell’obiezione di coscienza. Sarebbe interessante chiedere al legislatore da chi dovrebbero essere praticati gli aborti qualora tutti i medici si dichiarassero obiettori di coscienza. Lo scandalo sta nel fatto che da una parte esistono dei medici che, infischiandosene del giuramento di Ippocrate, praticano l’aborto; dall’altra ci sono gli Ordini dei medici che non censurano il loro comportamento, sol perchè l’aborto è legge dello stato. Sarebbe stato forse più logico creare, in seno alla legge, una figura giuridica diversa da quella del medico, una specie di mammana di stato, senza legami, né con l’Ordine dei medici, né con il giuramento di Ippocrate. Si sarebbe comunque trattato di un “boia” di feti, esecutore delle condanne capitali pronunciate dalla madre del nascituro, privato quest’ultimo del gratuito patrocinio e della facoltà di ricorrere in giudizio. Nessuna tutela è infatti assicurata dalla legge ad un feto condannato a morte dalla propria madre. Il nascituro in genere è tutelato dalla legge nel suo diritto alla paternità, nel suo diritto al conseguimento dei diritti reali che rimangono congelati fino alla sua venuta alla luce ed in astratto è tutelato anche allorché la legge impone alla donna un termine per contrarre nuove nozze dopo l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 232 c.c.). Ma il feto non è tutelato nel suo diritto di sottrarsi alla volontà della madre di farlo sopprimere. Siamo di fronte ad un aspetto aberrante di inciviltà che non dovrebbe avere cittadinanza in una società civile come la nostra! E dire che ci consideriamo in genere più civili degli islamici che stanno invadendo i nostri territori. Almeno su questo argomento, bisogna ammettere che sono di gran lunga più civili di noi. Ebbene, pur se il nostro ordinamento contenga un istituto che autorizza la soppressione di innocenti feti umani, risulta purtroppo ancora difficile far accettare il principio giuridico del diritto alla morte quando lo scenario si trasferisce nelle corsie degli ospedali, vicino ai letti della sofferenza. Eppure, almeno in ossequio ad un principio di diritto naturale, si dovrebbe attribuire valore di priorità alla pietosa richiesta di un malato incurabile di porre fine alla sua sofferenza. Nell’ordinamento italiano ed in quello vaticano era ancora presente, nel recente passato, la figura del boia. Il boia non è altro che un dipendente statale, specializzato, che uccide le persone condannate a morte dai tribunali dello stato. L’ultimo boia dello Stato della Chiesa si chiamava Mastro Titta e decapitava i condannati dal Sant’Uffizio nella piazzetta di Campo de’ Fiori a Roma. Tra l’altro la pena di morte non è stata mai cancellata dall’ordinamento giuridico vaticano, ed è anzi ritenuta lecita dalle autorità ecclesiastiche, pur se ne viene riconosciuta la “inutilità”, in riferimento all’esigenza della“salvezza” dell’individuo e della sua rieducazione. La figura del boia, portatore di morte, trova il suo opposto nella figura del medico. Il primo sopprime la vita, il secondo combatte per conservarla. Il medico, il cosiddetto dottore, esercita infatti la sua professione secondo i principi contenuti nel giuramento di Ippocrate, che sono quelli di curare le malattie e di far guarire i pazienti, non già quelli di agevolarne la morte in caso di richiesta da parte del malato incurabile che non se la sente di continuare a soffrire. Da una parte quindi gli ordinamenti giuridici degli stati tendenzialmente ammettono, visto che la maggior parte l’ha ammessa fino al recente passato, nei codici di guerra con il plotone di esecuzione, la figura giuridica del boia, ossia di quel dipendente statale specializzato che esercita il diritto dello stato di uccidere un individuo. Con riferimento alla discussa pratica dell’eutanasia, qualora essa venisse adottata dall’ordinamento italiano e per non ripetere l’errore della legge sull’aborto, ecco dunque profilarsi l’esigenza di creare, o almeno di “pensare”, una figura giuridica specifica, a metà tra il medico e il boia, acculturata con elementi di psicologia, di dottrina giuridica, di medicina e di scienza notarile, la cui funzione dovrebbe consistere nel valutare le condizioni fisiche e psichiche dell’individuo che chiede di porre fine alle sue sofferenze, nonché l’esistenza dei presupposti di diritto per aderire alla richiesta; quindi, dopo l’efficace esito delle valutazioni, eseguire la volontà del malato, con tanto di certificazione e di assunzione di responsabilità giuridica e morale. Insomma un funzionario statale chiamato a compiere un servizio pubblico in nome e per conto dello stato. Questo è un passo di civiltà che nessuna nazione europea, credo, neanche la evolutissima Olanda, ha mai compiuto. Non si può infatti chiedere ad un medico di adoperarsi per porre fine all’esistenza di una esistenza. Chi dei medici fino ad ora lo ha fatto, è indegno di essere medico. I medici sono deputati a conservare la vita, non a toglierla. Inoltre non può essere questo il motivo della impraticabilità dell’eutanasia. La lotta che dovrebbero fare i radicali sarebbe dunque quella di spingere lo Stato, non solo ad introdurre nell’ordinamento l’istituto, ma anche ad istituire la figura dell’eutànata, ossia di quel professionista, funzionario statale, il cui ruolo discenda da scelte personali avvenute all’origine dei suoi studi e che non deve avere nulla a che vedere con la professione medica e men che meno con il giuramento di Ippocrate. Sarebbe auspicabile un progresso intellettuale e tecnico del legislatore italiano, fino a spostare per legge, presso le università, la competenza della stesura delle leggi e della consulenza presso il Parlamento. Ormai le leggi sono scritte da burocrati politicizzati e astiosi o da politici “interessati” ed impreparati. Il problema italiano delle soluzioni legislative monche e inadeguate, spicciole e poco chiare, è vecchio. Pur contestando la legge sull’aborto, abbiamo prima accennato alle manchevolezze di cui è affetta. Vi si sarebbe dovuta infatti prevedere la figura di una sorta di “miniboia” orientato a sopprimere i feti senza obbligare i medici a procurare gli aborti, ossia a sopprimere delle vite umane. In conclusione va affermato senza reticenze che l’istituto dell’eutanasia non può essere ulteriormente vietato dal filtro dei principi etici poiché l’esigenza della sua legittimazione nasce nella volontà del soggetto, riguarda soltanto la sua persona e non inerisce altri soggetti che dal suo esercizio possano essere danneggiati. Se dall’azione dell’uomo, per quanto riprovevole, non deriva danno qualsivoglia a terzi, l’azione di per sé non è rilevante ai fini della responsabilità, quindi non può essere assoggettata a sanzione, pertanto gli impedimenti che vengono posti alla legalizzazione dell’eutanasia sono arbitrari e, oltre che incidere sulla sfera delle libertà costituzionali dell’individuo, si discostano anche dai principi contenuti nella Carta dei diritti dell’uomo. Da una parte si deve ammettere quindi la non esecrabilità della dichiarazione di colui il quale vorrebbe la propria morte per sfuggire alla sofferenza prolungata ed insopportabile; dall’altra si pone l’esigenza legislativa di dotare l’ordinamento di un istituto in qualche modo idoneo a soddisfare le istanze del sofferente. A margine si profila però la necessità di creare nel contempo una figura giuridica diversa dal medico, che sia in grado, con l’autorizzazione dello stato, di accertare l’esistenza dei presupposti che saranno previsti dalla legge e quindi dare esecuzione alle volontà del malato sofferente ed incurabile, rilasciando ampia documentazione del suo operato. Rimanere sordi ad una esigenza così diffusa e sentita, equivale ad accettare che l’individuo senza speranza alcuna di guarigione ed in preda a sofferenze insopportabili, venga tenuto nella condizione di “torturato” a causa di una omissione istituzionale. La tortura, è definita dai principi etici e morali inaccettabile, tanto che gli stati che la praticano sono oggetto di censura e di sanzioni nell’ambito delle strutture internazionali delle nazioni. L’ombrello etico che vorrebbe abolire la tortura dagli ordinamenti di alcuni stati, si pone come fine quello di sottrarre gli individui alla sofferenza fisica che comporta il decadimento delle facoltà decisionali, la perdita della resistenza, l’umiliazione, la riduzione in schiavitù. Quando invece la sofferenza proviene da patologie incurabili, vengono richiamati altri principi etici a difesa della tesi secondo cui, pur di non intervenire sul corso naturale della vita, si debba “condannare” il soggetto a soffrire e quindi subire una inutile tortura. Come ad affermare che il dolore fisico non è sempre uguale. Un equivoco simile pesa anche sul concetto di “sacralità della vita”, la cui valutazione è diversa a seconda che ad uccidere sia un boia o un assassino. Quando ad uccidere è un assassino, la vita è sacra, quando ad uccidere è invece un boia governativo, la vita non vale una cicca. Questi modi di interpretare fatti fondamentali dell’esistenza umana proponendo soluzioni annacquate dalla retorica e “piegate” a conclusioni integraliste, vanificano la lotta dei radicali, talvolta colorita da toni esagerati e farseschi, ma fondamentalmente giusta e necessaria. Ma spesso sono l’impostazione sbagliata dei principi da difendere e le soluzioni proposte che dissolvono l’impegno dei radicali, facendolo apparire inopportuno, illogico e talvolta illecito. La Chiesa in fondo fa il suo mestiere: ricorda principi etici, minaccia scomuniche, ammonisce. Lo fece quando si trattò dell’aborto e a dire il vero non ottenne risultati, anche perché affidò la difesa dei principi etici a parlamentari per natura affiliati alla società dei franchi tiratori. Più o meno, gli stessi che ora, in stretta cooperazione con Caruso, Diliberto e Bertinotti, sostengono l’attuale governo che, paradossalmente, alle ultime elezioni politiche, ha incassato l’appoggio della CEI. Lo fece ancora quando si trattò della legge sul divorzio; ma anche allora senza risultati. Lo sta facendo nuovamente ora, con la legge sulla legalizzazione delle unioni omosessuali. Ma già possiamo prevedere che anche le unioni di fatto saranno presto inserite nell’ordinamento, forse con maggiori diritti rispetto alle coppie unite dal vincolo del matrimonio. Cosa rimane da fare a noi, spettatori di un dissolvimento della cultura, del costume e della tradizione, che i media contrabbandano per evoluzione e progresso ed inquadrano nell’esigenza di emulare il resto dell’Europa? La speranza cercherebbe rifugio nella saggezza. Ma a dire il vero, già da qualche decennio, di saggi e illuminati politici si sente davvero la mancanza.

 

 

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